Chapter thirty-six
Dopo aver visto, con grande stupore, il nome di sua madre sullo schermo, Jason non ha esitato un minuto a rispondere, alzandosi di scatto dal divano in attesa di scoprire il motivo di quella telefonata.
Da quello che so, non si sentivano da diverse settimane, e, quando lo facevano, i messaggi o le chiamate erano rapide e veloci. Ma adesso è da circa venti minuti che stanno parlando.
L'espressione di Jason è corrucciata, come se non stesse capendo, mentre le sue risposte equivalgono per lo più a domande del tipo: "perché?"; "è successo qualcosa" o ancora: "non stai bene?".
Dopo una manciata di minuti la telefonata si conclude e Jason, riflettendo ancora sulle parole di sua madre, si avvicina a me, sedendosi nuovamente sul divano, col volto pensieroso.
Io mi infilo una maglietta riposta sul pavimento e, incrociando le gambe per sedermi meglio, domando: «Allora? Che ti ha detto?»
«Vuole che andiamo lì a Santa Rosa da lei. Ha detto che deve parlare con me, Sally e papà...» Ha lo sguardo basso, mentre cerca di capirne il motivo.
«Non ti ha detto perché?» chiedo in seguito.
Lui muove la testa in segno di diniego e subito dopo aggiunge: «Ne parlo subito con Sally e prenoto il primo volo disponibile. Partiamo già domani.»
Annuisco e mi alzo dal divano, per poi rivestirmi. Lui fa la stessa cosa, ma, prima che possiamo uscire dal magazzino, mi interrompe, dicendo: «Vieni anche tu.»
Mi fermo all'istante, con ancora la mano tesa verso la maniglia della porta.
«Come?» Mi volto verso la sua direzione, credendo di non aver capito bene.
«A Santa Rosa. Vieni anche tu con noi.»
Questa frase è capace di far tremare ogni singola parte del mio corpo. Mi lascia attonita ma al contempo felice. Il mio cuore esplode di gioia perché farmi incontrare sua madre, soprattutto in un momento in cui quest'ultima vuole parlare con i suoi figli, mi lascia senza parole.
Vuol dire che quello che c'è tra di noi è talmente importante da spingerlo a portarmi con sé, nella casa in cui ha vissuto per molti anni, a farmi incontrare la donna di cui mi parla sempre, e, soprattutto, a farmi entrare definitivamente in contatto con il suo passato.
Mi scappa un piccolo sorriso e, senza pensarci una volta di più, annuisco timidamente ma allo stesso tempo entusiasta, tremendamente entusiasta.
***
Appena arriviamo a casa, raccontiamo tutto a Sally, la quale è sopraffatta da incredulità e stupore. Non ha la minima idea, come noi, del perché sua madre voglia incontrare il signor Miller o cosa semplicemente abbia intenzione di comunicare loro.
«Non ti ha detto altro? Solo che vuole parlarci urgentemente?»
È in piedi in questo momento, al centro del salotto, mentre, con le mani posate sui fianchi, cerca di capirne la ragione.
Scuotiamo entrambi la testa e subito dopo sento Jason dire: «Partiamo domani mattina presto, quindi preparate qualche ricambio e il passaporto.»
Annuiamo come autome, confuse da questa situazione, fino a quando Sally domanda: «Devo chiamarlo io papà?»
Cala il silenzio più totale a questa sua domanda. Jason abbassa lo sguardo e, con finta aria di indifferenza, fa spallucce. «Fa' come vuoi.»
Sally, allora, con esitazione, si dirige in cucina per telefonargli, mentre io mi avvicino a lui. È seduto sul divano in questo momento, con il volto abbassato e i gomiti puntati sulle ginocchia.
«Pensi che verrà?» Gli sistemo i ciuffi scuri che sono ricaduti sulla sua fronte e gli sollevo il viso per indurlo a guardarmi.
«No che non lo farà. Ha una nuova famiglia a cui pensare adesso, figurati se si preoccupa di quella che ha abbandonato.»
«Può darsi che ti sbagli, no?»
Lui, però, non mi risponde e, quando sto per aggiungere altro, Sally ritorna nel salotto, con un lieve sorriso sul volto.
Annuisce entusiasta, mentre, stringendo forte il telefono tra le mani e spazzando via ogni brutta aspettativa di Jason, annuncia: «Ha detto che ci sarà anche lui, partirà domani con noi.»
Volto istantaneamente il capo in direzione di suo fratello e noto la rapida ma evidente scintilla che gli attraversa lo sguardo non appena sente pronunciare queste parole.
Intravedo un barlume di speranza nei suoi occhi e anche di... felicità?
Tuttavia, questa sensazione non dura molto, poiché, alzandosi dal divano, riprende la sua solita aria distaccata, e risponde: «Bene, allora ci vediamo con lui direttamente in aeroporto.»
Detto questo, si dirige nella sua stanza, probabilmente per preparare i bagagli. Facciamo la medesima cosa io e Sally, e spariamo ognuna nelle proprie camere.
***
Il mattino seguente ci svegliamo all'alba e, seppur ancora tremendamente assonnati, ci avviamo all'aeroporto.
Lì, proprio davanti, ci aspetta il signor Miller, avvolto da una t-shirt a maniche corte color pretolio e dei jeans scuri.
Ci avviciniamo a lui, il quale saluta Sally con una carezza sulla spalla e Jason con un semplice cenno del capo. È esitante, titubante, e lo capisco, data l'intensità con cui lo guarda quest'ultimo.
Non vedo rabbia nei suoi occhi, ma più una scintilla indagatoria.
«Perché sei venuto?» chiede in seguito con tono secco e rigido.
Suo padre cerca di dire qualcosa e, seppur inizialmente attonito da questa domanda, dopo diversi tentativi ci riesce. «B-beh... Vostra madre desiderava che ci fossi anche io.»
Jason inarca le sopracciglia e fa comparire sul suo volto un ghigno sfacciato. «Ah, adesso ti interessa cosa vuole lei?»
Schiudo le labbra in contemporanea con Sally, sorpresa da questo confronto.
«Non mi sono ancora scusato con vostra madre e, dato che l'ho fatto con voi-» Tuttavia, la voce brusca di suo figlio lo interrompe.
«Con scarsi risultati.» precisa, puntigliosamente.
Il signor Miller si sofferma a guardarlo, non sapendo minimamente cosa dire. Solo dopo diversi minuti si affretta a concludere: «Ho sbagliato sia con voi che con lei, e, dato che non voglio più che i sensi di colpa mi perseguitino, ho intenzione di scusarmi e di mostrarmi presente nella sua vita. E gradirei se tu non rendessi tutto questo ancora più complicato.»
Come pensavo, però, Jason non lascia a lui l'ultima parola, poiché, avvicinandosi di pochi centimetri al suo viso, scandisce con tono basso: «E io gradirei averti di nuovo fuori dalle nostre vite, ma non si può avere tutto nella vita. Giusto, Carl?»
La sua voce, profonda e minacciosa, lo lascia senza parole, così come il fatto di non averlo nuovamente chiamato "papà".
Il signor Miller rimane così, immobile, a fissare davanti a sé, con lo sguardo spento, il figlio che ha perso diversi anni fa.
Quando Jason si avvia all'interno dell'aeroporto, io lo seguo, mentre Sally dà una pacca, terribilmente a disagio, alla spalla di suo padre.
Una volta dentro, effetuiamo il check-in, imbarchiamo i pochi bagagli che abbiamo e, dopo aver superato i diversi controlli di sicurezza, raggiungiamo il gate di imbarco.
Passano diversi minuti prima che possiamo salire finalmente sull'aereo. Lì, io e Jason prendiamo posto uno accanto all'altro, mentre Sally si siede vicino a suo padre.
Non sembra molto turbata da questo, anzi, intravedo una scintilla entusiasta nel suo sguardo. Sembra contenta di passare più tempo con suo padre.
Ha sofferto molto per la lontananza da lui e credo che questo gesto, anche se piccolo e per molti insignificante, le doni immensa gioia.
«Vuoi stare dalla parte del finestrino?» domanda Jason, in piedi vicino ai sedili, portandomi via dai miei pensieri.
Scuoto immediatamente il capo in segno di diniego. Ricordo ancora la prima volta che sono salita su un aereo: è stata con Sally, e stavamo arrivando proprio qui, a Miami. Io mi ero seduta dalla parte opposta al finestrino, poiché tremendamente spaventata. Quel giorno non successe nulla e proprio per questo, oggi, ho intenzione di fare la medesima cosa.
Jason mi guarda da sopra la spalla, rivolgendomi un sorriso divertito. «Hai paura di volare?»
«Più o meno...» Faccio spallucce con un'espressione timida, e mi siedo subito dopo di lui.
Allaccio frettolosamente le cinture, seppur non ci sia ancora stato detto, e mi sistemo meglio, chiudendo gli occhi.
Se non mi accorgo che sono su un aereo, magari non ho paura. Mi ripeto esattamente le stesse parole della prima volta, e questo mi aiuta, poiché avverto il battito cardiaco rallentare.
In seguito sento una risata roca provenire dalla mia sinistra e, aprendo solo una palpebra, domando: «Cos'hai da ridere?»
Jason alza le mani in segno di resa e, con un ghigno sul volto, risponde: «Nulla, nulla... Vuoi anche dei tappi per le orecchie, un cuscino per il collo... magari una coperta?»
Mi sta prendendo in giro?
Gli rivolgo un finto sorriso e gli do un buffetto sulla spalla, senza però smuoverlo di un solo millimetro. «Divertente, davvero divertente.»
Emette un sospiro divertito e volta il capo in direzione del finestrino, fermandosi ad ammirare l'immensità del cielo.
E io, invece, ammiro proprio lui... sbatto più volte le palpebre, cercando di non essere sempre la solita, e chiudo nuovamente gli occhi, preparandomi a un sonno profondo.
***
Arriviamo a Santa Rosa verso le tre del pomeriggio. Ho passato tutto il viaggio a dormire, recuperando le ore di sonno di questi giorni, al contrario di Jason, che non ha chiuso gli occhi un solo momento, impegnato a immaginare tutte le possibili motivazioni della telefonata di sua madre.
Adesso siamo qui, davanti alla porta di casa loro. Avverto una pesante tensione nell'aria, a causa dell'esitazione del signor Miller nel bussare alla porta, del respiro affannato di Sally e del modo in cui Jason apre e chiude il pugno nervosamente.
Il suono del campanello però risuona dopo un po', spaccando drasticamente il silenzio.
Ci si presenza dinanzi una donna dai capelli scuri, gli occhi neri come la pece e una carnagione abbastanza chiara. Ha un aspetto trascurato: i capelli sono legati in modo disordinato in uno chignon, il viso è completamente struccato e, in alcuni punti, rossastro, mentre i vestiti sono vecchi e larghi. La signora Miller ha gli occhi spenti, tuttavia, non appena vede i suoi figli e il suo ex marito, un sorriso sembra sfiorarle appena il volto.
Improvvisamente mi chiedo che cosa ci faccia io lì. Dovrebbe essere un incontro di famiglia, e io mi sento terribilmente a disagio e fuori posto.
Cerco, però, di scacciare questa sensazione non appena la signora Miller si avvicina ai suoi figli e, dopo averli guardati per secondi interminabili per accertarsi che non fossero un'illusione, li abbraccia. Li stringe a sé e noto come l'espressione di Jason si addolcisce, mentre si lascia andare fra le braccia della donna che ormai non vede da tre anni. Ricambia l'abbraccio, avvolgendola in tutta la sua imponenza. C'è calore e affetto in questo gesto. Me ne rendo conto dagli occhi umidi di Jason e dal modo in cui non vuole lasciarla andare.
Sally si scosta poco dopo, il tempo necessario per asciugarsi le lacrime, mentre Jason rimane lì ancora un po', attaccato alla donna più importante della sua vita.
«Mi sei mancato, JJ. Mi sei mancato così tanto...»
JJ. Ricordo ancora quando suo padre l'ha chiamato così, quella sera, davanti al locale in cui mi aveva chiesto di incontrarlo.
Lui si era subito adirato non appena aveva sentito pronunciare quel nome, eppure adesso non sembra turbato o infastidito, più che altro... nostalgico.
Si allontanano l'uno dall'altra dopo una manciata di minuti, avvolti ancora dal desiderio di recuperare tutto il tempo perso.
«Kate...» La voce bassa ed esitante del signor Miller richiama l'attenzione della sua ex moglie. Quest'ultima fa piombare il suo sguardo su di lui e, non appena le sue iridi affondano nelle sue, un senso di malinconia sembra pervaderla da cima a fondo.
Sono ormai tre anni che il signor Miller ha abbandonato la sua famiglia e sono certa che rivederlo dopo tutto questo tempo, sulla soglia della casa che hanno condiviso per anni e anni, non deve essere affatto facile.
«Carl,» emette un flebile sospiro. «sei venuto anche tu...» Non lo lascia intravedere molto, ma nella sua voce si cela un tono di speranza, come se il fatto che sia venuto possa in qualche modo rimettere tutto a posto. Non conserva né rabbia né rancore e questo mi lascia sorpresa.
La signora Miller continua a guardare la sua famiglia per un po', con le mani sul cuore e un lieve sorriso sulle labbra. Tuttavia, quando vede me, una sensazione di stupore le schiude le labbra.
«Charlotte, non pensavo venissi anche tu... Come stai? Come sta tua madre?»
Io e la signora Miller ci conosciamo da alcuni anni. Da quando Carl li aveva abbandonati e Jason era partito per Miami, io venivo quasi ogni giorno qui a mangiare da loro. Passavo giornate intere in camera di Sally o in cucina con sua madre. Avevamo un ottimo rapporto. Poi, però, lei ha iniziato a drogarsi sempre di più e Sally non voleva che la vedessi in quelle condizioni. Tuttavia, ricordo che la chiamavo quasi ogni giorno, per sapere come si sentisse o se le andasse di uscire. Solo la metà delle volte ottenevo una risposta. Questo, però, non ha mai cambiato il mio affetto che provo per lei.
«Diciamo bene, sono felice di rivederti.» Le rivolgo un sorriso sincero, felice di averla rivista dopo tutto questo tempo.
Lei ricambia e, dopo avermi accarezzato dolcemente una guancia, ci invita tutti a entrare.
Casa loro è un appartamento in una zona un po' trascurata di Santa Rosa. Non è molto grande, ma risulta ugualmente accogliente. La guardo attentamente e mi accorgo che è proprio come me la ricordavo: appena si entra vi è un'openspace, dove si trova il salotto, in cui è posizionato un divano abbastanza vecchio e una televisione piccola, e la zona cucina, dove un tavolo in legno scuro è colmo di carte, fogli e lettere. Le finestre sono aperte e questo lascia passare molta luce.
Con mia sorpresa, a parte delle carte gettate qua e là, la casa non è in pessime condizioni. O almeno, non sono presenti siringhe, bustine di droga o pasticche, come invece mi aspettavo. Di fatti, nell'aria aleggia un delizioso profumo di vaniglia e i pavimenti sono perfettamente lucidati. Questo sembrano notarlo anche Sally e Jason, poiché perlustrano ogni centimetro della casa con le sopracciglia aggrottate e una punta di sorpresa.
«Vi ho chiamati perché devo dirvi una cosa...» Kate si siede sul divano, facendo segno agli altri di raggiungerla. Sally e io ci mettiamo vicino a lei, mentre Jason e suo padre restano in piedi.
Successivamente, tirando un gran sospiro, continua: «Sono passati molti anni da quando ci hai lasciati, Carl.» Quest'ultimo abbassa lo sguardo, visibilmente a disagio. «Io non ho più un lavoro, Jason vive a Miami, e Sally si trasferirà definitivamente lì per l'inizio del college a fine estate.» Fa una pausa, riflettendo sulle parole da dire. «Mi sto rendendo conto che tutta la mia vita sta andando in pezzi... A stento riesco a pagare questa casa con i soldi che tu, Jason, mi dai mensilmente. Eppure dovrei essere io quella a mantenere te...» emette un sospiro sarcastico, mentre noto i suoi occhi bagnarsi sempre di più. «Non posso più continuare così, ma non sono neanche in grado di smettere di... fare quel che faccio da sola, perciò ho deciso di ascoltare voi, e andare in un centro apposito per tossicodipendenti. Non voglio buttare tutto ciò che io e vostro padre abbiamo costruito in questi anni e non voglio continuare a essere un cattivo, se non pessimo, esempio per voi, non più almeno.»
Queste parole lasciano tutti sorpresi ma anche felici. So quante volte Sally abbia provato a far smettere a sua madre di drogarsi e a convincerla a cercare aiuto, così come so tutte le volte che questa ha rifiutato, cacciandola brutalmente. Ora, però, finalmente, sembra essersi convinta, e non oso nemmeno immaginare la gioia che in questo momento stia riempiendo i cuori di Jason e Sally.
La prima a prendere parola è proprio quest'ultima, che, con un sorriso emozionato in volto, dice: «Oh, mamma, finalmente... Non ce la facevo più a vederti in quelle condizioni tutti i giorni.» Le lacrime iniziano a scorrere limpide sulle sue guance. Per questo, si affretta ad asciugarle e a gettarsi fra le braccia di sua madre.
«Ne sei sicura? Non è che poi cambi idea e mandi all'aria tutto?» La domanda di Jason attira la sua attenzione e ha come risposta un cenno con la testa.
«Sì, JJ, ne sono sicura, e farò del mio meglio per recuperare tutto quello che ho perso. Da oggi non toccherò più neanche un solo spinello, lo giuro.»
Questa sembra essere la risposta che Jason desiderava, poiché, abbassando il capo per non fargliene accorgere, emette un sospiro di sollievo.
«Quando inizierai ad andare?» domanda in sequito il signor Miller.
«In questa settimana. Gina mi ha aiutato in tutto, sua figlia lavora là e si è messa a completa disposizione.»
«Chi è Gina?» chiede Sally con curiosità e una punta di riconoscenza verso questa donna.
«La mia nuova vicina, si è trasferita qui da poco da Londra.»
***
Passiamo l'intera giornata intorno a un tavolo, a raccontarci barzellette e aneddoti particolari.
Sono le otto di sera in questo momento. In casa sembra esserci un'atmosfera abbastanza calma e questo lascia perplessi tutti noi. La signora Miller sembra spensierata, nonostante qualche volta traspare dalla sua espressione la voglia di cocaina o qualsiasi altra sostanza. Cerca di contenerla, seppur vanamente, fumando una sigaretta dopo l'altra.
«E tu, Carl?» prorompe a un certo punto, posizionando una mano sotto al mento. «cosa hai fatto in questi tre anni? Stai ancora con... quella donna?» A queste parole, la sua voce si incrina notevolmente. Cerca di mascherare la tristezza in volto con un sorriso, eppure non ci riesce.
Il signor Miller, anche se visibilmente a disagio, annuisce, aggiungendo poco dopo: «Sì, ci siamo sposati proprio ieri.»
«Vi siete sposati?» Non sembrava aspettarsi una simile notizia e, noto dalla sua espressione, che questo la destabilizza parecchio.
«Sì, dice che vuole conoscerti.»
«Conoscermi?» ripete Kate con le sopracciglia inarcate.
«Sì, soprattutto adesso che diventerà di nuovo mamma. Non vuole che ci sia un brutto rappo-» Tuttavia, si interrompe non appena nota l'espressione a dir poco sconvolta della sua ex moglie.
Un pallore improvviso le riempie il viso, mentre le mani iniziano a tremarle. «A-avrete un bambino?»
Nella stanza cala il silenzio più totale. Io sposto lo sguardo da uno all'altra, percependo da un lato imbarazzo, mentre dall'altro... semplice angoscia.
«Non sapevo che foste arrivati a questo punto... Insomma, sì, ci hai lasciati per lei, ma... stai ricostruendo quello che avevi con noi e-» smette di parlare poiché la voce le si spezza. Si percepisce dolore, dispiacere e una terribile nostalgia dai suoi occhi. Di certo non si aspettava niente di tutto questo e averlo saputo così, per puro caso, deve essere stato un duro colpo.
«Non è proprio così. Ci siamo sentiti di compiere questo passo e l'abbiamo fatto, ma non temere, non vi terrò più fuori dalla mia vita.» Il signor Miller si affetta a chiarire, ma l'espressione di Kate non cambia.
«La ami?»
Silenzio. Disagio. Stento.
Ecco cosa aleggia nell'aria in questo momento.
Nessuno osia fiatare a questa domanda, sapendo che la risposta potrebbe devastarla pesantemente.
L'assenza di una risposta, però, è capace di confermare tutti i suoi dubbi e concretizzare tutte le sue paure.
Jason, Sally e Carl abbassano lo sguardo, mentre io lo tengo sostenuto sulla signora Miller, avvertendo un'improvvisa voglia di abbracciarla.
Tuttavia, non faccio nulla. Sto ferma, seduta sulla sedia in legno, a guardarla sprofondare nella sua malinconia. Il respiro le aumenta e inizia a piangere. Le lacrime le scendono sul viso una dopo l'altra, tracciando sentieri sulle sue guance e scavando di più i suoi occhi quando cerca di asciugarsele.
«I-io non lo sapevo... È tutto finito allora... È tutto inutile.» pronuncia queste parole in un sussurro appena udibile, come se non volesse farsi sentire.
Cosa è inutile? Perché dice che è tutto finito?
Non capisco le sue parole e non ho neanche il tempo di farlo, poiché lei si alza e si precipita in bagno.
«Torno subito, restate qua.» ordina, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Jason, però, fa esattamente il contrario, poiché si dirige verso di lei e, aumentando il tono della voce, le domanda: «Non vorrai drogarti proprio ora, vero?»
Sua madre non gli rivolge un solo sguardo, ma continua a rovistare nel mobiletto sotto il lavandino.
«Ti ho detto di restare di là, JJ!»
«Per fare cosa? Aspettare che tu faccia uno o due tiri?»
«Appunto, solo due tiri!»
A queste parole, Jason le afferra un polso, inducendola a guardarlo. «Hai intenzione di andare in terapia così! Senza neanche provare, in un fottuto istante, a cambiare?»
«Ci sto provando!» esclama la signora Miller, con le lacrime agli occhi.
«Come!? Come, esattamente? Facendoti uno spinello prima che venissimo? E non provare a negare perché me ne sono accorto dalle tue stramaledette pupille!» Le punta un indice contro e poi continua. «Spruzzare qua e là un fottuto profumatore alla vaniglia, mettere un po' in ordine e, appena senti una notizia che non ti piace, riprendi quella merda? È così che pensi di provarci? Non facendo esattamente un cazzo per migliorare, ma semplicemente illudendo noi e te stessa?»
Le sue parole sono dure, brusche, e lasciano Kate sorpresa per un attimo. Tuttavia, si libera dalla sua presa e risponde: «Non puoi aspettarti che io smetta di essere...» Lascia la frase in sospeso, non avendo il coraggio di pronunciare quella parola.
Jason, però, non si fa problemi, poiché, travolto da uno stato di rabbia e rancore, sputa con violenza: «Una tossicodipendente? Una drogata? Deciti tu il termine che ritieni più adatto.»
Io, Sally, e il signor Miller ci alziamo per raggiungerli, e vedo quest'ultimo intromettersi.
«Jason, non chiamare tua madre così!» lo rimprovera con fermezza e decisione.
«Oh, non venirmi a fare proprio tu la morale, che l'hai lasciata proprio per questo!»
Sembra un treno senza freni. Manda offese senza limiti e getta sguardi rabbiosi a chiunque gli capiti a tiro.
Non l'avevo mai visto così arrabbiato, così irruento e offensivo. E non sono l'unica, data l'incredulità con cui lo guarda Sally.
«Non fare solo a tuo padre la predica, JJ! Anche tu sei andato via!» Sua madre irrompe bruscamente, attirando la sua attenzione.
Inizialmente Jason non dice nulla, colpito da quell'affermazione. Solo in seguito trova la forza di dire: «E ti chiedi perché? Avevo una madre che tutte le sere si faceva trovare ubriaca, fatta. Correggevi il caffè con la vodka, appena ti svegliavi. Non avevi la forza di fare la spesa, per tutte le siringhe che ti inniettavi. Sei andata in ospedale forse dieci volte in due mesi, per tutta quella merda! Te la prendevi con me quando Sally piangeva, andava male a scuola, o tornava tardi la sera, e mi incolpi perché mi sono semplicemente trasferito?» La sua voce è alta e la vena sul suo collo pulsa sempre più velocemente. «A differenza di questo bastardo che tanto difendi,» Indica suo padre alle sue spalle e poi continua: «ti ho mai detto che non potevi contare su di me? Ho lavorato ogni giorno per riuscire a mandarti dei soldi, e quelli che avevo conservato, quando mi hanno licenziato, ho continuato a darli a te, solo e soltanto a te! Quindi non provare neanche solo per un istante a paragonarmi a lui. Quando quella che ha rovinato tutto sei stata proprio tu. E non parlo del matrimonio...»
Queste parole la colpiscono in pieno, come gettate da una fionda tanto piccola quanto potente. La buttano giù moralmente in modo netto e preciso. Sono capaci di farle schiudere la bocca e di farle arrossare gli occhi.
La signora Miller non dice nulla. Resta in silenzio, logorata da ciò che le ha detto suo figlio. Lo guarda, ma non vede niente. Ha gli occhi offuscati dalle lacrime e il cuore dal dolore.
Sposto lo sguardo su Jason, e noto che la sua espressione non è tanto diversa. Anche lui, come sua madre, ha un viso distrutto, annientato dalle sue stesse parole.
Rimaniamo in un silenzio tombale per molto tempo, fino a quando non è proprio Kate a prendere parola. «È questo che pensi di tua madre?»
La risposta che arriva poco dopo, però, lascia spiazzati tutti quanti.
«Quale madre?»
No, non questo.
Percepisco da qui il cuore della signora Miller infrangersi in mille pezzi, cadere contro il pavimento e portare con sé tutta la delusione, il fallimento e il dolore di una vita intera.
Rimane a fissarlo per minuti che sembrano interminabili, con la bocca spalancata e gli occhi ormai fradici delle sue lacrime.
Aspetta che suo figlio le chieda scusa, che si rimangi quello che ha appena detto, ma questo non succede.
Jason rimane in silenzio, senza neanche avere il coraggio di guardarla.
Fissa il pavimento, con il pugno stretto e le pupille dilatate.
A un certo punto, allora, Kate tira su con il naso e, asciugandosi le innumerevoli lacrime che le hanno rigato il volto, pronuncia a bassa voce: «Ho bisogno di un po' d'aria.»
Non dice altro. Semplicemente, senza rivolgere lo sguardo a nessuno di noi, si dirige fuori dal bagno e, subito dopo, fuori casa.
«Si può sapere che diamine ti è preso!?» Sally si avvicina a suo fratello, il quale ha uno sguardo spento e triste. «Ti sembrava forse il modo di rivolgerti a lei? Cosa ti è saltato nel cervello? Poi chiamarla drogata! Non sai quello che sta passando? Non lo sai che si sente in colpa ogni singolo giorno per questo!?»
Tuttavia, i rimproveri di Sally sembrano sfumare nel nulla, poiché completamente ignorati da Jason. Sa di aver sbagliato, lo riconosce, ma forse a causa del suo orgoglio o di chissà cosa, non riesce ad ammetterlo.
«Sally,» Le poso una mano sul braccio, muovendo il capo in segno di diniego. «non serve questo, non ora.»
Qualunque cosa gli venga detta in questo momento non servirebbe a cambiare la situazione né a smuoverlo da niente. È ancora troppo arrabbiato per fargli accorgere di aver commesso un errore o addirittura chiedere scusa.
Fortunatamente, la mia amica mi dà ascolto, poiché, sbuffando un'ultima volta, lascia perdere.
«Chissà dove è andata ora...» La voce del signor Miller cela preoccupazione e timore. Sentimenti che vedo attraversare anche gli occhi di Jason.
Penso si sia posto la stessa domanda, poiché, a sguardo basso, si tortura le pellicine con le unghie corte.
***
Sono passate circa due ore da quando la signora Miller è uscita di casa e Jason, Sally e Carl non hanno fatto altro che aspettarla svegli. Io, invece, sono letteralmente crollata. Non sono riuscita a rimanere sveglia, a causa del viaggio e di tutto lo stress accumulato in questo giorni.
Sono stesa sul divano adesso, col capo appoggiato alle gambe di Jason. La sua mano destra è posata sul mio fianco, mentre quella sinistra è appoggiata al bracciolo. Le dita picchiettano nervosamente la stoffa del divano, mentre la sua gamba trema su e giù in un movimento ansioso. È preoccupato. Lo capisco da ogni suo gesto, ogni sua parola e da ogni suo silenzio. Sono le dieci di sera e Kate non è ancora tornata.
Sally cammina avanti e indietro per la stanza, mentre il signor Miller cerca, seppur inutilmente, di telefonarle una volta dopo l'altra.
«Ma dove diamine si è cacciata a quest'ora?» impreca sotto voce quest'ultimo, con gli occhi fissi sul cellulare, nella speranza che questo si illumini improvvisamente e il nome della sua ex moglie compaia sullo schermo.
Tuttavia non avviene niente di tutto ciò. Continuano tutti e tre a preoccuparsi, domandarsi dove possa essere e sbuffare in continuazione.
Io, invece, mi strofino i dorsi delle mani sugli occhi, mentre un piccolo sbadiglio scappa dalla mia bocca.
«Vuoi andare a dormire? Puoi stare sul mio letto.» mi chiede Jason, puntando il suo sguardo nella mia direzione. E, seppur questa proposta mi alletti veramente tanto, decido di declinarla, e aspettare anche io che Kate torni a casa.
Noto un'immensa preoccupazione negli occhi di Jason, così, sedendomi meglio accanto a lui, intreccio le sue dita alle mie. Le stringo forte e affondo i miei occhi nei suoi, perdendomi nella vastità di questi ultimi. Cerco di fargli capire che va tutto bene, di stare tranquillo. E, per un momento ci riesco anche a farlo calmare, fino a quando, però, un'improvviso suono cattura la nostra attenzione.
Il campanello.
«Oh, finalmente!» sospira sollevato il signor Miller.
Si precipita alla porta, aspettandosi di vedere la sua ex moglie. Tuttavia, ciò non succede. La figura che gli si presenta dinanzi, infatti, è una donna sulla cinquantina d'anni, abbastanza robusta, con un grande paia di occhiali da vista in volto.
Ha il respiro affannato e la faccia sconvolta. I suoi occhi sono sgranati e le sue mani tremano freneticamente.
«Lei è il signor Carl Miller?» domanda la signora con chiara difficoltà.
Lui annuisce con le sopracciglia aggrottate, senza capire chi sia questa donna.
«Lei chi è, mi scusi?»
«Sono la nuova vicina della signora Miller, Gina... Deve venire immediatamente con me.» Il tono della sua voce è spaventato, terribilmente spaventato.
«Cosa è successo?»
La donna inspira ed espira con velocità, quasi non riuscendo a parlare. «Venga e basta.»
E, senza più controbattere, fa quello ordinatogli e si precipita fuori dall'appartamento.
Lo raggiungiamo anche noi, cercando di stare al passo veloce della signora.
Percorre le scale con sveltezza, accertandosi ogni tanto della nostra presenza.
Sposto lo sguardo su Jason e noto che la sua espressione è contratta. Le sopracciglia aggrottate, la mano destra stretta ferramente sulla balaustra, i ciuffi castani che rimbalzano a causa della velocità con cui scende i gradini.
Ci ritroviamo fuori dal palazzo in una manciata di minuti. La brezza estiva e abbastanza calda ci travolge, appena varchiamo la soglia del portone.
La donna ci porta in un vicolo cieco adiacente al palazzo, dove è presente una pattumiera, diverse ciotole per gatti e una macchina.
Sposto lo sguardo su quest'ultima e noto che vicino a essa si trova-
Oh mio Dio.
Le mie palpebre si sgranano e la mia bocca si spalanca completamente non appena vedo un cadavere.
Ma non un cadavere qualsiasi, quel corpo è...
della signora Miller.
💖SPAZIO AUTRICE💖
ALLORA. La situazione sta precipitando. Le cose stanno peggiorando. Il caos sta prendendo forma e il peggio si sta concretizzando sempre di più.
Vi dico già che da questo momento in poi si rovinerà TUTTO e potremmo dire ciao ciao 👋 ai momenti spensierati e leggeri tra Charlotte e Jason.
Vi avviso che nel prossimo probabilmente piangerete. Ci saranno diverse emozioni, che però non vi dico, perché voglio che lo scopriate da soli.
(Im)perfect sta finendo e, come lei, anche la storia tra Charlotte e Jason. 💔 (sì, però ci sarà un sequel).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va, lasciate una stellina 🌟.
Ci vediamo al prossimo capitolo, ciaoo❤️
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