Chapter thirty-seven

Sbatto più volte le palpebre per accertarmi di non star avendo un'illusione, ma purtroppo è tutto reale.

Ho gli occhi sgranati dal terrore, la bocca aperta per lo stupore e le dita tremanti.

Guardo la figura della signora Miller e avverto un potente senso di nausea risalirmi lungo tutto il corpo.

La macchina ha uno sportello aperto dalla parte del guidatore, ed è lì che il corpo di Kate giace ormai senza vita.

Si vede solo il busto fuori dall'auto. La mano destra è appoggiata alla maniglia dello sportello, mentre quella sinistra sull'asfalto.

Ha le palpebre completamente aperte ma prive di vitalità. Il colore del suo corpo è giallastro, mentre le labbra sono totalmente screpolate e violacee.

Volto il capo in direzione di Sally e Jason e noto che, come me, sono scioccati. Stanno immobili senza proferire una sola parola, con la paura e il terrore che risiede nei loro sguardi.

«Mamma...» pronuncia Sally con le lacrime agli occhi. Porta una mano davanti alla bocca e si piega in due, scoppiando a piangere.

Mi precipito verso di lei e l'avvolgo tra le mie braccia. Mi stringe a sé, mentre le sue lacrime e i suoi singhiozzi fuoriescono innumerevolmente.

«Ho chiamato l'ambulanza, dovrebbe arrivare a moment-, oh, eccoli!» esclama la signora Gina, indicando il veicolo.

Nell'aria di sentono solamente il rumore delle sirene, il pianto disperato di Sally e il respiro affannato di Jason.

La vicina di casa riferisce ai medici tutte le informazioni di cui lei è a conoscenza, mentre questi trasportano la signora Miller su una barella.

Tuttavia, scrutandola attentamente per diversi minuti, rivolgono a tutti noi uno sguardo dispiaciuto e si affrettano a coprirla interamente con un telo bianco.

È morta...

«No, no, no! Ti prego, no, mamma! Non mi lasciare almeno tu!» Le urla di Sally sono capaci di spezzarmi il cuore.

Cerco di stringerla a me per consolarla, ma non funziona. Continua a piangere, a urlare e a singhiozzare con la voce spezzata.

«No, non portatela via! Vi prego no! Mamma, torna da me! Torna da me, mamma...» Le sue preghiere, però, sono inutili. La signora Miller non può sentirla e i medici non possono assecondarla.

A questo punto sposto lo sguardo su Jason e noto la sua espressione pietrificata. Ha le mani nei capelli e gli occhi colmi di lacrime.

Mi avvicino anche a lui, lasciando per un momento Sally tra le braccia di suo padre, e lo abbraccio. Lo stringo sempre più forte e lui fa la stessa cosa, avvolgendomi i fianchi in una maniera così intensa da non lasciarmi quasi respirare. Affonda il capo nell'incavo del mio collo e avverto le sue lacrime bagnarmi la spalla scoperta dal top.

Piange in silenzio, tenendo per sé tutto il dolore e la sofferenza.

«Questo no, porca puttana... Questo no!» ripete queste parole fra sé e sé, mente impreca sottovoce. Non riesco neanche a immaginare la sofferenza che stia provando e tutta la malinconia che da oggi risiederà costantemente nelle loro vite.

«Ma perché? Perché!?» Sally guarda il corpo inerte di sua madre. Si inginocchia ai piedi della barella e posa la mano sulla gamba coperta dal telo. «Io ho ancora bisogno di te, mamma! Non riesco a vivere sapendo che tu non sei con me, lo capisci? Ti prego, rispondimi... Ti prego f-fammi sentire la tua voce un'ultima volta. Dimmi che sei fiera di me, dimmi che mi vuoi bene, che sei fortunata ad averci. Ti prego, dillo! Ti scongiuro. Farò tutto quello che questo universo desidera, ma torna da me... Sarò brava, te lo prometto.» Piange a dirotto, senza fermarsi neanche per prendere fiato. Ha il cuore spezzato dal dolore e gli occhi travolti dall'angoscia.

Jason non esita un momento di più. Si scosta da me e si avvicina a sua sorella, alzandola da terra.

Sally si avvinghia a lui, non lasciandolo andare neanche un secondo. Bagna la sua maglietta con le lacrime salate, mentre Jason le posa una mano sulla nuca, per trattenerla ancora di più al suo petto.

Portano via le lacrime dell'altro, accogliendole e mischiandole alle loro, mentre si stringono in un abbraccio fatto di dolore, tristezza, lutto e agitazione.

Sono distrutti. I loro volti sono segnati dal tormento e i loro gesti dettati dalla sofferenza.

È come se una fionda, ricoperta da sventura e brutalità, li avesse centrati dritti al petto, squarciando i loro cuori per entrarci, e trovando un posto colmo di malinconia tutto per sé.

Ed è proprio per questo che voglio stargli accanto in un momento simile, consolarli e non abbandonarli per nessun motivo. Perché abbiamo tutti e tre il cuore spezzato e desidero che, seppur malandati e pieni di crepe, si completino a vicenda.

                                ***

Dopo circa sei ore siamo rientrati a casa della signora Miller. In queste ore ci siamo diretti in ospedale, affinché dichiarassero con certezza che fosse deceduta e, subito dopo, il suo corpo è stato trasferito in un'impresa di pompe funebri.

Le hanno fatto l'autopsia e ci è stato riferito che, come immaginavamo tutti noi, la sua è stata una morte di overdose. Tuttavia, non pensiamo sia stato un suicidio, data la posizione in cui il corpo è stato ritrovato. Questo ce l'ha riferito la signora Gina che, una volta scesa per buttare la spazzatura, l'ha vista cercare di scendere dalla macchina. Si è subito piombata su di lei e ha cercato di aiutarla, ma, purtroppo, le erano rimasti soltanto pochi secondi di vita.

È morta quindi così: con un ammasso di droga che circolava nel suo corpo, tentando di scappare, seppur vanamente.

«Kate mi ha-mi ha detto una cosa prima di morire...» pronuncia con difficoltà la vicina di casa. Il suo viso paffuto è colmo di lacrime che si affretta, prontamente, ad asciugare con un fazzoletto di carta già usato.

Spostiamo lo sguardo su di lei e, seppur tutti ancora tremendamente increduli per quello che è successo, le diamo ascolto.

«M-mi ha detto di dirvi che vi vuole bene... A t-tutti voi. Al signor Miller, che le ha fatto vivere, seppur per poco tempo, un amore straordinario. A Sally, che è stata con lei anche nei momenti più dolorosi della sua vita.» Si ferma un momento, attendendo che il nodo alla gola si allievi. «E a Jason, che è da sempre stato l'uomo più importante per lei.»

Stringo forte la mano della mia amica, rivolgendole uno sguardo di conforto. Non ha smesso un solo secondo, da quando abbiamo ritrovato il corpo, di piangere. Cercava in tutti i modi di risvegliarsi da quello che sembra un vero e proprio incubo, sprofondando, però, ogni volta nella cruda realtà.

Dopo circa cinque minuti, fra le lacrime e i singhiozzi del signor Miller e di sua figlia, si ode il rumore della sedia sulla quale è seduto Jason che raschia sul pavimento.

Mi volto nella sua direzione e lo vedo precipitarsi in bagno, per poi chiudere in malo modo la porta alle sue spalle.

Lo guardiamo tutti con stupore. Tuttavia, non esito un momento di più ad alzarmi a mia volta e raggiungerlo.

Entro in bagno e lo vedo con le mani appoggiate al bordo del lavandino, la testa bassa e il viso bagnato da alcune goccioline d'acqua. Le scapole sono in rilievo, così come i bicipiti tesi.

Non ho il tempo di dire nulla, poiché, scuotendo la testa, pronuncia con voce bassa e roca: «È tutta colpa mia...»

Muovo il capo in segno di diniego, interrompendolo. Non voglio che pensi queste cose, perché so che potrebbero devastarlo ancora di più. «Ma cosa dici, Jason? Tu non c'entri nulla.» Gli poso una mano sulla spalla, ma lui si scosta bruscamente da me.

«Ah no? E allora perché è uscita subito dopo che io le ho detto quelle cose, Lotts? Perché?» Mi guarda in attesa di una risposta, che purtroppo non arriva. Non so cosa rispondere, perché non ho la minima idea di come ribattere. «Ecco, appunto.» Si volta dalla parte opposta alla mia e si passa le mani tra i capelli scuri, cogliendo il mio silenzio come un modo per dargli ragione.

«N-non puoi pensare questo... Lei non lo vorrebbe.» È l'unica cosa che riesco a dire, mentre lo osservo sprofondare nei sensi di colpa.

«Non avrebbe voluto neanche morire! Aveva detto che voleva smettere, ricominciare da capo, ma per colpa mia, solo per colpa mia, non ci è riuscita. L'ho indotta io alla morte! Sono stato io a ucciderla!» Si interrompe non appena la sua voce si incrina. Stringe forte i pugni, facendo diventare le nocche estremamente bianche.

«Jason, no! Non sei stato tu! Non pensarlo neanche solo per un momento. Hai sbagliato a dire quelle cose, è vero, ma non puoi autoconvincerti di essere la causa della sua morte!»

Lui si volta lentamente verso la mia direzione, assumendo un'espressione atona. Si prepara poi a dire qualcosa, puntando i suoi occhi dritti nei miei.

«Dimmi una cosa, Lotts...» si ferma qualche secondo e poi continua. «Pensi che sarebbe andata in macchina a drogarsi se io non le avessi detto che è una drogata e una pessima madre?» Tuttavia, non mi dà il tempo di rispondere, poiché mi precede: «No. Quindi smettila di dire che non è colpa mia, perché anche tu in fondo sai che è così.»

Aggrotto le sopracciglia, scuotendo immediatamente la testa. «No, Jason, non è così... I-Io non penso che tu-»

«Cazzo, Lotts!» sbotta all'improvviso, lasciandomi attonita. «Smettila di giustificarmi! Di farmi passare per la parte del buono, perché non lo sono! Porto rovina nelle vite degli altri! le distruggo senza neanche accorgermene, e questo ne è la fottuta prova!» Alza di molto il tono della voce e questo non fa che lasciarmi senza parole.

«Io non ti giustifico sempre! Sei tu che sbagli ogni volta a darti la colpa di tutto!» pronuncio queste parole con le lacrime agli occhi, perché non mi va che pensi che io lo faccia per ipocrisia o per chissà cosa. Penso veramente quello che dico e non attribuirei mai a lui la colpa della morte di sua madre.

«E ti sei chiesta perché? Ti sei chiesta perché Sally e mia madre pensano che mi sia comportato come lui quando me ne sono andato? Ti sei chiesta perché mia sorella sta riuscendo a recuperare il rapporto con mio padre e io no? O perché non riesco a essere felice per la nuova vita che tutti si vogliono ricostruire? E, infine, ti sei chiesta perché mia madre è morta di overdose dopo che io mi sono comportato come un vero bastardo con lei?» Respira in modo irregolare. La vena sul suo collo pulsa violentemente e il tono eccessivamente alto della sua voce inizia a spaventarmi. «Perché sono un cazzo di disastro. Sono un male per tutti, te compresa. Non capisco perché mi stia ancora vicino...» Abbassa lo sguardo a queste parole, mentre io mi affretto a prendergli in viso tra le mani, senza esitare neanche un momento.

«Perché ti amo, Jason! Io ti amo.» scandisco al meglio queste parole, con la speranza che gli entrino bene in testa. «E quando ami una persona fai di tutto per lei! La proteggi, la rassicuri, le stai vicino.» Abbozzo un piccolo sorriso e lo guardo dritto negli occhi per rafforzare il concetto. «Non penserei mai di lasciarti da solo...»

Lui mi osserva attentamente con un'espressione che non riesco a definire con esattezza. Queste parole sembrano fargli bene, ma al contempo non vuole sentirle, e io non ne capisco per nulla il motivo.

«Non capisci, Lotts... Sei troppo accecata da quello che provi per me.» Distoglie il suo sguardo dal mio, allontanandosi anche dalle mie mani.

Quando, però, sto per controbattere, sento delle voci provenire dal salotto.

Una di queste mi è particolarmente familiare, ma solo quando mi avvicino alla porta riesco a riconoscerla.

È quella di Adam.

Sbuffo sonoramente, già a conoscenza del brutto rapporto che intercorre tra Jason e quest'ultimo.

Tuttavia, li raggiungiamo poco dopo.

«Non abbiamo finito, Jason.» concludo a bassa voce, intenta a chiarire la situazione.

Accecata dal mio amore per lui? Non è affatto così. È vero, i miei sentimenti per Jason a volte non riescono a farmi essere del tutto oggettiva, ma in situazioni come queste sono perfettamente in grado di attribuire colpe o meno. E sono fermamente convinta che Jason non sia il responsabile di ciò che è successo.

Appena arriviamo in salotto, vedo anche la madre di Adam, Madelaine, che si affretta ad abbracciare suo marito. «Mi dispiace, Carl...»

Noto poi Adam avvicinarsi a Sally e, con esitazione, porgerle le sue condoglianze. Lei le accetta in maniera atona, con una risposta che sembra quasi programmata. Non lo guarda in volto, ancora troppo scioccata per farlo.

Appena ci avviciniamo, attiriamo l'attenzione di tutti i presenti. Si soffermano a guardarci, o meglio, a guardare Jason.

Madeline, infatti, si posa una mano sul cuore e, con un'espressione rattristata, dice: «Jason, Sally, non oso immaginare il vostro dolore... Ma prometto che vi sarò vicina. Potete contare su di me per qualsiasi cosa.» dice queste parole con un flebile sorriso in volto, lo stesso che ho anche io, lieta di vederla così disponibile.

Tuttavia, non sembrano tutti della mia stessa opinione, poiché, alla mie spalle, odo la voce di Jason pronunciare: «Vuoi sostituirla?»

Ha le sopracciglia aggrottate e un cipiglio severo sulla fronte. Guarda la signora elegante davanti a lui con così tanta intensità da indurla ad abbassare lo sguardo.

«No, assolutamente no. Non oserei mai... Voglio solo trasmettervi l'affetto di una-» cerca di concludere la frase, ma, anche questa volta, viene interrotta bruscamente.

Stavolta, però, è Sally a parlare. «Madre? L'affetto di una madre?» Si siede meglio sul divano, in attesa di una risposta.

«Ragazzi, smettetela.» pronuncia perentorio il signor Miller, notando il disagio di sua moglie. «Mad è venuta qui da Orlando solo per noi, quindi sarebbe carino se foste gentili con lei.» La donna scuote la testa, controbbattendo subito dopo: «No, lascia stare, è normale che facciano così.» Gli posa una mano sulla spalla, per indurlo a cessare la discussione.

Dopo alcuni minuti il signor Miller si sposta, dopo aver raccomandato i suoi figli di non prendersela con sua moglie, in un'altra stanza per telefonare tutti i familiari o gli amici di famiglia e informarli dell'accaduto, mentre Jason è seduto sul divano accanto a sua sorella. Le ha avvolto un braccio attorno alle spalle e le ha portato il capo sul suo petto.

Sorrido lievemente.

Questa situazione è pessima, ma, fortunatamente, Sally e Jason sono qui, l'uno al fianco dell'altra, a consolarsi a vicenda.

«Quindi vi ha informati la vicina di casa, giusto?» Adam è seduto invece qui accanto a me in cucina, che mi guarda in attesa che io dica qualcosa.

Non gli ho rivolto la parola fino a ora. Non sapevo cosa dire o fare. Mi sento ancora lievemente a disagio quando sono in sua compagnia, nonostante lui faccia di tutto per stemperare, ogni volta, la tensione.

«Sì, è stato devastante...» Ho lo sguardo basso e ancora profondamente scioccato nel ricordare quella scena terribile.

«Carl ha detto a mia madre che Jason e sua madre avevano litigato poco prima. Pensi che sia stato per quello che-»

«No.» Mi affretto subito a interromperlo, perché non voglio sentire neanche una volta di più allusioni di questo tipo.

So che non è stata colpa di Jason e voglio che lo sappiano anche gli altri. Quello che è successo alla signora Miller è stata una vera e propria catastrofe, ma non voglio che se ne attribuisca la colpa a lui.

È già straziante che lo faccia lui stesso...

«Oh, scusa, non volevo... Non volevo incolparlo di nulla, solo che-»

Come prima, però, non lo lascio finire, puntando i miei occhi azzurri nella sua direzione. «Adam, basta. Non voglio parlare di questo... con te.»

Mi pento all'istante di aver usato modi così tanto bruschi, ma so benissimo che Adam non sopporta neanche lontanamente Jason, perciò non mi va di sentirlo anche solo alludere a chissà cosa. Non voglio che parli di lui, e soprattutto non voglio che lo faccia con me.

Lui abbassa lo sguardo imbarazzato, grattandosi subito dopo la nuca. «Scusa, hai ragione. La smetto.»

Interrompe il contatto visivo e si schiarisce la voce, visibilmente a disagio.

Non mi piace trattare male le persone o farle rimanere male, ma non mi piace neanche che si parli in questo modo di Jason, come se fosse lui il colpevole di tutto.

Gli rivolgo un sorriso per rassicurarlo, ma ne esce fuori solamente una brutta smorfia.

Fortunatamente, la voce del signor Miller porta via entrambi da quella situazione eccessivamente imbarazzante.

Ripone il telefono nella tasca dei jeans e, passandosi una mano tra i capelli castani, annuncia: «Domani, nel pomeriggio, si svolgerà il funerale... Ho già telefonato tutti e la maggior parte sarà presente. Voi, ragazzi, volete chiamare qualcuno?»

Mi volto nella direzione di Jason e Sally e noto che quest'ultima ha annuito, alzandosi dal divano.

«Sì, chiamo David e alcuni nostri amici.» Tira su con il naso, mentre si dirige in camera sua per telefonarli.

A quel punto, io mi avvicino a Jason, schioccando un'ultima occhiata ad Adam.

Mi siedo accanto a lui e poso la testa sulla sua spalla, mentre lui china il capo all'indietro e chiude gli occhi.

Non ricordo neanche il motivo della nostra lite di poco fa, ma non mi importa. Ciò che voglio in questo momento è stare avvinghiata a lui, senza pensare a nient'altro.

Poso una mano sugli addominali coperti dalla t-shirt verde militare e inizio ad accarezzarlo dolcemente.

«Non vuoi chiamare nessuno?» domando a un certo punto con voce bassa.

Lui scuote la testa in segno di diniego e fa spallucce. «No, David l'ha già chiamato Sally, e gli altri sono solo compagni di squadra...» Ha lo sguardo vuoto, privo di qualsiasi emozione, mentre pronuncia queste parole.

Non ribatto, non volendo forzarlo inutilmente, e sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lui inizia a tracciare delle linee con il suo dito sulla mia coscia, mentre la sua mente si perde in chissà qualche angoscia.

Mi avvicino allora a lui e, con estrema delicatezza, gli lascio un bacio sotto l'orecchio.

                                ***

Il giorno seguente, verso le due del pomeriggio siamo tutti pronti per dirigerci in chiesa.

In casa c'è un'atmosfera abbastanza cupa, dovuta alle poche parole di circostanza che rivolgiamo l'uno all'altra e alla tristezza che accomuna i volti di tutti.

Sono in camera di Sally in questo momento. Lei è seduta sul suo letto e piange a dirotto. Il trucco le sta colando, ma non se ne cura. Lascia che il nero righi le sue guance arrossate, mentre sprofonda sempre di più nel lutto.

Le accarezzo una spalla, sentendo il cuore duolermi ogni secondo di più che la vedo in queste condizioni.

«Come faccio senza di lei, Charlotte? Come faccio senza la mia mamma?» I singhiozzi che si alternano alle parole le concedono a stento di parlare, mentre scuote la testa come se non volesse accettare la realtà. «Chi mi inciterà il primo giorno di scuola? Chi mi rivolgerà uno dei suoi soliti sorrisi stanchi prima di andare a dormire? Chi mi ringrazierà per aver fatto la spesa al posto suo? Chi, Charlotte? Chi!?» La stringo tra le mie braccia, col vano tentativo di consolarla.

«Sally, non so se può aiutare, ma adesso che mio padre è andato via di casa, puoi venire quando vuoi a casa di mia madre. Insomma, tra poco inizierà il college, ma per le vacanze natalizie, per il ringraziamento o anche per un semplice compleanno, possiamo stare insieme. Lo sai che ti adora...»

Tuttavia, la risposta che arriva subito dopo è capace di spezzarmi il cuore a metà. «Sì, ma non è la mia mamma...»

Poso la testa sulla sua spalla, senza dire nulla, attendendo tutto il tempo del mondo che si tranquillizzi.

Non immagino neanche la difficoltà che contraddistinguerà le vita di Sally e Jason da ora in poi, ma proprio per questo non voglio che affrontino tutto da soli. Desidero dare, anche se piccolo e insignificante, tutto il mio supporto. Perché loro ci sono sempre stati per me, e adesso è il mio turno.

Il mio flusso di pensieri viene interrotto, però, dal signor Miller, che si affaccia alla porta, guardando dapprima Sally e poi me.

«Charlotte, potresti lasciarci un attimo da soli? Ho bisogno di parlare anche con lei.»

Io annuisco e, lasciando un'ultima carezza sulla spalla della mia migliore amica, mi alzo dal letto e mi dirigo fuori dalla stanza.

Uscita, vedo Jason in cucina, intento a bere un bicchiere d'acqua.

Il completo elegante nero contrasta con i capelli disordinati e gli occhi arrossati, segno che ha appena finito di piangere. Le iridi scure sono ancora umide e le guance presentano qualche segno di lacrime.

Avverto come un peso situato proprio sullo sterno, non appena lo vedo in queste condizioni. Per questo, mi avvicino a lui e gli accarezzo dolcemente una guancia.

Lui mi guarda intensamente dopo questo gesto e, seppur cercando con tutte le forze di non far crollare la corazza costruita, alla fine cede, piombandosi tra le mie braccia.

Mi avvolge i fianchi con forza e affonda il viso tra i miei capelli.

«Che cosa diamine ho combinato, Lotts?» La voce è incrinata e pronta a un ulteriore pianto. Tuttavia, non lo lascia vedere, poiché, appena avverte un nodo all'altezza della gola, smette di parlare.

Passo le mie mani sulla sua schiena e scuoto la testa. «Non hai combinato niente, Jason... Non sei stato tu.»

Cerco di ripeterglielo quante più volte possibili, ma non vuole ascoltarmi. Non mi dà retta, poiché convinto di essere il responsabile di tutto.

«Tra tutti i mali che potevo procurarle, ho scelto il peggiore... Ho strappato a Sally sua madre, Lotts, sua madre...» Respira affannosamente sul mio collo, mentre si autodistrugge sempre di più.

«Ti prego, non dire così...»

Le mie richieste, però, risultano piuttosto inutili, dato il modo in cui resta in silenzio tra le mie braccia, cullato dal mio amore e dai suoi sensi di colpa.

                               ***

La scena che mi si è presentata dinanzi, mentre la bara della signora Miller veniva sepolta, è stata a dir poco straziante.

Sally non smetteva di piangere vicino alla bara, lanciando suppliche mischiate a urli alla madre ormai defunta. Jason, invece, stringeva la mia mano così ferramente da farmi male. Non riusciva a tratterere le lacrime, come invece avrebbe voluto, perciò non osava guardare nessuno dei presenti. Con la mascella serrata fissava la bara in legno, deglutendo a vuoto prima di avvicinarsi a essa.

Si poteva notare benissimo, dai loro occhi, tutta la sofferenza che stavano provando, la difficoltà nel dire addio alla loro mamma e a superare questo nuovo ostacolo, che sembra però il più insormontabile di tutti.

Dopo circa un paio d'ore siamo tornati a casa. Qui ci hanno raggiunti anche tutti coloro che erano al funerale, per concludere questa pessima giornata a casa Miller.

Il salotto è gravido di gente che si accinge a mangiare la tartine presenti sul tavolo o a chiacchierare l'uno con l'altro. Tra loro riconosco due tipi di persone: quelli che parlano tra di loro, mostrando il loro sconcerto per l'accaduto, e altri che, semplicemente, sembrano dimenticare di aver appena assistito a un funerale, dati i loro argomenti che riguardano prettamente: l'appuntamento dal parrucchiere, la marca dell'abito che indossano, il risultato di una stupida partita di calcio.

Sentendo parlare questi ultimi roteo gli occhi al cielo.

In seguito sposto il mio sguardo sul signor Miller, Madeline e mia madre. Quest'ultima sta rivolgendo loro le sue più sincere condoglianze, mentre, con una mano sul cuore, si domanda come questo sia potuto succedere.

Sorrido flebilmente, lieta di vederla qui, e mi avvicino a Lily, Millie, Sally e David. Questi ultimi sono l'uno accanto all'altro davanti alla porta della cucina. La mia amica ha il capo posato al suo petto, mentre David le accarezza una spalla.

Devo dire che è molto strano vederli in questo modo. Sono talmente abituata ai sorrisi raggianti, alle battute e al sarcasmo di entrambi, che mi sembra quasi di non riconoscerli.

«Quando pensate di tornare a Miami?» domanda Millie a un certo punto, vedendomi arrivare.

«Non lo so, penso che ci tratteremo qui per sistemare alcune cose.» Faccio spallucce.

In realtà vorrei ritornare a Miami il prima possibile, avvolgere il nastro e tornare indietro, facendo in modo che non accada nulla di tutto ciò. Cambierei molte mie scelte, eccetto il mio atteggiamento con Jason. Con lui rifarei esattamente tutto. Rivivrei tutte le liti, i momenti no e quelli invece in cui sembravamo esserci soltanto io, lui, i nostri baci e il nostro desiderio.

Sorrido a quei ricordi e improvvisamente mi domando se riusciremo a viverli ancora...

Quando torno alla realtà, noto che tutti stanno guardando proprio Jason uscire dall'appartamento con una bottiglia di whisky in mano.

«Ma che diavolo...?» Liquido i miei amici e, in un attimo, mi ritrovo davanti all'ascensore del palazzo.

Ed è lì che si trova lui, con i capelli scompigliati e i primi bottoni della camicia bianca sbottonati. Le pupille sono dilatate e le labbra bagnate ancora dall'alcool.

Fantastico, è ubriaco!

Sbuffo sonoramente a quella vista e mi avvicino a lui. «Cosa fai qui?»

Lui fa spallucce e si guarda intorno. «Vado via... Da tutta questa merda.» Indica l'ambiente circostante con l'intero braccio e, nel farlo, inizia a barcollare.

«Sei ubriaco, dove pensi di andare?» Inarco le sopracciglia e incrocio le braccia all'altezza del petto.

«Non lo so... Ma ho voglia di scopare, perciò...»

Aggrotto le sopracciglia a questa sua affermazione e mi affretto a domandare con tono stizzoso: «Perciò cosa, Jason?»

Sono molto turbata, nonostante sappia che le sue parole sono dettate da chissà quanti gradi di alcool.

Lui si accorge del mio fastidio e, con uno sbuffo divertito, cerca, seppur mettendomi tremendamente a disagio, di tranquillizzarmi. «Tranquilla, piccola Lotts, nessuna ha il tuo fantastico culetto.»

Emetto un sospiro e, seppur sollevata da questa risposta, non lo lascio a vedere e lo invito nuovamente a tornare dentro. Lui, però, non mi da retta, anzi, si siede sui gradini accanto all'ascensore e beve un altro sorso dalla bottiglia.

Subito dopo si lecca le labbra e sposta lo sguardo su un punto indefinito. Io mi avvicino a lui e mi siedo sul suo stesso gradino.

«Sarà dura...» inizio dopo diversi minuti, con un coraggio che raramente mi appartiene. «ma affrontarle in due le cose a volte è meglio.» Faccio spallucce e poso il capo sulla sua spalla. «Non dico che ne uscirai in fretta, perché probabilmente ci vorrà del tempo, molto tempo,» affondo i miei occhi nei suoi e mi perdo nella loro profondità. «ma ti prego di non lasciarmi fuori. Voglio affrontare tutto questo con te e Sally. Voglio essere la tua luce in fondo al tunnel, Jason... Quindi, per favore, lasciamelo fare.» lo imploro con le parole, ma soprattutto con lo sguardo.

Lui mi osserva per minuti interminabili, fino a quando non volta il capo davanti a sé e, tornado serio, dice: «Non so neanche se voglio affrontarlo io, Lotts...»

Dopo ciò, cala su di noi il silenzio, che induce entrambi a sospirare, consci di star per affrontare il periodo peggiore della loro vita... Un periodo buio, inquieto, duro e terribilmente spaventoso.







💖SPAZIO AUTRICE💖

Ehilà! Se solo penso che mancano circa 5 capitoli alla fine di questo primo volume mi viene da piangere💔

Comunque, prepariamoci a una serie infinita di liti tra Charlotte e Jason dal prossimo capitolo e poi a qualcosa di molto più... grave. 🤐

Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina 🌟

ci vediamo al prossimo capitolo, ciaoo❤️

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