Sixth
I minuti continuavano a trascorrere, i secondi si moltiplicavano, e riuscivo a sentire la pelle madida di sudore.
Il mio turno si sarebbe concluso a breve, ma non potevo lamentarmi. Il sole stava tramontando, e una scia di luce rossastra e dorata copriva e colorava l'acqua della piscina.
Liam era venuto a prendere Grace, le aveva fatto una sorpresa, e non ero riuscita a non sorridere davanti alla scena di loro due che si scambiavano abbracci e baci, nonostante quello fosse per lei il posto di lavoro, e un luogo comunemente vissuto dal personale e dai clienti.
Io non ero il tipo di persona a cui piaceva particolarmente il contatto con le altre persone, mi lasciavo andare facilmente quando ne ero sicura, quando ne avevo bisogno e quando sapevo incontro a chi stavo andando.
Sistemai ogni asciugamano l'uno sopra l'altro, ripiegando ognuno su se stesso per tre volte, in modo che il logo del Royal si trovasse sulla prima facciata. Era una delle prime cose che ci insegnarono. Il Royal si basava molto sull'esteriorità delle cose e sul servizio impeccabile per ogni cliente.
Mentre li stavo sistemando, sentii dei passi avvicinarsi. Erano lenti, ma non mi voltai neanche, perchè immaginai di chi potesse trattarsi.
«Zayn, non mi serve una mano, sul serio.» Dissi, continuando a riporre gli asciugamani negli armadietti.
Apprezzavo l'aiuto di Zayn, ma non ne avevo bisogno. Mi piaceva stare un pò da sola, e poi avevo quasi terminato.
«Okay, ma se vuoi posso dartela io.» Nell'istante esatto in cui pronunciò quelle parole, mi bloccai.
Merda.
Quella voce.
A meno che non avessi le allucinazioni, che Zayn non avesse avuto un problema alle corde vocali o che non stessi seriamente rasentando la follia, la persona che mi aveva raggiunta non era quella che credevo.
Non mi resi neanche conto che gli asciugamani mi fossero scivolati, fino a quando non mi ripresi.
«Dannazione.» Imprecai sottovoce, abbassandomi.
Sapevo che non avevo risposto a ciò che mi aveva detto - anche se probabilmente era ironico - e che non l'avevo neanche ancora guardato, ma stavo cercando di evitarlo in qualche modo, e non ne conoscevo il motivo.
Udii il suono dei suoi passi ancora una volta, mentre si apprestava a salire sulla piattaforma in legno per venirmi incontro.
Riconobbi i suoi stivali consumati quando si fermarono esattamente davanti a me, e il cuore iniziò a battermi sempre più velocemente, accorgendomi che anche lui si stava abbassando.
Non riuscivo a gestire ciò che sentivo, ciò che provavo, ma mi spaventava.
Mi succedeva spesso, con ogni ragazzo che incontravo. Ero così impacciata, così fastidiosamente timida e invisibile, ma lui volevo davvero evitarlo. E sapevo anche perchè volevo farlo. Lo volevo perchè temevo che in quel modo sarebbe stato meno doloroso.
Quando lui raggiunse il mio livello, io avevo raccolto quasi tutti gli asciugamani; ne mancava soltanto uno, che prese lui.
Mi sollevai per prima, e dopo che lo ebbe fatto anche lui, mi porse quell'ultimo asciugamano che avevo fatto cadere. Nel momento in cui le sue mani sfiorarono le mie, un brivido attraversò interamente il mio corpo, e sentivo le guance in fiamme. Era possibile provare ciò soltanto con quel semplice contatto?
Alzai lo sguardo, incontrando il suo. La luce del tramonto risplendeva nei suoi occhi smeraldo, che si riflettevano nei miei e che mi stavano facendo scoppiare il cuore.
Un angolo delle sue labbra si sollevò, rivelando un abbozzo di sorriso che mi mandò su di giri. Completamente.
«Grazie.» Sussurrai, sentendo la gola estremamente secca. Scossi impercettibilmente la testa e allontanai le mani dalle sue, riponendo gli asciugamani dove stavo per sistemarli prima che lui mi interrompesse.
«Figurati.» Disse lui, continuando con quel sorriso. Io mi voltai, dandogli le spalle.
Rilasciai un sospiro, e ancora in quella posizione, gli chiesi se avesse bisogno di qualcosa.
«Veramente sì.» Convenne, e quando tornai a guardare nella sua direzione, notai che si era avvicinato. «Volevo parlare con te.»
«Uhm, con me?» Replicai, probabilmente dopo tempo trascorso a realizzare, voltando istintivamente la testa ai miei lati e dietro di me, per essere sicura che si stesse riferendo davvero a me.
«Proprio così, Amy.» Confermò, sorridendo, evidentemente divertito da quella mia reazione.
Andava sempre meglio.
«Sto lavorando adesso, Harry.» Dissi voltandomi, e socchiudendo gli occhi per quello che avrei voluto dirgli dopo. Se l'avessi fatto, qualsiasi fosse l'opinione e l'idea che si era costruito su di me sarebbe cambiata completamente. Era questo ciò che volevo davvero? Volevo che lui mi odiasse, che pensasse che fossi una di quelle persone a cui non interessa nient'altro se non di se stessi?
«Tra quanto finisci? Posso aspettarti.» L'idea di parlare con lui mi fece sentire le farfalle che si muovevano velocemente all'interno del mio corpo, ed era una sensazione che non provavo facilmente, e che forse non avevo mai provato così intensamente.
Sarebbe bastato quello che sentivo a farmi cambiare idea? Mi avrebbe fatto cambiare idea soltanto per spendere del tempo con lui e accrescere ciò che provavo già, anche se avevo la consapevolezza che mi avrebbe spezzato il cuore?
Meglio vivere di rimorsi, che di rimpianti, continuavo a ripetermi, quasi come un mantra.
«Dammi dieci minuti.» Risposi velocemente, perchè temevo che se non l'avessi fatto, me ne sarei pentita e gli avrei risposto come avrei dovuto davvero, respingendolo.
Volevo buttarmi, gettarmi dal precipizio, anche se non ci sarebbe stato nessuno a prendermi. Per una volta, io volevo vivere senza avere alcuna organizzazione, prendendo ciò che mi veniva offerto, senza pensarci. Volevo rasentare il pericolo, e potreste pensare che io fossi masochista, ma ero stanca di essere invisibile, ed ero stanca di vivere all'ombra di tutto e di tutti.
Harry poteva non essere una possibilità, ma anche se forse stavo vivendo un'illusione, a me non interessava, perchè stato vivendo il momento.
Sul volto di Harry comparve un sorriso che mi lasciò la piena visione di entrambe le fossette che si formarono ai lati delle sue labbra. Era bello da togliere il respiro.
Era una di quelle persone di cui non ti stancheresti mai, che vorresti avere al tuo fianco per sempre.
Mi cambiai velocemente, ma quando stavo per uscire dagli spogliatoi intravidi la mia figura di sfuggita nello specchio che occupava verticalmente la parete.
Non era una cosa che solitamente facevo, ma mi fermai ad osservarmi.
La camicetta bianca lasciava completamente le spalle scoperte, i pantaloncini in denim erano consumati, così come gli stivaletti a cui ero così affezionata. Slegai i miei capelli, che ricaddero in larghe onde sul mio petto e dietro le spalle. Sul mio volto non c'era neanche l'accenno di un pò di trucco, e per una volta avrei voluto essere una di quelle persone che si portano sempre dietro l'essenziale per essere presentabile, un pò come Grace. Quanto avrei voluto che Grace fosse stata lì.
Mi sorpresi di me stessa, per i pensieri che stavano vorticando nella mia mente. Volevo apparire in un certo modo ad Harry, anche se mi aveva sempre vista con addosso la divisa del Royal, i capelli raccolti e in condizioni anche peggiori. In quel momento, continuando ad osservare la curva dei miei capelli e quelle del mio corpo, me ne resi conto. Stavo facendo tutto questo, perchè a me piaceva Harry.
Cercai di riprendermi dalla consapevolezza e di tornare con i piedi per terra, recuperando la mia borsa allontanandomi da quello specchio che rifletteva tutte le mie insicurezze e incertezze.
Uscii dagli spogliatoi e attraversai i corridoi, fino ad arrivare all'ingresso del Royalty , quello utilizzato dai clienti - per il personale c'era quello sul retro - dove Harry aveva detto che mi avrebbe aspettata.
Mi ricordai di quando l'avevo visto con Mary, e uscii dalla mia campana di vetro, quando mi ricordai anche che la sera dopo sarebbe dovuto uscire con lei.
Quando mi sporsi, Harry era poggiato alla parete, e aveva lo sguardo rivolto verso l'esterno dell'edificio. La tiepida luce del tramonto che attraversava le vetrate lo illuminava debolmente, rendendo la metà del suo corpo non colpita più scura.
Mi chiesi a cosa stesse pensando, e di cosa mi avrebbe parlato.
Sarei rimasta ad osservarlo senza stancarmi, probabilmente senza neanche mai distogliere lo sguardo da lui, ma mi costrinsi a farlo, perchè di qualsiasi cosa si trattasse, qualsiasi cosa lui avesse voluto condividere con me, mi permise di attraversare l'atrio e raggiungerlo.
Lui si voltò nella mia direzione, e mi resi conto che non mi sarei mai neanche stancata del suo sorriso. Il suo era uno di quelli che ti faceva battere velocemente il cuore, che ti faceva sentire le gambe sempre più deboli e pronte a cedere da un momento all'altro. Il suo era uno di quei sorrisi che ti faceva stare bene.
E, indipendentemente da tutto, da ciò che sentivo di provare, dalla consapevolezza che avevo che non ci sarebbe stato nessuno a prendermi, avevo deciso di lanciarmi.
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