M come Malvagità (Azione)
Un grido si propagò nell'oscurità della stanza.
«PHOEBE!» urlò la voce disperata.
«PHOEBE, TORNA DA ME!» supplicò al vuoto.
Il ragazzo si era risvegliato, madido di sudore, nella solita stanza buia senza saperne il motivo.
I ricordi gli tornarono alla mente come flash.
Lui e Phoebe che si abbracciavano.
Lui e Phoebe che si lanciavano nel fiume.
E poi era successo qualcosa.
Qualcosa di imprevisto.
Lui non aveva mai toccato quelle acque tempestose.
Non capiva cosa fosse accaduto. Solo di una cosa era certo: Phoebe era finita nelle onde gelide del corso d'acqua mentre lui era stato salvato.
«PHOEBE!» urlò di nuovo con tutto il fiato che aveva in gola, ma non fu la voce della ragazza a rispondergli.
«ORA BASTA!» proruppe l'uomo «Credevi veramente che vi avrei lasciato morire entrambi? Avrai anche cambiato le sorti del Destino, ma così facendo ora non mi lasci altra scelta» sogghignò l'uomo «Dato che non potrò avere un figlio a cui trasmettere tutto il mio potere, tu sarai il mio erede».
Il ragazzo con un'espressione agitata e impaurita disse «NO! Non acconsentirò mai. Non mi avrai!».
«Che sciocco che sei. Tu sei già sotto il mio controllo. E poi non pensi a tutti i vantaggi che avresti? Saresti sotto la mia protezione. Ricoperto di ricchezze e di tutto ciò che desideri».
«Tutto ciò che desidero?»
«Qualunque cosa. Se acconsentirai ogni tuo desiderio potrà avverarsi. Ma solo se tu mi giurerai fedeltà e rispetto per tutta la vita».
«Quindi riporteresti in vita Phoebe se te lo chiedessi?»
«Certo» rispose serio l'uomo.
Il ragazzo rifletté, ma senza comprendere l'inganno accettò dicendo «D'accordo. Sarò al tuo servizio, ma tu dovrai restituirle la vita».
L'uomo fece un inchino davanti al ragazzo come a voler fargli intendere che avrebbe esaudito il suo desiderio.
Alzò le braccia verso il soffitto e aprì un varco luminoso dal quale scese un corpo che grondava acqua.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi, ma una barriera invisibile lo bloccò, impedendogli di raggiungere la sua Phoebe.
Era immobile e fredda. Priva di vita.
L'uomo si chinò sul volto della ragazza che nel frattempo fluttuava all'altezza del suo bacino e le baciò la fronte.
Dalle labbra dell'uomo, ancora premute sulla fronte bagnata, si irradiarono delle piccole scariche elettriche che fecero sussultare gli arti della giovane.
Dopo poco la ragazza aprì gli occhi, ma non fece in tempo a vedere il sorriso malvagio dell'uomo che sparì in una nuvola bianca.
Prima che il giovane potesse dire qualcosa, l'uomo parlò «Ho mantenuto la promessa e ora tu dovrai darmi il tuo cuore. Non preoccuparti non sarà così doloroso come pensi, è solo una precauzione in caso volessi ingannarmi e fuggire via».
L'uomo agitò la mano destra da cui si sprigionò un fascio di luce bianca che avvolse il giovane. In un secondo quest'ultimo si ritrovò incatenato e disteso su una superficie rigida che si era materializzata in quel momento.
Provò a liberarsi, muovendosi e agitandosi, ma i suoi gesti non servirono a nulla.
L'uomo si avvicinò e pronunciando parole incomprensibili mosse la sua mano verso il petto del ragazzo.
Un urlo straziante riecheggiò nella stanza mentre il dolore al petto si faceva sempre più forte. Era come se delle lame lo stessero trapassando da parte a parte.
Poi a un tratto non sentì più nulla. Niente. Non provava niente. Nessun dolore fisico. Nessuna emozione.
L'uomo teneva in mano il cuore del ragazzo che pulsava come se fosse ancora all'interno del suo corpo. Materializzò una teca di vetro e ce lo mise dentro. Con uno schiocco di dita liberò il giovane che rimase in piedi immobile come se fosse un manichino inanimato, tenuto su solo dai fili del proprio burattinaio.
L'uomo diede le spalle al ragazzo e iniziò a camminare verso un angolo della stanza. Mentre avanzava l'ambiente intorno a lui iniziò a svanire e al suo posto apparve una stanza molto più grande. Le pareti erano decorate da affreschi colorati. Vi erano grandi vetrate gotiche dalle quali si irradiavano fasci multicolore che creavano giochi di luce e sbrilluccichii. Il pavimento era celeste e pareva riprodurre il cielo, che veniva attraversato, a intervalli irregolari, da candide nuvole bianche. Al contrario, il soffitto era nero come l'Universo profondo nel quale vi erano incastonate piccole gemme che brillavano come le stelle vere.
In fondo alla stanza vi erano degli scalini che portavano a una pedana rialzata sulla quale si ergevano due imponenti troni abbelliti da maestosi intarsi. Erano identici, differivano solamente per l'immagine che riportavano sullo schienale: su uno vi era rappresentata una strana pianta, che il ragazzo avrebbe subito riconosciuto essere un'Agave se solo non si fosse trovato in uno stato di trance. Nel frattempo l'uomo si era seduto sull'altro trono, sul cui schienale vi era stampata un'enorme M.
«Che fai lì immobile?» chiese l'uomo «Vieni a sederti al mio fianco, mio erede. D'ora in poi tu sarai il mio successore. Il successore del Male».
∞∞∞
Una mese prima
«BLAKE, ANDIAMOCENE! SE ARRIVANO I POLIZIOTTI...» Il ragazzo venne interrotto dal suono di una sirena che si stava avvicinando.
«CAVOLO, SONO GIÀ QUI?! CHI LI HA AVVISATI?» Il giovane era visibilmente agitato e non riusciva a parlare a bassa voce. «IO ME NE VADO. SE TU VUOI FARTI BECCARE NON SONO AFFARI MIEI. ADDIO» e se ne andò correndo, portandosi via tutto il bottino della rapina.
L'altro ragazzo, invece, era ancora accovacciato sul proprietario del negozio che era disteso a terra, privo di sensi.
Non poteva abbandonarlo. Lui non era una cattiva persona. Non rubava per arricchirsi, ma perché aveva bisogno di soldi per sopravvivere. Aveva sempre vissuto per strada da che ne aveva memoria e sapeva di poter contare solo su se stesso, ma non per questo avrebbe lasciato un uomo morire senza aver provato a salvarlo. Però non poteva restare lì. Le autorità non avrebbero mai creduto fosse innocente e sarebbe finito in un carcere vero ora che aveva compiuto diciotto anni.
Il rumore delle sirene era diventato sempre più assordante, prova del fatto che la polizia fosse vicina. Doveva agire subito.
Si rimise il passamontagna e si avvicinò al telefono sul bancone. Alzò la cornetta e compose il numero dell'ospedale che non distava troppo dal negozio di antiquariato in cui si trovava. Intanto le sirene si erano spente, gli sportelli delle auto erano stati sbattuti e i passi si stavano facendo sempre più prossimi. Ebbe solo il tempo di dire che il proprietario dell'Antiquariato Stardust aveva una ferita alla testa e che dovevano mandare subito un'ambulanza, che sentì le voci degli agenti farsi sempre più chiare e distinte.
Lasciò la cornetta aperta e iniziò a correre verso l'uscita secondaria che si trovava in fondo al corridoio. Fece giusto in tempo ad aprire la porta che un poliziotto gli urlò di fermarsi. Lui non si voltò e una volta uscito richiuse la porta sperando di rallentarlo.
Nella fretta andò a sbattere contro il vaso che si trovava all'uscita rompendolo in mille pezzi. Non fece caso al dolore al piede e iniziò a correre per la via che si trovò davanti.
Stava scappando come un ladruncolo alle prime armi: passò in mezzo alle strade illuminate dai lampioni, sotto lo sguardo sbigottito di centinaia di occhi.
Non riusciva a pensare razionalmente. Non aveva mai rischiato così tanto per uno sconosciuto. Eppure sentiva che qualcosa lo legava a quel vecchietto che era sempre stato gentile con lui e che gli aveva offerto anche da mangiare qualche volta.
A un tratto si ritrovò la strada sbarrata.
Era finito in un vicolo cieco.
Le sirene risuonavano ancora in lontananza. Doveva trovare un nascondiglio al più presto altrimenti lo avrebbero preso.
Fece retro front, uscì dal vicolo e si accovacciò dietro una macchina. Si guardò intorno, sembrava non ci fosse nessuno, ma a un tratto sentì una voce urlare «Hey, che stai facendo??... AL LADRO, AL LADRO! MI STANNO RUBANDO L'AUTO!». Il giovane alzò lo sguardo e vide una donna di mezza età sul balcone di fronte che stava urlando come un'ossessa. Si specchiò nel finestrino dell'auto e comprese di aver ancora il passamontagna addosso.
Senza indugiare oltre riprese la fuga, prima che la donna potesse svegliare tutto il vicinato.
Continuò a scappare per le vie buie della città e una volta arrivato al porto, si intrufolò su una piccola barca dove, cullato dalle onde e sorvegliato dalla luna piena, si addormentò.
I giorni passarono e il ragazzo cercò svariate volte di sapere qualcosa sulla salute del vecchietto, ma nessuno dà confidenza a un vagabondo che ha la fama d'essere un ladruncolo.
Una settimana dopo l'accaduto, il ragazzo si ritrovò di fronte alla porta aperta dell'antiquariato e senza sapere il motivo decise di entrarci.
Si guardò intorno in cerca dell'anziano proprietario, ma sembrava non ci fosse nessuno perciò decise di andarsene ma, quando stava per voltarsi e uscire, una voce lo bloccò «Buongiorno ragazzo, hai bisogno di qualcosa?».
L'anziano era lì alla sua destra come apparso dal nulla, che lo fissava con quegli occhietti vispi. Aiutato da un bastone si avvicinò al giovane, facendo scorgere la fasciatura che gli ricopriva il retro della nuca.
«Come ti chiami?» Continuava a sorridergli cordialmente mentre il giovane sempre più in soggezione rispose «B-Blake, signore».
«Bene Blake, potresti darmi una mano? Ho dei pacchi da spostare che pesano e le mie ossa sono troppo deboli».
Blake si limitò a fare un cenno con la testa e seguì il vecchietto nel retrobottega.
Passò il pomeriggio a sistemare orologi a pendolo e da polso, sveglie, soprammobili, chincaglierie varie e quando suonarono le 20:00 l'uomo chiese al ragazzo di cenare con lui.
Parlarono del più e del meno, senza discutere di nulla in particolare o di personale, fino a quando l'anziano chiese «Sai come mi sono fatto questo?» disse indicandosi la testa e senza aspettare una risposta proseguì «Una settimana fa due ragazzetti più o meno della tua età sono entrati nel mio negozio e mi hanno minacciato di morte se non avessi dato loro l'incasso della giornata».
Blake aveva iniziato a sudare freddo e stava pregando dentro di sé di non esser stato scoperto.
«La cosa buffa è che non avevano nulla con cui minacciarmi!» Il vecchietto esplose in una risata cristallina che portò pure Blake a ridere.
«Io ho cercato di convincerli a non commettere cattive azioni perché non portano a nulla ma sbadatamente, mentre mi avvicinavo a loro, sono inciampato e sono finito a terra!».
I due risero ancora, ma quasi subito l'anziano riprese a parlare, facendosi serio «I medici dell'ospedale hanno detto che è stato un ragazzo a chiamarli e io credo di sapere chi sia!».
Blake colto alla sprovvista si alzò di scatto e, farfugliando delle scuse, si diresse verso l'uscita.
Il vecchietto cercò di richiamarlo indietro «So che sei stato tu, Blake, e so che eri tu uno dei due ragazzi, ma non devi temere, non voglio denunciarti. Anzi devo ringraziarti per aver chiamato i soccorsi».
Sentite queste parole il giovane si bloccò sulla porta, ma non ebbe il coraggio di tornare indietro, non voleva ricevere dei ringraziamenti da quell'uomo perché sentiva di non meritarseli.
E senza dire nulla se ne andò.
Passarono i giorni e il ragazzo ricapitò davanti al negozio. Voleva scusarsi per essere stato maleducato, ma soprattutto voleva ringraziare l'anziano per non averlo consegnato alle autorità.
Entrò e questa volta il vecchietto si trovava dietro al bancone. Appena alzò lo sguardo pronunciò il nome del ragazzo, che come richiamato dal proprio padre si avvicinò dicendo «Salve, signor White volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me. Lei non mi doveva nulla eppure mi ha trattato come un suo parente, non lo dimenticherò mai».
«Blake, l'ho fatto con piacere anzi chiamami pure nonno, potrei esserlo benissimo!» i due risero insieme.
«Vorresti restare a vivere con me? Potresti farmi da assistente per sdebitarti, sempre se i tuoi genitori te lo permettono».
«Io non...» le parole gli morirono in gola «Io non ho nessuno. Ho sempre vissuto da solo per strada».
«Bene allora d'ora in poi non lo sarai più. Ora hai me».
Detto ciò il vecchietto scompigliò i capelli del ragazzo e gli chiese subito di aiutarlo a travasare una pianta.
«Il mio mestiere è quello di orologiaio ma sono sempre stato appassionato dalle piante. Questa ad esempio è un'Agave» disse il signor White mentre indicava la pianta a cui Blake era andato a sbattere.
«È una pianta davvero particolare, per alcuni sembrerà un po' bruttina esteticamente, ma non è l'aspetto che la rende unica» Blake ascoltava rapito la voce dell'uomo che pareva ammaliarlo più di un cantastorie.
«Questa pianta produce in tutta la sua vita un solo fiore che è chiamato il "Fiore della Morte" perché subito dopo la sua fioritura, la pianta comincia ad appassire... è come se la pianta impiegasse tutte le sue energie per mettere al mondo il fiore e poi si lasciasse muore mentre la sua creatura cresce forte e rigogliosa. È un evento molto raro che si ripete ogni 30 anni... sono questi miracoli della natura che mi hanno fatto comprendere il vero senso della vita. Come questa pianta anch'io ho dato origine al mio frutto» disse indicando il suo negozio «e ora mentre io sto appassendo lui sta crescendo».
«Nonnino, cosa dici? Tu non stai appassendo. Guardati sei pimpante come sempre, sembri proprio un ragazzetto!» Una dolce voce interruppe il vecchietto che, insieme a Blake, si voltò verso colei che aveva parlato.
«La mia nipotina adorata finalmente mi è venuta a trovare» disse amorevolmente il signor White «Credevo ti fossi dimenticata di me!».
«Come avrei potuto? Sono venuta per restare. Ora che sono maggiorenne posso decidere della mia vita e ho pensato che aiutarti qui nella bottega sia un buon inizio».
Si abbracciarono teneramente mentre Blake non sapeva cosa dire, si sentiva in imbarazzo, non aveva mai visto una ragazza così: sembrava fatta di porcellana, la pelle era chiara e candida, in totale contrasto con la fluente chioma scura come una notte senza stelle. Gli occhi, di uno strano colore, erano curiosi e amichevoli come la bocca che si era allungata in un bel sorriso accogliente.
Non era bella.
Era ammaliante e Blake ne era rimasto folgorato.
Si schiarì la voce e si presentò. La ragazza sciolse l'abbraccio del nonno e si girò allungando una mano verso Blake che prontamente ricambiò la stretta «Io sono Phoebe, piacere di conoscerti».
I giorni si susseguirono uno dopo l'altro, tra il servire i clienti, spolverare la merce, annaffiare le piante. Blake passò molto tempo con Phoebe e i due divennero inseparabili: l'incontenibile vivacità della ragazza compensava la l'indole taciturna che a volte prendeva Blake e che lo faceva estraniare dal mondo.
Spesso si perdeva a riflettere su come da un giorno all'altro la sua vita fosse cambiata: ora non doveva più temere i pericoli della strada perché aveva un tetto sotto cui stare, non temere più i crampi della fame che lo assalivano dopo giorni a digiuno perché ora aveva sempre un pasto caldo che lo aspettava, non temere più la solitudine perché ora aveva il signor White e Phoebe che gli stavano accanto.
Quando le aveva raccontato del suo passato, di quando era un vagabondo e di quando aveva tentato di rapinare suo nonno, le aveva portato via tutta la felicità dal viso.
Lei si era impaurita perché non pensava che Blake fosse un furfante. Si era allontanata ed era stato inutile per Blake cercarla, non l'avrebbe mai trovata. Dopo tre ore era tornata con il solito sorriso dolce e sincero, aveva abbracciato Blake e tutto si era risolto.
Un giorno entrò in negozio uno strano vecchietto incappucciato che lasciò una busta sul bancone e uscì scomparendo tra la folla di passanti.
Blake rimase immobile come bloccato da qualcosa.
Appena si riprese, afferrò la busta e corse nel retrobottega a consegnarla al signor White.
Quest'ultimo vedendola impallidì, la strappò dalle mani del giovane e l'aprì.
I secondi scanditi dal grande orologio a pendolo rimbombavano nella stanza come se il tempo si fosse rallentato.
Nel frattempo anche Phoebe era sopraggiunta e vedendo il nonno così pallido si spaventò. Gli si avvicinò e prese la lettera dalle sue mani mentre lo aiutava a sedersi. Guardò il mittente e dopo essersi incupita anch'ella, chiese a Blake di lasciarli soli.
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