Prologo: Il tramonto all'idillio
Kiervarina Ekaterinne Ludvimila Irene-Vanesse Zarostosiadra Venere
"Spicchi il volo verso il Sole
Il grande uccello, sorvolando
questo Monte Ceceri!
Riempia l'universo di stupore e meraviglia!"
Sistema di Sol
Venere, capitale del Kievarato Veneriano
Ishtar Terra, Archangera
4 Aprile, D.A. 421.010
Trattenendo un sospiro, Ekaterinne bevve un sorso di tè. Nelle lunghe giornate primaverili, lo splendido, pigro tramonto di Ishtar Terra toccava i campi terrazzati di Akna Ravnivìna, a nord-ovest di Archangera, indorandoli pian piano.
Se non fosse stata costretta ad annoiarsi in compagnia di quella zecca vaykhiine, avrebbe colto l'occasione per godersi l'aria aperta. La luce e l'orario erano perfetti per disputare una partita a polo su hjalle con tutta la sua corte.
«Vi posso ricordare, Vostra Grazia, che il tempo non è un lusso del quale dispongo?» Si sporse in avanti, lasciò la tazzina sul tavolo e appoggiò i polsi ai braccioli del suo scranno. «Come ben saprete, l'imperatore sa essere molto impaziente.»
«Oh, certo!» Dama Myssara assentì e si scostò una ciocca bianca caduta davanti ai suoi occhi rossi, ripiegandola dietro l'orecchio. La smorfia che le illuminava il viso, una piega sorniona dettata su labbra vermiglie, in evidenza sulla pelle di scuro indaco, la disgustava. Alla stessa maniera di sua sorella, Dama Myssara si atteggiava come a voler far sapere che lei era a conoscenza di un pettegolezzo o una battuta che tutti gli altri ignoravano. «Per me sarebbe un immenso dispiacere rovinargli la giornata trattenendo troppo la sua prediletta compagna di giochi.»
Incassò la stilettata con un sorriso. Non era stata molto fantasiosa, ma il colpo valeva qualche punto. Rimirò il suo anello di Madrina Imperiale, alzando la mano quel tanto che bastava perché la dama vaykhiine capisse il gesto. Quando aveva accettato la proposta di Fabràs di riprendere la posizione di Madrina Imperiale per conto dell'imperatore Tsin'Rao, gli aveva richiesto di ricevere un nuovo anello ufficiale, adatto a mostrare che quello aperto era un nuovo capitolo della storia delle Volontà. Lui aveva accettato lasciandole carta bianca.
Aveva scelto un rubino sanguigno a ventisei carati. Non le piaceva, ma vestirlo era un continuo insulto alla sua ospite e questo bastava.
«Ieri mi chiese d'allestire il giardino per una rievocazione della Battaglia di Jènna.»
«È pronta?»
«Quasi.» Arrangiare un gioco di quelle dimensioni non era un lavoro di mezz'ora. «Purtroppo, non ho a mia disposizione il numero giusto di figuranti vaykhiine. Se ne avete da prestarmi, vi nominerò in buona fede al Luminoso.»
«Farò il possibile, Sublime Venere.» Pronunciò le ultime due parole con un rispetto così autentico da suonarle come un falso a regola d'arte. «Non sia mai che il nostro contributo di sangue sia in qualche modo ridotto.»
Non sarebbe una grande perdita. «Sarebbe tutto fuorché legittimo e dignitoso. Sorvolando questi convenevoli, vi è altro?»
«Il nostro accordo è saldo?» le rispose Myssara, congiungendo le mani. «O vi sono dei punti sui quali volete ritornare?»
Lei sapeva benissimo quale dei suoi punti le interessava. Punse il tavolo con l'indice e lo schioccò risalì alla volta. «Quanto ho già detto rimane fermo.»
«Questo non serve dirlo, Sublime Venere.»
«Oh, davvero?»
Dama Myssara incrociò le braccia. L'aureola cerimoniale brillò accesa di rosso vivo dal tramonto. Fluttuava sospesa sopra all'acconciatura della dama, offrendo un profilo decorato da una ventina di rubini incastonati in gocce d'oro. Lo trovava un gioiello troppo bello per una della sua schiatta. «Il mio contatto non ci deluderà.»
«Me lo auguro per lei.»
«Le farò presenti queste vostre parole. Sono certa che coglierà la preoccupazione che avete in merito alla faccenda e userà la massima attenzione.»
«Allora, con ciò detto e premesso, ritengo che qui abbiamo finito.» Ekaterinne si alzò, raccogliendo le proprie gonne. Arretrò, lasciando che il timbro cristallino dei suoi tacchi si spargesse. «Ho gradito moltissimo la vostra visita, Ar'Khorona Myssara! Quando vorrete tornare, sappiate che Ishtar Terra vi è amica. Le sue porte dorate vi sono aperte.»
Ricevendo le sue carinerie di circostanza, Myssara le venne incontro e la baciò sulle guance, stringendole le mani. «Non lo dimenticherò, Sublime Zarostosiadra Venere. Mi sono trovata molto bene qui.»
Ekaterinne si sciolse dal contatto. Per darle quei baci, la zecca si era messa in punta di piedi, a dispetto dei tacchi. Sbatterle in faccia la differenza in statura era bello.
La sorella, con quel suo ghigno tracotante, fingeva di non farci caso o si riparava dietro il suo stupido ventaglio, ma in tutte le celebrazioni in cui si erano incontrate aveva notato i suoi tacchi alti. Ah, quel patetico complesso d'inferiorità che nutrivano per lei!
«Vi faccio mettere a disposizione un grav-calesse.»
«Siete molto cortese» disse Dama Myssara, incamminandosi con lei. «Mi domandavo, però, se potessi richiedervi di porgere i miei saluti al Luminoso.»
«Glieli porterò» le rispose, strofinando di nascosto la mano sinistra sulla gonna. La destra avrebbe dovuto aspettare per mondarsi dal contatto con quella schifosa pellaccia blu. «Prima di salutarci, avete altro da chiedere?»
L'Ar'Khorona vaykhiine sospirò, facendosi aria due volte con il ventaglio prima d'infilare i guanti da pomeriggio, bianchi e lunghi al gomito. «In verità, non ho urgenza di partire oggi. Se l'imperatore lo gradisce, posso prestargli la mia guardia per il suo gioco. Assistere mi farebbe molto piacere.»
«Essere ammessi alla sua compagnia è una questione molto lunga.» Ciondolò con la destra per lasciarle intendere le lungaggini da affrontare. Vi dovreste trattenere più di quel che potete permettervi.»
«Capisco.»
«Potete chiedere al koenighaìn di Hael'v se può introdurvi, tuttavia. Ditegli pure che vi sponsorizzo io.»
Le sopracciglia bianche della vaykhiine guizzarono in alto. «Egli ha libero accesso?»
«È il maestro delle Volontà» le canterellò, ordinando alle guardie di aprirle la porta. «Gli sarebbe molto difficile portare al Luminoso un invito autografo per i diciottomila-e-cinquecento anni di Hael'v se non avesse accesso alla Città Proibita, non credete?»
«I privilegi degli eroi di guerra, immagino.»
«Non canzonatelo in mia presenza. Non lo tollererò.»
Varsakay Artioma scorreva come un fiume, ombreggiata dalle fitte maglie del traffico aeronavale. Sulle nove corsie transitavano i grav-calessi, le autovetture e le tesla-carrozze della serra. Lungo i marciapiedi, battuti da rivoli d'uomini e donne dall'aria molto affaccendata, qualche negozio calava le serrande, mentre i cafè e i locali s'affollavano dei giovani e degli intellettuali.
Il tramonto accendeva le facciate dei grandi palazzi incolonnati ai lati dell'Artioma, intensificando i colori caldi a sfumature piene. Gli alberi dei giardini che guardavano alla strada erano scossi da una brezza marina, carica d'un gusto salmastro. Fronde rosse e blu, viola e cerulee, verdi e indaco, spettacolari nella loro casualità, stormivano al suo ritmo.
Sugli schermi panoramici piatti e ottagonali, sospesi a mezz'aria da impulsi antigravità irradiati da piccoli basamenti, i titoli delle borse di maggior rilievo delle Venti Volontà e forestiere scarrellavano l'uno dietro all'altro. Nei riquadri appositi, notiziari e servizi di cronaca, mondana così come politica o sportiva, s'affaccendavano, riempiendo la strada delle voci di un trilione di stelle.
La luce rossa di un semaforo impose lo stop ai sei sleipniri cibernetici della sua carrozza; le bestie si fermarono con dolcezza, abbassando la testa per raggiungere le pastoie carica-batterie.
Ekaterinne incontrò gli sguardi d'un gruppo di uomini, tutti vestiti con distinta eleganza in tait neri e camicia bianca, che s'accompagnavano nel loro cammino con semplici, fini bastoni da passeggio. Erano degli affaristi, oppure diplomatici venuti da qualche sponda delle Venti Volontà. Tutti si tolsero i cilindri per salutarla, accennando una riverenza.
Il semaforo divenne azzurro e la carrozza trottò in mezzo al traffico per un quarto d'ora, diretta all'Ancoraggio di Khorolyeva. Entrò in una ottagonale a nove corsie e prese la centrale di quelle di nord-est. Per qualche minuto il traffico fu leggero, una spruzzata di grav-calessi e qualche decina di autovetture a cuspide, in transito mezzo metro sopra al manto stradale. S'intensificò quando i ponti sospesi dei Tre Pilastri Ry'Nell si delinearono in contrasto al tramonto, neri e d'argento cromato. Da lontano apparivano piccoli, ma ogni ora, lassù a due chilometri di quota, almeno una trentina di treni a levitazione percorreva i grandi tracciati telescopici che univano le tre torri.
Ekaterinne si accomodò meglio, scoprì la manica destra del suo abito e adocchiò lo schermo del suo computer da polso. Con un passaggio del polpastrello cancellò dalla rubrica degli impegni l'incontro con Myssara. Scivolò su di un glifo, dal quale si aprì una selezione a tendina. Discese le varie caselle con piccole spintarelle, fermandosi sull'orario del volo che le serviva. Cliccò con un sospiro, accostando l'anello di Madrina Imperiale al riquadro per i pagamenti. Una videata d'avvenuta transazione, dal costo d'esatti zero punto zero punto zero Voleri, brillò per un secondo.
All'ombra delle torri, il Doppio Arco di Tem' Hryhorijan campeggiò scintillando d'oro rosso, bande dorate e fasci di lapislazzuli. La porta riservata al viavai del traffico pedonale brulicava di persone, affascinate dalle luci dei negozi costruiti dentro la lunga, alta galleria dal tetto di vetro.
Per sua fortuna, il traffico alla porta dei mezzi era più leggero. La carrozza s'inserì nella corsia di sorpasso, dardeggiando tra le portantine-tesla trasportate dai ròbot di servizio e i grav-calessi.
La statua equestre di Tem' Hryhorijan, in sella con la scimitarra-anchant sguainata e l'aureo colbacco sospinto da un vento immaginario, svanì al di là del Doppio Arco.
L'orlo della Piazza della Sacra Venere Ishtarodina si delineò sulla destra, allargandosi fino ai gradini di tre cattedrali dai grandi torrioni a goccia d'acqua, rossi e dorati. La scultura della dea torreggiava tra le cupole della chiesa centrale; guardava al litorale di Myr, dove i due Colossi Athmannei dominavano la costa dal Promontorio della Diaspora.
L'Ancoraggio di Khorolyeva, preannunciato dalle roboanti ascensioni di scintillanti vascelli d'argento, apparve pochi minuti dopo, largo fino alla costa. Il viale d'imbocco era colorato da alberi pareggiati con cristalline colonne dell'unità, trillanti la loro leggera aria.
Varcato un cancello, la carrozza parcheggiò. Nella hall, Ekaterinne richiese il suo volo ad una veloce impiegatra bionda e attese qualche minuto prima di ricevere la visita di quattro distinti maestri di sala, che la invitarono a seguirli a bordo del suo volo.
Dopo dieci minuti nel vuoto siderale, un trio di camerieri accedé alla sua suite riservata. Le servirono una selezione di delicatezze d'antipasto, con piccoli panini tondi al burro conditi da bacche di yliegik, una fetta di crostata alle albicocche, striscioline di vorcusta e praline in letto di chantilly montata. Il tutto fu accompagnato da una grande, alta coppa di pregiato vino bianco frizzante ellarineo, portato in un secchiello d'argento e avvolto in cubetti di ghiaccio aromatizzato. Ekaterinne li congedò con un ringraziamento. Lanciò un ordine al monitor soprastante il suo sedile; con un sospiro, il sottile braccio meccanico le venne incontro, inclinando lo schermo per offrirle una buona visuale.
Il riflesso giallognolo dalla rifrazione di Sol sull'atmosfera della Madre Terra scemò all'accensione, scacciato da uno sfarfallio calcolato.
La sigla della VBC sfavillò, subito seguita da una selezione di riquadri. Ekaterinne picchiettò su quello della politica estera, che s'ingrandì, suddividendosi in una ventina di schede. Impostando la riproduzione ordinata, scelse la prima.
Con un tovagliolo, prese uno dei panini al burro. A dispetto di un sano appetito, gli diede solo un morsetto leggero. Più tardi avrebbe cenato in compagnia dell'imperatore, dunque limitarsi era una saggia decisione. Squadrando il servizio in onda, una punta di fastidio le pugnalò i fianchi. Incrociò le braccia contro il petto e il busto del suo vestito le strinse le coste, strappandole uno sbuffo.
La Prima Squadra Navale degli Endali Orientali, forte dei suoi cento-e-diciotto vascelli e capitanata dall'ammiraglia JVL Adalja, era approdata nei cieli del mondo di Chenaton per compiere un tour di servizio delle locali colonie lanathee. Il cronista era stato invitato a bordo dell'Adalja, dove gli era stato offerto un giro da poppa a prua.
Ekaterinne bevve un sorso di vino. Ritornò a guardare il servizio, assottigliando le labbra. La telecamera, dopo essersi dilungata sulle grandi batterie quadrinate di prua e quelle binate di mezzanave, era salita al castello centrale, abbracciando il gran pavese disteso tra i torrioni e i pilastri delle telecomunicazioni.
Non la sorprese vedere che le insegne di Ishtar Terra erano tese alla coda della terza fune di destra, ai margini assoluti.
Un'altra dozzina d'inquadrature si sperticarono nell'offrire grandi panoramiche della squadra in crociera, splendida in mezzo ai raggi obliqui del sole arancione di Chenaton Endalico. Ingrandirono ora sullo scafo di un incrociatore lungo e inclinato, ora sulla sovrastruttura di una corazzata di seconda classe impegnata a rivolgere un inchino al continente fluttuante di Fferjent.
Al di là di una sottile coltre di nubi grigiastre, le Grandi Piramidi di Vrjelle erano visibili, in rialzo sugli abitati della costa. Era davvero un peccato che una terra tanto bella fosse stata soggiogata dalla bandiera lanathea. Si meritava insegne migliori, più nobili.
L'inquadratura era passata a centrare l'ammiraglio, simmo Zyrtylan; l'impettito nanerottolo bluastro non perdeva occasione di puntualizzare i nomi e le stazze dei vari vascelli della Squadra, mentre in sottofondo si facevano sentire le note del Rasimo Adaljan, suonato dalla banda di bordo.
L'interfono si accese con un trillo musicale. Messa in pausa la trasmissione, Ekaterinne alzò gli occhi al più vicino altoparlante.
«Gentili mishré e gentilissime mishreì, tèrr e ospiti illustri, benvenuti a bordo del volo di linea Aversol 5°-2408B della Marinar. Chi vi parla è il capitano, mishré Nyvan Temeni. Saremo in discesa atmosferica entro venti minuti.»
Ekaterinne si godette un sorso di vino e spense il monitor.
«Siete pregati di mantenere le cinture allacciate durante l'ingresso, limitare l'uso di telefoni e computer e di restare al vostro posto. Sulla destra, in orizzonte crescente, potete osservare Hyur Amalthe e Hyur Anankhè che sorgono rispetto a noi.»
Reclinò il sedile, chiudendo gli occhi per riposarsi almeno un momento. Sopportare Myssara per tutti quei giorni l'aveva fiaccata, chiedendole, in nome del loro piano, di trattenersi dal farle sapere cosa pensasse davvero di lei
Le scosse cominciarono puntuali, rullando contro lo scafo argentato dell'Aversol. Per alcuni istanti la pressione spinse contro i suoi timpani, pungendoli.
L'alzarsi della bolla protettiva interna spazzò via quel tedio, lasciandola a massaggiarsi le tempie. Gli orizzonti di fuoco si dibatterono contro la patina energetica distesa sullo scafo, sfiammando sulle superfici degli oblò per minuti. Si riflessero sui pannelli lucidi della suite e lampeggiarono contro i costosi tappeti di Nomirah, man mano sempre più udibili.
Un risucchio verso l'alto li strappò dallo scafo, liberando le visuali dalla loro furia. Chiazzata da nuvole bianche, una distesa blu ad ampio respiro si distese al di là degli sporti, schiarendosi man mano che i secondi passavano. Le nuvole s'ingrandirono e moltiplicarono, divenendo una tela quasi immacolata, squarciata qui e lì da varchi indorati.
Compiendo una larga virata, l'Aversol s'inoltrò nel loro pascolare. Una volta sprofondato in un mare di bianco vaporoso continuò, aggiustandola con piccole spinte delle ali sussidiarie, a virare incontro all'emisfero occidentale. Accostandosi all'oblò di destra, Ekaterinne scorse i veloci passaggi del traffico in quota superiore. Vascelli grandi anche un centinaio di volte quell'Aversol procedevano incolonnati, apparendo lenti in virtù della precisione del loro scorrere. Sorrise, lanciando un comando al monitor perché le mostrasse anche la visuale dell'altro lato.
In lieve inclinazione per la manovra in corso, la panoramica dei Sol-Pilastri di Athmavia l'abbagliò. Alti tra gli otto e i dodici chilometri, fasciati in docce iridescenti, palpitavano in rialzo sul verdissimo continente meridionale, irradiando impulsi d'energia, fasciati in dorate gallerie translucide, in tutte le direzioni.
Pareggiata la prua sulla linea d'orizzonte, l'Aversol incrociò incontro al profilo di Aeurove, che si delineava a nord, ovest ed est di là delle prime sponde del Mare Eterraneo.
Con un sospiro di magneti in funzione, il soffitto si divise, recedendo nelle pareti. Correnti d'aria fresca e pulita, dal lieve sapore salmastro, fluirono attraverso i pannelli della bolla. Appoggiandosi allo schienale davanti a lei, Ekaterinne si alzò, sentendo qualche goccia d'acqua schizzarle il viso.
La grande isola Sinakrya, con il suo fumante vulcano e gli scintillanti ponti che la univano alla terraferma occidentale e meridionale, scivolò alla sua sinistra in un momento, cedendo il posto alla costa di Samnio e le pianure alabraesi.
Con una nuova virata, l'Aversol regolò la propria ascesa della Penisola Imperiale e puntò alla costa occidentale. Fasciata dalla tripla cinta muraria di Arenol, la Metropoli Capitale si spalancava incontro alla Città Proibita, in parallelo al rallentare della crociera.
Dopo essersi allineato nelle parallele del traffico di media quota, il vascello scivolò sotto uno degli Archi di Trionfo dell'imperatrice Amnestria. Scolpita in marmo diamantino a colori autentici, l'imperatrice era stata raffigurata in piedi, con sandali intrecciati e una lucida, oleata pelle bronzea. Un disco solare d'iridio le fluttuava sopra al capo, illuminato dalle fiamme che palpitavano lungo un diadema d'allori aurei, centrata da una riproduzione dello stemma del Sogno di Volare. Grandi ali piumate si aprivano alle sue spalle. Una cascata di ricci vermigli, tenuti in posizione anche dalle orecchie appuntite, scorreva fino alle scapole, con un connubio di ciocche intrecciate sul ricamo della toga.
L'imperatrice offriva una mano all'avvenire del traffico sotto la sua vista. Sul palmo dell'altra, invece, ospitava una riproduzione del restaurato e ingrandito Colosso Massimo di Phlavyan.
Oltre l'arco, il corso del Neovere serpeggiava tra i quartieri della Metropoli Capitale, illuminato dalle luci cittadine del lungofiume oppure oscurato dal fluttuare, lento e statico, della Città Proibita.
Per qualche minuto il vascello carezzò da lontano il profilo dei sette Palatinaventi, poi discese all'Ancoraggio Cloeliano. Ekaterinne sbarcò tenendosi le gonne per non inciamparvi lungo i gradini della scaletta. Un certo numero di vigili e personale dell'ancoraggio era affluito per velocizzare la discesa dei passeggeri e tenere lontani i curiosi. Gli offrivano un rinfresco al coperto, esortandoli con gentilezza a lasciare la pista e defluire oltre le porte per il check-in.
Al terzultimo incontrò lo sguardo di tèrr Kemistoklès, preciso nella sua livrea rozza e bronzea. Prim'ancora di darle il benvenuto sulla Sancta Madre Terra, un'abitudine della quale ormai faceva a meno, il camerlengo imperiale accennò alla propria destra. Schierate a semicerchio ai piedi di un ornitomos antigravità, venti anime della Guardia Custode l'aspettavano, impeccabili nelle loro panoplie di scaglie tinte di carminio, oro e azzurro scuro. Vestivano mantelli antiproiettile e grandi cimieri conici, sormontati da una cresta di regolate lingue di fuoco.
«Sublime Venere, bentornata da noi» esordì tèrr Kemistoklès venendole incontro. Lo scorse aggiustare la presa del farfallino nero e raddrizzare le spalle. «Il Luminoso era al corrente del vostro arrivo e ha desiderato venirvi incontro.»
«Vedo...» mormorò lei, porgendo i propri guanti da pomeriggio al camerlengo. «E l'avete lasciato fare come credeva.»
«Era un comando imperiale, Sublime Venere.»
«Vi paghiamo per trasmettergli la saggezza che si reputa abbiate, tèrr, non per ubbidirgli con cieca fiducia.»
«Ne sono al corrente.» Le offrì di seguirlo, indicandole il drappello schierato. «Tuttavia, sapete che non posso rifiutarmi di eseguire i suoi ordini.»
Erano le scuse di un vecchio stolto. «Allora avreste dovuto mobilitare il triplo delle guardie e sgomberare tutto l'Ancoraggio.»
«Il Luminoso ha preteso che la routine dei suoi sudditi non fosse interrotta.»
«E non avete pensato a cosa sarebbe successo se tra questi zotici e astanti vi fosse stato un prezzolato?» lo folgorò, aggrottando la fronte. «O un sociaristeo armato di pistola? Siete uno stupido.»
«Forse lo sono. O forse, voi vi preoccupate troppo, Sublime Venere.»
Qualcuno dovrà pur farlo. Lasciò il camerlengo alle proprie spalle e incedette attraverso il varco che le guardie le aprirono, muovendosi ai lati per fare uno schermo tra l'imperatore e la sudditanza impegnata a sbarcare. Le superò di buon passo, salendo la pedana d'imbarco dell'ornitomos.
Ad attenderla in plancia, sistemato su di un trono di cristallo argentato, dentro una cintura di amhrene hussyqee velate, c'era il Luminoso Tsin'Rao. Sul suo volto di bambino, un momento prima tra l'assorto e l'annoiato, si dipinse un gran sorriso, che metteva in mostra i denti bianchissimi. «Sorpresa!» esclamò, alzandosi in piedi per venirle incontro. «Avete visto? Sono venuto a prendervi!»
Ekaterinne s'inginocchiò. «Avevate detto che un giorno l'avreste fatto, sì. Non c'era bisogno di bruciare i tempi, però.»
«Oh, sì che c'era!» Nei suoi occhi obliqui lampeggiò un accenno di smaliziato divertimento. «Ogni volta siete voi a venire da me. Volevo cambiare il registro e farvi un piacere.»
Accettato il suo cenno, Ekaterinne si alzò per stringerlo a sé. Interruppe l'abbraccio dopo pochi secondi, conscia che le ahmrene, dietro i loro veli intessuti di scaglie rosse, la squadravano pronte a tutto. Contavano i secondi in cui qualcuno lo toccava, pronte ad intervenire per sventare una qualsiasi minaccia alla sua salute. «Ma non dovete correre rischi, Luminoso.»
«Non ce n'era alcuno!» disse l'imperatore, incrociando le braccia con uno sbuffo. «Prima di arrivare ho salutato la brava gente e non è successo niente.»
Questo tèrr Kemistoklès non me l'ha detto. «Potevano essercene.»
«Sì, voi e koenighaìn Fabràs dite sempre la stessa cosa.»
«Perché siamo adulti» gli indicò il trono, squadrando la maggiore delle amhrene. «Sappiamo cos'è meglio fare e quando farlo. Non siete d'accordo?»
Il Luminoso appoggiò i gomiti sui braccioli. Sistemò il suo cappello con una spintarella, prestando attenzione perché il simbolo delle Venti Volontà apposto in cima non scivolasse a terra. Per un solo momento, il gioiello oscillò.
«Un giorno anche io sarò un adulto e allora varrà la stesso discorso che fate voi.»
Annuendo, Ekaterinne gli offrì un sorriso.
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