Koenighinne Hilda Augustinne Helenna Vohn Janlan-Vronegard, I


"Uno spettro si aggira per le strade delle Venti Volontà, 

tallonato dalle guardie di cento nazioni.

Lo puoi sentire sospirare il suo veleno, se fai attenzione..."

-Estratto dagli Ammonimenti Phythei.



Aprì gli occhi, punta dal ritorno della coscienza. Appoggiandosi sul gomito sinistro, Hilda provò ad alzare il collo, scoprendo che un peso vi gravava sopra. Strizzò gli occhi per liberarli dalle nebbie del sonno e si girò sul fianco.

Il peso misterioso era il braccio di Skovja. Ancora immersa in un sonno profondo, con le labbra socchiuse e il viso che affondava nel guanciale, la cameriera le era rovinata addosso. Di nuovo.

Le spostò con delicatezza il braccio, portandolo a ricadere sulla trapunta. Skovja sprimacciò il suo cuscino con degli scatti della testa e mugolò qualcosa d'incomprensibile. Si piegò sul fianco, cercandola a tentoni, e smettendo solo quando le toccò la spalla. La sua presa scivolò fino al gomito, arenandosi sulle lenzuola.

Schioccata la lingua, Hilda espirò.

Dopo essersi issata a sedere cominciò a massaggiarsi la fronte, tratteggiando piccoli cerchi con i polpastrelli, fino alle tempie. Spazzò una ciocca di capelli biondi d'innanzi ai propri occhi. Svolse a destra, trovando Kharìs che sonnecchiava, per tre quarti emersa dalle coperte.

Pungolarla sulle coste era una tentazione davvero, davvero forte. Sarebbe stato bellissimo vederla scattare in piedi, piccata e in allerta, però non sarebbe stato un gesto molto carino.

Stirando le braccia, Hilda ascoltò i respiri delle sue protettrici. Quello di Skovja era profondo, con un ritmo lento, conciliante al sonno. Kharìs, invece, aveva un respiro molto leggero. La faceva pensare allo scorrere di un placido refolo di vento tra le foglie di un bosco.

«Con permesso...» bisbigliò mentre sgattaiolava fuori dalle coperte. Liberò i piedi e scavalcò le due, cercando di non toccarle. «Non disturbatevi, restate dove siete.»

Skovja aprì un occhio e si separò dal cuscino. Tirò indietro la manica della sua lunga vestaglia e, data un'occhiata al chronometròn, trasse un respiro stanco. «Sono ancora le cinque e mezza, Vostra Grazia.»

Diamine, è sveglia.

«Sì, ma non te ne preoccupare.»

«Restate a dormire.»

«Sssht!» le intimò, portando l'indice davanti alle labbra. «Così svegli Kharìs!»

«Oh, sarebbe proprio una tragedia...»

«Sono già sveglia» borbottò la talarkhiine, sollevando il capo. Aveva gli occhi a mezz'asta e la sua voce era impastata dal sonno. «Hilda, è presto. Su, tornate a dormire.»

Non se ne parla! Slittò al fondo del baldacchino e balzò giù, calzando di volata le scarpette da camera. «Voi due potete continuare a dormire, avete mia licenza. Io voglio vedere il cinegiornale!»

Stropicciandosi gli occhi, Skovja si girò sulla schiena. «Lo potete guardare più tardi. Non scapperà.»

«Restate dove siete» ribadì, augurandosi che tornassero a dormire. «Non preoccupatevi.»

«Certo, certo...» Accompagnandosi con un lamento sbuffato, Kharìs si sedette al bordo del letto. Scosse la testa, come a volersi scrollare di dosso un velo, rovesciando sulla schiena la massa di sfatti riccioli neri. Tra alcune ciocche spuntavano le punte delle orecchie. «Poi la reprimenda del koenighaìn vostro padre la sentite voi per noi?»

Ha il suo perché, in effetti...

Lo immaginò che le guardava in silenzio, dietro alla scrivania, con la fronte corrucciata e i denti stretti. Che noiosa che sei di prima mattina, però!

«Vi sveglio io tra mezzora!» offrì loro, cercando d'apparire il più convincente possibile. A testa alta si portò la mano al petto, appoggiandola sul cuore. «Ve lo prometto, visto? Non mi credete?»

«Non puoi assolutatam... assolust...» Skovja aprì e chiuse gli occhi. «È così presto, Ylode.»

Coprendo un grande sbadiglio, guadagnò la sponda del letto, poi cominciò a massaggiarsi il collo. «Non potete assolutamente aspettare un paio d'ore per vedere quel cinegiornale?»

Perché quelle due non provavano nemmeno un po' di curiosità in proposito? «Ci sono le nuove dalla guerra in Lilìenna, con Lyssirìs!»

«Lyssirìs sarà ancora lì alle sette, Vostra Grazia.»

Be', che ovvietà! Certo non sarebbe scappata via sul primo vascello per le Remote Sponde di Atlanawn! Alzò il capo con un guizzo sdegnato. «Ah, siete così pigre!»

Scorse un color panna venirle addosso e, l'attimo dopo, uno dei cuscini le colpì il volto, ricadendole sui piedi. Il ricamo dell'Aquila Dayrakyna in centro guardava in alto, agli affreschi sul soffitto. Il tutto la fece ridere. Lo raccolse, palleggiandolo contro il petto. Che cosa poteva farne?

«Quindi vuoi la guerra!»

Lo rimandò alla lanciatrice.

Mugugnando, Kharìs lo deflesse sul letto con uno sghiribizzo del braccio, poi le fece cenno di abbassare la voce. «Sì, certo, ma non svegliate Rollus! O, ancora peggio, Ninnìz!»

Hilda sgranò gli occhi. Non aveva fatto caso a quel piccolo dettaglio.

Skovja le passò accanto, scompigliandole i capelli con una carezza. «Dovevate tirarlo con più forza.»

«È lei che ha dei buoni riflessi.»

«Sì, Vostra Grazia. Certo che li ha.»

«Hai sentito cos'ha detto, vodkatàt? Ho dei buoni riflessi, io!» commentò Kharìs, ghignando sorniona. Si sdraiò con abbandono, tenendo le braccia larghe. «Ascolta la piccola koenighinne frettolosa.»

Piccola?

«Invece che dirmi cosa ascoltare o meno, pensa a fare il tè.»

«Buongiorno anche a te, Skovja.»

«Buongiorno, aelph'...» borbottò la chazarica, storcendo le labbra. «E vedi di non bruciarlo.»

Kharìs si girò con uno svolazzio della camiciola, si piantò dov'era con uno scatto dei talloni e le rivolse un saluto militare. «Jàn, mein ulter-zoghenkapitàn!»[1]

«Vai!» Skovja ritmò il suo ordine schioccando le dita. Hilda ne rise, coprendosi subito la bocca con il dorso della mano.

L'ilarità svanì nel momento in cui la cameriera si girò a guardarla, alta e seria. La sinistra era aperta e appoggiata al fianco. «Che cosa non state facendo, Vostra Grazia?»

Si guardò attorno, spaziando dalla grande libreria in legno di noce, dove aveva riposto quella preziosa edizione delle Codifiche di Llen Skallan datagli da suo padre, alla scrivania vicino alla finestra ad arco. «Presumo che questa sia una domanda trabocchetto. Ho ragione?»

«Credete di essere furba?»

«Io penso di essere regale.»

L'accenno di sorriso fendette la maschera fredda di Skovja, ma sparì subito, sommerso da un finto colpo di tosse e da un ritorno di quell'austero squadrarla dall'alto in basso.

«Lo assumerò come un no.»

«Vestirvi» commentò Skovja, battendo l'indice sul quadrante del chronometròn da polso. «Ci avete fatto svegliare presto? Ora vi vestite prima.»

«Se non erro vi ho detto che potevate restare a dormire.»

La cameriera tamburellò con il piede sul tappeto. «Vostra Grazia? Ve lo chiedo di nuovo: che cosa non state facendo?»

Hilda sospirò. «Vado...»



Prima della ristrutturazione che l'aveva portata a sala cinematografica, quella era stata la sede di una piccola biblioteca privata, caduta in disuso da decenni. Chiudendo gli occhi riusciva a sentire un aroma di carta vecchia che ancora aleggiava, seppur evanescente e fuggiasco, tra le sue pareti circolari.

Era stato suo padre a volere quell'opera, in vista del suo decimo compleanno. Aveva ordinato che tutti gli scaffali venissero svuotati, con i loro volumi traslati in una nuova ala apposita della Reghial Palatinian Costantina.

In principio non aveva trovato ragioni d'affrontarlo in merito, pensando che si trattasse d'un lavoro di manutenzione come molti altri. Il Mastio richiedeva una grande manutenzione e non era affatto raro scoprire passaggi, ali e sale cadute in un dignitoso stato di trascuratezza.

Anche con diverse decine di migliaia di camerieri, inservienti ed anime del personale, qualcosa sfuggiva all'opera di mantenimento.

Dopo quattro settimane di costante avanti e indietro del personale di servizio, coordinato da Rollus con il cipiglio di un comandante, la curiosità aveva avuto la meglio.

Come punto da una vespa, lui si era irrigidito, l'aveva guardata con un misto di sorpresa e acciglio sul viso per dirle, soltanto, che era una sorpresa.

Da quel momento in poi, tuttavia, l'opera era stata più silenziosa. Rollus aveva fatto montare una serie di smorzatori audio sempre in funzione. Nelle ore in cui lei non frequentava le sue stanze, i lavori si erano intensificati con una febbrile alacrità.

Arrivata la vigilia del suo compleanno, in una serata temperata e scossa da un venticello fresco, suo padre le aveva chiesto di accompagnarla al sito dei lavori.

Quando le aveva aperto la porta si era ritrovata, sbalordita e sorridente, a guardare un grande schermo esagonale innestato nella parete di fondo.

Le aveva regalato un cinema.

Le porte a taglio alto e stretto, con le maniglie scolpite in guisa d'ali dorate che si univano intorno ad un circolo attraversato in centro da una singola retta, il solo dettaglio rimasto immutato.

Al di là delle porte si apriva un piccolo corridoio illuminato da lampade incastonate in cornici di legno intagliato a mano. Se Rollus non le avesse rivelato che era stato suo proprio padre a farle, il sospetto che fossero opera sua le sarebbe venuto dalle piccole navi, incarnate nel tessuto delle cornici, che solcavano grandi mari di nuvole e vasti specchi d'acqua. Erano tutte riproduzioni molto fedeli di alcuni dei vascelli che la Reale Flotta allineava, come la RMRH-Haghen Jighenn, la bellissima RMRH Dama Victorian, RMRH Freccia dell'Arco d'Argento, RMRH Augustus Vohn Kemlocht e poi la solida, inaffondabile RMRH Konstantinne.

Era così da lui da essere quasi prevedibile.

Superato il corridoio, la sala si apriva con un circolo dall'ampio respiro. I posti erano strutturati su due livelli, ciascuno di tre ordini di posti. Al centro del primo piano, installato su di una pedana di marmibyn estratto dalla Cava di R'yet di Lanathea, si trovava uno scranno unico, con lo schienale scolpito a forma di dominante Dayre-Aquila.

Non aveva sentito il bisogno di dirle che quello era il suo posto; con le mani dietro la schiena, le aveva detto di sedersi e lei aveva obbligato la richiesta, prendendo per sé lo scranno. Rollus aveva montato il treppiede di una macchina photografica, si era accostato al sovrano, aveva sistemato la presa del monocolo, aggiustato il cilindro e guardato con fierezza in camera.

L'originale photografia dell'inaugurazione aveva trovato il suo posto sopra all'architrave della porta, dietro uno scudo protettivo.

Il secondo scatto, una volta incorniciato per bene, Hilda l'aveva posto sulla sua scrivania, vicino a quello che ritraevano suo padre e gli zii William e Stanislaus da giovani, fini e prestanti nelle loro uniformi da ufficiali, in compagnia della bis-nonna Victorian.



Reagendo all'avviso dell'operatore, l'inviata speciale staccò l'indice dalla cuffia auricolare. Levò lo sguardo ad incontrare l'obiettivo della cinepresa. Un'espressione di professionale austerità si fece strada sul suo viso, marcato da una pelle dalla pallida tinta aurea.

«Gentili spettatori, ben ritrovati a "-Gli Occhi della Guerra-", la nostra rubrica speciale dedicata agli eventi d'attualità in Lejai Lilìenna.» L'arcigno taglio di un corpetto antischegge faceva capolino tra pieghe dei suoi abiti, schiaffeggiati da spazzanti raffiche di vento. Fece un passo incontro all'inquadratura. «Io sono Lyssirìs Vaar Tye Ianyahanna, per conto del Volontiveo Bràthqast Chanal. Oggi mi trovo qui, nei pressi di Leela Ou'Thea, per seguire le operazioni di mantenimento della pace in cui è impegnato il contingente imperiale.»

Una coppia di lancieri haelvici, in arcione a degli sleipniri da guerra, stava trottando sulla strada alle sue spalle, scandendo un monotono sbattere di bisacce. Avevano le celate degli elmetti abbassate e i visori oculari, intagliati nelle maschere belliche, emanavano tenui aloni di luce azzurrina.

Procedevano con tranquillità, con i mantelli mimetici agitati dal vento. Le leggere bardature degli sleipniri tintinnavano, ma i loro suoni erano bassi e ancora lontani.

Il lanciere sul lato interno della strada indicò la cronista al commilitone, che trottò in avanti. Strinse le spalle, poi lanciò un esagerato saluto militare alla cinepresa. L'altro si atteggiò, tutto impettito, puntando la lancia-arabalas alle nuvole rosse. Il vento gonfiò l'emblema triangolare legato sotto alla punta, dispiegandolo sotto le luci del cielo violetto.

Una carola da marcia precedeva il trotto dei due lancieri, rovesciandosi sulla strada con più d'un accenno di stonatura. Ad intonarla erano soldati sia haelvici che altavistianici, assiepati in una confusa colonna di elmi appuntiti ed a scodella.

Lo scalpiccio chiodato sfrigolava sulla crosta della tarmacasphalta lottando contro il trambusto del transito dei cavalli, lo stridio dei carri-transportatores che trainavano i cannoni e i sospiri delle auto-vetture corazzate antigravità.

Sfilando davanti alla ripresa, alcuni tra i soldati fischiettarono all'indirizzo della cronista. L'inquadratura indietreggiò, allargando il campo e riportando in scena anche i due lancieri buontemponi di qualche attimo prima. Hilda ingrandì la visuale su di loro, ancorandola alla mostreggiatura cucita sulle uniformi; in un semicerchio di allori blu, appuntiti, dal taglio stretto, il numero otto era sormontato da due lance incrociate, sovrimposte su di una coppia di stilizzate teste di sleipniri.

«Hans Tarlaarr e...» Kharìs impuntò il pugno sul fianco, lasciando alla sinistra l'onere di sorreggere il vassoio con la colazione. «Hans Tarlaarr e Franz Vossr. Che coppia di sfaticati!»

«Ma no, sono divertenti!» Hilda le lanciò un'occhiata obliqua. «Non facevano nulla di male.»

«Al di là dei buffoni, intendente?»

«Non essere così dura con loro, Kharìs!» Reclinò la nuca contro lo schienale, sentendo la Dayre-Aquila sovrastante gravarle sulla fronte. «Fanno bene a divertirsi. Magari tornano da una vittoriosa battaglia.»

La cameriera mormorò un assenso distante. «Ho visto qualche soldato tornare dalla battaglia, Vostra Grazia. Le prime cose che fanno, nella mia esperienza, non sono fare gli stupidi davanti alla cinepresa e ridere.»

«Sì, ho capito che cosa vuoi dirmi.» Tacque, nascondendo il fastidio dietro all'attenzione per la scena che stava scorrendo sullo schermo. «Sono della Quarta Divisione di Cavalleria di Manrdàrr. La ricordi?»

«Sì, Vostra Grazia.»

Alla partenza da Hael'v, gli alfieri della loro unità le avevano offerto un saluto. Era stato molto bello riceverlo, ricambiandolo subito, per poi unirsi al popolo che li celebrava con sventolii di fazzoletti e lanci di fiori.

Ben stretta nei suoi ranghi, con il comando divisionale in testa e la Marcia Phorànn dei Lancieri che suonava al passo, unendosi agli schiocchi ferrati prodotti dalle sei zampe d'ogni sleipniro, la Quarta Divisione aveva percorso al trotto la Magna Via di Tarrax-Mehyr-William, con le lance-arabalas in resta e le carabine aralasket drappeggiate sugli zaini.

Non sono dei buffoni...

Lyssirìs lasciò andare la tracolla della sua sacca. «Sono a cinquanta chilometri a nord-ovest di Poelìssa Tiblejra, in Lejai Lilìenna.» Descrisse un ampio gesto con la mano, come a voler indicare alla cinepresa il paesaggio. «E sono qui per seguire il proseguo delle azioni di mantenimento della Pace Imperiale. Ci rivediamo subito dopo l'introduzione, il sunto degli special precedenti e la lista dei fatti più salienti avvenuti in loco dall'inizio dellla settimana.»

Kharìs stava armeggiando con il bollitore del tè. «Tiblejra non è quella che definirei una tranquilla località di villeggiatura.»

«Non parlarle sopra!»

«Scusatemi, Vostra Grazia.»

La sigla prevaricò la scena, imponendo la dicitura "VBC" in campo ad uno schermo nero, in mezzo a due grandi colonne sorrette da corazzati giganti di bronzo. Permase per alcuni secondi, accompagnata da un familiare rullio di tamburi. Era l'esordio della Chansonetta di Lilìenna.

Una photografia satellitare in alta definizione della Valdistrictìs Ogni-Nazionale di Poelìssa Tibljra si distese. La grande piramide dell'Ambasciata Vendyssera si affacciava sul ramo destro dell'Ogni-nazionale Cammino dei Voleri, fronteggiando una porzione del cortile posteriore del Grande Veneriano Consolato di Ishtar Terra e dell'Ambasceria di Horual-Adan.

Subito alla loro sinistra, ottagonale e spesso, presenziava il Palazzo dell'Annotato Edvardìs del Regno di Galaciar.

Con la breccia provocata dai genieri militari che la collegava al giardino dell'Ambasciata Vendyssera, il Magisterio di Releilla si offriva allo sguardo, tutto alto e largo, fiancheggiando il Consolato di Quart-Hadasht, la Reale Ambasciata di Chazarica e la Missione Diplomatica del Tarv Chiefthaìnat di Sýmmer.

La photografia ruotò, strutturandosi come un plastico e scendendo al livello del suolo.

Hilda aveva visto quella presentazione così tante volte da ricordarla a memoria, palazzo per palazzo. Sarebbe riuscita a muoversi nella Valdistrictìs senza alcuna difficoltà, orientandosi in base alle posizioni delle sedi diplomatiche.

Il palazzo del Mandatario Diplomatico di Altavista, il Consolato di Xaeon, la Rocca dell'Ambasceria di Balaster, la Sala Dorata di Jenthala, il Consolato di Nebula Kalinchev e la Missione Commercial-Diplomatica del Regno di Hael'v chiudevano il segmento orientale imponendosi con orgoglioso sprezzo sull'orizzonte, in contrasto con il suo acceso colore d'indaco.

Il cordone occidentale era composto dai palazzi dell'Alta Oligarchia Arace di Fenneris e dell'Ar'Khonato di Lanathea, mentre il suo angolo basso annoverava quello della Monarchia di Aurenìa, del Regno Vardiano e dell'Impero Alarkhiine di Arsil-Ernoria.

I loro stili architettonici, riflettendo specie e culture nazionali, differivano tantissimo, con i colonnati a fusto intrecciato dell'Impero che si misuravano in spettacolarità con le arcate di rubini dei vaykhiine di Vendyssera o di Lanathea, o le stalàtmithe-volte galaciare e le cupole monumentali di Aurenìa.

Quel che li accomunava erano i lasciti delle sommosse dei Settantasette Giorni e delle battaglie combattute per scacciare i rivoltosi; stringhe di muri sbrecciati colmi di fori da impatto e finestre ridotte in frantumi, sparse sui marciapiedi. Molti cancelli erano stati divelti, con le aiuole al di là sconvolte dai tramestii.

Attraverso la vasta lunghezza dell'Ogni-nazionale, le auto-carrozze ridotte a carcasse annerite spuntavano numerose, alternandosi a calessi e mobili rovesciati.

Hilda prese la tazza di tè e ritrasse le dita. Il brivido di dolore le lampeggiò davanti agli occhi, soffondendo in un prurito fastidioso. Chiuse la mano e l'agitò un paio di volte, torva. Chi ti ha preparato oggi, manigolda?

Avvolse i polpastrelli scottati con un lembo della sua camiciola-kimono da notte, strofinandoli pian piano per fare scemare il senso di bruciore. Scommetto che è stata Kharìs!

La tazza sospirava indifferente i suoi lunghi, grigi fili di fumo. Hilda vi soffiò sopra, attenta a non stringerla una seconda volta. Si stava sistemando composta quando notò che la mappa era scomparsa dallo schermo.

Una registrazione del primo assalto del contingente volontiveo aveva preso il suo posto, srotolando un nastro di dettagliati photogrammi, rallentati in fase di montaggio e post-produzione; le truppe protagoniste erano gli 'schaetian del Trentottesimo Reggimento dei Terraxianers, con i kiltes a quadretti e la giubba rossa, stretta dalle placche antischegge. Accompagnati da due suonatori di cornamuse, si slanciavano al di là della breccia tra il Magisterio e l'Ambasciata Vendyssera, aprendosi la strada con salve di fucileria aralasket esplose contro il grosso della folla rivoltosa.

Un secondo attacco era in corso al cancello perimetrale.

Le immagini si dissolsero in nero. Al loro posto, una registrazione, datata al terzo giorno dall'arrivo in zona dei contingenti militari, cominciò con la ripresa di una sostanziosa colonna di soldati della Monarchia di Jenthala, in marcia all'ombra dei Cristallini Pilastri dell'Unione.

Erano junkerìs, con una criniera metallica a dominar i loro elmetti integrali, smontati però della maschera bellica, che pendeva dal collo. Le loriche segmentate erano state trattate con colori mimetici e alti schinieri bruniti avvolgevano gli stivali neri, dal taglio lungo. Molti di loro salutavano la cinepresa, sbracciandosi e sorridendo, ma la colpì vedere qualche soldato, con il fucile aralasket a doppia canna in spalla e la spada che sbatacchiava al fianco, occhieggiarla torva. Tra loro, un giovane uomo storse la bocca, alzando gli occhi al cielo.

Si dissolsero come le photografie, lasciando il campo alla cronista.

Lo spezzone successivo esordì, rigurgitando dagli altoparlanti dello schermo il rancoroso vociferare di una folla di manifestanti.

«Mercoledì sedici aprile, una folla d'ingrati facinorosi si è riunita davanti ai giardini di Ašrim per protestare contro le valorose truppe del Contingente Multinazionale che mantengono la pace in Tanusqvet, trenta chilometri a nord-ovest da Poelissa Tiblejra.»

Era mishreì Lyssirìs a narrare, scandendo bene le parole e modulando la voce perché non risultasse troppo forte, impedendo di cogliere l'ira nel chiacchiericcio.

Un gran capannello di uomini e donne, athmannei e mezzuomini, dvaruat barbuti, con sparsa tra loro qualche driathea dalla pelle verde e azzurra, segnata da vene iridescenti, inveiva a pugni chiusi contro una statua del giovane imperatore Tsin'Rao, scolpito con il cappello terraneo sul capo e il Sigillo Volontiveo che fluttuava sopra al palmo. L'espressione che il bambino-imperatore aveva sul viso era così serena, così in contrasto con quel che stava accadendo, da fargliela trovare divertente.

«Morte al pupazzetto!» gridò una driathea, ripresa da un disturbato svirgolo della cinepresa. «Abbasso il bimbo-fantoccio dell'ishtarica!»

«Morte! Morte!» ritmavano altri, agitando delle triangolari bandiere lilìenniche. C'era anche un terzetto di quelle sanguigne, dei sociaristei anarchici. «Morte agli untori e ai trafficanti!»

Di quali untori sta parlando?

«Vergogna!»

Alcuni manifestanti, abbarbicati su di un'impalcatura di fortuna, le stavano tagliando la testa con una sega termica, facendo avanti e indietro. Dei loro compagni, armati con dei fucili arabalas e aralasket, facevano da corteo alla dissacrazione, esultando a gran voce.

Con un piede saldo sulla ringhiera del quadretto statuario, una ragazza faceva gonfiare, muovendola con ampi sventolii, una delle bandiere vermiglie.

«Vogliamo pane, terra e lavoro per tutti i compagni!»

«Gli eserciti devono andarsene da Lilìenna!»

Hilda sussultò, colpita dagli scanditi ruggiti di una mitragliatrice a nastro. Travolti dal tumulto dei colpi, una dozzina di manifestati stramazzarono sui gradini e sulla tarmacasphalta urlando. Altri, falciati dalla raffica di dardi azzurri, rantolavano riversi, stringendosi le viscere.

«Il tempestivo intervento delle forze galaciare e jenthaliche ha prevenuto che la dissacrazione proseguisse ulteriormente, stroncandola sul nascere.»

Allargandosi per scappare, incalzata da altri spari, la folla inciampò sui propri morti e sui feriti, rovinando in una disordinata rotta verso i vicoli laterali. In sovrimpressione allo scorrere del video, un tono musicale eroico, scandito da un coro in crescendo, faceva d'accompagnamento musicale.

Dal fondo della strada di destra stava avanzando una squadra di junkerìs jenthalici, con i fucili spianati, illuminati dai colpi che esplodevano, ma la maggior parte degli spari proveniva dalla strada di sinistra, sulla quale si scandiva il passo chiodato di una falange di armstrankeir del Regno di Galaciar.

«Al comando del capitano Gyrid Adunardaut, ufficiale in forze nel Settantunesimo Reggimento della Fanteria d'Assalto Galaciara, l'operazione di repressione si è svolta in modo brillante, intrappolando questo infimo focolaio di rivolta tra due fronti invincibili.»

Serrati attorno all'appuntito scafo di una corazzata autoblinda antigravità, coprivano la loro avanzata con salve di fucileria esplose ad altezza d'uomo, mirandole al cuore del tumulto. Erano alti e corazzati, con schinieri e maschere belliche a forma di leggendario dayre-wüelph. Indossavano loriche segmentate, inscritte da intrecci di rune drangunîc.

Il soldato in torretta descrisse un semi-arco ad ampio respiro con la mitragliatrice brandeggiabile. I lampi accesi dalla raffica rimbalzarono, con la furia di un picchiettio industriale, sui visori del suo elmetto, tingendoli d'una fredda sfumatura di viola.

Hilda appoggiò le nocche del pugno alle proprie labbra. Il ritmo della raffica s'insinuò nei suoi timpani, avvolgendoli con una sequela di battiti velocissimi. Conosceva il rumore che produceva lo scoppio di un'arma aralasket.

Dal vivo era l'illegittimo figlio dello schiocco di un fulmine e del cupo brontolio di un temporale.

Al centro dello scudo balistico, ai piedi dello svaso cui si appoggiava l'arma, campeggiava una coppia d'ossa incrociate sotto un teschio ghignante. Formandogli una mezza corona d'allori attorno, le parole "O l'ordine oppure la morte!", incise con il gesso, erano arrangiate chiare e nette.

Delle fucilate bersagliarono lo scudo balistico, esplodendo accanto alle ossa con sprizzi di scintille e velocissimi fischi acuti.

Uno degli armstrankeir stramazzò a terra e il suo grido di dolore fu incupito dalla maschera. Rantolò, girato su di un fianco, stringendosi le viscere che sfumavano all'aria aperta.

Due commilitoni lo soccorsero, piegandosi in avanti e afferrandogli la collottola. Lo trascinarono dentro i ranghi, veloci a chiudere il varco con un avanzo dalla seconda linea.

Che odore aveva la carne athmannea che bruciava?

I suoi compagni, soccorrendolo da tutti i lati, esplosero in avanti, caricando il fianco confuso della folla con i calci dei fucili, le spade e i pugni. Davanti a quell'impeto, Hilda trasalì.

Uno di loro afferrò una driathea per gli acquosi capelli e la picchiò contro la strada, mentre due suoi commilitoni spingevano i manifestati verso gli junkerìs, incalzandoli con le baionette. Trafissero un uomo che provò a respingerli e lo lasciarono a gemere sulla strada, scavalcandolo.

Un alfiere, catturato dalla cinepresa, risalì i gradini e sradicò uno degli emblemi vermigli dalla balconata ai piedi della statua; innestò la sua, sfoderò una pistola e aprì il fuoco sui fuggitivi. Muovendo per affiancarsi agli junkerìs, l'autovettura corazzata spronò la folla in ritirata.

Il mitragliere esplose alcuni strali sugli ultimi manifestati che, gemendo a terra, attorniavano la statua dell'imperatore.

A mezz'aria tuonò un tintinnio acuto, seguito da un veloce rimestare, da un sobbalzo metallico e dal ritorno alla vita della mitragliatrice. Sciabolata una raffica discendente, il fuoco continuò sui talloni dei facinorosi, finiti a sbattere contro gli junkerìs.

La strada davanti alla statua e i giardini oltre essa erano pieni di corpi e di polle di sangue. Alcune persone, estranee all'area d'interesse dello scontro, battevano le mani. Li incitavano a continuare, agitando i pugni e pestando i piedi.

Staccandosi dalla colonna dei suoi soldati, il capitano torreggiò sopra alla ragazza che aveva sventolato la bandiera dalla ringhiera.

La cinepresa si soffermò sulle due donne, ingrandendo dalla ferita all'ufficiale: sciolse la fondina della pistola, tolse la sicura, esplose quattro colpi a bruciapelo sulla ribelle, che sussultò fino ad immobilizzarsi, poi la scavalcò con una falcata tranquilla.

«Si sono presi quel che meritavano» soffiò Skovja, accigliata, mentre la trasmissione ritornava a inquadrare Lissyrìs e la strada agreste. «La prossima volta ci penseranno due volte prima di manifestare. Dovrebbero impiccarli tutti.»

«Già...» mormorò Kharìs. A cosa stava pensando, con quel tono assente? «Avevano un bel coraggio a protestare con tanti soldati in giro, non c'è che dire.»

«Ma quale coraggio! Sono solo stupidi zappaterra.»

Che definizione crudele. La maggior parte dei contadini, da quel che aveva sentito, non era d'accordo con chi protestava.In uno dei suoi servizi precedenti, Lyssirìs aveva esplorato molte comunità agricole dell'entroterra di Tiblejra. Avevano le photografie dell'imperatore, i religiosi che ogni mattina pregavano per la sua buona salute, erano ostili alla rivolta e contenti della presenza dei soldati, che anzi avevano detto essere i benvenuti. Una donna un po' sdentata aveva ridacchiato dicendo che avevano soldi e compravano molte cose nei mercatini rionali.

«Vostra Grazia, non avete bevuto nemmeno un sorso di tè!» La voce di Kharìs l'allontanò da quei pensieri. «È troppo amaro? Volete dello zucchero?»

«Ti ringrazio, ma non è necessario. Stavo aspettando che si raffreddasse un po', nient'altro.»

«Era bollente, per caso?» chiese Skovja, un po' civettuola.

«Sì, in effetti lo era.»

Con le mani intrecciate davanti alla vita, la cameriera chazarica si dondolò sulle punte. «Deplorevole, davvero deplorevole. Mi chiedo chi mai sia stata a non farlo raffreddare...»

«Oh, su! Non era così bollente!» protestò Kharìs. «Era un po' più caldo del solito, va bene, ma nulla che potesse bruciarle la lingua.»

«Ah, ma davvero? Quando l'ho toccato io, un momento fa, era così bollente che uno di quei soldati laggiù avrebbe potuto usarlo come bomba a mano!» Si chinò sul piattino dei biscotti e lo avvicinò alla tazza del tè. «Probabilmente ci avrebbe anche ucciso un paio di quei furfanti ribelli...»

«Hai davvero usato la parola furfanti?»

«Furfanti, sì! Perché?»

Kharìs allargò le braccia, lasciandole ricadere sui fianchi con uno schiocco sonoro. «È una parola così colta! Voglio dire, non me l'aspettavo da te.»

«Tieni a freno la tua lingua lunga, aelph'!»

Hilda sospirò, cercando di farsi sentire da ambo le litiganti.

Skovja accennò alla tazza. «Impara a fare un tè che non sembri la corona di una stella.»

Non aveva funzionato.

«Non era così bollente! E poi tu che ne sai di tè e di come si preparano? Sei di Chazarica!»

«Ma come, ci risiamo? Che cosa vuol dire?»

«Che se qualcuno non ti controllasse, le daresti rape e succo di vodkatate!»

«Ti ho già detto che non sono una kulashka!»

«Kharìs, Skovja? Qualora non ve ne foste accorte...» disse Hilda alzando l'indice, poi rivolto allo schermo. «Io starei cercando di seguire il cine-giornale. Lo stesso per cui vi ho svegliate, mio malgrado. Vi dispiace litigare a bassa voce?»

Soffocato un colpo di tosse, Kharìs le si avvicinò col vassoio della prima colazione. «Che cosa preferite mangiare, Vostra Grazia?» Giusto, la colazione. Se n'era dimenticata. «Desiderate i biscotti oppure le briochèes deau Matessiens[2] al burro?»

Hilda tamburellò sul bracciolo della poltrona. «Le che cosa di quale posto, di grazia?»

«Briochées deau Matessiens, Voutr' petitte princesstèe.[3]»

«Non li puoi proprio chiamare kipferlìn, vero?»

«E poi sentire tèrr Aristoklès che mi scaglia le imprecazioni di sette pantheon sul capo perché mi sottometto alla vostra lotta contro il kalinchevo?»

Hilda incrociò le braccia- Sbuffando annoiata, si spinse contro lo schienale. Perché non capivano? «È una stupida lingua, Kharìs! Non ha muscolo, è tutta zuccherosa, sembra il biascichio di Skovja quando beve troppo con le sue compagne e soprattutto...»

«Io non bevo mai troppo!»

«Skovja, per cortesia, puoi tacere? Sto esercitando il mio regale diritto di lamentarmi.»

«Sì, Vostra Grazia. Taccio, Vostra Grazia.»

«Ti ringrazio.»

«E soprattutto non vi piace» assentì la talarkhiine, facendosi tutta servile. «Sapete che non le chiamerò come volete voi, non è vero?»

«Oui.» Era un'eccezione, quella. Non era una resa e non voleva dire niente. La stava facendo solo e soltanto per accontentare quella stupida cameriera. «Je saìs.»[4]

«Parlate il kalinchevo da dama di Hael'v, Vostra Grazia.»

Mi prende anche in giro! «E mi auguro che questo paragone voglia significare qualcosa sulla riga di "male e controvoglia".»

«Posso parlare, adesso?» chiese Skovja, alzando la mano.

Volgendosi a lei, Hilda strinse le spalle. «Dipende! La parola che ha detto lei oppure kipferlìn

«Kipferlìn, Vostra Grazia.»

«Lo vedi, Kharìs? Skovja mi supporta in questa nobile battaglia.»

«Ovviamente lo fa! Dopotutto, lei non sa parlare il kalinchevo!» Ridendo della sua collega, Kharìs indicò le due pietanze disposte sul vassoio. «Alors...»

«In volontiveo, grazie.» Hilda indicò la sua scelta. «I biscotti.»

«Così da non dover dire Briochées deau Matessiens

«Jàn

Il buffetto con cui la cameriera le punse la nuca non le fece granché male, anzi. Sopra al bruciore, aveva il dolce sapore della rivalsa. Sì, era momentanea, ma non aveva importanza. Guardandola con un sorriso sghembo, da guancia a guancia, Kharìs le offrì il piatto con le briochèes e girò i tacchi.

«Traditrice!»

«Su, che vi piacciono tanto quanto!»

Sì, ma non vuol dire niente! «Skovja, teoricamente non dovresti reagire?»

«Teoricamente sì, Vostra Grazia!» assentì con un inchino del capo. «Stavo aspettando un vostro comando.»

«Quindi teoricamente sì» commentò Kharìs. Si prese gli orli delle gonne e, sul terzo dei quattro gradini che separavano il secondo anello di posti dal primo, si esibì in una beffarda riverenza. «Ma praticamente no. Ho compreso bene?»

«E comprenderai altrettanto bene che sto per tirare un mio pratico pugno sulla tua teorica faccia, aelph'.»

«Sei riuscita da sola a fare quella frase?»

«Sì, perché?»

Hilda simulò un colpo di tosse, portando il pugno davanti alle labbra. «Potete continuare fuori? Grazie. Sto cercando di seguire!»

«Oppure non continuare affatto, eh!» sbottò una voce di donna, brusca e bassa. Oh, no! Quelle due stupide! Con tutto il loro bisticciare, avevano attirato Ninnìz.

«Filibustiere e manigolde!» le insultò a bassa voce, passando da una all'altra con stizza. «La dovevate proprio svegliare, vero?»

«Ci dispiace!» dissero entrambe, occhieggiando la nuova arrivata, che scendeva le scale con un passo ticchettante, denso e pesante.

Corrucciata, Ninnìz si piantò sul pianerottolo a gambe larghe, tamburellando sul pavimento. «La kulashka e la phaelpha. Perché non mi sorprende che ci siate voi dietro a tutto questo?»

«In verità, io stavo cercando di guardare il cinegiornale» osservò Hilda, alzando un indice. «O almeno, era questo il mio piano quando mi sono svegliata oggi. Se avessi saputo di tutte queste interruzioni, devo ammettere, non mi sarei presa il disturbo.»

«Il cinegiornale?»

«Quel peculiare artefatto di photogrammi in movimento, con suoni e colori, dove una o più persone riportano dei fatti per un pubblico interessato.»

Carezzandosi le sue scure basette arricciate, Ninnìz la guardò negli occhi. «Credete di essere divertente, Vostra Grazia?»

Hilda squadrò Skovja, che strinse le spalle.

«Ciao, Ninnìz!» esordì Kharìs, battendole un colpetto di palmo sulla testa. La dvaruat sbatté le palpebre, fissandola di rimando. Un'increspatura nervosa le attraversò il viso burbero, sparendo dietro ad una maschera tutta composta.

«Com'è il meteo a quota meno un metro e mezzo?»

«Lo scoprirai di persona, se non togli questa mano.»

«E come? Saltelli per raggiungermi?»

«Oh, no! Ma cosa vai a pensare!» Le fece spostar la mano. «Farò uso di una scala.»

«Eh, quei due o tre gradini per il cielo.»

«Per dartela in testa, s'intende.»

«Questo» Kharìs schioccò le dita «potrebbe farmi male.»

«Il mio intento sarebbe proprio quello.»

«Potete portare la vostra diatriba talarkhiine-dvaruat fuori?» s'introdusse Hilda, sospirando. «È troppo presto per sentirvi ricorrere agli stereotipi etnici.»

Squadrandola con quei suoi grandi occhi marroni, Ninnìz tirò indietro la manica per scoprire il chronometròn da polso. «Non dimenticate qualcosa, Vostra Grazia?»

«Oggi siete davvero dedite alle domande a trabocchetto!» Stava diventando noioso. «Vi siete messe d'accordo, non è così?»

«Non so di cosa voi stiate parlando, ma so che dovete attendere una colazione con vostro padre e la sua ospite. Ve lo siete scordato?»

«Ovviamente no.»

«E avete una visita pubblica alla Cittadella di Augustenne.»

«Ninnìz, io non sono più una bambina. Me li ricordo i miei impegni.»

«Per me lo sarete sempre.»

Confortante! «Ne deduco che la richiesta in sottofondo sia di lasciare il cinema per adeguarmi alla presenza di mio padre e dell'Ar'Khorona Sydara.»

Incrociate le braccia, Ninnìz annuì. «Aggiungerei che dovreste far vestire anche queste due lavative.»

«Non mi lascerai guardare altri dieci minuti del cine-giornale, vero?»

«Vostra Grazia» le rispose, facendosi tutta conciliante. Si accostò allo scranno e le fece cenno di avvicinarsi a lei. «Sono una dvaruat, lo sapete?»

«Quello lo si notava dalla barba e dall'altezza pari a tre tappi di bottiglia in più di Rollus» commentò Kharìs.

«Taci, spilungona. Stavo dicendo...» Raccolse le mani contro la vita e sorrise a trentadue denti. «Che cosa si dice della nostra ostinazione?»



[1]Sì, mio capitano-maggiore! (zoghenkapitàn è in special modo riferito ad un ufficiale della fanteria)


[2]Le crescenti di Matesse, una città kalincheva. D'istinto, noi le diremmo dei cornetti.


[3]Brioche di Matesse, voi piccola principessa.


[4]Sì, lo so.

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