Koenighaìn Fabràs Rainarch Vohn Janlan-Vronegard, II
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"Se governare fosse facile, regnerebbe la completa anarchia. Per fortuna e per disgrazia, quella dell'autoritas è una prerogativa di pochi a spese di molti, nel cui interesse giace l'auspicio che il loro signore non sia incompetente."
-Estratto dalle "Codifiche", scritte da Skallan Llen, filosofo della Scuola Minazaina. L'opera venne data alle stampe nel giorno quinto di Selenno, D.A. 420.895. Non è mai stata protagonista di una grande diffusione, trattandosi di una monografia sull'arte del governo e le necessità dello stesso.
"L'Infinita Eternità può essere vista come un grande panno dipinto di blu scuro. Si estende senza limiti in ogni direzione, più grande di quanto il nostro pensiero possa concepire. È costellata da una miriade senza fondo di strappi e fori.
Queste rovine sul suo tessuto sono le tombe di tutti gli imperi i cui scranni più alti sono stati dati a sognatori sconclusionati dalle esagerate manie di grandezza, agli incompetenti che hanno scagliato le loro gioventù in costose guerre di conquista per pochi sassi di confine, a irresponsabili del tutto fuori luogo in ambienti così delicati o, ancora peggio, a ragazzini ancora imberbi."
-Citazione attribuita all'onorevole signoria di Mael'a'khòra Vaisha Phatmàl l'Ostinata, ascesa Vyzhràh di Hussy'q dal primo giorno del D.A. 420.221
Era uno psico-quadro molto bello. Misurava sei metri e sessanta in altezza per tredici e venti in lunghezza, sufficienti ad occupare con serena dignità la parete destra dello studio, dividendo le arcate delle due finestre più grandi.
La sua autrice aveva ritoccato la centratura dei soggetti più dinamici spingendola con leggerezza verso la sinistra, sul fondo della galleria in cui li aveva ritratti. In questo modo, le luci dei lampadari assottigliavano le loro ombre, sfumandoli con gli scacchi rossi e neri del pavimento. Mantelli e primitive uniformi si scomponevano, al livello dei pieni, in una leggera penombra che aumentava l'effetto dei cristalli lucenti e delle lanterne, ma ad averne davvero guadagnato in risalto erano le invisibili linee che quei soggetti disegnavano con le spade.
Heìrrzen Ortaias Vohn Vendas, heìrrzen Linthaenn di Ayerna, il principe Krinendàr e il suo gemello Krineriòn, dama Kiela Teslànn di Kìelshaphen, dama Hasslera... Le loro ventotto lame, tese a salutare la coppia in piedi innanzi al trono, creavano un fitto ponte immaginifico, attirando lo sguardo. L'occhio si soffermava proprio alla sommità della scalinata, a quell'antichissimo Vronegarth I che avvolgeva le spalle di Hylthae Augusta I con le primigenie insegne nazionali del regno.
Il regno di Vronegarth-Reghial era nato in quel momento, per proclamazione nella Gran Via dei Cristalli del Reale Palazzo Yadamna di Alphekka Meridiana.
Poter disporre di quella testimonianza era un tesoro d'inestimabile valore, che richiedeva attenzione e parsimonia nel mostrarlo. Dormiva quieto dentro la sua teca d'immuno-cristallo, al riparo dalle intemperie, dalla corrosione dell'aria e dal passaggio del tempo. In un certo senso, era una finestra aperta su di una serata di diciottomila e quattrocento-e-novantanove anni prima.
A dispetto di quell'abisso temporale, si potevano ancora apprezzare i più minuti dettagli del tutto, perfino le gobbe del tessuto laddove, incontrando la spalla della prima khoenighinne Vohn Janlan-Vronegard, la bandiera perdeva piccole parti della sua stesura.
La Dayre-Aquila di Reghial, intessuta al centro e ancora arcaica nel suo stampo rampante sulla resa stilizzata del Mastio di Hael'v, scintillava più di quello che ci si sarebbe aspettato da un semplice tessuto di fili d'oro, ma quello era un ritocco che la pittrice aveva aggiunto di sua spontanea volontà.
Fabràs incrociò le mani dietro la schiena. Dardeggiò alla finestra più esterna, scorgendo la lontana scia di una nave di passaggio, poi tornò a guardare la sua erede.
Era una compagnia silenziosa.
«Questo pomeriggio, dopo aver ricevuto la mia approvazione all'incarico, la mishreì prima ministàr si presenterà anche al tuo cospetto» esordì, schiarendosi la voce. «La riceverai nella Sala delle Udienze, in seduta aperta.»
Hilda annuì, dando una scossa al nastro rosso che dominava il suo cappello. Aprì la bocca per dirgli qualcosa, ma la chiuse subito. Si volse a guardare sua figlia negli occhi, con le mani ancora strette dietro la schiena. «Da parte tua mi aspetto un ritegno consono all'evento.»
«Quello non mancherà.»
Gli piacque quell'affermazione. Aveva un tono fermo e si appoggiava a delle abilità che Hilda non solo possedeva, ma sapeva di avere.
«Se posso esprimermi, tuttavia...»
Le indicò la scrivania e l'anticipò ad essa, spostandole la sedia. Prendendo posto con le mani intrecciate conto la vita, Hilda si impose contro lo schienale, le spalle dritte e parificate.
Accomodatosi sul suo scranno, Fabràs scoccò un colpetto al bottone dorato a forma di sole che ornava la cima di una campanella d'argento. Il trillo ruscellò lungo il cono, facendo vibrare le figure dei dodici soldati lì incisi, con le torce alzate a formare il bottone e i fucili appoggiati per il calcio a terra. Inspirò, rivoltando le maniche della camicia. «Puoi esprimerti.»
«Mi state consegnando la Sala delle Udienze.»
«Sì», annuì. «Come ho detto, sarai in seduta pubblica.»
Hilda aggiustò l'inclinazione del suo cappello, poi tornò nella posa educata di un momento prima. «Con postulanti e loro richieste?»
«Per venticinque minuti dopo l'incontro con la mishreì prima ministàr.»
«È davvero necessario?»
Impuntò il gomito sul piano della scrivania, sentendo l'osso pulsare. «È la tua gente, Hilda»
«Non ho premesso che non lo fossero! Trovo solo che incontrare la nuova prima ministàr in pubblico e ricevere quel tale numero di persone che può farsi avanti in venticinque minuti sia...»
La seconda porta d'accesso si divise, lasciando entrare Rollus. Il maggiordomo s'introdusse con un rispettoso inchino, togliendosi il cappello. Si fece da parte per lasciar passare due sue sottoposte impegnate a spingere un carrello di pietanze.
Erano precise, nelle loro livree nere e bianche.
«Vostra Altezza, Vostra Grazia...» Dissero entrambe, fermandosi ad un passo dalla grande scrivania prima di rivolgergli una riverenza. Ne offrirono una seconda ad Hilda.
Salutò Rollus e le due cameriere, mishreì Ericha e mishreì Ludvighea, con un cenno del capo e diede loro licenza d'imbandire il tavolo. Prese nota, mentre tornava a guardare sua figlia, delle macchie rosse che coloravano il polso sinistro di Ericha. «Prosegui, Hilda. Vai avanti con quello che mi stavi dicendo. Rollus, lei rimanga dopo che le mishrisse Ludvighea e Ericha avranno finito.»
«Certamente, Vostra Altezza.»
«Grazie, Rollus. Allora?»
Hilda intrecciò le mani, sollevando un leggero fruscio di seta. Si era messa un paio di lunghi guanti bianchi, del genere che si allacciava alle maniche del vestito via due circoli di laccetti blu. Fitti riccioli di ricami correvano lungo le dita e attorno al polso, snodandosi attorno ad una filigrana a Dayre-Aquila di Reghial impressa sul dorso. Hilda li aveva ritoccati e fatti accorciare fino al gomito. Simili a com'erano stati una sera estiva di diciotto anni prima e diversi al tempo stesso.
«Trovo che sia troppo per una singola seduta.»
«Allora la estenderò a trentacinque minuti.»
«Di grazia, per quale ragione?»
«Perché ti spaventa.»
«Non mi spaventa» negò lei, accigliandosi. «È una responsabilità in più, subito dopo l'incontro!»
«Non è solo una responsabilità: è un dovere che tu svolgerai.»
Scurendo, lei inspirò. «Sì, Vostra Altezza.»
«Padre potrebbe essere perfettamente sufficiente» le fece cenno di aspettare e si rivolse a Rollus, che intanto stava avviando le due cameriere a uscire dallo studio. «Trattenga un momento la mishreì Ericha, per cortesia.»
«Certamente, Vostra Altezza» assentì lui, rimettendosi il cilindro di rappresentanza sull'ordinata riga di capelli rossi. «Ericha, presto! Qui!»
La cameriera si presentò sulla soglia sull'attenti, con un sentore di preoccupazione negli occhi verdastri. «Che cosa posso fare per voi, Vostra Altezza?»
«Prendere licenza per le prossime due ore» esordì, intingendo la punta della xtylo-penna nel calamaio caricabatteria. La sfoderò nel momento in cui le tacche sul corpo, ordinate sotto la vera della capsula, si tinsero di azzurro. «E farti vedere immediatamente dal cerusik Vepraès per quelle macchie.»
Avvicinò la punta su di un foglio e vergò alcune righe, firmandole in sotto scrittura con una sciabolata della punta.
Si avvicinò di qualche passo a Rollus, che subito alzò il mento. Prima di fargli pesare la differenza in statura, gli porse il foglio dalla testata. Il maggiordomo lo piegò a fazzoletto prima di riporlo in un taschino del panciotto, sotto al tait.
«Me ne occuperò subito, mio signore.»
«Sono un nulla, Vostra Altezza.»
«Questo» disse rivolgendosi alla cameriera «ritengo sia un punto che debba stabilire Vepraès. Rollus, mi aspetto che vada. Devo temere d'essere deluso?»
«No, Vostra Grazia. L'accompagnerò io stesso, se non avete altri comandi.»
«Non subito.» Gli offrì un cenno d'accompagnamento verso le porte. Era un buon maggiordomo, tra i migliori della servitù del Mastio; non aveva soltanto il pregio dell'ubbidienza giudiziosa, ma anche una disciplina che nulla invidiava a quella di un soldato.
«Dopo che avrà accompagnato mishreì Ericha dal cerusik, tuttavia, ritorni qui allo studio. Gradirei la sua compagnia per stilare la lista degli impegni del giorno.»
Rollus allungò una delle sue piccole mani a una tasca del panciotto, diversa da quella in cui aveva riposto lo scritto. «Se posso permettermi...»
«Sì, può.»
Gli porse una busta bianca, intestata sul lembo d'apertura con il sigillo della cancelleria palatina. «Ho provveduto a compilarlo in anticipo, mio signore.»
«Apprezzo questo pensiero.»
«Dovere!» replicò sollevando il cilindro. «Ericha, andiamo! Su, su! Fai scattare quelle gambette lunghe, ragazza!»
Fabràs attese che fossero usciti e che avessero chiuso le porte alle loro spalle, prima di tornare da Hilda; non aveva scoperchiato nemmeno un vassoio, rimanendo seduta al suo posto. Sistemò le falde della redingote perché non lo intralciassero. Si sedette, tirando indietro i polsini.
«Hai osservato che cos'ho fatto?»
«Vi siete sincerato che vada dal cerusik tèrr Vepraès.»
«Devo ammettere che l'impegno di questa risposta è rimarchevole.»
«Non avete chiesto se ho capito» commentò Hilda sollevando un indice. C'era una leggera nota di supponenza nel suo tono. «La domanda era se avevo osservato.»
«Vedo con indeciso piacere che stai acquisendo una positiva padronanza con il sarcasmo. A quando è data la consegna dell'attestato di madrelingua?» Non mi dispiacerebbe ricevere un invito ad assistere all'evento. Con autografo, preferibilmente.
Hilda congiunse le mani e cominciò a giocherellare con i pollici. Abbassò gli occhi un attimo dopo, con un accenno di rammarico acceso sulle guance. «Qualcuno espresse un particolare commento, che ricordo con distinto piacere, circa il fatto che quando cominciamo un dialogo non riemergiamo che al termine, con l'ultimo verbo stretto tra i denti.»
«Ti dirò che posso apprezzare questa stoccata. Mancava d'un certo impatto alla sua conclusione, se posso aggiungere una considerazione marginale.»
Sorridendo con ritegno, Hilda inarcò un sopracciglio biondo quanto l'oro: «Risponde alla vostra domanda sulla consegna. Da destinarsi, immagino.»
Soffiò l'esordio di una risata. «Vuol dire che non devo preoccuparmi d'acquistare una giacca nuova per la cerimonia. Saperlo con questo anticipo è un vero sollievo.»
«Qualora venisse comunicata, io vi suggerirei uno stiffelius chiaro di Moynìesh-eunt-Kytara» contrattaccò, riprendendo postura con le spalle contro lo schienale. «Certo, il nome del capo lascia qualcosa a desiderare.»
Ovvio, era kalinchevo. «Per un'occasione del genere prediligerei un blazer lungo da marina. Allora, cos'hai capito?»
«Che la servitù merita un occhio di riguardo?»
«No, non merita» Non si sarebbe stancato presto di puntualizzarlo. «Lo richiede, Hilda. Lo richiede. Se tu ti preoccupi di loro, loro si preoccuperanno di te. È uno scambio.»
Lei alzò il capo. «Allora farò del mio meglio per tenerlo a mente.»
«Me lo auguro, perché ti servirà quando regnerai.»
«Siccome stiamo discorrendo» deviò lei, avvicinandosi con le spalle alla scrivania. «Vi ricordate di quella richiesta che vi ho rivolto un mese fa?»
«La crociera.»
«La crociera» enfatizzò Hilda, alzando un palmo. Lo faceva sorridere come lei considerasse così tanto quella faccenda. Il viaggio dei viaggi, l'evento del millennio. Era il varo verginale di una stupida nave da crociera, per tutte le Volontà. I cantieri navali di Verana Amalfa ne facevano a ritmo continuo.
«Vi chiesi di...»
«Di potervi prendere parte, sì. Potrà sorprenderti, ma la mia memoria è ancora capace di non farmi dimenticare discorsi e materie del mese scorso.»
«Ma se mi sorprendesse sarebbe molto grave» disse Hilda andando a piluccare da un piatto di piccoli toast al burro dolce e tartine. Ne gustò uno e si pulì le labbra con una salvietta. «Pensavo che l'avreste licenziata come di poco conto e accantonata.»
Corrugò la fronte. «Il suo nocciolo è quello di una crociera di lusso: ce ne sono centomila al giorno e non fanno tutta questa cronaca. La questione è di poco conto, Hilda. L'ho tenuta a mente soltanto perché ti riguarda, nonostante io le sia contrario.»
«Quindi è per questo...» fu il suo commento sorpreso. Un sorriso le attraversò il viso ancora indeciso tra le fattezze di una bambina e la primissima età adulta.
Gli dava piacere vederlo, ma era quella la sua considerazione per lui?
«Allora, circa la mia partecipazione?»
Fabràs prese forchetta e coltello e si tagliò una fetta di vorcusta. Tenendola in punta la lasciò sfumare un momento prima di portarla alla bocca e masticarla piano.
Avevano messo troppo miele.
«Saluterai i tuoi cugini quando la Magnifica Rhea attraccherà qui in Hael'v.» Era etichetta, non la si poteva né discutere, né accantonare. «Tuttavia, non voglio che ti unisca al viaggio.»
Incassò bene il colpo, mantenendo il viso in una neutrale cordialità. «Posso domandarvi il perché?»
«Sei ancora troppo giovane per una gran crociera delle Volontà da sola. Quanta pazienza ti richiede attendere venti mesi? Te la regalerò quando avrai compiuto quattordici anni.»
«È il suo primo viaggio! Quante altre occasioni ci saranno per me di vivere qualcosa del genere?»
«Da sola è categoricamente no.»
«La nave è inaffondabile.»
Ne aveva viste, di navi inaffondabili. Militari, per giunta. Grandi corazzate e navi ammiraglie descritte come invulnerabili e impossibili da fare colare a picco che, per strani scherni della sorte, erano finite a congelarsi nel vuoto siderale, oppure si erano adagiate in frantumi su qualche fondale marino. Vedere e sentire trentacinquemila marinai che affogavano era un'esperienza che cambiava la prospettiva con cui guardare alle navi invincibili.
«Le certezze sono ingannevoli.»
Hilda arretrò contro lo schienale, contenendo la delusione che sapeva stava provando. «Se viaggiassi con Ninnìz, Skovja e Kharìs?»
Si tagliò una seconda fetta di vorcusta. «Questa è già una condizione che renderebbe l'intera questione più trattabile, ma da quel che ricordo è un'esperienza che vorresti fare da sola.»
«Sì, ma non sarei davvero da sola.» Inalberò il mento, offrendogli i suoi occhi azzurri. «Ci sarebbero Yalexander e Hann-Ludwigha con me, e poi Hassler Thorian e William di Vyndser. Sono miei cugini e sarei con loro nella prima classe.»
«E pensi che passerebbero tutto il loro tempo con te?»
«Nonna Victorian ha premesso che sta considerando l'idea di acquistare un biglietto...»
«Se dovesse acquistarlo» Fu la sua volta di sollevare un indice. «E ribadisco se, allora potrei considerare l'idea di farti prendere la nave. Non posso lasciarti andare da sola senza dei parenti di cui mi fido per tutti i grandi porti delle Volontà. Non alla tua età e non in un momento del genere.»
«E se venisse l'Ar'Khorona Sydara?»
Quella era una stoccata un po' invadente. La guardò negli occhi, intrecciando le mani sotto al mento. «Ne dubito.»
«Non toglie la possibilità che decida di acquistare un biglietto.»
«Qualcuno deve governare e quella del governo è una faccenda che assorbe molto tempo.»
«Ma se lei venisse?»
Tornò alla vorcusta. Il coltello tagliò con facilità la crosta brunita, immergendosi nel ripieno. Punse il boccone con la forchetta e lo portò alle labbra, cominciando a gustarlo.
Hilda aveva abbandonato il vassoio con i toast, ripiegando su di una fumante tazza di tè. Squadrandola mentre lo mescolava a vuoto, sentì il profumo del limone che saliva assieme al fumo.
Si alzò, strinse il manico della teiera in porcellana di Calen e si riempì una tazza. Era d'un bel colore ambrato, denso per il calore. Lo sorseggiò con calma, la mano sinistra appoggiata al piano della scrivania. Dopo quel sorso, ritorno alla sedia. «Ti ho dato una condizione.» Senza ritirarsi dal confronto, Hilda ripose la sua tazza sul piattino. Sollevò appena un accenno di ticchettio. «Non forzare troppo la mano, o la ritirerò.»
«Una condizione. È una impalcatura per un forse. Ho quasi tredici anni!» disse, accigliandosi. «Perché sei così restio a lasciarmi andare per qualche mese? Tu stavi combattendo una guerra, a tredici anni!»
La prima di tre. Inspirò con calma, posando la tazza sul suo piatto e spingendola lontano da sé. Affidate le posate al bordo, incrociò le braccia contro il doppiopetto della redingote. Il fumo che saliva dalla tazza era sottile, adesso.
«Sì, lo stavo facendo. E mi auguro che non ti tocchi mai qualcosa del genere. Davvero, Hilda: la mia speranza è che una volta finita questa situazione in Lejai Lìlienna, seguano dieci, anzi vent'anni di pace.»
«Non ti chiedo di lasciarmi partire per una campagna militare, ma solo di prendere parte ad una crociera» ribatté prima di bere un sorso. Appoggiò il piatto con la tazza sulla sua parte della scrivania, rimanendo ferma a guardarlo negli occhi, con le spalle dritte e la fronte ancora stretta.
«Ritengo d'essere stato chiaro.»
«Cristallino. Devo assumerlo come un no mascherato da forse, dunque?»
«Per quanto prediligerei darti un no come risposta definitiva, sono disposto a concederti di andare a condizione che dame Victorian opti per concedersi questa perdita di tempo.»
«Non è una perdita di tempo!» brontolò, recuperando il piattino con la tazza e tornando a mescolare il tè con stretti giri di cucchiaio. «È un incontro dell'alta società. Vedilo come un ricevimento in itinere ed un debutto sulla più bella nave delle Venti Volontà.»
Sostenne il suo sguardo, lasciando che quelle parole si spargessero per lo studio. Salirono incontro alla cupola centrale, rimbalzando contro le otto colonne che la sostenevano, e scomparvero oltre le arcate delle grandi finestre. «Lo è.»
Hilda alzò gli occhi e sospirò. «Capisco, sì. Accetto la condizione, padre. Alzo la bandiera bianca, per ora.»
«Mi auguro sia una resa definitiva su questo argomento.»
«Posso scrivere alla nonna per assicurarmi che prenda la nave?»
«Puoi farlo» Sciolse l'incrocio delle braccia e prese uno dei biscotti dal vassoio d'argento. Lo misurò per ingannare il tempo, girando e rigirandolo senza premere troppo sul corpo di Dayre-Aquila. Mishré Holger era un distinto pasticcere, con un talento speciale per dare le forme alla pastafrolla, ma non poteva renderla impossibile da spezzare. Anche in un biscotto al cioccolato fondente. Apprezzava, però, i suoi tentativi. Nelle ultime settimane aveva migliorato lo stampo e presto, conoscendo le sue mani, sarebbe stato perfetto per i festeggiamenti imminenti. Morse il biscotto e poi lo sciacquò con un sorso di tè.
«Dame Victorian sa decidere da sé cos'è meglio per lei, quindi non ho timore che una lettera possa convincerla, se non vuole partecipare.»
«Tuttavia le farebbe piacere ricevere mie nuove.»
«Quello è indubbio. Scrivile. Non voglio si dica che questo palazzo ricorda soltanto i suoi compleanni. E circa celebrazioni e festeggiamenti...»
«Sì?»
«Domani verrai con me alla Cittadella di Augustenne per assistere alle prove generali del Primo delle Guardie di Reghial.»
Hilda sollevò il piattino, incuriosita. «Certo. Sono i preparativi per i diciottomila e cinquecento anni, come potrei mancare?»
«Bene, perché la mia non era una richiesta. Discuterai del tuo abbigliamento per la giornata di domani con terreì Phaendlers. Inutile dire che mi aspetto da te la giusta dedizione in questo.»
«Non mancherà» lo rassicurò alzando la testa. «Immagino dovrà essere in tono con le uniformi del Primo.»
«Suppongo di sì, anche se non credo che si applichi all'intero ordine dei festeggiamenti.»
«No, certo che no... ma la visita di domani vuol dire che posso usare il diadema di nonna Augustenne e il mantello con lo stemma del Primo, dico bene?»
Non si sarebbe mai lasciata sfuggire la possibilità di vestire qualcuno tra i gioielli delle dame Vohn Janlan-Vronegard. «Dipende da come ti comporterai oggi in sala.»
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