Kiervarina Ekaterinne Ludvimila Irene-Vanesse Zarostosiadra Venere


"Il suo è l'inarrivabile Splendido Isolamento,

forgiato in invincibile panoplia da

questa reale assemblea di troni regali.


Quest'isola lieta,

armata del giusto scettro dei Voleri,

augusta Terra di maestà e

seggio di un Marte calmo,

fiducioso nel suo potere a tal punto da non vedere ragione per cui impugnarlo.


Questa fortezza, costruita dall'industriosa natura di tante genti

contro l'infezione e la mano bellicosa d'inferiori nazioni.


Questo piccolo, grande mondo sotto all'Infinita Vastità.

Una preziosa gemma in un mare di seta nera, che si adopera servizievole come barriera di palazzo.

E come fossato a protezione della nostra dimora,

in difesa contro l'invidia di ben meno felici terre.


Questa terra d'unioni e

questa realtà felice.

Questo sicuro dominio di regni.

Queste Venti Volontà."

-Preludio alla Testimonianza del Grande Convegno di Nimrod Terran Elga'Rhea.

Venne letta davanti alla Platea dei Poteri Augusti, in data otto gennaio D.A. 420.668, da un'assemblea di veterani e testimoni oculari della Battaglia di Jènna.

Ha segnato l'inizio dello Splendido Isolamento.



«Dovete pazientare un momento, Vostra Imperiale Altezza!» protestò la sartina dispiegando, per la terza volta in pochi minuti, un metro olografico sul braccio destro del Luminoso. «Ci complicate il lavoro se fate così. Vi prego, restate fermo!»

Non avrebbe saputo dire chi stava soffrendo di più tra lei e l'Imperatore delle Venti Volontà. Non invidiava affatto la ragazza arashine alle prese con le misurazioni; il suo lavoro, considerando l'impaziente agitazione del soggetto sul piedistallo, era già di per sé difficile. ma il caldo, unito alla ripetitività, doveva renderlo a dir poco spossante. Le sue gote erano colorate di rosso vivo, in evidenza sull'incarnato mattone scuro, e gocce di sudore le scendevano dalle tempie.

Sorseggiando il proprio tè freddo, Ekaterinne si ripromise di offrirle un bicchiere. Se lo ero meritato.

Scuotendo le braccia come avrebbe fatto un pulcino con le sue ali, Tsin'Rao si lasciò andare a un esasperato sbuffo. «Mi annoio, mishré. E poi fa caldo.»

Tale padre, tale figlio. Hyun Jiahan'Rao II, nel quindicesimo anniversario della sua incoronazione, si era lamentato allo stesso modo. I preparativi finali erano cominciati all'alba, con la vestizione imperiale e della regina-consorte, Yeeerua Kainawyne Sol Jingya, proseguendo fin dopo l'ora di pranzo.

Sorridendo, Ekaterinne agitò il proprio bicchiere. Quel pranzo Hyun l'aveva atteso nell'Aula delle Fiamme Votive, con metà livrea in ordine e l'altra metà in bisogno di rifiniture.

Nessuno si era lamentato, ma prima di porgere il suo saluto ai quindici milioni di soldati radunati per la Grande Parata, Hyun aveva ordinato che il clima venisse rinfrescato. Le Zausse nell' alta atmosfera avevano obbedito innescando una breve pioggia e sottraendo al giorno dieci gradi.

Kemistoklès fece un passo in avanti, tergendosi la fronte con un fazzoletto rosso. «È terribile da sapere, ma vi occorre una nuova livrea, Luce Imperiale. Una che sia degna dell'invito che avete ricevuto.»

«Sì, però mi annoio.»

Per quanto potenti fossero le Volontà, con nazioni antiche e fiere come Ishtar Terra e Hael'v, eccole sconfitte da un micidiale avversario! L'erba del volere di certo cresceva nei giardini imperiali, ma contro la noia di un bambino non c'era rimedio.

«La pazienza è una virtù che ha contraddistinto tutti i più grandi imperatori, Luminoso. Compresi i vostri genitori.» Fissando il vecchio camerlengo, Ekaterinne ondeggiò il proprio bicchiere di tè, rendendogli un brindisi silenzioso. Aveva detto qualcosa d'intelligente.

Ora doveva sentirsi proprio fiero di sé.

«Sono stati fermi tre ore come me?»

Kemistoklès sorrise e chinò il capo. «Vostra Altezza, sapete che una volta l'imperatrice Honorya stette tra i ferri dei sarti e delle acconciatrici per cinque ore?»

Considerando che lei aveva avuto più di un metro e mezzo di finissimi capelli bianchi da acconciare, nonché uno strascico di sei metri da stendere, era più un complimento a chi l'aveva servita che una sottolineatura alla sua tranquillità.

«Era una donna molto paziente» si aggiunse Ekaterinne, posando il bicchiere sul vassoio e alzandosi. «Certo, lei stava partecipando a una diversa cerimonia, ma il punto rimane.»

«Sì, ed era anche una driathea. Io sono un athmanneo.» Una ragione in più per dimostrarsi superiore a quella pianta acquatica e la sua tanto decantata calma.

La sartina arashine passò dalla destra alla sinistra e gli stese il metro sul braccio, fissandolo a mezz'aria con due glifi purpurei. Annotò qualcosa su di un foglio che le fluttuava accanto al capo e poi vi cliccò sopra, toccando il pulsante per salvare l'immissione. «Vi serviranno dei guanti» disse, spostando il foglio. «In tinta con la livrea, s'intende. Penso che un paio in tono dorato, per unirsi al disco solare, sia adatto...»

«Sì! Li voglio bianchi!» esclamò il Luminoso, scuotendo le braccia irrigidite dal prototipo della veste che avrebbe dovuto indossare in Hael'v. «Come quelli di koenighaìn Fabràs.»

La sartina abbassò il capo, le mani appoggiate sulle ginocchia. Facendosi avanti, Ekaterinne si strofinò i palmi. Povera, povera piccola arashine. «Sarebbe disdicevole se, in qualità di ospite, voi vi appropriaste di un dettaglio che gli spetta.»

«Perché non possiamo vestirli entrambi? Non capisco.»

Tsin'Rao si volse a incontrare tèrr Kemistokles, che gli mise in mano un bastone da passeggio dorato, ornato da un bel pomello rosso. Lo cambiò subito con un altro modello più corto, fasciato dal collo del pomello fino al puntale da una seta a colori invertiti.

«Perché sono un simbolo della sua marina, Luminoso. Se vi vedesse con una loro replica, se li toglierebbe per decoro e questo offenderebbe la Reale Marina di Hael'v.»

«E non posso avere almeno il mortem-cap di Vohn Kemlocht?» L'imperatore sollevò il bastone sopra al proprio cappello e sciabolò la luce che filtrava dalle vetrate cristalline. Il camerlengo si abbassò per non venire colpito, sgusciando lontano dal piccolo imperatore. «Quello posso metterlo, non è così? Me lo ha regalato quando gli chiesi di raccontarmi di Jènna!»

«No, le misurazioni!» si disperò la sartina, cadendo in ginocchio. «State fermo, vi prego!»

«Glielo avete chiesto.» Quel povero vecchietto! Con un leggero scarto, Ekaterinne si portò fuori portata dei fendenti e toccò il braccio del Luminoso, accompagnandolo in basso. «Credete che potesse rifiutarsi?»

«Penso di sì...»

Chinandosi per guardarlo negli occhi, gli picchiettò un colpetto con l'indice sulla fronte. «Non l'avrebbe mai fatto, Luminoso. Voi siete l'imperatore delle Volontà; ogni vostro desiderio è un ordine per quelli della sua costituzione.»

«Oh...»

«Non rattristatevi!» Rimise a posto le spalline del prototipo con dei buffetti. «Lasciate al vecchio eroe il suo cappello; lo onorerete di più così.»

«Davvero?»

Gli rispose con un breve assenso e si allontanò con un paio di passetti a sinistra. «Senza dubbio alcuno, Luminoso.» Sollevò l'indice, attirando i suoi occhietti obliqui. «E poi non avete pensato a come dovrebbe sentirsi la koenighinne Hilda se vi vedesse con il cappello che lei vuole tanto?»

Tsin'Rao si guardò le punte delle scarpe. «No, non ci ho pensato...»

«Posso dirvi che sarebbe molto triste. Volete dare un dispiacere a quel bel visino?»

Lui sbuffò, gli occhi rivolti al soffitto. «No, non sarebbe molto onorevole.»

«Ecco» gli offrì un cenno. «È così che pensa un vero imperatore. Non si fanno dispiaceri alle belle dame, siete d'accordo?»

«Sì.»

Interessante. «Sul non fare dispiaceri o che la koenighinne Hilda sia una bella giovane?»

«Tutte e due, credo?» borbottò Tsin'Rao, ancora attorniato dalla sartina alle prese con le sue misurazioni. «L'ho vista una sola volta, però.»

«Potreste scriverle una lettera d'auguri in cui vi auspicate di rivederla per il primo varo della Magnifica Rhea. Sarebbe un gesto molto cortese da parte vostra, nonché apprezzabile.» C'era uno spazio di manovra, lì. La base era alquanto limitata, ma circostanze anche peggiori avevano prodotto ottimi risultati. «Vi assicuro che si sentirebbe molto lusingata delle vostre attenzioni.»

«O a disagio per averle ricevute» commentò il camerlengo. Che uomo inutile. «E una simile puntura potrebbe dispiacere il koenighaìn Fabràs.»

«Io presumo di sapere come ragioniamo noi donne, tèrr Kemistoklès.»

«Ah, certo. Se lo dite voi...»



Attraversando un bianco velo di nuvole, la luce del Sol pomeridiano scintillava sul placido corso del fiume Neovere.

Ekaterinne coprì i propri occhi con la sinistra, intravedendo i luccichii dorati tra le dita. Abbassò la mano, spinse in avanti la tesa del cappellino ocra e nero adottato per quell'uscita, quindi chiamò Kasyara. La cameriera si affrettò al suo fianco, con un dito già pronto sul piccolo, smeraldino pulsante d'accensione del parasole.

«Ogni volta stento a credere che qui vi sia stata una battaglia, Sublime Venere» Hyergraph Vohn Nedelger punse un sanpietrino con il bastone. «È tutto così immacolato.»

«Il suo predecessore ha avuto modo di vedere Ponte Sacro Adrianghelòn subito dopo gli scontri. Nel suo ufficio vi dovrebbero essere delle fotografie.»

Le labbra del regio console xaeoniano si assottigliarono, tradendo una misura di tedio. «Mi è mancato il tempo di riconvertire le aule del mio predecessore.» Che quindi fosse all'oscuro di tutto? Ma era assurdo! Il compianto Vohn Iakarias non si sarebbe mai concesso una dimenticanza simile.

Ekaterinne accennò alla cameriera di accendere il parasole. Kasyara ubbidì; levandosi dal puntale dell'asta, una fresca brezza s'inerpicò, dispiegando un ombrellone di traslucida pellicola verde. Prese il parasole e lasciò che l'asta le si appoggiasse sulla spalla. «Comprendo il suo disagio, hyergraph[1]

«Mia moglie stenta ancora a crederci.» Se non l'avesse saputo per via dei suoi informatori, che il nuovo console fosse sposato non l'avrebbe sorpresa. Era un uomo di bell'aspetto, appena alla prima quarantina, con lucidi occhi castani e corti capelli scuri, con la riga di lato e un velo di brillantina a tenerli ordinati sotto alla tesa del cilindro.

Tra doviziose finanze private, saloni giusti e il semplice fascino di un portamento decoroso, era di quella schiera che non doveva incontrare immense difficoltà a convolare a nozze. Il che era sia male che bene. Le negava un'arma, ma gliene offriva altre.

«Sì, la morte dell'anziano Vohn Iakarìas ha sorpreso tutti.»

Era stata davvero una disgrazia. Soffrire di problemi al cuore a cento-quarantotto anni non era un'assurdità, in special modo con una dieta dalla manica molto generosa circa le vorcuste imburrate e le salsicce al tuorlo, ma morire in quel modo? Quello lo era.

«Oh, sì. Indubbiamente!» ribatté il giovane, guardando una delle statue che puntellavano i fianchi di marmo bianco del ponte. «Anche se io mi stavo riferendo al mio invio qui, Sublime Venere. Perdonate la mia indecenza.»

Ekaterinne lo tranquillizzò con un cenno quanto più frivolo le era possibile. «Lei non ha alcunché di cui scusarsi, console. Anzi, posso immaginare che la sua signora sia molto eccitata all'idea di stabilirsi qui sulla Terra.»

«Mi sono serviti i sali cordiali per farla riprendere quando è arrivata la notizia!» Vohn Nedelger rise, stringendo il bordo del cilindro per non perderlo. «Mi dispiace per i miei tre ragazzi; sono impegnati all'università e non possono interromperle per venire qui da me.»

Due maschi e una femmina. Il maggiore, Anghelon, aveva ventuno anni. Il secondogenito si chiamava Markal, di anni ne aveva diciannove e si era inscritto ad uno scambio studenti proposto dal magnifico rettore della Reale Accademia di Laurel Magdenheim di Dwarthemberg Haelvikan. La sola femmina era una quindicenne che di nome faceva Hilda, in onore della koenighine figlia di Fabràs, con una grande passione per il tennis altavistianico all'aria aperta.

Erano belle informazioni, ma non le servivano a granché. Se soltanto i suoi informatori le avessero detto che il nuovo console non era stato iniziato ai piani pattuiti con il suo predecessore! Quello sarebbe stato utile da sapere. «Il dovere prima del piacere.»

«Vorrei ben vedere!» esclamò il console, rassettandosi la giacca con uno strattone. «Con quanto costano quelle rette, è il minimo che mi si deve.»

Guardandolo negli occhi, Ekaterinne si gettò dietro le spalle un'arricciata ciocca di capelli neri. «Mi sembra più che legittimo. Colgo, insomma, che non abbiate avuto molti contatti con il vostro predecessore prima della disgrazia. Dico bene?»

«Or dunque, Sublime Venere...» appoggiò il bastone in terra. «Avevo cominciato ad assecondarlo nei suoi compiti. Mi auguro comprenderete che non possa scendere nei dettagli in merito.»

«Halken secretàat vür koenighaìn, valk ond vadharlandt?[2]»

«Dzjàh.[3]»

«Capisco, capisco.» D'istinto, il buon vecchio Vhn Iakarias non aveva avuto modo di dirgli alcunché di cospicuo. «Mi chiedevo se, nell'auguro che vi divertiste, vi avesse menzionato alcuni dei luoghi che usava frequentare.»

«Ha accennato qualcosa» commentò Vohn Nedelger, portando la destra dietro la coda della giacca. «Una sala da tè, mi sembra.»

«Aion Matrixe è un po' più d'una volgare saletta da tè lanathea da quattro voleri e mezzo, se mi si permettono queste parole.»

Occhieggiando una delle statue, il console ridacchiò. «Non so che il nome, ma non ho dubbi che sia migliore d'una vaykhiine. È terranea, per i Theo Sols!»

«Apprezzo molto questo pensiero, tèrr Vohn Nedelger.»

«Non nutro nulla contro i vaykhiine, voglio che sia chiaro, ma non sono athmannei. E come dice il detto, se vuoi che una cosa sia fatta bene, falla fare ad un athmanneo!»

«Non posso che dirmi d'accordo!» Adocchiato un grav-calesse, Ekaterinne comandò Kasyara di fermarlo per farla salire. «Se lo desiderate, vi posso accompagnare ad Aion Matrixe. Ho bisogno di bere qualcosa di fresco, lei no?»

«Un bicchiere di vino non guasterebbe.»

Allontanata la cameriera, Ekaterinne scoprì la manica del suo lungo e ampio abito color panna per guardare lo schermo del computer portatile. Attivato da un pensiero, il monitor fece apparire una videata con gli ordini e le prenotazioni in coda ad Aion Matrixe. Lo spostò a margine. Cliccò sul repertorio delle auto-calessi a noleggio e richiese un servizio istantaneo, segnalando la sua posizione al sistema centrale. «Ottimo, allora. Voglio che siate mio ospite.»

«Non sia mai!» ribatté Vohn Nedelger. «Xaeon non manca mai di classe. Mostratemi il luogo e qualsiasi cosa desideriate, me ne occuperò.»

«Vuole offendermi?»

«No, nel modo più assoluto. E voi?»

Era così semplice. «Dunque siamo ad una impasse

Sempre accompagnandosi con il poggio, il console storse le labbra. «Trovo che "stallo" sia una definizione più curata e moderna di quel kalinchevismo datato, Sublime Venere.»

«Lei dice?»

«Kalinchev è una vecchia nazione, chiusa alle vie del futuro. Dovremmo abbandonare con buon grado le sue terminologie, sono così antiquate...»

Lo scalpiccio frusciato dell'auto-calesse lo interruppe. Accostando, il conducente si tolse il cappello in segno di saluto. Scese dal cassone di guida, fece un inchino e sbloccò la porta, dispiegando la scaletta d'accesso. Posando il tacco sul gradino, Ekaterinne gli porse una banconota da trentacinque voleri, fresca di stampa-

«Sarete al mio servizio per due ore, buon mishré. E se lo riterrò necessario, per altre due a prezzo raddoppiato.»

L'uomo s'inchinò di nuovo, poi intascò il denaro. «Sia fatta la vostra volontà, Sublime Venere!»

Bravo. Coprendo gli altri tre piccoli e stretti gradini zigrinati, Ekaterinne accedette all'abitacolo. Guardando il suo ospite, gli offrì un sorriso accondiscendente. Con le mani sul pomello del bordone, le fini scarpe nere a ghetta d'avorio ferme davanti al gradino e il cilindro ancora in testa, Vohn Nedelger era la manifestazione aperta della scontentezza.

«Così sono un villano in debito con voi, Sublime Venere» dichiarò salendo. «Siete ingiusta.»

«Sono la kiervarina di Venere e sono superiore a queste fisime.»

«Può darsi, ma ora dovrò disobbligarmi.»

Perfetto. «Da Aier Matrixe gliene ne darò modo, console.»




[1]Lord, signore, in haelvico e xaeoniano. Indica un tipo di nobiltà inferiore a quello dello heirrzen.

[2]Alto segreto per re, popolo e patria in drangunaìc xaeoniano.

[3]Sì, in moderno rosvite ishtar-terrico.

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