Ar'Khorona Sydara 'Rhenna Valas, VI

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"La calma è la culla del potere. Cammina mano nella mano con la responsabilità, che nel migliore dei casi è una pericolosa lama a doppio filo, con l'impugnatura di vetro.

Ah, sì; ti ho detto che non ha la guardia?

Comunque tu la impugni, finirai per tagliarti la mano."

-Estratto dalle "Elucubrazioni del Grande Tempio", scritto dall'onorevole signoria di mael'a'khòra Vaisha Phatmàl l'Ostinata, Vyzhràh di Hussy'q.



Scorrendo con placida lentezza, la poderosa stazza della RMRH-Lenden copriva l'immediato orizzonte di babordo con un lungo velo di piastre corazzate. La sua marcia celeste spandeva una nenia monocorde. Il contiguo respiro di gigante, intervallato dagli sbuffi dei reattori di manovra.

Al di sotto del castello di mezzanave e di poppa, la sovrastruttura del ponte di coperta era un brulichio di figure indaffarate; la loro nevrotica alacrità era fluiva nei saliscendi, si faceva udire nei richiami, risuonava per i comandi scanditi da voci esaltate da megafoni e per gli scalpiccii delle squadre che incrociavano, a passo spedito, per avviarsi alle loro postazioni. Apparivano tutte così piccole, lì, accanto alle numerose casematte dell'artiglieria dorsale.

Sydara adocchiò un rostro di addetti alla manutenzione impegnato nell'opera di pulizia del fusto centrale di una delle postazioni di prua. Scoccò un comando mentale alle sue lenti a contatto magnificanti, stringendo su di loro al punto d'averli come a portata di mano.

Balzando da un capo all'altro, li conteggiò, passando in rassegna l'attività in corso: guidati da un ufficiale superiore, trentasei anime, più della metà del reparto addetto, si erano allineate su di una scaffalatura ruotata, sostenuta da un telaio di maglia dal saldo intreccio. Al centro allineava un grande bastone per la pulizia del pezzo, che loro muovevano tramite coppie di robusti servo-arti metallici. Erano pilotati da regolari, squadrate piastre di comando.

Allungando larghi, scuri riverberi al mare di nuvole, gli scatti degli stantuffi schiacciavano le voci dei capi-tecnici e degli ufficiali.

Tutti i marinai indossavano un paio di paraorecchie a cuffia elettronica sopra ai loro berretti da fatica.

Ritirato dalla canna da un coro d'identici comandi, il bastone emerse. In mancanza d'altro, lo si sarebbe potuto impiegare come un ariete d'assedio.

«In avanti!» scandì l'ufficiale in comando, scoccando un gesto alla canna. Era una donna, dritta come un chiodo, dal mento duro e un po' appuntito. Al di sotto del cappello da graduata con visiera s'intravedevano cortissimi capelli castani, chiari rispetto alla marca scura della sua uniforme dal taglio lungo, a doppio petto e colletto alto.

Il braccio si mosse in avanti, infilato dentro il fusto da un coro di spinte pressanti. La punta scomparve nella voragine, precedendo un rilassarsi dei muscoli sintetici delle braccia. Si tesero al momento di ripiegare, sbattendo tutta la loro forza contro l'aria.

Ritirò la sua osservazione, contenta. Di nuovo lontana, la RMRH-Lenden, accompagnata da quattro appuntite classi Pherro-Veste di scorta, seguitò a solcare le nubi, immersa nel suo ciclo di rodaggio e riassesto operativo.

Era stata una piacevole distrazione.

Impazzando sull'estensione del ponte di coperta, le raffiche ingrassarono la randa delle tre auriche vele solari. Il parapetto di prua della MCRH-Siaìrinn sussultò arcigno mentre le pulsioni dei circoli teslaì s'impegnavano, frustando il cielo con oblunghe folgori violastre, a contrastarne la spinta opposta delle correnti ascensionali che salivano dalla capitale.

Già da un quarto d'ora, Castellar Horizenìth era un distante puntino, lasciato sospeso sull'orizzonte occidentale da una mano distratta. Il traffico d'entrata e uscita dai suoi ancoraggi era ancora visibile, sebbene ridotto a fiumiciattoli di formichine operaie remote e fatte minute dalla distanza.

La 'Rhenna Tharata si sarebbe sganciata dagli ormeggi entro un paio d'ore, una volta espletate tutte le normali formalità di sicurezza.

Heìrrzen Aerek era stato fermo su quel punto, scusandosi in anticipo per ogni eventuale disagio. Dati i tragici fatti di Velverecam Senn'Ma, una simile misura di cautela era imprescindibile.

Lasciando la presa sulla balaustra, Sydara si portò una mano dietro la nuca per bloccare la falda inferiore del suo cappellino. I due nastri rossi cinti attorno alla cupola, frustati dal vento, si agitavano. Il loro crepitio era basso e schiacciato dal bailamme operoso che risaliva dalla città.

Traforato dalle luci del primo pomeriggio, il mare delle nuvole scivolava in secondo piano. Cedeva il centro del palcoscenico celeste alla massiccia statura del Mastio di Hael'v, che s'innalzava a contrastare la luce del sole e i riflessi delle tre lune già alte nel cielo, come avrebbe fatto l'asse di una meridiana.

Era una bella giornata, malgrado le temperature troppo basse per i suoi gusti e il disagio dell'aria aperta. Risalendo da correnti di acque salmastre e dolci, il vento portava con sé un cesto di profumi sfusi. Il sapore freddo e crudo delle leghe li amareggiavano.

Diede le spalle alla polena, che aveva le mitologiche fattezze di una donna athmannea alata, con l'elmo sul capo e la lancia tenuta alta sopra alla spalla. La statua era quattro volte più alta di lei, escludendo il basamento incarnato nella prua. Portava un pendente circolare al collo, tenuto per mezzo di una lunga catenina d'argento, che si allacciava a quella singola linea orizzontale, posta ad incrociare un cerchio cavo. L'aveva già visto prima.

S'incamminò per riparare sotto alle ombre del padiglione, allestito al centro della prua, davanti al castello di mezzanave. I tendaggi erano scossi dal ritmo del vento; si ripiegavano, sbattendo e schioccando, quando la corrente impennava, rilassandosi al suo retrocedere.

Delle sentinelle montavano la guardia agli angoli del tendaggio, divise tra un drappello di suoi soldati sbarcati dalla 'Rhenna e una scorta che heìrrzen Aerek le aveva fornito. Si avvicinò a Ràh-Shun, che discorreva con uno dei due ufficiali del gruppo haelvico.

«Quindi, lei era a Balbaisaun?» chiese lui. Il suo interlocutore era di mezza testa più basso, ma il chiodo issato in cima all'elmetto, stretto dal sottogola di pelle sintetica, gli faceva pareggiare i conti con la fronte dello jànnìqvaphìr.

«Sì. Ero in servizio con l'Ottantanovesimo Reggimento, come luogotenente distaccato presso la Terza Brigata d''Artiglieria.»

Ràh-Shun incrociò le braccia contro il petto. «Un artigliere.»

«Non proprio.» L'ufficiale si strinse nelle spalle, strette e un po' in contrasto con le braccia erano lunghe. «Incrociavo i dati dei recondronesri e li proponevo ai capitani delle batterie.»

Al di sotto dell'uniforme blu scura orlata di rosso, la sua corporatura doveva essere asciutta. Non poteva avere la stessa massa muscolare di Ràh-Shun.

«Mi sembra un lavoro di numeri.»

«Eh!» schioccò lui, con un mezzo sorriso sulle labbra. Non aveva la barba e portava un paio di occhiali da vista, con lenti circolari e montatura scura. «Conosce quel vecchio adagio...»

«Quale? L'artiglieria nobilita quella che, altrimenti, sarebbe solo una rissa?»

Quella la conosceva. Una volta durante i suoi studi, quando era stata una piccola shykhina, sua madre gliela aveva detta. Certe spese erano necessarie quando si veniva agli affari di governo e, nell'ambito della materia bellica, l'artiglieria era una di quelle; il suo ragionamento era stato che si potevano allineare quanti più milioni di fantaccini maschi si poteva, ma non valevano molto se il nemico riusciva a spazzarli via con un buon numero di salve campali ben piazzate.

«No, ma potremmo dire che ne è figlia.» L'ufficiale di Hael'v intrecciò le mani dietro la schiena e le unì, alzando la testa per guardare lo jànnìqvaphìr negli occhi. «L'algebra vince la guerra.»

Indicandolo, Ràh-Shun ghignò: «Sa una cosa, capitano Pliefke? Concordo.»

«Anche lei ha detto di avere combattuto a Balbaisaun. Dov'era?»

«Al fianco della mia signora.»

«In guardia d'onore, dunque?»

«Sì. Ricordo questo varacasamiteo che prende coraggio e prova a sfondare il nostro quadrato.» Ràh-Shun si puntellò il palmo della sinistra con i polpastrelli della destra. «Lui corre dritto, matto come un toro. Coraggioso, glielo riconosco. Io lo scorgo e piazzo un affondo, poi tiro verso l'alto. Egli è grande! L'ho aperto in due come un falachelo.»

«Mi piacciono i falachi.»

«Quando la crosta è croccante, mi auguro.» S'impose per scherzo nei confronti del capitano Pliefke, torreggiandogli davanti. «La vostra gente ha preso la cattiva abitudine di non fare indorare il pane a sufficienza ed infatti, tre volte su quattro vi vengono mollicci. Il qussyqeo di Granoros e il forno a legna, questi due sono indispensabili per fare bene il falachelo.»

«Dovrò informare Jon il fornaio di queste necessità» commentò Pliefke, stringendo le spalle. S'irrigidì, pronunciando un secco battito di tacchi, quando la vide avvicinarsi. «Vostra Grazia.»

«Disturbo qualcosa?»

«Condividevamo storie di guerra, Vostra Grazia» rispose lo jànnìqvaphir. «Ho scoperto con piacere che il capitano Pliefke è un veterano di Balbaisaun.»

L'ufficiale haelvico alzò il mento, inorgoglito. Non aveva sciolto del tutto la sua posa d'attenti, mantenendo le spalle dritte e le mani intrecciate dietro alla schiena.

Sotto alla targhetta identificativa, giustificato rispetto alla linea del cuore, un nastrino di servizio gli donava un tocco di colore, imponendosi in rilievo sul blu scuro; era un eribanneos di secondo grado, con i contorni rigidi posti in giallo a fasce nere. Quello voleva dire che non era stato coscritto per ordinanza regia.

In autonomia, il capitano aveva fatto richiesta di poter partire, ed era rimasto in servizio attivo, dall'inizio alla fine dell'assegnazione.

La sigla identificativa del reggimento presso il quale aveva servito era centrata in un minuto scudetto triangolare, affiancata da un monogramma capitolare.

Sydara adocchiò il vassoio pieno di fanteppes di un cameriere. «Oh, che intrigante scoperta. Ora, se non vado errando, l'Ottantanovesimo era comandato da heìrrzen Aschan Dasch Vohn Rozpoels. È corretto?»

«Sì, Vostra Grazia.» Mishrè Pliefke schioccò le dita, richiamando l'attenzione del cameriere, che arrivò in un batter d'occhio. «Desiderate qualcosa?»

«Un rinfresco sarebbe molto gradito.»

«Favorite pure, Vostra Grazia» esordì il cameriere, abbassando il grande vassoio. Era un bel giovane athmanneo, con i capelli castani disciplinati da una precisa riga laterale e fissati da un velo di brillantina. Ràh-Shun prese due coppette azzurrine, porgendole la prima e aspettando a bere.

Una vivace scorza di cibiza era infissa nel bicchiere, con la polpa bianco-giallognola che mandava bassi scintillii alla luce del sole. Il fanteppes era fresco, fruttato e con un piccolo accenno, in sottofondo ai suoi sapori dolci, di vino bianco.

«Lo conoscete per fama?» chiese Pliefke prima di bere un sorso dalla coppetta che aveva preso per sé. La sua aveva una fetta d'arancia, il cui odore era pungente. Ne bevve un secondo, più lungo, con un lampo di gusto negli occhi. Come faceva a non trovarne rivoltante la presenza? Quell'odiosa palla arancione era una buona a nulla, capace solo di fare venire ancora più sete.

Gli athmannei avevano un palato bizzarro. «Quella la conosco, ma no. Ho avuto il singolare piacere d'incontrarlo personalmente, durante l'adunata.»

«Mi auguro che abbiate trovato gradevole la sua personalità!»

«Stoica, ligia, ordinata e precisa?» Qualcuno l'avrebbe potuto dire uno stereotipo ambulante. «Sicuramente è una di quelle che restano impresse.»

«Non posso che concordare con questa descrizione. Voglio dirvi, sono fiero di aver servito sotto il suo augusto comando. È un grand'uomo, Vostra Grazia, tutto d'un pezzo.»

La pancia, posso presumere. «A Balbaisaun?»

Mishré Pliefke assentì, facendo ondeggiare il fanteppes nella coppetta. Il basso sibilo dell'effervescenza crebbe, sfumando contro i contorni blu del cristallo di Pempian. «Quello è stato un episodio, Vostra Grazia. Uno dei tanti durante la Prima Guerra di Lilìenna.»

Dividerla in Prima e Seconda le sembrava una frivolezza accademica. Con la sua deleteria stupidità, il sanya-tsingho di Lilìenna aveva sollevato un duraturo polverone, persistente dopo nove anni. Il fatto che non fosse più in vita per rispondere del degenerare del problema rendeva l'attuale crisi un episodio separato da quello originale? La colpa in primo luogo era stata sua.

Che sciocco che era stato! Il tempismo del suo sbattere i piedi per terra, proprio a cavallo della conclusione della guerra per la successione, era esilarante.

Disturbare un alveare di api con un bastone, mentre una nuova regina si avvicendava a quella vecchia, sarebbe stato di gran lunga un gesto meno stupido del suo.

«Guerra dà l'idea che il fronte opposto sia regolare e giustificato, mishré capitano.»

L'ufficiale bevve un altro sorso. «Per come la vedo io, l'esercito santsingo era una forza armata regolare. Circa la giustificazione, invece, non sta a me giudicare se ci fosse o meno.»

«Gli ordini dei miei signori sono ordini, la mia fedeltà non è soggettiva e non mi viene nulla dal filosofeggiarci sopra?» intervenne Ràh-Shun, ricordandole perché gli jànnìqvaphìr valevano quel che costavano. «Condivido la scuola di pensiero.»

«Qualcosa del genere. Per chiarire, a Phong Vhalla Ma'Thana, Vohn Rozpoels mi comanda di coordinare il fuoco delle nostre batterie per dirigerlo sulle fortificazioni costiere. Dagli ordini so che i nemici bloccano l'accesso al porto. È un regolare atto di guerra, che lo pongano in atto delle truppe statali oppure dei ribelli.»

Ripose la coppetta vuota sul vassoio di un altro cameriere, poi sollevò il palmo destro. «Se non devo sapere altro, non ho ragione di sollevare questioni.»

Quel pensiero era pregevole. Le sue guarnigioni della contea della khymma Njvara avrebbero potuto giovarne molto, e magari rammentare per bene a chi dovevano la loro fedeltà. A quel punto, la gentile contessa avrebbe potuto riconsiderare il suo vizietto di prelevare parcelle ingiustificate dal gettito fiscale.

«Rammento la vostra operazione lì. L' Ar'Khorona mia madre inviò un dispaccio di congratulazioni per l'apertura di una breccia lungo il ramo meridionale della costa di Ljnorana.»

«Vohn Rozpoels deve essere stato lieto di riceverlo.»

«Senza dubbio.» C'era un punto davvero significativo nel come trentacinque minuti d'intenso sbarramento d'artiglieria potessero zittire nove mesi di proteste sempre più accese. Le granate possedevano un valore retorico molto particolare.

Le installazioni costiere ridotte a fumanti cumuli di macerie dall'operato di Vohn Rozpoels, un sensibile numero di morti e feriti e, come ciliegina sulla torta, sei reggimenti in fase di sbarco lungo trenta chilometri di litorale erano stati molto persuasivi; Vhalla Ma'Thana era stata celere nel passare dall'essere una voce della rivolta ad un caposaldo della restaurazione.

Chissà perché.

«Se posso permettermi la considerazione, mi sembra che il vostro onorato generale sia complementare allo stile di comando del Principe Elettore heìrzzen Vendas.»

«Realizzano di certo una buona sinergia» rispose il capitano, neutrale. Cambiò discorso, indicandole un tavolo imbandito. «Non fate complimenti. Se desiderate un rinfresco, avete soltanto l'imbarazzo della scelta.»

«Non mancherò di approfittarne.» Le sfuggiva la ragione per cui gli athmannei usavano quel modo di dire. Provavano una forma di vergogna al momento di scegliere qualcosa, ma perché? La loro Terra natia era stata una madre povera di risorse, incapace di soddisfare tutte le domande dei suoi figli più grandi?

Avrebbe avuto senso, almeno guardando la lunga Diaspora Athmannea, ma se fosse stato così, per quale ragione continuavano ad usarlo nei loro discorsi?

Si congedò dal capannello dei due guerrieri. Al di là del tavolo spuntava la bassa figura di una mezzathmannea dall'espressione affabile, resa alquanto divertente dal taglio retto del nasino. Se ne stava in piedi su di uno sgabello di legno, tutta attenta alle pietanze disposte davanti a lei. Una improponibile cascata di folti capelli rossi, accesi come quelli del buon Rollus, le scendeva dal capo fino alle spalle.

Che fosse una sua parente?

«Buongiorno, Vostra Grazia!» salutò con un sorriso dai denti bianchissimi. «Desiderate gustare qualcosa per ingannare il tempo? Abbiamo delle deliziose tartine al salmone affumicato di Verrothea, al paté di tacchino di Tankasgiv con pomodori, olive e scagliette di formaggio rareddar, alla salsa gurtas con scorza di limone dolce, delle tagliate alla vorcusta...»

Che bizzarra scelta per un pasto fuori dagli orari della colazione. Fabràs l'apprezzava molto, però.

«Tortini, krapfeni, crostate all'albicocca, ai mirtilli, ai frutti di bosco indolciti con la panna, poi abbiamo taralli di Granoros speziati e anellini di mare fritti...»

Quanto parlava! La zittì sollevando una mano. «Posso chiederle se questa lista si dilunga ancora per molto o se, per caso fortuito, finirà entro il secolo corrente?»

La mezzathmannea aprì la bocca, sollevando un indice, si zittì e dardeggiò a margine. «Ebbene, abbiamo anche delle torte, sia dolci che salate, poi stecchi di piscanes alla crema di loto rosso, peragrane cotte con cioccolata. Se lo desiderate, potete avere delle salsicce.»

«Comprendo che la risposta sia il secolo a venire.»

«Siamo un grande servizio di catering! È dai tempi della mia bis-bis-bisnonna che soddisfacciamo ogni genere di eventi e la nostra organizzazione non ha eguali in tutte le Venti Volontà, perché siamo una garanzia d'eccelsa qualità e ottimi, salutari ingredienti!»

«Questo non ho mancato di notarlo, mishreì, ma la ringrazio per la constatazione auto-celebrativa. Ora, potrei avere delle tartine al latte cotto e salmone affumicato?»

«Ma il latte fa ingrassare...» borbottò il soldo di cacio, piantandosi un pugno sul fianco.

«Mi scusi? Ho sentito male, oppure...»

«Arrivano subito, Vostra Grazia!»

Onorando le sue parole, fu davvero rapida nel servirla: un solerte cameriere si presentò da lei con un piatto da portata, indorato da uno stuolo di tartine fresche. Le accompagnava un sottile calice di vino e un circolo di triangolari tovaglioli rossi. Ogni tartina era trafitta al centro da un piccolo stuzzicadenti, che in cima inalberava un segnaposto di cartoncino leggero con le insegne del servizio del catering, affiancato dalla Dayre-Aquila del Regno.

Era tipico di heìrrzen Aerek sapere assoldare le persone e i servizi giusti.

Con lo sguardo rivolto a nord-est, espirò.

Il Mastio di Hael'v cresceva sugli orizzonti della capitale regia. Regnava incontrastato, schiacciando gli altri palazzi e minarat sotto la sua mole ombrosa.

Metà della sua statura traforava uno stuolo di grandi nubi bianche e grigie, condotte a lui dalle correnti, e il traffico navale affollava la sua raggiera cardinale. Sibilando e sfrecciando, scivolava a pochi chilometri dalla sua pelle corazzata, scolpita dall'avvicendarsi dei secoli.

Una leggenda molto antica diceva che Vroen, il mitologico capostipite dei futuri Vronegard-Janlan, l'aveva potuto edificare grazie all'aiuto che gli era stato dato dai saggi Colossi Jotumni.

Piluccò una tartina.

Che fosse una verità storica, magari fatta man mano più epica dal ripetersi dei racconti attraverso lo srotolarsi dei secoli, oppure una mera fiaba per incantare i bambini era, in fin dei conti, del tutto irrilevante. Un dato di fatto, invece, era l'immensa stazza di quel palazzo. Saliva per otto chilometri dal suo letto di madre roccia e sotterranee fonti termali, affiorando al cielo con l'aspetto di una punta di lancia.

Senza egide energetiche e pellicole magiche, era comunque in grado d'incassare i terribili colpi di una tempesta termo-nucleare senza sbriciolarsi, così come resistere ad un bombardamento orbitale per lunghe settimane, se non mesi. Con gli scudi innalzati, mantenuti vitali dalle fortezze generatrici fasciate nelle sue interiora, la sua ostinazione poteva durare anche molti anni senza conoscere cedimenti. In un grande numero d'occasioni aveva salvato i suoi proprietari dall'estinzione, offrendosi come un bastione impareggiabile alle armi di un nemico assediante.

Sydara sorbì un sorso di vino, trovandolo di suo gradimento. Era un bianco di Vasgarda, fresco, marcato da una lieve effervescenza.

Un punto per il servizio di catering, dunque.

Rigirò il calice osservando il suo viso nel riflesso. Sì, l'acconciatura era rimasta al suo posto.

Se i tre circoli murari e le concatenate postazioni difensive non erano uno stimolo a desistere da un progetto d'attacco e conquista di Hael'v Reghial, il nudo fatto che non fosse mai caduto in mano a qualcuno che non fosse un Janlan-Vronegard era un dettaglio da tenere a mente.

Il Mastio non amava gli estranei ostili ai suoi signori. Aveva una sua anima montuosa, colossale e grezza. Era percettibile a chi aveva i sensi affinati per le correnti della magia. Stando alle parole di Kahlan, quello del Mastio non era lo spirito di una singola persona, né l'ammonticchiata di una folla. Era una sorta di titanico, lento pulsare.
Suo cugino l'aveva descritto come un ammasso di emozioni assopite e memorie, rovesciate l'una sopra all'altra e guidate dall'ombra di una mente, dall'eco di un primitivo senso di sé.



La demarcazione dei tre quarti si era allontanata, salendo a guardarla dall'alto. Un quarto d'ora prima, la MCRH-Siaìrinn si era allineata con l'attracco dell'ultimo segmento mediano. Il golfo a mezzo anello della darsena offriva nove moli sgombri su sedici. Dell'attività stava fluendo sugli strali gemelli d'uno degli attracchi della zona centrale. Un paio di torri-gru stavano girando sulle loro posizioni a raggiera per orientarsi con il vascello in dirittura d'arrivo.

I ganci per sorreggere gli anelli delle catene d'ancora riflettevano le luci di un primo pomeriggio acceso dal tedio di un sole brillante.

In parte, il sapore del vento era cambiato. L'acqua salmastra era scomparsa cedendo il suo posto ad un gusto ferroso, sospinto dalla stazza del Mastio. I suoni e i colori degli attracchi di Castellar Horizenìth e del porto centrale di Hael'v si erano attenuati, lasciando il campo allo stridere dei meccanismi delle torri, mentre la nervosa fluidità dei pinnacoli-teslaì d'alimentazione s'intensificava.

Daghe cerulee avvamparono in sequenza, accendendo l'allungo del molo. Nascendo dall'orizzonte di un costone granitico spianato, rientrante in una caverna artificiale che era stata scavata nella crosta del Mastio, la banchina magnetica esordiva con uno svaso frontale a taglio di lettera V. La sua capienza era sufficiente da permettere l'ingresso ad un bastimento ampio il triplo della Siaìrinn.

Sydara sentì una scossa formicolarle lungo le braccia e sotto i guanti. La scacciò passando l'asta del parasole da una mano all'altra. Erano entrati nel campo d'azione dei freni dello svaso.

Diretto a cominciare la sua parabola verso il nord-ovest, il sole picchiava sulla poppa della nave, illuminando le operazioni in corso sulle vie parallele del molo. Le vetrate panoramiche della Gran Galleria, ottocento metri al di sopra della darsena, erano uno sfondo di riflessi iridescenti. Alle sommità dei loro archi si presentava una sigla di bassorilievi ciclopici, intervallati da mezze colonne in stile tardo-elygian, che raffiguravano Hynraik Vron Janlan il Conquistatore in compagnia del sovrano dvarùat Nibelunghen I.

Stavano supervisionando, da una replica della Grande Galleria, il lancio delle prime grandi navi da guerra reghialenniche in grado di accedere alle ramificazioni dell'Infinita Eternità.

«La storia antica ha un fascino tutto suo.»

Più che altro, Hynraik aveva lo stesso mento di Fabràs. «Posso presumere sia quello di offrire le sue lezioni a qualcuno che, ripetutamente, manca di apprenderle.»

Con il tricorno stretto dietro la schiena, il capitano rimase con gli occhi incollati alla stesura dei bassorilievi. «Sì, Vostra Grazia. Dev'essere così. Era una riflessione tra me e me medesimo.»

«Parla spesso da solo, mishrè Ythamon?»

«Solo quando vedo delle belle navi, Vostra Grazia.» Bene, non aveva colto la battuta. Perché non la lasciava sorpresa?

«Le trova così?» indicò le sculture con un cenno del viso. «Sono arcaiche e grossolane.»

«Per i loro tempi, erano realizzazioni ingegnose. Pochi vascelli nei paraggi di questa stella potevano sbattere le corna pari a pari contro tutti quei ponti d'artiglieria.»

«Certo, concedendo che quei ponti erano del tutto inutili se le navi su cui erano alloggiati si muovevano con la lentezza di un sasso lanciato nel mare.» E costavano uno sproposito.

«Athmannei e dvarùat non sono mai stati amanti della velocità, mi sembra.»

Le vibrazioni emesse dagli intervalli maglev nell'insenatura sbatterono contro lo scafo della Siairìnn, che rispose con un sobbalzo da prua a poppa, presto sommesso dal tono dei reattori in azione. Si volse da sinistra a destra, con le braccia che scorrevano parallele alla crociera.

Una flotta di scalette mobili accostò il fianco di tribordo, parcheggiando in riquadri rossi tracciati sulla tarmacasphalta. Coni di segnalazione lampeggiavano accanto agli stalli, segnalando ai mezzi di attendere ancora prima di collegarsi alle uscite.

Rivolse un pensiero alle lenti a contatto magnificanti e la sua visuale saettò in avanti, all'ultimo stallo che precedeva la retta frontale del molo.

Fabràs aspettava con le mani conserte dietro la schiena, dritto di spalle e preciso. Indossava una delle sue uniformi di rappresentanza preferite, quella da heìrrzen ammiraglio in tinta blu scura a doppio petto, dall'elegante taglio lungo, con tre circoli dorati che correvano lungo la linea del polso e una cintura bianca stretta in vita. Sul cuore aveva una medaglia a forma di Dayre-Aquila di Reghial, rampante sopra un nastrino con i tre colori della bandiera regia. Un farfallino nero gli chiudeva la camicia bianca sottostante, esposta dall'angolo del colletto. Portava il cappello bianco da ammiraglio, con lo stemma reale evidenziato in oro lucidato sopra alla visiera scura.

Con lui c'erano il buon Rollus, il capitano Arkenbrand del Primo Reggimento delle Guardie di Reghial con due subalterni sull'attenti, quella silenziosa cameriera chazarica, una giovane donna athmannea in tait e cilindro che ingannava il tempo appoggiandosi ad un bordone da passeggio e poi khymma Adhissa, la console-ambasciatrice di Lanathea ad Hael'v.

Stretta alla vita del suo abito pomeridiano con tunica regolata da una fila di bottoni triangolari e gonna lunga, più haelvica che vaykhiine, khymma Adhissa portava la fascia rossa e bianca di rappresentanza. Al suo fianco aveva Razida e Lidana, più due guardie di rito che tenevano la bandiera dell'Ar'Khonato.

Un'auto-carrozza a dodici ruote aspettava all'adiacente stallo di parcheggio. La sua quadriga di mechavallìs era spenta, a capo chino, sotto l'attento sguardo del conducente.

Alzando un vibrante stridio metallico, la MCRH-Sairìnne fermò la sua marcia nell'approdo. Lo sgancio delle catene di fermata risuonò contro le fiancate, rotolando verso il basso e perdendo una nota nel vuoto. Un momento dopo, l'aggancio con gli uncini delle gru si fece sentire con una coppia di tuoni ferrosi, sordi e forti. Scorrendo all'interno fecero distendere le ancore, assicurando il vascello al molo.

Le scalette mobili affluirono subito. Distesero le loro braccia, collegandole alla nave, poi si mossero in retromarcia di qualche metro per farle dispiegare al completo. I soldati del capitano Pliefke furono celeri nell'aprire le vie d'uscita.

Avviandosi, Sydara salutò il loro capitano con un cenno della mano. «Siete stato un gentiluomo, capitano. Vi elogerò al vostro sovrano.»

Pliefke batté i tacchi. «Vi ringrazio, Vostra Grazia, ma ho solo svolto il mio dovere.»

«Lei è un così classico haelvico!»

Mentre principiava la discesa per il molo lo sentì scambiare un saluto con Ràh-Shun. Guardò davanti a sé, tenendo il palmo della sinistra sul corrimano. Con la destra aprì il ventaglio, facendosi aria due volte prima di portarlo, spalancato per tre quarti, alla vita.

Fabràs si staccò dall'assembramento per venirle incontro.

Accodandosi a seguirlo, le altre presenze si tennero ad un passo di distanza. Gli alfieri di khymme Adhissa, intervallati da quelli del capitano Arkenbrand, si disposero in linea e sollevarono le bandiere.

Rollus precedette il sovrano al cordone rosso della scala mobile, che sganciò e portò da parte. Il mezzuomo s'irrigidì con la pancia in dentro e le spalle dritte e, quando le mancavano pochi passi dall'ultimo gradino, si tolse il cilindro. «Benvenuta al Mastio, Ar'Khorona 'Rhenna Valas!»

«La ringrazio, Rollus. Cortese come sempre.»

«Il mio orgoglio è nel mio buon servigio, Vostra Grazia.»

Fabràs si tolse i guanti bianchi e le porse la destra per scendere dall'ultimo gradino.

«Grazie, Vostra Maestà.» Approfittò della gentile offerta, ticchettando qualche passetto sul suolo del Mastio. Un velo di vento attraversò il molo, portando con sé il sapore del ferro e della roccia. Lasciò la mano di Fabràs e chiuse il ventaglio, guardandosi attorno.

«Siate la benvenuta.»

«Dall'accoglienza oso dedurre che la mia lettera vi è pervenuta.»

«Mancarla sarebbe stata alquanto disdicevole.» commentò Fabràs, piegando gli angoli della bocca a formare un estemporaneo ghigno. Quel piccolo vezzo autografo doveva essergli piaciuto. «Se fosse successo, ne sarebbe andato della testa di Rollus, dopotutto...»

Il maggiordomo sorrise. «Ma, Vostra Maestà, una simile punizione mi renderebbe un quarto d'uomo!»

«Non suona affatto bene» dichiarò Sydara. Scambiò dei convenevoli con l'ambasciatrice, che la salutò con una riverenza, poi guardò tutto l'assembramento.

«Non vedo la principessa. Dov'è Hilda?»

«È impegnata a tenere udienza.» Fabràs le fece cenno di seguirla. «Finirà a breve.»

Accogliendo l'invito, riaprì il ventaglio. «Davvero? Ritengo che questo sia da festeggiare! È al corrente del mio arrivo?»

«Le ho mandato una nota in merito, sì.»

«Mi auguro che l'esperienza con i postulanti non la stanchi troppo, ho una sorpresa per lei. Un regalo che sono sicuro le piacerà molto. Quando la 'Rhenna Tharata avrà modo di ancorare qui, potrò godermi la sua espressione al riceverlo.»

«A breve disporrò perché sia scortata a destinazione» disse Fabràs, tra un passo e l'altro. Le indicò la donna con il tait e il cilindro. «Vostra Grazia, posso introdurvi alla mia nuova prima ministàr?»

Squadrando la borghese da capo a piedi, Sydara assottigliò la linea delle labbra. «Mishreì Anastasìs Terrvd, se non mi hanno informato male.»

«Verrdt, Vostra Grazia. Anastasìs Verrdt.» Si tolse il cilindro e le porse la mano. «È un vero piacere fare la vostra conoscenza. Forse, nel comunicarvelo, hanno traslitterato male il mio cognome, ma non è nulla per cui valga la pena di prendersela.»

Guardò quella mano tesa per un secondo e aprì il ventaglio con un colpetto deciso. Si fece aria due volte, tenendolo appena sopra il profilo della spalla. Voleva la mancia? «Certo, dev'essere stato tutto frutto d'un perdonabile malinteso.»

«Avremo modo di approfondire queste nuove conoscenze nella serata di domani» s'introdusse khymme Adhissa, frapponendosi con eleganza tra lei e la mano tesa della borghese. «Ho in programma un ricevimento e certamente non mancherò di fare pervenire un invito alla nuova, rispettabilissima prima ministàr.»

«Allora, tèrrye Adhissa» affermò Fabràs, giungendo ad interrompere il momento «mi aspetto di ricevere quell'invito entro il mezzogiorno di domani e che sia dettagliato circa l'abbigliamento.»

«Tait, smoking altavistianico e abiti da sera, posso già presumere. Che altro?» Finse di pensarci, poi chiuse il suo ventaglio, infilandolo tra la fascia di rappresentanza e la cintura in vita. «Buone maniere, etichetta e classe, certamente.»

Porse il braccio destro a Fabràs, che lo prese. «Forse l'Ar'Khorona desidera essere accompagnata a palazzo, adesso. Ci sarà tempo per discutere del ricevimento di domani sera.»

«Gradirei molto potermi sistemare, in effetti.»

«Possiamo avviarci al grande ascensore», suggerì la prima ministàr, rimettendosi il cappello.

«Dobbiamo? Non amo particolarmente gli spazi chiusi quando sono eccessivamente affollati.»

«Certo, Vostra Grazia. Era un mero suggerimento.»

«Con il suo perché a spalleggiarlo» commentò Fabràs. «Ho esperienza con le particolarità dell'Ar'Khorona e fortunatamente ho ventilato una scaletta di opzioni.»

Che dolore. «La macchina è la prima di queste?»

«Sì.»

«Allora accetto la macchina. Mi adatterò al suo spazio chiuso.»

Mentre s'incamminavano verso l'auto-carrozza di lusso, un tuono sordo riverberò nel cielo. La RMRH-Lenden, ormai scivolata quasi per metà oltre la figura del Mastio, doveva aver esploso una cannonata di prova. Gli strascichi dell'onda d'urto sbatterono sul molo, spazzolando piccolissimi granelli di polvere e sollevando qualche foglia secca caduta dagli alberi che costeggiavano il viale d'ingresso al Mastio.

«Prove per i diciottomila-e-cinquecento anni», commentò il capitano Arkenbrand mentre apriva la portiera. «Vi prego di non farci caso.»

«Me l'aspettavo da un momento all'altro.»

La portiera si chiuse con un sibilo leggero. L'ufficiale scattò sull'attenti e offrì loro un saluto, prima di girare i tacchi e allontanarsi. Preso posto a sedere, Fabràs si tolse il cappello e lo posò accanto a sé.

«Ti aspetti che io mi scusi con mishreì Verrdt?»

«No, sarebbe un'attesa vana.»

«Ottimo, perché non ho alcuna intenzione di farlo.»

Lui sospirò, scoprendo i denti in un ghigno fugace. «Mi aspetto che tu venga a cena.»

«Questo è molto più ragionevole.»

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