Ar'Khorona Sydara 'Rhenna Valas, IV

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"I divini non amano i grandi battaglioni, ma chi sa sparare bene."

-Vecchio proverbio che circola nei domini di Osyrìsse.


"Ah, che bella cosa è saper qualcosa!"

-Jason Tebaldo Bapt di Molerl, un commediografo vissuto nell'antichità.

Fonti non del tutto affidabili lo collocano tra lo Avanti D.A. 190.551 e lo Avanti D.A. 190.602



Mishrè Ythamon spinse il timone a babordo, accompagnandolo per un mezzo giro, prima di bloccarlo. Il suo comando scivolò dalla timoneria alle postazioni dirimpettaie alle scalinate per la balconata.

Luci e avvisi si accesero sugli schermi piatti, illuminando le reazioni dei subalterni lì al lavoro.

Sydara aprì il ventaglio e si fece aria con tre colpi.

Ad un occhio estraneo, la quantità di elettronica e personale necessario per manovrare la 'Rhenna Tharata sarebbe sembrato uno schieramento impressionante; trenta anime addestrate, ognuna conscia di guidare e supervisionare una parte di un processo in più stanze, articolato almeno quanto complesso.

Bloccò il ventaglio in posizione davanti alle proprie labbra. L'ammiraglia della sua flotta militare richiedeva più di mille-e-duecento teste nelle aule di comando per muoversi.

Mishré Ythamon serrò la mascella e spinse un sospiro fuori, a denti stretti. Regolò il timone di due gradi a babordo.

Lo sforzo gli metteva in evidenza le vene delle mani, che spuntavano sull'incarnato blu, scurito dagli anni trascorsi a prendere fin troppo ossigeno all'aria aperta.

Una ridda di scricchiolanti proteste metalliche si diffuse sul pavimento, rotolando dai fianchi delle paratie di dritta. Le accompagnò un coro di scosse sorde, veloci a diffondersi lungo lo scafo. Dietro il ventaglio, Sydara ghignò.

«Non preoccupatevi, Vostra Grazia» dichiarò il capitano. Spinse il timone per un ciclo di giro, tenendo d'occhio i trilli luminosi dei rubini di segnalazione, incastonati nelle crune d'ogni raggio, e arrestò il circolo a tre quarti del secondo giro, chiudendo in linea d'orizzonte. «È tutto nella norma.»

Sì, ho notato. «La ringrazio per questa nuova davvero confortante.»

«Dovere, Vostra Grazia.» Alzò lo sguardo al grande pannello inclinato davanti alla timoneria e seguì l'avanzare d'una riga di testo informativo.

Sydara accolse le sue parole con un cenno del capo. Congiunse le mani sulla fascia e gli andò incontro, ascoltando il picchiettio dei suoi tacchi sfocare in mezzo ai lamenti alzati dallo scafo della jachta.

Si accostò al timone, un paio di passi prima di affiancare mishrè Ythamon. Si affacciò a curiosare le attività in corso lungo il piano inferiore. Il primo ufficiale Athaysh stava sorbendo una tazza di làmnna calda portato da una cameriera di bordo. Nel mentre, il contro-capitano Tervnìz stava consegnando la sua postazione a due giovani sottufficiali. Erano mishrè Drizni e mishrè Zerèt.

«Mi ha confuso con qualcuno, per caso?»

«No, non servo altra persona che voi.»

«Quindi si ricorda che è Vyntsa quella che teme per ogni colpetto, non è vero?»

Il capitano abbassò il capo. «La mia intenzione era solo di essere cortese, Vostra Grazia.»

«Apprezzo l'educazione. È uno dei requisiti che preferisco, quando si viene a voi che lavorate in marina.»

Quel complimento di poco conto l'avrebbe reso felice e soddisfatto di sé, il che era ottimo: i buoni capitani di vascello erano un prodotto alquanto pretenzioso in termini di denaro. Senza una cortese regalia di tanto in tanto, avrebbero potuto perdere la loro fedeltà nei suoi confronti e cercare impiego presso altre corti. Come quella di mia madre, il che sarebbe alquanto imbarazzante... oppure di Myssara. Nascose il proprio tedio all'idea dietro le spalle d'un cortese sorriso. Che spendesse di tasca propria per formare la sua marina, se tanto ne aveva bisogno. «Tuttavia...»

Mishrè Ythamon la guardò, con le mani sui raggi del grande timone. Nascondeva la calvizie incipiente sotto un dignitoso tricorno bianco, bordato con un brillante raggio rosso. «Tuttavia, Vostra Grazia?»

«Mi sono trovata in più d'una battaglia navale, capitano. Sono state senz'altro esperienze formative.»

«Comprendo.»

«Questo mi rincuora, ma il mio augurio è che vogliano dirle qualcosa. Continui pure.» Si congedò girando i tacchi e lo lasciò ai suoi doveri con la timoneria.

Il pavimento vibrò, rinculando un brusco impatto. Per una manciata di secondi, tutte le lanterne del naos di comando oscillarono, estendendo luci e ombre sul pavimento a rombi. Canterellando una nenia ferrosa, gli strali delle catene che le mantenevano assicurate alle arcate laterali di sostegno si allungarono e trillarono, svirgolando in tensione. Sarebbe stato molto divertente se, sciolta dagli agganci, una fosse volata oltre l'allungo della sala e avesse colpito in testa Vyntsa, oppure Qashytra.

Pensandoci con serietà, quella poteva essere una maniera per liberarsi di loro. Myssara e il suo favorito non avrebbero potuto dimostrare nulla e, nel frattempo, lei sarebbe stata libera di assoldare due cameriere davvero leali.

Credo mi occorra un bravo siniscalco. Se fossero morte entrambe, tuttavia, il fatto sarebbe stato sospetto, a meno di non far prendere loro fuoco.

L'impatto scivolò alle spalle della 'Rhenna. La sua risacca si portò via anche gli ultimi sussulti inferti all'allungo dello scafo, e le lanterne si rilassarono tornando, con buon grado, in posizione.

Salendo il primo gradino della scalinata per la piramide centrale, Sydara ritrasse la manica destra, sfilò il guanto e schioccò le dita. Uno scalpiccio batté con urgenza alle sue spalle. Rinfoderò le dita nel guanto e sistemò la manica. Mishré Athaysh la superò sulle scale, tenendosi a qualche passo da lei, poi scattò sull'attenti.

Il suo tricorno era privo della bordatura rossa in cima. Portava al fianco una sciabola anchant, con la lama spenta e messa a riposo nel fodero.«Primo ufficiale a rapporto, Vostra Grazia! Come posso servirvi?»

«Rimuovendo gli scudi delle paratie panoramiche, tanto per cominciare.» Gli fece cenno di potersi mettere a suo agio e lui obbedì subito, restando con il petto in fuori e le spalle dritte.

La giacca a doppiopetto era tinta dello stesso colore bianco dei pantaloni. I polsini erano rossi, come la riga che fendeva, con regolamentare precisione, il fianco dei calzoni fino alla linea delle scarpe.

«Sarà fatto.»

«Poi mandate qualcuno a chiamare Ràh-Shun e il baliphsehr mishrè Sikeymi, che vengano in plancia.» Gli volse le spalle, tornando a salire la scalinata. Lui la tallonò dappresso, scalpicciando per non rimanere indietro.

«Gradirei molto la loro presenza.»

Il primo ufficiale si congedò, battendo i tacchi.

Lo sentì ribadire l'ordine sull'interfono auricolare, poi se ne disinteressò. Camminò ancora per qualche attimo, tenendosi le gonne per non inciampare. Una volta in cima alla piazza sopraelevata, occhieggiò l'ingresso della piramide della capitaneria di bordo; le guardie di piantone s'irrigidirono, portando i fucili aralasket in posa d'attenti, la cassa appoggiata alla spalla.

Non distolse lo sguardo e chiuse il ventaglio, concedendo loro il riposo. Se lo meritavano, se non altro, per il fatto che le loro baionette non erano sporcate dalla ruggine.

Sollevò le sopracciglia quando un brivido strutturale picchiò il soffitto, riverberando a cerchi concentrici in una polla d'acqua. Facendo da sottofondo al costante brusio che saliva dalle profondità delle sale macchine, una cacofonia di argani e meccanismi pestava, picchiava e sbuffava una serie di tonfi, tutti diversi nel carattere e nell'ampiezza. Leve e tiranti schioccavano e frustavano singulti densi, mentre le catene di trasmissione e gli interruttori e gli allarmi si susseguivano nell'annunciare il movimento delle grandi paratie esterne.

Durante la traversata del Golfo della 'Nauthea, nonché lungo gli esordi della Rotta di Teehranna, era stato prudente viaggiare coprendo le paratie panoramiche con gli scudi. Aveva ridotto le possibilità d'incappare in qualche noiosa questione di bandiera e offerto un bersaglio anonimo agli sguardi degli sprovveduti troppo spavaldi per il loro bene. Una jachta qualsiasi, senza particolari insegne e con pochi dettagli esterni, poteva non valere la spesa delle granate e del carburante. La stessa jachta, nondimeno, avrebbe avuto qualche problema una volta che si fosse trovata nei pressi di un Cancello degli Orizzonti; le sentinelle dall'altra parte sarebbero state legittimate a chiedere l'identità della nave, oppure ordinarle di fermarsi. Manovre di rito, aspettate e giuste. 

Non si entrava nei confini nazionali d'un altro paese amico senza dichiarare la propria identità. L'educazione non era opinabile, soprattutto quando si allegava alla sicurezza di stato.

Sapeva che Fabràs l'avrebbe accolta a braccia aperte, per quanto valore poteva avere quell'espressione considerando il soggetto, ma per quale motivo dare un tedio alla sua decantata marina militare?

Sydara alzò il viso; colse l'accenno di un varco che si apriva sopra alla volta e sorrise. Eccolo, finalmente.

Le paratie si scomposero in scaglie luminescenti. Sovrapponendosi le une alle altre, in un gioco di continue sostituzioni che declinava in basso, scomposero quel cielo artificiale. A destra, la discesa a cascata stava procedendo con buono spirito e si avviava a scomparire più velocemente.

Il primo accenno dell'Interminabile Eternità, una folgore intinta d'un bianco meraviglioso, avvampò con abbagliante potenza; il dolore le punse le iridi con aghi bollenti e distolse subito lo sguardo. Si volse al pavimento, stringendo e sbattendo le palpebre. Notò che vi si avvicendavano fugaci giochi di luce, iridescenti laddove si mischiavano. Sbatté di nuovo le palpebre. Era stata imprudente, sì. La fretta era una cattiva maestra, sua madre lo diceva sempre. Mi farebbe bene ricordarlo una volta in più, ogni tanto.

Espirò, aspettando che il dolore scemasse fino a scomparire.

Portò la mano destra a schermarle gli occhi e levò lo sguardo al cielo. I raggi che sgorgavano dall'alto le danzavano davanti, passando attraverso gli spazi tra le sue dita, pungenti e brillanti.

Contrasse la fronte e fissò la linea dell'orizzonte di prua.

Scaturendo da quelle frizzanti correnti che sfolgoravano in mezzo agli intrecci dei rami dell'Infinita Eternità, un tremebondo panorama di fulmini rossi e viola fustigò a più riprese la cresta dell'onda. Lungo tutto il suo orizzonte, loro caddero e si divisero, allungando dita scheletriche.

Grandi schizzi d'oscurità lattescente si sollevarono incontro al cielo della galleria. I più alti sfiorarono il groviglio superiore, ma persero slancio e s'affossarono nel buio sottostante. Sembravano tante piccole gocce di vetro fuso.

Guardò le creste di spuma rovesciarsi sulla prua della 'Rhenna, schiaffeggiandola con la loro massa d'effervescenti energie. Erano viola, adesso. Viola e rosse, porpora e oro e poi di nuovo bianche, un caleidoscopio senza controllo. All'Infinita Eternità piaceva cambiare. Schiere di filosofi, pensatori e aruspici d'ogni specie e stirpe erano morti di vecchiaia prima di comprendere i suoi segreti.

Dopo aver marciato dentro una cresta di schiuma, incrociando a piena spinta in quella successiva, la prua della 'Rhenna Tharata s'abbatté sulla cima dell'onda: il tonfo riverberò, coprendo la lunghezza dello scafo in un battito di ciglia. La prua fendette un crinale di spuma e ricadde in avanti, dentro un campo di acquose luci bianche e viola, riflessi di quelle stelle racchiuse nell'intreccio soprastante dei rami.

Lassù, il grande groviglio scintillava.

Sydara si spinse in avanti per contrastare il contraccolpo. Gli ufficiali ai loro posti nell'androne ordinarono di far esprimere maggiore potenza ai reattori di poppa e l'incontro delle forze le sbatté sulle reni.

Rami e radici palpitavano lungo tutto l'orizzonte di babordo. Le trame dei luoghi e delle realtà a cui si agganciavano risplendevano, colorate d'argento sul buio, d'iridescente quando l'oscurità sfumava in tempeste di luci d'avorio.

Un grappolo di costellazioni dominava la vista di tribordo, stringendo almeno due centinaia di stelle in uno specchio sfumato. Un mare di radici bianche si stava allungando a raggiungerle e affondava nel buio tinto di colori, tallonato da un grande numero di vascelli. Erano mercantili e crociere, con probabilità, in procinto di fare emersione nella realtà.

Scorse un'appuntita Classe Volontarìs che guidava la colata, accelerata da una schiera di reattori esterne che sfogavano strali di fuoco azzurro sul mare, confinato dal crescente intreccio. Dietro, una flottiglia di sue simili volava in formazione a punta.

Una apparteneva alla nazione di Aurena, con la coccarda tricolore dominata, in centro, dalla figura di una lupa alata bicefala.

Ancor di più alle loro spalle, una jachta tuonava la sua muta potenza sullo scorrere delle correnti. Le insegne impresse sul fianco dello scafo erano quelle della Septarchia di Trappistarys, con i Sette Mondi avvolti da una doppia cintura d'allori verdi e rossi.

«Vostra Grazia» la chiamò mishrè Sikeymi. Si volse ad incontrarlo, distogliendo lo sguardo dallo scrosciante cielo dell'Infinita Eternità. Il baliphsehr si tolse il tricorno, ornato in centro di due piume, e abbassò il capo. Aveva portato la bandiera di rappresentanza di Lanathea, con il drappo a scudo impresso dalla stilizzata figura del Tharatoryan, che si stagliava ad affrontare la Viverna Assetata.

Era un vaykhiine di buona statura, piantato su gambe solide. Aveva servito presso la corte di sua madre prima di essere assegnato in chiave perenne alla sua. Di quel tempo manteneva qualche rimasuglio, come la lunga treccia di capelli bianchi a scendergli dalla nuca.

«Parli.»

Mishrè Sìkeymi appoggiò la mano sulla cima del suo bordone di rappresentanza. «Da Castellar Horìzenith domandano la nostra identità, Vostra Grazia. Chiedono di denunciare loro per quale ragione siamo in dirittura d'arrivo.»

«Presumo che la domanda venga da heìrrzen Aerek...»

«No, Vostra Grazia. Deve trattarsi di un suo luogotenente.» Accennò con gli occhi, piccoli e d'un vispo colore rosso, all'orizzonte di prua. «La voce è quella di un giovane. Tuttavia, ha formulato i protocolli d'appello e le richieste per le dichiarazioni in modo esatto e preciso.»

«Non vedo ragione per cui sorprendersi» commentò Ràh-Shun, le mani intrecciate dietro la schiena. «È di Hael'v, mishrè Sìkeymi. Queste cose le assumono già dal latte materno.»

Invitò il baliphsehr e lo jànnìqvaphìr a seguirla e s'incamminò verso l'ingresso della piramide della capitaneria di bordo. «Può darsi. Solo, trovo curioso che non sia stato lui.»

«Può darsi che fosse impegnato, Vostra Grazia.»

«Certo, è possibile. Ma conosce questa nave.» In qualità di Signore di Castellar Horizenìth e Castel Altar-Reikenen, era sempre informato su chi emergeva dal Cancello degli Orizzonti di Hael'v. «E soprattutto, heìrrzen Aerek conosce me.»

«Volete che richiediamo la sua presenza?»

«No, questa sarebbe un'inutile arroganza.» Non ne avrebbe tratto alcunché, salvo offendere uno tra i più fedeli marescialli di Fabràs. Tenendo in dovuta considerazione il fatto che Aerek era suo cugino, quell'offesa avrebbe potuto raggiungere il signore di Hael'v in persona. Gli athmannei avevano una strana relazione con il discorso della parentela. «Se è già a conoscenza del nostro arrivo, starà avvisando il suo signore del nostro arrivo. Altrimenti, verrà da noi quanto prima.»

Superò la soglia della capitaneria e lasciò andare le sue gonne. Frusciarono a coprirle le caviglie, pochi centimetri dallo spazzare il pavimento di rombi scuri.

Un furiere balzò in piedi al suo ingresso e si piantò sull'attenti. «Vostra Grazia!»

«Buongiorno.» Si era dimenticato il tricorno sul tavolo.

Lesse la targhetta identificativa sull'uniforme, segnandosi la sua identità. «Il suo superiore può mettermi in contatto con Castellar Horìzenith, di grazia?»

Mishrè Nahlint chinò il capo. «Sì, Vostra Grazia l'Ar'Khorona!»

«Ottimo! Immanente, se possibile.» Gli permise di alzare la testa, sciogliendolo dall'attenti. Indicò la batteria di comunicatori da scrivania che armava la parete alla sua destra. «Prima che ci ritengano un vascello nemico e aprano il fuoco.» Sarebbe stato un incidente di percorso alquanto disdicevole.

Il sottufficiale le segnò di seguirlo e fece un passo. Sydara schioccò la lingua.

Fatto ritorno alla propria scrivania, mishrè Nahlint recuperò il proprio tricorno. «Vi domando perdono...»

«Lo concedo, questa volta. Non si ripeta.»

Gli apparecchi tossivano un fitto ritmo di trasmissioni e parole dal deciso timbro athmanneo. A fronteggiarli c'era una squadra di phonistei, tutti con indosso un paio di sottili cuffie auricolari, grigie e dipinte d'una banda rossa al centro. Un pugno di quei phonistei stava battendo a macchina un numero di stringhe di dati di navigazione per le torri di controllo di Castellar Horizenìth.

Rivolse il proprio sguardo alla familiare figura di Ràh-Shun, contenta d'averlo al proprio fianco. Il suo passo era lungo, calcato con un peso distinto, stregato per essere invisibile agli occhi estranei.

Suo cugino, in virtù delle sue doti di mago, era in grado di sbirciare al di là del velo e notare il profilo della corazza vestita dallo jànniqvaphìr; le aveva rivelato della sua presenza, ammettendo che la panoplia cercava comunque di sottrarsi al suo sguardo e scomparire.

Le possibili applicazioni di quella tecno-magia erano notevoli, ma la inquietava il fatto che solo gli hussyqei sembravano esserne in possesso. «La battuta di prima...»

«Quella sulla gente di Hael'v, Vostra Grazia?»

«Sì, lei tra tutte» alzò un indice, attirando la sua attenzione. «Mi aspetto di non sentirla ripetuta mentre saremo ospiti.»

«Certo. Farò come desiderate.»

Salirono una breve scalinata, entrando in un naos ad otto colonne ritirato rispetto alla batteria di macchinari e postazioni. «In ogni caso, Ràh-Shun, ci tengo a dirti che la condivido pienamente.»

Lo jànnìqvaphìr singhiozzò una risata roca e breve, stringendo gli occhi neri. Nascose la bocca dietro al pugno e schioccò un finto colpo di tosse per fermarsi.

Sydara si portò in centro al naos, fronteggiando la stele di pietra nera che tagliava a metà lo spazio tra due colonne del perimetro. Ordinò a mishrè Sìkeymi di mettersi alla sua destra, occhieggiando Ràh-Shun che s'installava a sinistra, le mani intrecciate dietro la schiena.

Accostatosi alla stele, il sottufficiale mishrè Nahlint attivò un pannello a mezz'aria, localizzando un glyph tra i numerosi che avvamparono sullo schermo. Lo trasportò dal pannello al centro della stele, dove la incasellò con un picchiettio delle dita. Una corona di simboli emerse, disponendosi pronta all'uso con uno schiocco cristallino e rapido, ma subito ingoiato dal sottofondo della navigazione.

Composti alcuni dei simboli a sua disposizione con più giri manuali della corona, mishrè Nahlint li impilò in una colonna dal tenue bagliore rossiccio, poi li accompagnò ad incarnarsi nel glyph. Creste di statica fendettero l'aria sopra alla stele, componendosi dentro un alto riquadro di violacee acque spettrali.

Dall'altra parte, la sua immagine si stava formando allo stesso modo.

La figura di un giovane athmanneo in uniforme venne ad occupare il centro del riquadro. Il viso era pulito con buona disciplina, senza barba sul mento né baffi. In qualche modo, la loro assenza lo rendevano ancora più pallido. I suoi occhi erano guizzanti e grigi. La linea del naso era adunca.

Era saldo sull'attenti e si presentava ligio, con l'elmetto puntuto sottobraccio e il doppiopetto dell'uniforme in fuori, tenendo dritta la linea delle spalle. Indossava un paio di cuffie-auricolari, il microfono alzato per non produrre eco in quella conversazione.

«Salve, Vostra Grazia la Gran Duchessa.»

«Salute a lei, tenente.» Sulle mostrine presentava una singola linea, senza marcature o sigilli aggiuntivi. Adocchiò il nome sulla targhetta. «Posso sapere con chi ho il piacere di parlare?»

«Stenn, Vostra Grazia. Karolan Stenn.»

«La ringrazio. Apprezzo che lei mi riconosca.»

Le parve di vederlo annuire. Rotto il silenzio, il tenente avanzò d'un passo, sollevando un rumore di suola chiodata. «Debbo chiedervi per quale ragione siete in rotta d'ingresso con il Cancello degli Orizzonti di Hael'v, Vostra Grazia, e di chiarificare le vostre intenzioni.»

«Una richiesta legittima, mishrè Stenn.» L'athmanneo assentì e tornò a testa alta. «Vede, ho pensato d'invadere la capitale del vostro grande regno, passando dalla porta principale, con tutta la potenza di una singola jachta diplomatica e una compagnia di fanti di marina. Se foste così cortesi da lasciarmi transitare, allora potremmo procedere con l'invasione.»

Il tenente aprì la bocca e si fermò. «Vostra Grazia, state dicendo...»

«Tenente, sono in visita di piacere.» Che gli venisse un malanno! Per le Venti Volontà, cosa gli costava stare al gioco? «Meramente non ho avvisato per non richiamare sospetti e cacciatori di notizie lungo la Rotta di Teehranna.»

«Quindi non siete qui per un'invasione.»

«Le mie cameriere contano come forza armata straniera sul piede di guerra? Perché se possono risultare tali, allora sono più che contenta di dirvi che quelle due popularistee mi tengono in ostaggio e che conto sull'ordine delle vostre armi per vanificare questa minaccia.»

«Tenente, la sostituisco io» esordì una voce roca, d'uomo. «La rilevo dalla posizione per qualche minuto, prima che l'Ar'Khorona la faccia impazzire.»

«Sì, signore!» scattò il tenente, girandosi e battendo i tacchi. «Con il vostro permesso, gran duchessa...» Le rivolse un veloce inchino con la testa, prima di rimettersi l'elmetto con un gesto consumato e allontanarsi a passi lunghi e ben distesi.

Ecco, questa si chiama educazione.

Heìrzenn Aerek Vohn Janlan-Vronegard s'intromise nello schermo, occupando il centro del riquadro. Un basso tintinnio l'accompagnò, siglato dalla catenina d'oro del monocolo magnificante e dalle medaglie appuntate sulla destra del doppiopetto, sopra alla Dayre-Aquila rampante. La corsa di un'alta cintura bianca gli stringeva l'uniforme. Vi era appeso il fodero di una spada ad una mano, opposto alla fondina, chiusa con lacci e bottone, di una pistola aralasket.

«Vi porgo i miei omaggi, Vostra Grazia.» disse, togliendosi il cappello. La forma e l'altezza della fronte rimandavano a Fabràs in un senso ammorbidito. Gli occhi erano del medesimo colore e dal simile taglio, seppur meno incavati di quelli del Signore di Hael'v. Erano di gran lunga più maturi e scuri di quelli di Hilda, senza avere tutta quella profondità che vedeva nello sguardo del koenighaìn.

«È un piacere rivedervi, Aerek.»

Le rispose con un educato cenno della testa, con le mani incrociate dietro la schiena. Le piacevano le sue buone maniere, anche se farglielo presente sarebbe stato un vezzo inutile. In loro c'era un tono educato, avvolto da una giusta dose di fermezza. Le ricordavano i modi di suo zio Sinmo Terezìnn, quando era stato uso fare visita al Palazzo Reale di Aphejlanthe con doni e storie di pianeti e luoghi lontani.

Haeìrrzen Aerek si schiarì la voce con un finto colpo di tosse, battuto contro il pugno. «Pare che voi siate qui per invaderci.»

«Suvvia, era solo uno scherzo innocente.»

«Immagino che lo stesso valga per il vostro stato d'ostaggio.»

«Oh, per quello dipende! Se avete predisposto una squadra di mariners per abbordare la nave e uccidere le mie due cameriere, heìrrzen, non rifiuterò il salvataggio.»

«Posso assicurarvi che farò almeno un pensiero in merito. Siete qui in visita a mio cugino il koenighaìn, dunque.»

Come se non lo sapesse! «La mia presenza gli farà senz'altro piacere, ma la mia assenza per i diciottomila-e-cinquecento anni sarebbe imperdonabile.»

«Questo è indubbio!» rise con affabilità. «La via vi è aperta, Ar'Khorona. Provvederò affinché abbiate una scorta che vi accompagni a Castellar Horìzenith. Sarete mia ospite nel mattino e dopo mi assicurerò che abbiate un volo per Hael'v.»

«È forse un invito ad un tè, questo?»

«Sì», rispose Aerek, licenziando la sua proposta con un cenno della mano. «Formale e breve, per intrattenervi qui. Il koenighaìn ha un impegno istituzionale di grande rilievo.»

«Conto che lo avviserete del mio arrivo. Di che si tratta, se posso chiedere?»

«Non mancherò di farlo, Vostra Grazia. Ben saldo sugli stivali neri a taglio alto, Aerek aggiustò la presa del monocolo. «Circa l'evento, vi comunico che è il conferimento dell'incarico alla nuova prima ministàr del regno, mishreì Anastasìs Verrdt.»



Vergognoso. L'orizzonte di prua si stava stringendo di fronte all'iride del Cancello degli Orizzonti. Gli intrecci dei rami, fitti come una maglia d'arme, palpitavano guizzi bianchi, in contrasto con le correnti viola e blu e lattescenti.

Il tumulto della corrente era in crescita. Riducendosi, lo svaso costringeva i tanti vascelli in dirittura d'arrivo ad accostare l'uno all'altro. Il cielo era tutto un moto ribollente, di radici e viticcio che si annodavano, formando un grande tetto. Bagliori intensi scaturivano a tratti alterni, sfuggendo dai varchi che la loro trama in formazione lasciava aperti

Tutto questo è assolutamente vergognoso. «Una popolana che riceve la carica di prima ministàr di un regno.» Il pensiero era rivoltante. Un ufficio del genere non poteva andare alla figlia di cosa, per le Venti Volontà? Un orologiaio e una maestrina di scuola?

Era quella una levatura sufficiente a discutere di materie di stato con un sovrano di diritto? «Già quella di borgo-mastra sarebbe stata una regalia oltre quello che il suo status si merita. Una popolana che fa la prima ministàr!»

«Può darsi che quella presa dal koenighaìn sia una scelta per il merito, Vostra Grazia» la importunò Qashytra, avvicinandosi d'un passo. «Io penso che...»

«Pensare non è un atto che ti si addice.»

La cameriera arretrò, abbassando la testa. «Certo, Vostra Grazia.»

«Brava.»

«Posso farvi una domanda, Vostra Grazia?».

Sydara lasciò la balconata della timoneria e incrociò le braccia contro il petto. «No, Vyntsa. Non puoi. Ti proibisco di farmi domande.»

«Comprendo...»

«Ah, questa sarebbe una straordinaria prima volta.»

Volevano pensare e fare domande, adesso. Ma che carine che erano, davvero. Domani cos'avrebbero fatto, provato ad essere compagne di conversazione decenti?

Un circolo di luce avvampò sopra alla crociera della 'Rhenna Tharata. Il suo brillio persistette quando si trovò alle spalle della nave. Adesso l'orizzonte era ancora più stretto.

«Siamo in dirittura d'arrivo, Vostra Grazia» le annunciò mishrè Ythamon, saldo al timone. Lo guardò di sottecchi, invidiando lo sciocco impegno con cui teneva in pari i raggi direzionali del vascello.

Se qualcuno gli avesse spiegato per filo e per segno le conseguenze di quell'investitura, la sua risposta sarebbe stata di chiedere qual era il prossimo porto verso cui fare rotta. Lui non si preoccupava di quelle materia, sapendo che non gli spettavano, e ciò lo rendeva un buon servitore.

Tornata all'orizzonte di prua, Sydara sussultò al balenare del secondo circolo d'avviso. Lo intravide roteare con apparente lentezza, agganciato alle ramificate radici dell'Infinita Eternità, e un momento dopo l'anello le sfrecciò sopra al capo. L'urlo della sua stazza megalitica che si muoveva, coordinando le correnti d'ingresso verso Hael'v, si perse nel vuoto.

Aperto il ventaglio, Sydara si fece aria con quattro rapidi colpetti.

«Vostra Grazia» esordì Qashytra, strappandole un sospiro annoiato. «Perché questa cosa vi urta tanto? Il re di Hael'v può eleggere chi più gli pare e piace, per come la vedo io. È indifferente»

«Ti ringrazio della tua profonda analisi sociopolitica. È stata davvero illuminante, in special modo nel trattare l'influenza a medio e lungo termine di un gesto per come si riflette nell'ampio bacino multirazziale di queste nostre Venti Volontà. Ti chiedo di ricordarmi di scrivere una relazione in merito.»

Coprì le proprie labbra con il ventaglio, chiudendolo di netto. «Devo assolutamente diffonderlo a tutte le corti di valore, per avvertirle che vi sarà pace nei nostri tempi. Possiamo tutti tornare, in assoluta tranquillità, a dormire sonni sereni.»

«Non vi ho compreso, Vostra Grazia.»

Perché ciò non mi sorprende? «Il che dovrebbe esserti di lezione circa il valore della tua opinione in materie di cui non sai nulla.»

«Volevo soltanto dire che è affar suo.»

«Ed è qui che ti sbagli: non lo è.» Riaprì il ventaglio e si fece aria con un colpetto inclinato. «Mi chiedo perché io stia spendendo parole per farti cogliere qualcosa che, tanto, non puoi capire. Qashytra, domanda il mio perdono per avermi fatto sprecare fiato.»

La cameriera annuì, di nuovo a testa bassa. «Potete perdonarmi per avervi fatto sprecare fiato, Vostra Grazia?»

«In ginocchio.»

«Certo, Vostra Grazia» rispose la sciocca, piegandosi in avanti. Il brusco passaggio del terzo anello la sbilanciò, schiacciandole uno strattone sul fianco, e lei ruzzolò sul pavimento della timoneria. Si rialzò mesta in viso, massaggiandosi la spalla.

Coprendosi le labbra con il dorso del ventaglio per non farsi vedere mentre rideva, Sydara rivolse i suoi occhi al cielo dei grovigli. «Accolgo il tuo perdono, Qashytra. Vai a preparare i miei bagagli, adesso.»

«Certamente, Vostra Grazia...»

«E porta Vyntsa con te, prima che ordini a qualcuno di farle rivolgere tutte le sue domande ad una parete da qui alla sua morte.»

Con il superamento del terzo anello, la strada per il Cancello degli Orizzonti era al finire. Il cuore dell'ingresso palpitava a portata d'occhio, azzurro e viola e bianco. Riposto il ventaglio nella fascia stretta alla vita, Sydara strinse un nodo della balaustra. Trasse un profondo respiro, misurando l'incombere dei margini del Cancello, spaziati a coprire i fianchi di tutto l'orizzonte. Alti come monti impilati l'uno sull'altro, contrastavano la corrente dall'altra parte, incassando il ritmo degli ingressi e delle uscite senza tremare.

Erano costruzioni meravigliose.

La 'Rhenna Tharata s'innalzò ad incontrare il varco, spingendo con i reattori dorsali e di poppa. Sydara tese la stretta al capitello della ringhiera.

L'impatto con il varco le scivolò addosso, abbagliandola. Di riflesso, all'approssimarsi d'una luce intensa, chiuse gli occhi. L'intensità dei raggi calò, continuando a pungerla attraverso le palpebre. Assottigliò le labbra, sibilando un breve, gelato sospiro.

L'odore dell'acqua salmastra, con il suo sapore di sale, la stuzzicò. S'impettì, levando un palmo a carezzare un immobile raggio di luce azzurrina. Lo strappo in avanti lo fece scomparire, picchiandole uno schiaffo sulle scapole. Il suo contraccolpo arrivò un momento dopo, facendo d'anticamera allo spalancarsi d'un grande mare di nuvole. Si allungava all'orizzonte di prua, oltre le braccia della corsia d'uscita dal cancello, pascolando con lentezza sopra al corso dei fiumi Aldebrandt e Rhaìmbrandt.

«Ah, il brillante sole di Hael'v!» esclamò mishré Ythamon, lasciando la conduzione del timone alla sola mano sinistra. «Ogni volta che emergo qui, Vostra Grazia, lo sento bruciarmi la pelle.»

«Sono familiare con la sensazione» commentò, aprendo il parasole e appoggiandone l'asta alla spalla. «La conosco, non si preoccupi. La conosco bene...»

Il viaggio incontro all'ovest del Rhaìmbrandt s'intersecava con quello orientale dell'Aldebrandt, isolando l'Isola d'Ismarka tra la corsa delle loro acque blu scure. Su entrambi i fiumi correvano molti battelli commerciali, piccolissimi da quella quota.

Anche il profilo delle ciclopiche mura di Hael'v Reghial appariva piccolo, a discapito delle sue montuose stature. Oltre gli estremi orientali delle mura, un panorama di quadretti gialli e verdi, tagliati da grandi arterie, segnava l'aprirsi di una vasta campagna.

Seguendo a ritroso la corsa zigzagante del Rhaìmbrandt, Sydara scorse le dighe del Grande Canale del Golfo di Hael'vsaphen aperte al traffico della giornata e attraversate da dodici, chilometriche corsie di vascelli marittimi in andata e ritorno. I più avanzati sfilavano sotto gli archi del Ponte di Steerlandt, che ribolliva del traffico giornaliero.

Più a nord, sempre in linea diretta con il canale, coperte da un leggero banco di foschia mattutina, le spire e i minareti di Kìelshaphen s'allungavano incontro alle nuvole. Giganti, pensò, in immobile rivalità con quelli di Hael'v Reghial.

La loro crociera a lenta spinta nel cielo proseguì finché le lunghe e massicce braccia del Cancello degli Orizzonti li abbandonarono, scivolando alle loro spalle. Sydara scorse un centinaio d'altri ingressi ed un simile numero d'immersioni nell'Infinita Eternità.

Schermandosi gli occhi con la mano, issò il parasole. In alto nel cielo, diagonale rispetto al Cancello, Castellar Horìzenith si stagliava, scintillando come se d'argento.

Il Porto del Principe Edwigh era aperto agli arrivi del giorno, con le sue banchine ad omega distese oltre le mura perimetrali. Lungo alcune scorrevano già le operazioni d'attracco di alcune navi desiderose di attraccare lì, sotto l'egida protettiva delle torri d'artiglieria e delle casematte binate.

Mishré Ythamon schioccò la lingua. Si tolse il cappello e lo strinse dietro la schiena. Uno strale del grande mare di nuvole si ritrasse, portato via dal vento, liberando una porzione del cielo. Dalla sua massa in ritirata emerse uno scafo appuntito, grigio scuro tranne che per una riga a metà altezza, dipinta in blu regale.

«Mishré Ythamon, offra un saluto alla nave.»

«Certo, Vostra Grazia»

Avanzando oltre gli strascichi delle nubi, il vascello da guerra dominò il loro babordo, impegnandosi in una lunga e lenta virata ascendente. Il castello centrale e quello di poppa, interconnessi da brevi corse di linee mag-lev e da torri di comunicazioni, erano oscurati dallo schermare la luce mattutina al corridoio d'imboccatura per il Cancello degli Orizzonti. Le bocche da fuoco esposte dalle casematte dorsali erano bloccate con i tappi di sicurezza e in posizione di riposo.

«Oh, è la RMRH-Lendenn» disse Sydara, facendo roteare l'asta del parasole. Era quella la scorta inviata da Aerek? No, non poteva esserlo. Era troppo vistosa. «Questo vuol dire che ho vinto una scommessa.»

«Vostra Grazia?»

«Non se ne curi, mishrè Ythamon. Era una questione di poco conto con l'Ar'Khorona Veìssìra.»

«Fintanto che si tratta di schiaffare una vittoria di Lanathea in faccia a Vessirethea, Vostra Grazia, ogni questione vale qualcosa. L'importante è batterli, dico io.»

«Sono lieta di sentirle dire ciò...»


https://youtu.be/aqFo-wqQqlQ

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