Ar'Khorona Sydara 'Rhenna Valas, I

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"Ci sono occasioni in cui mi ritrovo a chiedermi, indecisa tra l'inquieta o l'affascinata, se gli dei athmannei abbiano creato la guerra così che le Stirpi degli Uomini potessero, tra caso e guadagno, imparare la geografia."

-Ar'Khorona lysyssive Sydara 'Rhenna Valas.

Estratto dalle sue "Riflessioni Nomin-eirulantiqaee",

vergate tra la Sesta Fragmentha di D.A.421.001 e la Nona Fragmentha di D.A. 421.007



Adagiandosi allo schienale della poltrona, Sydara rivolse i suoi occhi a seguire il ticchettante andirivieni delle due cameriere. Soffiò sul bordo della tazzina per raffreddare il tè che Qashytra le aveva appena servito e un filo di fumo profumato si allontanò, disperdendosi nell'artificiale tepore dello studio. Quella sciagurata! Preparare una tazza di tè senza sfornare un intruglio bollente da tirare ad un plotone d'invasori era chiederle troppo? Forse.

Carezzò il bordo della tazzina, sospirando. Se Qashytra non fosse stata una probabile spia, per quell'ennesimo fallimento avrebbe seriamente considerato l'idea di farla annegare in un canale di scolo da Ràh-Shun. Siccome lo era, quel proposito continuava a tentarla da vicino. Soffiò ancora una volta prima di sorbire un sorso, così caldo da pungerle le labbra.

La cameriera si volse a capo chino e intrecciò le mani in grembo. Sydara ponderò che avrebbe potuto dirle quanto era sorpresa, anzi allibita, da quel brodo amarognolo. Se lo sarebbe meritato, ma nutriva il sospetto che la cameriera già lo sapesse.

«Qashytra.»

«Sì, Vostra Grazia?»

Descrisse un nuovo cerchio con l'indice lungo il bordo della tazzina, carezzandolo con deliberata lentezza e inspirò il profumo della vaniglia e del gelsomino. Era quasi piacevole. Anche un chronometròn rotto riusciva a segnare l'ora giusta almeno una volta al giorno.

Ripose la tazzina e il suo abbinato piatto di porcellana di Calen sul tavolino. «Manca la panna.» Avvicinò il servizio al vassoio d'argento senza farlo tintinnare, spingendolo pian piano con l'indice.

«Davvero, Vostra Grazia?»

L'Ar-Khorona guardò la cameriera di traverso. «Sì.» Che genere di domanda era? «Eri distratta mentre lo preparavi? Posso chiedere se stessi pensando a qualcosa d'importante?»

Era dal giorno in cui il favorito di sua sorella gliela aveva regalata, assieme alla sua indegna pari Vyntsa, che dubitava lei fosse in grado di compiere un atto tanto complesso. Aveva covato quella sensazione perfino nei rari momenti in cui il buon umore l'aveva portata a trovarla d'una stilla meno intollerabile del solito.

La frequente, organizzata assenza di quella cameriera durante tali momenti era di certo un mero caso. Mi chiedo se sussista una correlazione.

«No, Vostra Grazia» Qashytra si avvicinò al tavolo e si chinò a prendere il vasetto che conteneva la panna. «Io... devo essermi dimenticata di metterla. Vi chiedo scusa, Vostra Grazia.»

«Oh, se soltanto questa nuova rivelata riuscisse a stupirmi...» disse, accavallando le gambe e tirando l'orlo della gonna a coda di sirena perché continuasse a coprire le allacciature dei tacchi. Vide l'accenno d'una smorfia sul viso della cameriera, ma quando strinse gli occhi trovò ad accoglierla la solita espressione di amorfa inutilità.

«Allora consideravi quali spese fare con il tuo prossimo stipendio?»

La cameriera sollevò il coperchio del vasetto, intinse un cucchiaio d'argento nella panna e lo versò dentro la tazza, dosandola con l'aiuto di una bacchetta. «No, Vostra Grazia.»

«Buono a sapersi!» le fece cenno di metterne altra. Era una vaykhiine anche lei, pur se di una schiatta infima. Le dosi avrebbe dovuto saperle misurare d'istinto. «Perché posso assicurarti che quello stipendio non lo vedrai questo mese.»

«Sì, Vostra Grazia. Capisco la punizione.» Qashytra si sollevò su di un ginocchio, lisciando le pieghe della sua livrea di servizio. Almeno manteneva un minimo di decoro. «Desiderate dell'altro, Vostra Grazia?»

La sua morte sarebbe stata una richiesta esosa? Se l'avesse rivolta a Fabràs, pretendendola come regalo d'anniversario di nascita, lui avrebbe provveduto?

Se glielo domandassi in carta bollata con firma autografa, presumo di sì. Ah, lui e le sue liste. Probabilmente ha una lista di liste. «Che tu vada a chiedere al capitano quanto manca all'arrivo.»

Qashytra le rivolse la cortesia d'una riverenza e il piacere di vederla sgusciare fuori dallo studio, sparendo oltre la soglia con un affrettato svirgolo di gonne bluastre. Preso uno dei biscotti di companatico, contemplò che in sua compagnia restava soltanto Vyntsa. Poteva tollerare una sola scocciatrice alla volta, quindi che restasse pure nello studio. Sull'attenti, preferibilmente.

Concederle di non stare sulle punte sarebbe stato troppo generoso.

Assaporò un boccone del biscotto, trovando piacevole la crema di jandea dentro alla pastafrolla addolcita da essenze di vaniglia. Nelle pasticcerie di prim'ordine di Hael'v si trovava di meglio, ma se la cambusa della 'Rhenna Tharata non poteva offrirle altro, accontentarsi era virtù.

Pulite le proprie dita con un fazzoletto di seta di Vashwa, Sydara si accomodò meglio sulla poltrona stringendo le gambe e spianando le curve della gonna. Incontrò lo schienale e appoggiò la destra sul bracciolo, stringendo tra le dita le ali della Viverna Assetata.



Già, Fabràs. Immaginarlo disposto ad accontentare le sue richieste in materia di riduzione del personale era una quisquilia scherzosa, ma non toglieva nulla al fatto che si stesse presentando alla sua porta senza prima farsi annunciare.

Lui non amava molto l'improvvisazione, da fare così come da subire, pur apprezzando la sorpresa, se non altro per la preparazione che richiedeva. In qualità di Ar'Khorona poteva comprenderlo e condivideva, almeno in parte, la sua idea. Certo, le dispiaceva che lui difettasse d'estemporaneità, in quel momento più che in altri trascorsi, ma la corona era un peso sulla fronte di chiunque la portasse. Soffocava certe leggerezze rendendole forse più prelibate.

Un tremore si diffuse dal pavimento, riverberando fino al servizio sul vassoio. Vyntsa occhieggiò al piattino con la tazza e le sembrò pronta a lanciarsi in avanti per salvarli prima che si potessero sbriciolare contro il prezioso tappeto amshaedino. Allentando la presa sulle ali della Viverna, Sydara puntellò il pavimento con un tacco. Il servizio continuò a sussultare, scuotendo le gambe del tavolino da caffè.

Uno schizzo di tè si levò oltre il bordo, cadendo sull'angolo. La cameriera lasciò la propria posizione e si affrettò a raggiungerla, chinandosi a fermare il piattino con le dita. Un secondo sussulto le fece guardare i lampadari che ondeggiavano.

«Ci stanno bombardando?!»

«Ne dubito.»

«Ma ci sono le scosse...»

«Sì», le disse, prendendo il piattino dalle sue mani e sorbendo un sorso. Il tè era ancora ammantato da un tepore piacevole. «Ho notato la loro presenza.»

«Sono i pirati, Vostra Grazia?»

Sarebbero stati degli avventati se avessero dato l'assalto ad un vascello diplomatico quale era la 'Rhenna Tharata, con la possibilità di venire respinti dalle sue artiglierie ventrali. «Se lo fossero, si meriterebbero un premio e un castigo.»

La sua indesiderata interlocutrice la guardò, sollevando un sottile sopracciglio, nero come i capelli raccolti in una semplice crocchia. «Vostra Grazia?»

«Un premio per il coraggio di attaccare la 'Rhenna» La divertiva la preoccupazione che albergava negli occhi della servitrice. «Mentre il castigo per il farlo partendo dal basso, il che li rende i pirati più incompetenti che si siano avventurati su questa rotta negli ultimi trecento-e-cinquanta anni.»

Bevve un altro sorso e sgranocchiò un biscotto. «Non sono pirati: il capitano ha soltanto cambiato la rotta, come da mie disposizioni.» Per quanto queste fossero di farlo con una misura dell'abilità che si ascrive ad un professionista, anziché la grazia di un goblin in un negozio di cristalleria.

«Qualora dovessero essere pirati» disse, seguendo con l'indice il profilo della tazza. «se decideranno di prenderti in ostaggio e portarti via per tenerti prigioniera nel loro antro oscuro e pieno di topi pestilenziali...»

Recuperò il manico ed inspirò il profumo della bevanda. «Allora offrirò loro una lauta ricompensa, anziché un riscatto.»

«Vi ringrazio per questa premura, Vostra Grazia.»

Prese un altro sorso. La tentazione di svelarle che la rotta appena intrapresa dalla 'Rhenna Tharata era più esposta alle scorribande dei pirati le risalì dalle mani alla fronte. In effetti lo era.

Uno scalpiccio ticchettante la distrasse dall'idea. Si rivolse alla porta dello studio. Qashytra era già alla soglia, le mani conserte in vita. «Vostra Grazia», esordì con una riverenza, «il capitano mi ha pregato di riferirvi che, in seguito allo scambio di rotta, ci troviamo a quattro ore dai confini di Vronegarth.»

«Ti ha anche chiesto di portarmi le sue scuse per la pessima manovra?»

«No, Vostra Grazia» cinguettò la cameriera, immobile sulla soglia. «Temo se ne sia dimenticato.»

Perché non la sorprendeva? Mishrè Ythamon apparteneva ad un calibro di soggetti ai quali l'atto di scusarsi risultava stretto. «Abbiamo lasciato la Minore Avernaia, sì?»

«Sì, Vostra Grazia. Il capitano ha detto che ci troviamo in profondità nella Rotta di Teehranna.»

Ottimo, ottimo a sapersi. «Hai sentito la lieta nuova, Vyntsa? Ora puoi avere paura dei pirati.»

«Qui ci sono pirati?» chiese subito la seconda cameriera rivolgendosi a Qashytra senza, però, rispondere prima all'Ar'Khorona.

«Il capitano non mi ha detto nulla...»

«Oh, ha taciuto in merito?» Considerando a quale soggetto si stavano riferendo, non era sorprendente. Se gli avesse consegnato il comando di un vascello più agguerrito e corazzato, con ogni probabilità mishré Ythamon avrebbe levato le ancore due ore dopo per andare a caccia di pirati.

Riusciva ad immaginarlo, solerte e stolido in plancia, mentre sguainava la sciabola anchant ed ordinava al primo ufficiale, con assoluta sicurezza di sé e delle proprie idee stupide, di condurre la nave il più vicino possibile al nemico, in modo da poterlo colpire all'arma bianca. In qualche modo, prestava un preciso velo di senno alla decisione di non affidargli niente di più massiccio di quella okean-caracca della 'Rhenna Tharata.

In un tempo come questo, armare con una pistola carica la mano di un falco bellicoso è deleterio.

Che pazientasse ancora ed ancora per i suoi sogni di gloria... e se proprio doveva nutrirli, almeno che imparasse a cambiare la rotta in modo dignitoso!

«Sì, Vostra Grazia. Ha detto che sono pensieri per cuori vigliacchi.»

«Non gli si può proprio negare d'avervi inquadrato bene, allora!» sollevò la tazza del tè e sorbì un lungo sorso, godendone il tepore. Pur lavorando a pieno regime, il riscaldamento di bordo sembrava intimorito dal freddo dell'Interminabile Eternità. Era una caligine senza colore, dalle adunche dita di ghiaccio. Strisciavano attraverso le paratie, ticchettando sui camminamenti.

Era lo spazio siderale ad essere contaminato da quel gelo? Oppure era lui che lo trasmetteva alle rotte dell'Interminabile Eternità?

Era una domanda per i filosofi.

Al sopraggiungere di una scossa, Vyntsa si guardò attorno. Strinse le mani alla tasca della sopravveste di servizio e, per un momento, le sue vene furono in evidenza sulla carne bluastra, proprio come quelle dei malati. «Ne sei sicura?»

«Così ha detto il capitano...» mormorò Qashytra, occhieggiandola con un guizzo di timore nelle iridi rosse. Si era aggrappata alla soglia della porta per non cadere. Sollevò il mento in cerca di qualcosa sul soffitto, abbassandolo non appena il pavimento riprese a scuotersi. Tra le due era la più calma, o quella che sapeva fingere meglio. La seconda era più probabile, tenendo in conto che genere di soggetto era.

Una spia la si poteva dire un soggetto? Quella parola le rendeva troppo valore, a conti fatti. L'accostava ad una persona vera, ma lei non se lo meritava.

Aveva un'altra domanda: mishré Ythamon si sarebbe permesso quelle manovre se avesse avuto il timone di un vascello più consono ai suoi gusti? Era una ripicca per l'assegnazione, senza dubbio.

«Se l'ha detto lui...»

«Ti assicuro che è così» insistette Qashytra. «Non ci sono vascelli pirata nell'area.»

Che non ce ne fossero era ovvio, perché non riuscivano a notarlo da sole? Erano appena usciti da un'arteria maggiore, per tutti i frantumi del Tharatoryan! I pirati non aspettavano le loro prede immediatamente ai varchi, dove correvano il rischio di venire intercettati da un vascello da guerra impegnato a fare una crociera per le insegne o da una pattuglia. Sarebbe stato stupido, nonché improduttivo.

In un mondo come il loro, quelli erano due presupposti per una vita molto breve. No, loro si annidavano più in profondità, all'interno, da dove potevano osservare il traffico e decidere in tranquillità quale preda attaccare.

Era più semplice, più logico e permetteva ai loro capitani di non fallire.

Il servizio del tè riverberò una cascata di cristallini tintinnii, facendole temere che potesse cadere. «Sarebbe degno d'una decorazione al valore per la lotta alla diffusione del panico negli animi vili e per l'impegno, solerte e profuso, contro le false notizie.»

«Sì, Vostra Grazia.»

Rivolse a Qashytra un mezzo assenso, il più spiccio e grigio che le era possibile fare. Il suo riflesso in uno specchio, si disse pensando alle due cameriere, sarebbe stato un interlocutore più interessante. Perlomeno avrebbe offerto un sincero spunto di riflessione sull'incontro tra i pari.

Un guizzo la portò a curvare le labbra in un accenno di sorriso, chiedendosi se dovesse vergognarsi di quella sua involontaria imitazione di Fabràs. Decidendo di non condividere quel patetico tentativo di battuta con l'anfitrione che l'aspettava in Hael'v, si alzò dallo scranno per avviarsi alla porta, lasciando la Viverna Assetata del bracciolo ad una più che giusta solitudine. Trovava che le si addicesse.

Era un peccato che l'altro bracciolo non ospitasse la miniatura di un tharatoryan che si slanciava all'attacco, con la sua leggendaria spada brandita alta sopra al capo e lo scudo pronto a respingere qualsiasi assalto. Sarebbe stato bello, un modo per omaggiare la sua leggenda, nonché un parificare i braccioli.

«Vyntsa» la chiamò, raccogliendo dal tavolo il ventaglio cerimoniale. «Anziché preoccuparti di cosa i pirati potrebbero farti, stila una lista dei dieci artigiani di Lanathea che ritieni più abili nella scultura. La voglio pronta per quando faremo ritorno.»

Era una data indefinita, apposta per annidarle l'ansia in petto e farle venire fretta. Anche ammettendo che sapesse scrivere senza sbagliare la postura degli iati, il che sarebbe stato un piacevole cambio di rotta, non aveva alcuna intenzione di valutare la sua lista. Non la riteneva in grado di farne una di pregio, ma illuderla e ignorarla le avrebbe fatto riportare ai suoi veri signori una futile quantità di notizie inutili.

Qashytra scartò per portarsi alle sue spalle e la omaggiò con un doveroso cenno del capo. La ignorò, come ignorò la vibrazione che insorse dal pavimento.

Si volse a guardare le sue stanze, sorvegliando l'operato delle cameriere. Avrebbero mantenuto il riserbo su quel viaggio? No, ovviamente no. L'idea di farle uccidere poco dopo l'arrivo in Hael'v, per poi assoldarne una nuova scuderia, la solleticò.

Ucciderle sarebbe stata una soluzione semplice per un annoso e ritrito problema. Le cameriere vaykhine, in special modo quelle di bassa lega sociale, erano chiacchierone corruttibili.

Oh, in tal caso se non avessero avuto già informato, per vie traverse, sua sorella circa il suo viaggio senza scorta in Hael'v, avrebbe dato per certo che avrebbero provato a mandarle un dispaccio in un secondo momento, una volta fuori dal dominio di Fabràs.

Non si sarebbero mosse durante la sua permanenza. Il rischio di provocare un incidente diplomatico era troppo grande.

Quelle due infide erano di sangue modesto, sì, ma non delle stupide. Non sarebbero state un problema, altrimenti, per quanto uno di piccola taglia. Se le avesse lasciate a cucire in Lanathea avrebbero capito che nutriva dei sospetti e si sarebbero date alla macchia.

Sospirò piano, seguendole mentre riponevano la sua veste da camera nel grande armadio con le quattro ante a specchio. Un guizzo di fastidio le punse la nuca, ricordandole che quelle loro piccole, rielaborate manine avvelenatrici toccavano la sua biancheria. In Hael'v avrebbe potuto dispensarle dal loro servizio, anche se per pochi giorni, adducendo a cause l'ospitalità dell'anfitrione e il suo generoso desiderio di concedere loro qualche giorno di licenza.

Sarebbe stata una buona occasione per seguire da lontano i loro movimenti.

«Desiderate che vi faccia da scorta, Vostra Grazia?» La voce di Ràh-Shun la richiamò alla realtà, facendola voltare a testa alta verso lo jànnìqvaphìr hussyqeo. Era smontato dal suo piantone di guardia per affiancarla, silenzioso alla pari di un tendaggio di palazzo in una giornata di bonaccia.

Lui era stato un buon acquisto.

Diversamente da quelle due cameriere traditrici, non l'aveva potuto innestare al suo servizio senza prima sostenere delle spese. Quella vecchia incartapecorita della Vyzhràh di Hussy'q si era fatta pagare un solido prezzo tanto per lui quanto per gli altri tremila-e-novecento jannìqvaphìr acquistati per fortificare la sua guardia personale. Ricordava come aveva sogghignato nel momento in cui, dopo avere pattuito la loro vendita, le aveva appuntato il fatto che anche il loro equipaggiamento doveva essere acquistato con oboli sonanti.

Vecchia maledetta... ma dopotutto, quando mai Hussy'q regalava qualcosa?

Non si poteva avere tutto e la vecchia lo sapeva, l'aveva detto, e si era fatta pagare a peso d'oro terrano per ciascuno di quei jannìq'. Tenendo conto di quanti milioni ne produceva all'anno, avrebbe potuto concederle uno sconto.

Aprì e chiuse il ventaglio, dando un preciso comando allo jannìqvaphir. Lo ripose in un taschino della cinta di seta, interno al nodo stretto al fianco, ma si assicurò che il manico si presentasse per pochissimo dal tessuto della fascia. Quel tanto che bastava per indicare agli occhi indiscreti che sì, l'aveva con sé. Qualcuno degli sciocchi a bordo sperava davvero di poterla cogliere in fallo sull'etichetta?

Illusi.

Ad ogni modo, se ne sarebbe servita dopo. Il ventilato e tiepido microclima del vascello lo rendeva un ammennicolo inutile nella pratica, ma la teoria voleva pur sempre la sua parte.

Accennò allo jannìqvaphìr di aprirle la porta e lo seguì mentre ubbidiva in silenzio, contenta del fatto che non gli servissero istruzioni pronunciate. Su quel versante, la vecchiaccia aveva ragione: uno haelpès che riusciva a capire cosa dovesse fare senza bisogno di troppe parole era merce pregiata.

Avergliela dovuta pagare le bruciava, ma quel livello di qualità, purtroppo, di rado lo si poteva raggiungere con gli schiavi razziati in qualche porto. Se erano bambini e si coltivavano bene le loro qualità allora era un conto, ma quello richiedeva quasi altrettante spese dell'acquistare a contratto un prodotto finito da una rivenditrice professionista.

Curvò le labbra, offrendo una smorfia divertita al riflesso che vedeva intessuto negli specchi cristallini ai fianchi dell'uscio. Con tutte quelle scosse, era sorprendente che non fosse emersa una singola crepa. Usò il riflesso per sincerarsi che la sua acconciatura fosse in ordine, bianca e precisa nella sua architettura.

Sì, avrebbe potuto vendere quelle due spie in schiavitù. Oppure perderle in un tragico, tragico assalto dei pirati di Lokhaìr, per fare piacere a Vyntsa e accontentare le sue sciocche fobie.

Spazzò via quell'ipotesi, nascondendo il suo sorriso dietro la computa linea delle labbra chiuse. Ammettendo che lui accettasse di prestarle i suoi costosi servigi, quel mulatto mezzosangue si sarebbe fatto pagare una vera fortuna per inscenare l'abbordaggio e niente le avrebbe dato una garanzia sul suo silenzio. Se avesse pagato anche quello, si sarebbe piegata ad un vile gioco al rialzo. Se non l'avesse fatto, lui avrebbe incassato il suo denaro, reso omaggi e grandi, vuote promesse da mariner e preso il suo congedo con magari un bell'inchino.

Dopo poco tempo, le voci su di lui sarebbero tornate a farsi sentire vive e forti, rivelandole che magari aveva venduto la verità su quell'abbordaggio al favorito di sua sorella al doppio del prezzo.

Arricchire le sue tasche di filibustiere non era nelle sue priorità, né dare adito a scandali. Non per due cameriere di bassa lega sociale.

Ràh-Shun sollevò il palmo tatuato d'azzurrini hyero-glyphìs hussyqei e lo pressò contro la gemma, spingendola dentro la serratura. Uno scatto riverberò dalla porta al pavimento della sala, confondendosi nell'andirivieni delle vibrazioni.

Accompagnate dalle nenie di quattro catene di trasmissione, le ante della porta si divisero davanti a lei. Varcò la soglia con un bel passo ticchettante e fu nel corridoio, ad osservare l'incrociarsi delle indaffarate marce della servitù di bordo.

Sentì un refolo di vento artificiale scorrerle addosso e si lasciò la porta alle spalle, scortata da Ràh-Shun. Tese le orecchie al battito dei suoi tacchi sul tappeto, ignorò a testa alta gli omaggi delle sentinelle maschie che montavano la guardia ai lati dell'uscio e proseguì, un passo nel rosso soffuso dalle lucerne incassate nelle pareti e l'altro nelle sottili penombre fresche.

Le navi degli athmannei erano accecanti, piene di luci e lanterne e fari e minarat di segnalazione. Lo trovava uno spreco di materiali, esagerato ed ingiustificabile, quasi a sottolineare che una parte ancestrale del loro essere aveva paura del buio.

Le sue navi le preferiva riservate, in qualche modo capaci di ricordarle la sotterranea bellezza di Lanathea. Il buio era fresco e accoglieva, proteggendo con una calda mantella chi aveva occhi per vedere attraverso le sue trame.

Livellandosi gradualmente attraverso quattro scalini di scolpito alabastro di Forrian, il corridoio declinava in una via maestra che avanzava, d'ampio e generoso respiro, per un sesto del castello di poppa, occlusa ai lati da contrafforti ordinati con colonnati paralleli e adorni di statue.

Altre quattro sentinelle sorvegliavano la strettoia che portava ai gradini e dopo di loro, due operavano una guardia continua, marciando da un fianco all'altro dell'ingresso al percorso. I tintinnii delle loro armature a maglia di scaglie erano monotoni.

Sydara fece cenno a Ràh-Shun di starle vicino, poi incrociò oltre le guardie del quarto gradino e puntò alle sentinelle di pattuglia. Si fermò a pochi passi dai loro stivali chiodati, intrecciando le mani contro la cinta stretta in vita.

Ricacciò l'amaro del disappunto, decidendo che poteva aspettare almeno un istante. Lo avrebbero scoperto a breve.

Ignare del perché le stesse degnando della sua attenzione, le guardie si fecero da parte e montarono sull'attenti, irrigidendosi. In spalla avevano gli arabalas-fucili mentre al fianco portavano delle spade lunghe un braccio, con la lama a doppio filo e la guardia a coppo.

Spostò i propri occhi su quello a destra e gli comandò di avvicinarsi, dandogli il permesso con la mano. Rotta la propria postura, il fantaccino le venne incontro. «Saluti, Vostra Grazia!»

«Grazie.» La pazienza premiava. Svirgolò con l'indice al suo fucile, indicandolo. «Rimuovi la baionetta dalla canna, gentilmente.»

Gli occhi purpurei del vaykhine si strinsero, animati da un dubbio confuso. Sotto l'elmo crestato aveva una corta zazzera di capelli lisci, nerastri e poveri. «Vostra Grazia?»

«Oh, devo essermi espressa male. Che io l'abbia formulata come una richiesta?» Eccellente, ho a che fare con uno stupido. «Il mio era un ordine, soldato. Esegui.»

Togliendosi la tracolla dalle spalle, il soldato portò il calcio dell'arabalas-fucile sul pavimento e con la sinistra afferrò la presa della daga-baionetta. La disarmò dalla canna con uno strattone verso l'alto e poi restò in attesa, guardandola senza fissarla negli occhi.

Era giovane e stupido. Gli fece cenno di consegnargliela e lui obbedì, porgendole l'arma per il manico, le dita appoggiate al tronco della lama. Usando il lembo della cinta per stringere il manico della baionetta senza doversi sporcare le dita, Sydara accettò la consegna e la porse alle mani dello jannìqvaphìr. Ràh-Shun la prese e la sollevò, restando poi immobile a scrutarla.

Lasciato ricadere il lembo a pendere vicino alla gonna, la Ar'Khrona accostò l'indice al manico della baionetta e risalì con calma, sfiorando il principio della lama: «Ruggine.»

«Vostra Grazia, io...»

Stese la sinistra, imponendogli il silenzio. «Non peggiorare la tua situazione, Narvìr. Lo dico per te e dovresti essermi grato per questo interesse, che vorrei evidenziare essere più di quello che ti meriti. Allora, ruggine sulla lama della tua baionetta. O questa viene dalle caserme del Secondo Anello di Lanathea e sottolinea che dove scelgo di non guardare domina la sciatteria...»

E ciò è inaccettabile.

Lo vide tentennare, con la bocca schiusa come a voler dire qualcosa. Si zittì da solo, risparmiandole la fatica di ordinarglielo. Era capace di fare almeno una cosa, allora!

«Oppure sei stato trasferito qui di recente.» E non poteva essere diversamente. «Ciò potrebbe apparire come una giustificazione, ma emerge un contenzioso interessante. Com'è possibile che io mi sia ricordata del tuo nome, ma che tu non ti sia ricordato di gestire con oculatezza il tuo equipaggiamento?»

Dirgli che costava sarebbe stato inutile. A vista non gli sembrava una personalità in grado di concepire neanche un accenno dell'importanza o del valore del denaro.

Anzi, era sicura che lui fosse uno di quei fantaccini che, spensierati e stupidi, andavano a sperperare il loro stipendio da mangiapane a tradimento in squallidi locali come quella bettola dei Tre Boccali, nel Secondo Anello.

Spostò il proprio sguardo sul suo compagno di pattuglia, poi al viso tatuato di Ràh-Shun: «Raduna quattro loro compagni, ordinagli di frustare questi due incompetenti quindici volte.»

Se il commilitone non si era accorto della mancanza di Narvìr, era distratto e meritava una punizione. Se l'aveva vista e aveva fatto finta di niente, era sciatto e quindi meritava una punizione. «Assicurati che non siano mai più assegnati a questo vascello.»


Da sette notti e sei giorni il suo vascello affrontava le correnti dell'Interminabile Eternità a testa bassa, inerpicandosi a piena crociera lungo le fronde della Rotta di Teehranna. Per ben due volte, dall'ingresso nei confini del Golfo della 'Nauthea, aveva ordinato a mishré Ythamon di rivolgere la prua in una direzione diversa da quelle che i geografi-aruspici prescrivevano nei loro panegirici nautici. Il viaggio si era allungato, un punto che in effetti la spazientiva, ma si augurava che ne avesse guadagnato in segretezza.

La quiete era svanita con i tremori e la compagnia delle due cameriere.

La Rotta di Teehranna era meno trafficata della Grande Avernaia Terranea e questo voleva dire meno occhi indiscreti puntati a lei. Di contro, la possibilità d'incappare in qualche vascello dei pirati era diventato un pensiero fisso del primo capitano.

Far sfuggire agli sguardi altrui una jachta di rappresentanza lunga quattrocento-e-novantuno metri, pilotandola attraverso rotte secondarie in regioni distanti dalle arterie commerciali principali era... fattibile. Poteva rivelarsi complesso, presentava il rischio di pirati oppure di corsari al soldo del favorito di sua sorella, poteva mettere sottopressione i quadri ufficiali dell'equipaggio, far temere loro per la sua incolumità, ma non era un compito oltre le loro possibilità.

Non era nemmeno la prima volta che ordinava a quel vascello di portarla in Hael'v attraverso quelle tratte. Ciò che non era nel reame del possibile era il convincimento che la sua ammiraglia di flotta, con sette chilometri di stazza da poppa a prua e seimila cannoni navali da crociera disposti lungo i ponti dell'artiglieria, non avrebbe sollevato pensieri, né attirato l'attenzione di tutti nel raggio d'un milione di mondi abitati navigando nel bel mezzo di una delle vie più trafficate delle Volontà.

Qualche giorno di noia in più valeva bene l'evitarsi almeno una mezza dozzina di grattacapi diplomatici, soprattutto con la missione di pace in corso in Lejai Lìlienna a innalzare la tensione internazionale. Qualcuno avrebbe potuto vedere lo sfoderare l'ammiraglia come il principio di una mobilitazione generale.

«La plancia del castello di poppa, cortesemente.» ordinò all'usciere di turno, prendendo l'interno della cabina senza appoggiarsi al vetro di fondo.

«Sì, Vostra Grazia.» Lasciò cadere un secondo di silenzio intanto che lui riassestava i cancelletti di bronzo della cabina, sigillandoli con un giro di chiave.

Gli rivolse un cenno rapido, voluto dalla circostanza piuttosto che dal suo interesse per lui. L'operatore di cabina pressò il glyph riferito alla plancia e si sistemò alla sinistra dell'inferriata a maglia di rubini, intrecciando le mani contro la vita. Quando era entrata nella cabina si era tolto il cappello blu in segno di saluto. Se non altro, era ben educato.

Con uno scossone, la cabina si scollegò dai mag-ancoraggi che la inchiodavano al pavimento. Cominciò l'ascesa con uno sparuto colpo di tosse dato dai meccanismi di spinti, veloci a prendere il ritmo e far guadagnare metri di percorso alla pedana.

Il rullio dei catenacci di trasmissione le riempì presto i timpani, pungolandola alle tempie con uno scatto uguale all'altro. Il loro animo metallico si sentiva nel tono, greve e ferroso. L'operatore si rimise il berretto e saldò la presa del sottogola, regolandola con veloce, consumata pratica. Era uno dei pochi athmannei a prestare servizio sulla sua jachta di rappresentanza, sorvolando i rielaborati jannìqvaphìr. Dove i loro incarnati erano una tinta di bronzo e scure olive di Ahzsa'Shqalona, cotti da un sole perfino più forte di quello che batteva le terre di Vronegarth, la pelle dell'operatore era tutta un pallore lattescente.

Anche Fabràs aveva un colorito simile, pallido e bianco, benché più vissuto e segnato dal passaggio dei tanti decenni, ma non l'avrebbe detto consumato, né da vecchio al declino.

Se l'avesse fatto, sarebbe stata ingiusta nei suoi confronti. La guerra regalava tanti presenti indesiderati a chi la conduceva, al di là dei perché e degli schieramenti coinvolti.

E poi sarebbe stata in errore, il che era peggio.

Controllò la posizione del ventaglio, sincerandosi che fosse proprio come l'aveva lasciato, poi si distrasse ascoltando l'ascesa della cabina. Procedeva uno scatto alla volta, chiuso in quella tromba di meccanismi intrecciati.

Il tedio le strinse le spalle dopo una mezza dozzina. Tornò a guardare l'operatore, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa, di più interessante del rintocco dei macchinari all'opera. Era molto giovane, con le guance lisce e il viso che portava ancora qualche piccolo segno dell'incerta età che divideva l'infanzia dalle ore delle decisioni.

Veniva da Castel Altar-Raikenen, la città-fortezza che scorgeva in lontananza a nord-ovest quando, in visita in Hael'v Reghial, si permetteva una passeggiata in compagnia di Fabràs lungo i camminamenti del mastio principale.

L'avrebbe potuto dire qualcuno di fidato, almeno per le sue origini athmannee di Vronegarth, se soltanto si fosse concessa un simile lusso. Per fortuna non se lo permetteva. Che provenisse da un dominio alleato era buono e bello, ma non rimuoveva la possibilità che fosse al soldo di qualcun altro. Fabràs non era onnisciente, purtroppo.

Se lo fosse stato, avrebbe potuto giovarsene.

Dovendo guardare con realismo, non poteva sapere chi elargisse emolumenti alla sua gente. Quante persone vivevano in Hael'v Reghial? Novanta milioni? No, non novanta milioni. Cento... cento-e-cinque, ignorando la provincia attorno. Era attento, ma non così tanto. Essere cauti era meglio che impreparati.

«Il tuo nome è Daìrne, sì?»

L'operatore irrigidì la propria postura, alzando gli occhi alla parete che aveva davanti: «Sì, Vostra Grazia. Dairne Veringh'Vàn.»

Che pregevole scatto. Aveva alzato la testa alta, disteso le braccia lungo le cuciture dei pantaloni invece che raccolte in vita, unito i talloni e divaricate le punte dei piedi. L'aveva fatta d'istinto, quasi sobbalzando. Un momento dopo sembrò allentare il suo attenti, indeciso.

Lo fermò con una domanda: «Quale reggimento?»

«Vostra Grazia?»

«Non era una domanda difficile. Da quale reggimento ti hanno congedato?»

«Ah...» le sembrò punto e ciò la divertì. «Abitudine, Vostra Grazia.»

«Non mi hai risposto.»

Un tonfo s'irradiò per la pedana, annunciando l'attracco dell'ascensore alla plancia.

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