Il vicino di casa

Cosa c'è di bello nel traslocare? Niente. È una rottura di palle l'inscatolare come lo è lo scatolare. Prima carichi e poi scarichi. La rottura di palle estrema? Dover poi tirare fuori tutto, sperando di trovare al tutto una nuova collocazione nell'arco temporale di...diciamo...sei mesi; si perché, dopo quella scadenza, lo sanno tutti che ciò che è ancora negli scatoloni ci resterà praticamente per sempre.

Ho traslocato tre volte nella mia vita e sinceramente, dati i pregressi, spero di non vivere ancora abbastanza a lungo da arrivare alla quarta. La prima volta la causa dello spostamento fu che non sopportavo più mio padre, alla seconda mi ci ha costretto il lavoro, alla terza la mia ora ex che ha gentilmente offerto il lato destro del letto, il mio, ad un altro. Ed eccomi qua, al termine del ventesimo sali e scendi dal furgone preso a noleggio, a contemplare il tetris di scatoloni che per i prossimi giorni a venire, occuperà il pavimento del nuovo salotto.

Dato che la mia ex ha deciso di farsi cogliere letteralmente in fallo nel mese di luglio, il cornuto qui presente ha dovuto sudare ben più di sette camicie per espiare una colpa non dovuta e che ha comportato la medesima fatica di una giornata di lavoro da magazziniere ma senza retribuzione.

Mi berrei volentieri una birra gelata ma sfortunatamente, preso dall'entusiasmo del traslocatore, non ho pensato di attaccare il frigo né tanto meno di comprare qualcosa di decente da bere. Mi accontento dell'acqua del rubinetto della cucina e dopo aver sorteggiato un paio di bicchieri, mi lascio cadere sul divano su cui ho già deciso di passare le prossime ore. Prendo in mano il cellulare e mi lascio prendere dall'idea surreale di iscrivermi a Tinder quando la mia nuova casa emette il suo primo segno di vita. Qualcuno sta suonando al citofono.

In una villetta a pian terreno, con una porta finestra in salotto che affaccia direttamente sul cancellino d'ingresso, a quattro metri dal citofono, è inutile alzarsi per rispondere. Apro le gambe e allargo i piedi quel tanto che basta da permettermi, restando comodamente sdraiato, di vedere il tizio che ha appena suonato. Non lo riconosco tra le solite facce note. Sorride, forse perché senza tende alle finestre non sono poi così invisibile. Continua a sorridere e solleva una bottiglia di qualcosa per farmela vedere meglio. Che sia un venditore porta a porta? Di bottiglie?! Mi metto a sedere e noto che porta le ciabatte ai piedi: un venditore comodo o più probabile un vicino di casa. Esco direttamente dalla porta finestra e lascio che si presenti con slancio. È effettivamente il vicino della villetta di fronte che inaspettatamente mi dà un caloroso benvenuto nel quartiere, offrendomi una bottiglia del suo vino preferito. Ricambio le presentazioni e ringrazio. Marco, così si chiama, sorride ancora e rinnova i suoi ossequi, dopo di che torna da dove è venuto. Io resto sorpreso, confuso, con in mano una bottiglia di un vino bianco di Sicilia. Nel 2022 chi fa più le presentazioni ai nuovi arrivati? Anzi, diciamocela tutta, chi le ha mai fatte? A parte le casalinghe impiccione nelle serie TV americane, chi al giorno d'oggi ha tutta questa voglia di conoscere qualcuno? Perplesso rientro in casa e posiziono la bottiglia in un angolo strategico del mobile della cucina, ben visibile: sarò asociale ma non cafone, per tanto mi riprometto di ricambiare il gesto.

Nei giorni successivi mi è capitato spesso di vedere Marco, stando comodo sul divano: esce sempre di casa dopo le 21, per fare quei dieci metri scarsi tra la casa e la sua auto bianca rigorosamente parcheggiata in strada a pochi passi dal mio cancello d'ingresso. Ormai è diventato un rito per me osservarlo attraversare con passo sicuro, aprire il bagagliaio e sparirci dentro per cinque minuti buoni, per poi chiuderlo senza portare nulla con sé e rientrare.

L'ho osservato bene: ha la faccia da impiegato apparentemente normale capace di fare una strage se istigato nel modo giusto. Nella mia mente, un uomo disponibile e prodigo con un alter ego da brividi. Ho immaginato di ogni in quel bagagliaio, in un'escalation di esagerazione: un mobile dell'Ikea che non ha voglia di montare, le luci di Natale che andrebbero ritirate in soffitta, una borsa piena di soldi, una produzione di metanfetamina; perfino un cadavere. Qualcosa che gli pesa sulla coscienza insomma, che gli toglie il sonno, a meno che non gli dia quell'ultima occhiata la sera, chiudendogli il baule in faccia, per farlo sentire più tranquillo.

Forse però la spiegazione è più semplice. Ho intravisto quella che immagino essere la moglie, una tipa stizzita che mi ha regalato un paio di sorrisi tirati. Forse è lei la causa del suo male di vivere e il suo unico rimedio per sopportarla è sfogare la rabbia repressa e la frustrazione in quel bagagliaio. Ed ecco che mi sono figurato il povero Marco bestemmiare ogni santo nel suo scrigno di salvezza parcheggiato a pochi passi da casa mia. A quel punto mi sono sentito più vicino a Marco, anche se non lo conosco per davvero, almeno non ancora.

Non sono un estimatore di vino ma di birra qualcosa ne capisco. Scelgo una tra le mie bottiglie preferite e gli vado incontro una sera, prima che inizi il suo concerto di imprecazioni. Lo saluto con un gesto della mano, il viso sinceramente mosso da compassione. Lo chiamo per nome, lui si blocca e mi guarda perplesso ma senza perdere quel suo sorriso bonario. Mi chiede come faccio a sapere come si chiama. Gli ricordo che ci siamo presentati una settimana prima. Lui non ricorda ma continua a sorridere. Io mi sento un idiota e torno in casa con la mia bottiglia. Lascio Marco al suo bagagliaio e ritorno, ben volentieri, al mio divano.

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