Anteprima - uno
Il sole era alto nel cielo, ma l'aria era già fresca e preannunciava l'autunno imminente. Una folata di vento fece volare alcune foglie sui piedi di Marta; se ne stava lì, ferma, davanti alla porta marrone dello studio.
Psichiatra e psicoterapeuta
dott. Maurizio Cesari
recitava la targhetta affissa sopra i campanelli. Marta la fissava come se fosse costretta a salire sul patibolo. I lunghi capelli rossi, raccolti in una coda di cavallo, svolazzavano al vento. Marta guardò il biglietto che le aveva dato la sua amica, con sopra scritti l'indirizzo e la data dell'appuntamento. Sospirò.
Accidenti a te, Rebbi.
Era ormai un anno che ignorava i consigli di tutti. Non ascoltava più nemmeno lei, la sua migliore amica, sua confidente da una vita intera. Questa volta l'aveva fregata: aveva fatto leva sui suoi sensi di colpa ed era uscita da casa sua sbattendo la porta senza lasciarle il tempo di controbattere.
Quel momento le tornò alla mente all'improvviso, vivido e chiaro. Rebecca aveva alzato la voce, ed era la prima volta che succedeva da quando la conosceva: «Io non potrò aiutarti per sempre. Ti voglio un mare di bene, ma tu ti stai buttando via, lo capisci? Adesso basta... io non posso e non voglio assecondare il tuo comportamento. Devi cambiare e riprendere in mano la tua vita. Tieni, questo è il contatto di uno psicologo, me lo ha raccomandato Marco, è uno in gamba. Ti ho fatto un bonifico per le prime sedute: non hai più scuse, e non ti azzardare a rimandarmeli indietro.»
Il telefono vibrò, riportandola alla realtà. Il messaggio arrivava da un numero sconosciuto: «Ehi, sesso sfrenato stasera?»
Questo chi diavolo è? Rimise il telefono in tasca, ignorandolo. Con molta probabilità si trattava di una delle sue ultime avventure senza nome.
Alzò gli occhi e suonò il campanello. Una voce giovane e gentile la invitò ad accomodarsi. Il corridoio era spazioso, anche se molto buio. Le venne incontro un ragazzo. Sembrava avere pochi anni più di lei, e i capelli un po' lunghi e scarmigliati sulla fronte gli conferivano uno sguardo sbarazzino; gli occhiali da vista dalla montatura stretta aggiungevano un tocco di professionalità al suo aspetto.
Le porse la mano.
«Buonasera, signorina Carnevali, sono il dottor Maurizio Cesari. Si può accomodare, io la raggiungo subito.»
Marta strinse la sua mano senza dire una parola. Restando in silenzio, entrò nello studio e si sistemò su una sedia rivestita di tessuto blu. Si guardò intorno: un mare di libri riempiva la libreria sulla sinistra.
La scrivania era sgombra. È tutto troppo in ordine per essere di un uomo, pensò Marta. Al centro spiccava un blocco bianco, in cui era annotato il suo nome e la data odierna, e una penna nera. In un angolo una cornice argentata le dava le spalle: di sicuro conteneva la foto di una famiglia perfetta, una famiglia che lui amava alla follia.
«Eccomi, scusi l'attesa.»
Il dottor Cesari si chiuse la porta alle spalle e si sistemò sulla poltrona di pelle nera dietro alla scrivania.
«Bene, signorina Carnevali. Cominciamo.»
«Non ho ancora deciso se restare.» lo interruppe subito Marta.
«Intanto siamo qui. Facciamo un passo alla volta: sarà lei a scegliere se continuare a venire. Vuole raccontarmi cosa la porta da me?»
«Da dove dovrei cominciare? Vuole che le dica che sono qui perché ho bisogno di aiuto? Perché non riesco ad andare avanti? Cristo, non sono la prima persona al mondo che ha perso qualcuno.
Ce la faccio, sto benissimo e posso continuare a farcela anche da sola. Sono qui solo perché un'amica mi ha fatto promettere di venire... o meglio, mi ha incastrata. Lo faccio per lei, non per me.»
«Va bene, è una motivazione anche questa. Quindi mi dica, ha perso qualcuno di recente? Di chi si trattava?»
Marta rimase in silenzio, indecisa se fidarsi di quell'uomo dal fare gentile. Ma in ogni caso non aveva voglia di parlarne - non con lui, non in quel momento.
«Se non glielo volessi dire?» gli rispose con aria di sfida. Si trovava lì controvoglia... sentiva di stare meglio, di essersi lasciata tutto alle spalle. Perché avrebbe dovuto condividere il dolore passato con il primo che capitava?
«Nessun problema. Potrà scegliere lei il momento più opportuno per parlarmene, o non farlo affatto. Perché non comincia raccontandomi qualcosa di lei? Di cosa si occupa? Ha un lavoro?»
Marta era in aspettativa dall'incidente: aveva ancora qualche soldo da parte e l'idea di ricominciare non l'aveva nemmeno sfiorata.
«No, faccio la bella vita e mi diverto. Mi sento viva come non mai.»
«Cosa fa per divertirsi?»
«Vado al pub, in discoteca, conosco gente. La maggior parte delle volte torno a casa con un figo da paura da mettermi nel letto.»
Il suo volto non tradì nessuna emozione, come se non si vergognasse.
«Quindi non ha un compagno stabile al momento?»
«Cos'è, dottore? Ci vuole provare con me? La sua bella mogliettina approverebbe?»
Marta gli rispose lanciandogli uno sguardo provocante: tutto sommato il dottore stuzzicava la sua curiosità. Lo guardava fisso negli occhi e non si era nemmeno premurata di controllare se avesse o meno la fede al dito.
«Lo prendo per un no.» le rispose senza scomporsi. «Mi dica della sua famiglia. I suoi genitori le sono vicini in questo periodo? Ha fratelli o sorelle?»
«Sono figlia unica. Mio padre se ne è andato di casa tre anni fa, ha conosciuto una, da un giorno all'altro ha fatto le valigie e non l'abbiamo più visto. Ma non ho mai avuto un gran rapporto con lui: non mi parlava quasi mai. Mia madre vive da sola e mi chiama di continuo per chiedermi come sto. Dio, quanto è snervante. Lo fa tutti i sacrosanti giorni da quando... »
Marta si interruppe di colpo. Non si era nemmeno resa conto che, parlando, le frasi cominciavano a sfuggire al suo controllo, riportandola al ricordo dell'incidente.
Abbassò gli occhi e riprese: «Rebecca, l'amica che mi ha obbligata a venire qui, era per me come una sorella. La conosco da circa dodici anni. Eravamo spesso insieme e abbiamo condiviso tanto.»
«Ne parla al passato. Ora cos'è cambiato?»
«Abbiamo litigato. Non condivide il mio modo di vivere. Lei è molto diversa da me: ha un marito fantastico e sogna la famiglia perfetta. In realtà la sognavo anche io... »
La sua voce si smorzò, lasciandosi cogliere da un velo di tristezza, ma subito la rimpolpò con una notevole carica di enfasi. «Ora però questa è la mia vita, e mi piace. È elettrizzante: uscire, ballare, bere... »
«Beve spesso?»
«No, solo quando esco. Rende tutto più brioso, spensierato e divertente. Non so se mi capisce.» ammiccò, facendogli l'occhiolino.
«Certo. Ma ora mi parli di lei. Ha qualche hobby, interessi, un animale domestico?»
Marta si bloccò a quella domanda; i suoi occhi corsero alla finestra per poi perdersi nel nulla. I ricordi si disegnarono nella sua mente.
Era sdraiata sul divano con la testa appoggiata al petto di Stefano, e stringeva tra le mani una tisana calda. Sullo schermo, immerso in un panorama innevato, Jon Snow stava entrando nella Barriera quando il trillo del telefono li distolse dalla televisione.
«Ho buone notizie. Ce l'abbiamo fatta: l'ecografia dice che sono tre e che nasceranno a settembre.»
Marta fece un salto sul divano, portando le mani al cielo in segno di vittoria: il volto le si illuminò e un brivido gioioso la travolse. Stefano la stava guardando con un dolce sorriso sulle labbra; la abbracciò e le accarezzò i capelli. «Sono contento, amore! Entro Natale avremo il nostro primo gattino!»
Una mano invisibile le stritolò il cuore al ricordo delle emozioni di quell'abbraccio: una gioia così intensa che si era trasformata in un profondo dolore. Marta ricacciò indietro quella sensazione il più in fretta possibile e si ricompose.
«No, nessun animale. Vivo da sola.»
La sua voce era tornata fredda e distaccata. Fissò il dottor Cesari con uno sguardo eloquente che sembrava urlare: «Allora? Hai altro da chiedere o ti basta così?»
Lo psicoterapeuta capì di aver toccato un tasto dolente e prese appunti sul suo taccuino.
«Ha trovato qualcosa di interessante da scrivere, dottore?»
«Tutto lo è. Ogni cosa definisce chi siamo... anche le parole non dette.»
Marta lo osservò. Pensò a quanto gli donasse quell'aria professionale che aveva mentre scriveva; al tempo stesso le parve troppo serio, troppo concentrato... forse un po' di alcol avrebbe fatto bene anche a lui. Alzò gli occhi sull'orologio a pendolo e si stupì di vedere che l'ora era quasi terminata. In fondo non era andata così male: era stata una chiacchierata tranquilla, non le aveva chiesto nulla di trascendentale, e soprattutto era riuscita a non spiattellare a quello sconosciuto ciò che voleva tenere per sé.
«Bene, signorina Carnevali, spero di rivederla. Le fisserei il prossimo appuntamento tra... » sfogliò l'agenda «una settimana esatta, ore dieci. Può andare?»
«Chi le dice che verrò?»
«Oh, ne sono certo.»
Marta si alzò, lo congedò con una veloce stretta di mano e uscì senza troppi convenevoli. L'aria serale si era fatta più frizzante. Marta si chiuse la giacca e si incamminò verso l'auto. Era immersa nei suoi pensieri come non le capitava da molto, moltissimo tempo. Si chiese cosa portasse quel tizio a credere che sarebbe andata alle altre sedute.
Guardò con poco interesse il telefonino e trovò un messaggio di Rebecca: «Ciao, tesoro. Sei stata a quell'appuntamento? Se vuoi raccontarmi com'è andata sai dove trovarmi.»
Non aveva voglia di rispondere – in realtà, non aveva voglia di sentire nessuno. Quella sera voleva solo rintanarsi in casa e spalmarsi sul divano davanti al televisore, a languire davanti a uno di quei programmi trash di incontri assurdi che davano su Real Time.
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