Anteprima - due
Era passata una settimana e le giornate si erano susseguite velocemente, contornate dalle cose di sempre... o meglio, da quella che era diventata la sua routine nell'ultimo anno: una serata trascorsa al pub a bere al bancone, quella dopo in discoteca a ballare a perdifiato, per poi svegliarsi la mattina accanto a uno sconosciuto qualunque.
Erano le uniche cose che la facevano sentire bene.
Mancava solo un'ora al secondo appuntamento con lo psicologo, ma Marta non aveva ancora deciso se fosse il caso di andare. Era seduta sul divano di pelle del salotto con il telecomando in mano e fissava il televisore spento. In realtà, quello che stava guardando era il muro bianco dietro lo schermo.
No, io là non ci torno. La settimana scorsa ho rischiato di lasciarmi andare troppo, e non voglio pensare a quanto sia stata male. Quello è il passato... io voglio soltanto stare meglio, ne ho tutto il diritto. Voglio continuare a divertirmi. Perché mai dovrei rivangare cose che mi hanno ferita? A me tutto questo ora non serve: mi basta vivere a modo mio.
Anche se... con tutto quello che Rebbi ha fatto per me, forse potrei farle questo piccolo favore. Non le posso nemmeno rimandare indietro i soldi, o non mi rivolgerebbe mai più la parola.
Va bene, ci andrò. Tanto posso sempre scegliere cosa dire e cosa no: non può certo obbligarmi a parlare. Però mi ero sentita più leggera, quindi chiacchierare con uno sconosciuto, senza portarmelo a letto come al solito, potrebbe anche farmi bene.
Prese un respiro profondo.
Va bene, Marta, usa il cervello. Rallenta e ragiona: valutazione pro e contro.
Contro: rivangare memorie del passato che mi faranno di sicuro soffrire, ma questo accadrà solo se mi lascio trascinare dalle sue domande, cosa che posso evitare con un po' di autocontrollo.
Far vedere allo strizzacervelli che aveva ragione e che sarei tornata.
Spendere un sacco di soldi in sedute appena finito il gruzzoletto che mi ha girato Rebbi.
Rischiare di diventare seduta-dipendente e di smettere di godermi la vita, cadendo in una spirale di disperazione.
Pro: non sprecare i risparmi che Rebbi ha investito per me ma soprattutto non deluderla, visto che al momento sembra essere l'unica persona che mi vuole ancora bene. Quello psicologo poi non è niente male.
Direi che al momento vincono i contro. È deciso: non vado.
Marta si alzò dal divano, prese le chiavi dalla mensola vicino all'ingresso e si chiuse la porta alle spalle. Non sarebbe andata all'appuntamento, ma avrebbe approfittato del bel tempo per fare due passi nei dintorni... così, tanto per rinfrescare il cervello. Ormai le era chiaro che la televisione non sarebbe stata sua alleata... non quella mattina.
Vicino al fiume osservò due uomini immersi fino alle ginocchia nell'acqua nel tentativo di provare a pescare qualcosa. Un passerotto le volò accanto, fece tre balzelli sul muretto, la guardò e spiccò il volo. Marta a volte si stupiva dell'incredibile bellezza di quello che la circondava: come la semplicità del passerotto, o il suono dell'acqua che scorreva quasi a ovattare il rumore del traffico della città...
Continuò a costeggiare il fiume, lasciandosi stregare dai suoni della natura, dal colore variopinto degli alberi e dalle foglie che, mosse dal vento, con un balletto armonioso si riversavano sulla strada. Di tanto in tanto riportava lo sguardo sulle piccole villette a schiera e sbirciava scene di vita quotidiana attraverso le finestre.
Vide una signora che passava l'aspirapolvere, una ragazza che parlava al telefono gesticolando e due anziane sedute al tavolino vicino alla finestra, che sorseggiavano quello che immaginò essere del tè. Poi si trovò davanti a un portone marrone. Quel portone marrone. Non si era accorta che, a forza di camminare, era arrivata proprio davanti allo studio.
Ma che cavolo ci faccio qui? Avevano vinto i no!
Marta guardò l'orologio: erano le dieci e sette. Forse quello era un segno... forse il suo istinto le stava dicendo qualcosa, e le sue gambe lo avevano assecondato.
Fece spallucce e decise di entrare. Tanto posso sempre andarmene quando voglio, pensò. Si avvicinò al campanello, ma il portone si aprì mentre aveva ancora il dito a mezz'aria. Il dottore la invitò a entrare, comportandosi come se fosse stata lei a suonare e non lui ad anticiparla. Era così sicuro che sarebbe andata? Lo studio le sembrò uguale alla sua visita precedente, ma questa volta c'era qualcosa che lo rendeva più accogliente. Forse si trattava soltanto della luce del sole che, quella mattina, filtrava dalla finestra e investiva la stanza. Rimase catturata dalla vista che dava sul fiume, su quell'ansa dove spesso facevano il bagno un gruppetto di paperelle. L'uomo entrò e la vide accanto alla finestra, persa a osservare quell'insieme quasi paradisiaco.
«Le piace la vista?»
Marta fece un balzo, presa alla sprovvista.
«Sì, molto. Il fiume mi dà un senso di tranquillità e di pace incredibili.»
«Bene... allora che ne dice se, solo per oggi, ci spostassimo nelle poltrone vicino alla finestra?»
«Bene.»
«Bene.» il dottore fece un sorriso.
Quell'angolo dello studio era arredato con gusto: le tende erano molto delicate e ricordavano i bovindi tipici delle villette inglesi, perfetti per la lettura.
Marta aveva sempre desiderato qualcosa del genere: un luogo accogliente e luminoso, qualche morbido cuscino appoggiato su una panca o un divanetto dove leggere e potere, di tanto in tanto, alzare gli occhi dalle pagine per godersi l'incanto della natura. Il suo sguardo rimase immerso dentro quella vista.
«Allora, signorina Carnevali, come va? Mi fa piacere che sia tornata.»
«Passavo di qua per caso.»
«Ma ha deciso di fermarsi.»
«È stato casuale anche questo.»
«Nulla accade per caso.»
Marta tornò alla realtà e si girò verso di lui. I suoi lineamenti sembravano distesi; aveva un sorriso appena accennato, e il suo sguardo era incredibilmente profondo.
«La settimana scorsa mi ha raccontato qualcosa della sua famiglia, della sua amica e di come trascorre le giornate. Vorrei farle ancora qualche domanda, tanto per completare il quadro generale. Lei è credente? Abbraccia una qualche religione?»
«No, anche se un tempo credevo in Dio. Ora non più.»
«Come mai ha cambiato idea?»
«Preferisco credere che non esista, perché in caso contrario sarebbe uno stronzo sadico.»
«Uno stronzo sadico?»
«Sì. Come definirebbe qualcuno che ha un potere immenso e inarrestabile, ma che fa accadere cose tremende per poi starsene lì, fermo, a osservare e basta? A quale scopo? Siamo forse un esperimento? Ci ha chiusi in una sfera di vetro per torturarci e studiare le nostre reazioni?»
«Okay, capisco cosa intende. Ma questo è il suo pensiero ora. Cosa le ha fatto cambiare idea?»
«Ho solo aperto gli occhi e visto lo schifo che c'è nel mondo: il male, la cattiveria, le malattie, le catastrofi. Se esistesse un Dio non permetterebbe tutto questo, non se ne starebbe a guardare il suo mondo che va in frantumi. Se esistesse un essere in grado di creare dal nulla cose così meravigliose e complesse come quelle che vediamo attorno a noi, perché mai dovrebbe creare anche qualcosa di così mostruoso come i terremoti, gli uragani e gli esseri umani?»
«Esseri umani?»
«Cosa c'è di strano? Siamo noi i primi distruttori indiscussi. Non crede?»
«Okay, ho capito.»
Mentre il dottor Cesari prendeva appunti, Marta si incantò di nuovo a guardare fuori dalla finestra.
Osservò sfrecciare una bimba sui pattini e, accanto a lei, un ragazzo in bicicletta.
Seguivano a ruota due giovani dall'espressione felice che passeggiavano tenendosi per mano. Marta aguzzò la vista e lo riconobbe: capelli biondi mossi e lunghi fino al mento, mascella squadrata, fisico asciutto, un'inconfondibile fossetta sul mento. Soffocò una risata: quel tipo era stato nel suo letto solo due giorni prima, e si era anche offerto di portarle la colazione. Ora teneva per mano un'altra ragazza come se nulla fosse. Mia cara, se solo sapessi... chissà con che scusa è stato fuori tutta la notte.
«Ha visto qualcosa di divertente?»
I suoi pensieri vennero interrotti dalla domanda del dottore. Marta rispose in automatico, senza accorgersi di parlare a voce alta.
«Nulla è mai quello che sembra.»
Il dottore guardò fuori dalla finestra. «Li conosce?»
«In un certo senso. Diciamo che, molto di recente, ho avuto modo di vedere il singolare tatuaggio che quel tipo ha sopra una natica. In quel momento direi proprio che sembrava tutto tranne che fidanzato.»
«Questo la turba?»
Marta lo guardò inarcando le sopracciglia. «Perché dovrebbe?»
«A cosa si riferiva quando ha detto che nulla è mai come sembra?»
«Li guardi. Sembrano una classica coppietta felice a passeggio. Lui le tiene la mano, di tanto in tanto la fissa negli occhi e si ferma per darle un bacio sulla guancia. È un tipo romantico, uno di quelli che ti portano la colazione a letto, e ha anche il coraggio di guardarla così, come se lei fosse la cosa più importante del mondo. La gente li vede come due dolci piccioncini: crede che siano una coppia perfetta... e magari qualcuno li invidia anche, pensando di volere una relazione identica alla loro. Solo lui sa che non è vero.»
«Anche lei è stata tradita?»
«Io? Forse. Non saprei. Magari Luca al liceo.»
Marta fece una pausa, abbassò gli occhi e si guardò le mani mentre giocherellava con gli anelli.
«Di sicuro non Stefano, lui non l'avrebbe mai fatto.»
«Stefano era il suo ragazzo?»
«Già.»
Una sola sillaba, e poi il silenzio. Di nuovo il dottor Cesari prese appunti. Marta lo guardò, curiosa di sapere cosa stesse scrivendo, cosa pensasse di aver capito di lei.
«Pratica qualche sport?»
Ma che è, un terzo grado? Le prossime domande riguarderanno il mio colore preferito e l'ultimo film visto al cinema?
«Dottore, noto che le piace molto saltare da un argomento all'altro» disse Marta accennando una risata.
«So riconoscere quando qualcuno non ha più voglia di parlare di un certo argomento, ma se preferisce sarei molto lieto di proseguire con quello precedente.»
«Non pratico molti sport. A dire il vero ne ho provati diversi, ma sono piuttosto negata. Tiro con l'arco mi riusciva bene: tutta questione di sangue freddo e ripetitività del gesto. La mira al bersaglio viene in un secondo momento.»
Marta sollevò la manica del braccio sinistro e mostrò la cicatrice rotonda sulla parte interna del gomito.
«Bruciature da sfregamento con la corda. Esiste una protezione, ma a volte la corda ci si infila sotto e, se non si tiene il braccio inclinato nel modo giusto, questo è il risultato. Tutto sommato questa cicatrice è un bel ricordo.»
«Come mai ha smesso?»
«Non avevo più tempo. Avevo da poco iniziato a lavorare, dovevo seguire le ristrutturazioni di casa e nello stesso periodo si ammalò mia nonna.»
«Viveva da sola?»
«No.»
Marta proprio non voleva andare oltre. Tutte le volte che qualcosa riguardava lui e la sua vita con lui, si bloccava.
«Ha mai pensato di prendere un cane?»
Un flash improvviso le riportò alla mente il volto di Stefano intento a convincerla che un cane fosse meglio di un gatto. Spesso battibeccavano e si prendevano in giro a vicenda, ridendo e scherzando: ognuno difendeva il suo punto di vista come in un match di battute e sulla questione si erano fronteggiate incombenze, passeggiate, escrementi, sveglie notturne, divani divelti e briciole di pantofole. In quei momenti i suoi occhi brillavano e rideva... quanto era bello quando rideva.
Marta scacciò quel ricordo e sbuffò.
«Lei ne ha uno?»
«Sì, e glielo consiglio. Sanno dare un amore infinito e incondizionato.»
«Ci penserò, grazie.»
«Bene, signorina... anche oggi il tempo a nostra disposizione è terminato.»
Marta si girò a guardare l'orologio a pendolo, che aveva appena cominciato a scandire le undici. Non si era resa conto di quanto il tempo stesse passando in fretta.
E pensare che non ci voleva nemmeno andare, che all'inizio avrebbe voluto fuggire prima del dovuto. In quel momento si accorse che, in fondo, sarebbe volentieri rimasta ancora: voleva vedere che domande si sarebbe inventato il dottore. Nonostante quel suo rimuginare, accettò il nuovo appuntamento e si congedò in silenzio, stringendogli la mano. Fuori la temperatura era aumentata e faceva un caldo insolito, come se la natura avesse voluto richiamare il ricordo dell'estate. Marta alzò il viso al cielo per lasciarsi accarezzare dal sole, poi si avviò con passo deciso verso casa. Mentre camminava lesse un messaggio sul telefonino: «Stasera alle dieci al Mambo. Ti aspetto al solito posto.»
Era Lidia, l'amica con cui condivideva le serate in discoteca e, a volte, anche i ragazzi che conoscevano lì. Era una persona solare e piuttosto frizzante – pure troppo, in realtà - e anche il suo aspetto rispecchiava il suo carattere: capelli biondi e corti con un taglio irregolare, un ciuffo sulla fronte che spesso cambiava colore e che, nell'ultimo periodo, era celeste come i suoi occhi.
«Questa sera non riesco. Domani, stesso posto e stessa ora.»
Non sapeva perché, ma per la prima volta da mesi non le andava di uscire.
Lungo la strada passò da un videonoleggio, uno dei pochi che era riuscito a sopravvivere all'era del digitale. Come ogni patito di serie tv che si rispetti aveva Netflix, ma le piaceva questa parentesi sul passato e ogni tanto preferiva fermarsi a cercare qualcosa alla vecchia maniera. Dopo un paio di ore trascorse a scorrere i titoli e leggere le trame dei film, si avviò verso casa a mani vuote. Passò la sera a fare zapping in televisione. Tutti i film erano sbagliati: o troppo romantici o troppo drammatici, e non aveva voglia di ridere immergendosi in qualche sitcom. Anche i reality show le sembravano tutti poco interessanti. Ripiegò quindi sulla libreria nell'altra stanza, dove prese un libro a caso. Si mise a leggere sul divano, ma dopo poche pagine si addormentò.
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