10

Le rose la fissavano dal vaso sul bancone del negozio. Marta prese il biglietto e lo lesse di nuovo chiedendosi chi gliele avesse mandate. Leonardo? No, è troppo... viene spesso, ma mi conosce poco.

Mika riposava tranquilla accucciata nel solito posto sul pavimento, mentre Marta aveva cominciato a sistemare sugli scaffali i nuovi quadernoni che le aveva portato Alex, il suo venditore preferito di cancelleria. Girava le spalle alla porta di ingresso, quando «Mani in alto! Questa è una ra... »

Mika scattò in avanti ringhiando come una forsennata.

«Cazzo, un cane!»

Tempo di girarsi e rendersi conto di quello che stava accadendo, che il tizio col casco integrale aveva lasciato cadere a terra il coltello e aveva afferrato il sasso fermacarte per minacciare Mika.

«Fallo smettere o gli spacco la testa.»

Marta, immobile, con lo stomaco scivolato sotto i piedi e le mani tremanti, fece un cenno. «Mika, qui.» Ma lei continuava a ringhiare mentre il tizio urlava: «Fallo smettere!»

Marta alzò entrambe le mani in segno di resa e si mosse lentamente in direzione di Mika. Cercò di usare un tono dolce. «Bella, vieni qui da me. Va tutto bene.»

Riuscì a raggiungerla con una mano, la accarezzò e, preso il collare, la tirò verso di sé, dietro il bancone. Guardò l'uomo e, con voce tremante, disse: «Prendi quello che vuoi, ma non toccare lei.»

Lui brandiva ancora il sasso verso di loro; Marta vedeva il proprio volto sfigurato dal terrore nel riflesso del vetro del casco.

«I soldi! Dammi i soldi.»

Marta abbassò entrambe le mani.

«Che minghia fai? Su le mani!»

«Ma... devo aprire la cassa. E... il cane...»

«Lega il cane!»

«Prendo... prendo...»

«Sbrigati!»

«Guinzaglio» disse indicando la porta sul retro.

«Prendilo.»

Marta raggiunse il guinzaglio tenendo il collare di Mika con l'altra mano e si guardò intorno, spaesata.

«Muoviti!»

L'urlo la fece sobbalzare. Aprì un cassetto del bancone, gli fece girare intorno il guinzaglio e lo chiuse a chiave incastrando la corda nella chiusura del cassetto.

«Mani in alto!»

Marta eseguì sollevando le braccia di colpo.

L'uomo buttò un sacco nero sul bancone.

«Riempilo!»

Marta si spostò verso la cassa con le mani alzate, le abbassò facendo dei cenni con la testa in direzione del rapinatore per fargli capire che era necessario, poi, col cervello in panne, spinse qualche bottone a caso, ma la cassa non si aprì. La sua mente continuava a saltare da un pensiero all'altro. Il sasso è pericoloso? Saltare sul bancone? Come diavolo si apre 'sta cassa? Farlo cadere? E se non apro? Dove ho il telefono? Che fanno nei film? Ha senso rischiare? Quanti soldi ho? Mi chiudo nel retro? Mika? In quel cassetto, le forbici?

Mika mugolava e abbaiava accanto a lei, strattonando senza successo.

«Non mi guardare. E non fare la furba!»

Marta sobbalzò e abbassò immediatamente gli occhi sulla cassa, mentre l'uomo si chinava per raccogliere il coltello. Marta armeggiava lenta col cassetto della cassa, cercando di mantenere l'immagine dell'uomo all'interno del campo visivo. Lo vide risalire con il coltello in mano e infilarsi il sasso in tasca; il tizio si posò al bordo del bancone e puntò il coltello a pochi centimetri dal viso di lei. In quel momento la cassa scattò, Marta prese i contanti dalla cassa e li infilò nel sacco facendone cadere qua e là per colpa delle mani tremanti.

«Tutto qui?»

«Solo... cartoleria.»

«Anche quelli!» urlò l'uomo indicando gli spicci rimasti nel cassetto.

Le monete che Marta stava travasando nel sacco tintinnavano, Mika abbaiava, l'uomo urlava.

«Falla smettere!»

«Mika... sh, buona.»

Mika mugugnò guardando la padrona con gli occhioni languidi, poi si girò di nuovo verso lo sconosciuto e ricominciò a ringhiare.

«Dammelo!»

Marta spinse il sacco verso l'uomo, il quale lo afferrò e indietreggiò con il coltello puntato ancora verso di lei. Marta, ingessata dietro il bancone, lo guardò uscire. Appena l'uomo raggiunse la soglia, si girò e sparì. Il rombo di un motore si allontanò.

Mika tirava testate continue contro le gambe della padroncina guaendo come una forsennata, ma Marta era immobile, con le mani ancora alzate, inebetita a guardare il vuoto cosmico davanti a sé, per poi lasciare che le gambe si sciogliessero trascinandola sul pavimento. Sentiva che la sua gabbia toracica si era svuotata, come la cassa. Quando si raccolse stringendosi il busto con le braccia, come per abbracciarsi, Mika le si avvicinò e le leccò le lacrime sulle guance. Solo in quel momento Marta uscì dall'apnea e respirò a fondo, abbracciando Mika.

Passò qualche minuto prima che, rinfrancata dalle coccole, Marta si alzasse e la prima cosa che fece fu strattonare il cassetto per liberare Mika. Poi, visto quanto tirava verso la porta, strinse il guinzaglio nella mano per paura che potesse scapparle via e con l'altra mano prese il telefonino e chiamò il 112.



Marta sussultò quando qualcuno bussò alla porta del negozio, che nel frattempo aveva chiuso a chiave in attesa delle forze dell'ordine.

Leonardo, naso appiccicato al vetro, le fece segno di aprire.

Un volto amico, ci voleva, pensò.

«Marta, che succede? Diceva "chiuso", ma...»

«Cassa vuota.» Marta strinse le labbra in un finto sorriso trattenuto.

Mika abbaiò subito contro all'uomo e Marta corse da lei per calmarla.

«Scusa, oggi è nervosa.»

Leo guardò Mika accigliato, poi andò da Marta e le posò le mani sulle braccia.

«Anche tu però non scherzi oggi. Guardami negli occhi, cosa c'è che non va?»

Marta trattenne le lacrime, ma non il tremore delle labbra.

«Rapina.»

«Oh santo Giotto, Marta! Mi dispiace tanto» disse lui abbracciandola forte.

Marta ricambiò poco convinta; il profumo dell'uomo la avvolse e sentì il suo corpo magro e slanciato contro il proprio petto. Tratteneva a fatica le lacrime. Non con i clienti, Marta. Sii forte, porca miseria! Hai passato di peggio. È passato, è tutto passato.

Lui si allontanò e la guardò di nuovo dritta negli occhi.

«Ti ha fatto del male?»

Marta si limitò a scuotere la testa.

«Menomale.»

A Marta sfuggì un risolino, pensando al gioco di parole. Le continue battute di Alex le stavano entrando dentro.

«Sei meravigliosa quando ridi» le disse sollevandole il mento con un dito. «Questa cosa si risolverà, Marta. L'importante è che stai bene.»

Marta fece cenno di sì con la testa, mentre Mika mugolava in sottofondo.

«Vuoi una mano a riordinare?»

Lei si guardò intorno. «Ma... è in ordine.»

Lo squillo del cellulare la fece sussultare, come ogni forte rumore, aspettato o inaspettato che sia; corse al bancone, prese il telefono che le ballonzolò tra le mani come una patata bollente e rispose.

«Sto bene, tranquillo.»

«Sì, ho chiamato i carabinieri. Sto aspettando.»

«No, non sono sola. C'è un cliente.»

Marta fece un gesto a Leo, scusandosi per l'attesa. Lui si girò e andò a guardare la strada dalla porta chiusa del negozio.

«No, no, non serve, davvero.»

«Alex, non ti preoccupare. Appena se ne vanno, chiudo e rientro. Vieni stasera?»

«Ti amo anch'io. Ciao.»

Leo si avvicinò. «Fidanzato?»

«Gli avevo mandato un messaggio, ma non volevo si preoccupasse.»

«È normale che si preoccupi. È un uomo fortunato.»

Marta arrossì e scattò verso la porta per aprire ai due uomini in divisa che avevano appena bussato.

Leonardo scarabocchiò il suo numero di cellulare su un foglietto, le disse di chiamarlo per qualunque cosa, disse che era di fretta e che doveva andare, rinfrancato dal fatto che non fosse più sola in negozio.

Marta rimase parecchio tempo in balia delle mille domande dei carabinieri e no, non aveva le telecamere, ma di sicuro ora le avrebbe montate, e no, Mika non era un cane da guardia e sì, l'uomo aveva un coltello. Raccontò loro tutto nei minimi dettagli e descrisse il rapinatore come un uomo basso, tarchiato e con un accento del sud.

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