PROLOGO La Valletta 10 giugno 1798
Fortezza dei Cavalieri Ospitalieri
Malta
Ferdinand von Hompesch, asserragliato all'interno di Fort Tigné insieme a un ristretto gruppo di Cavalieri Ospitalieri, stava osservando attonito la disfatta totale delle sue milizie.
Intorno a lui l'inferno.
Ovunque si girasse, dall'alto della sua postazione, non vedeva altro che distruzione e sempre più intense colonne di fumo grigio che andavano oscurando un cielo ormai plumbeo.
Si strofinò gli occhi arrossati dalla fuliggine e mentre Una brezza fresca e umida proveniente dal mare gli scompigliava i capelli, continuò, ammutolito, a fissare la sua terra distrutta dalle truppe francesi.
L'odore acre della polvere da sparo era insopportabile così come le urla dei feriti, i colpi di fucile e il rumore assordante delle cannonate. In lontananza il ritmico rullare dei tamburi, suono incessante e funesto come un sinistro avvertimento.
La situazione era disperata e i morti ormai non si contavano più, sparsi lungo le spiagge, abbandonati lungo le strette vie della città, ammassati nell'acqua come tanti tronchi d'albero lasciati alla deriva.
Fra i ranghi delle milizie maltesi regnava il caos. Molti cavalieri di nazionalità francese avevano addirittura disertato l'Ordine, preferendo accordarsi con Napoleone piuttosto che lottare contro quella forza inarrestabile e così avevano lasciato indifese le fortificazioni, e i maltesi in balia del loro destino. I Francesi dal canto loro avevano invece già occupato molte delle zone strategiche. Le truppe del comandante Claude-Henri Belgrand de Vaubois, sbarcate poche ore prima tra le spiagge di George's Bay e St. Julian's Bay, erano molto vicine e stavano tentando di aprirsi la strada verso La Valletta. A nord la divisione di Reynier era sbarcata a Gozo, davanti a Rambla Bay, mentre il contingente comandato da Baraguey d'Hilliers aveva preso possesso delle fortezze presso St. Paul Bay e Salina Bay, a nord di La Valletta.
Uno dopo l'altro i baluardi a difesa di Malta stavano cadendo inesorabilmente. Nonostante molti soldati continuassero ancora a resistere coraggiosamente, cercando con ogni mezzo di impedire la presa di Malta, Ferdinand von Hompesch sapeva che era solo questione di tempo prima che ogni difesa venisse sgretolata.
Si strinse la testa fra le mani.
«Maestro» la voce di Emmanuel de Rohan-Polduc lo riscosse bruscamente dai suoi foschi pensieri. «Quali sono gli ordini?»
Ferdinand esitò un istante, poi si voltò verso di lui guardandolo negli occhi. «Resistere, finché sarà possibile. Giunti a questo punto non abbiamo alcuna possibilità di respingere gli assalti. Lo sai bene anche tu. Ma possiamo ancora guadagnare tempo.»
«Per cosa?»
«Salvare il nostro Ordine.»
Rohan annuì. Aveva appena capito cosa il Gran Maestro aveva intenzione di fare.
«Vai, cerca di recuperare tutti i libri e i documenti più importanti che abbiamo. Poi mettili al sicuro sulla nave. Usa tutti gli uomini di cui hai bisogno, ma fai in fretta. Appena sarà il momento, dai vento alle vele e portali in salvo. Tu sai dove.»
«Sarà fatto.»
«Emmanuel» lo chiamò ancora il Gran Maestro con voce quasi tremante. «Voglio che sia tu a portare in salvo la nostra eredità. Mi hai capito? Tu e nessun'altro» gli mise una mano sulla spalla fissandolo con sguardo intenso.
Rohan fece un cenno con la testa.
«Mi fido di te, l'ho sempre fatto. Sei la nostra ultima speranza.»
«Sono onorato di questa missione e farò tutto ciò che è in mio potere.»
«Ne sono convinto, ma non fidarti di nessuno. Mai. A tal proposito non è necessario che l'equipaggio conosca i dettagli del viaggio o del luogo in cui sarà nascosta la nostra eredità.»
«Lo terrò a mente, mio Signore.»
«Quindi posso contare su di te?»
Rohan si mise la mano destra sul cuore. «Sì», gli sussurrò inginocchiandosi e chinando la testa.
«Molto bene. Adesso, va', svelto. Al resto penserò io» si voltò dalla parte opposta tornando a osservare la battaglia che infuriava sotto di lui.
La città era ormai un ammasso di detriti, le costruzioni abbattute e centinaia di corpi giacevano gli uni sugli altri. Ovunque.
Strinse i pugni per la rabbia e in quel tragico momento gli venne in mente ciò che era successo appena il giorno prima e si domandò, per l'ennesima una volta, se avesse fatto la scelta giusta.
Ferdinand von Hompesch non credeva ai propri occhi. Appoggiato alla fredda pietra della torre di vedetta di Fort Tigné, stava osservando un'immensa distesa di navi che si profilava all'orizzonte.
«Cosa ne pensi?» domandò con voce tesa a Emmanuel de Rohan-Polduc.
«Ho paura che i nostri amici francesi stiano per prendersi beffe di noi. Ecco quello che penso.»
«Tu sei sicuro che siano le truppe del Generale?»
«Se non sono loro, chi altri potrebbero essere?»
Annuì.
«Mio Signore?»
Ferdinand si voltò verso di lui. «Ho come una strana inquietudine addosso, Emmanuel.»
«Hai paura di essere tradito dalla Francia, non è così?»
Il Gran Maestro sorrise. «Sai, mi è sempre piaciuta la tua schiettezza. È un dono che ogni uomo dovrebbe possedere.»
«Non mi sono mai nascosto dietro l'ipocrisia. Non l'ho mai fatto e non lo farò adesso.»
«Ed è giusto così. Comunque, sì, è esattamente ciò che stavo pensando» gli rispose mettendogli una mano sulla spalla. Poi tornò a guardare verso il mare. Le navi stavano avanzando lentamente verso la costa e adesso si trovavano a una distanza tale che era possibile osservarle con attenzione.
Lo fece e in quel momento ebbe la conferma a tutti i suoi timori.
«A quanto pare le notizie riguardanti Bonaparte sono vere» mormorò a bassa voce, ma abbastanza forte da farsi udire dal suo compagno.
Rohan annuì in silenzio.
«Che fosse salpato da Tolone una ventina di giorni fa, lo sapevo, ma perché puntare sulla nostra isola?»
Parlava quasi più a sé stesso, con lo sguardo fisso rivolto al mare, il cuore gonfio d'apprensione. Secondo le fonti dell'ordine, Napoleone era partito dalla Francia diretto in Egitto al comando di un'armata enorme, circa quattrocento navi da trasporto, quindici velieri, quindici fregate, sette corvette e tre navi di piccole dimensioni, oltre a quasi trentamila uomini, per cui che cosa poteva volere da un fazzoletto di terra come Malta?
«Secondo i nostri canali d'informazione» proseguì il Gran Maestro stavolta ad alta voce «la destinazione finale di Napoleone doveva essere l'Egitto, quindi come mai una settantina di navi sta puntando su di noi? Perché mai la Francia dovrebbe mostrare ostilità nei confronti dell'Ordine?»
Rohan non gli rispose.
«Di' ai soldati di tenersi pronti» continuò subito dopo con voce imperiosa, «che allestiscano le fortificazioni per difendere le coste e che si tengano pronti a dare battaglia, se sarà necessario.»
«Temi un attacco, allora?»
«Perché tu no?»
Emmanuel stavolta annuì.
«Va', non c'è tempo da perdere.»
***
Poche ore dopo la fine dell'incontro con Rohan, Ferdinand von Hompesch congedò con rabbia l'aiutante di campo di Napoleone.
«Razza di bastardo!» gli urlò contro sputando per terra invaso da una cocente frustrazione.
Al pensiero di ciò che Bonaparte gli aveva appena mandato a dire tramite un emissario, un fiotto di bile gli salì in gola.
Lasciar entrare la flotta francese all'interno del porto per farla rifornire di acqua... Come poteva il Generale pensare che lui fosse così sprovveduto?
Sbatté il pugno sulla fredda pietra.
Forse hanno dato per scontato che io accogliessi il Generale a braccia aperte solo perché molti Cavalieri dell'Ordine di Malta sono di origine francese?
No, non sarebbe bastata questa semplice scusa a giustificare una simile pretesa.
Costasse quel che costasse, Napoleone non avrebbe avuto un accesso facile alla sua isola, non almeno con un così miserabile trucchetto.
Settanta navi!
La Francia voleva invadere Malta, ecco cosa voleva fare Napoleone, ma lui non gli avrebbe dato questa soddisfazione e si sarebbe difeso con tutte le forze.
In base al trattato del 1798, era possibile ammettere in porto solo quattro navi alla volta quindi Bonaparte avrebbe dovuto ridimensionare l'approdo o rinunciare.
Cercò di ragionare.
Sapeva che la sua risposta non avrebbe funzionato e che sarebbe stato solo questione di tempo prima che il suo netto rifiuto scatenasse l'ira di Napoleone traducendosi in una repentina rappresaglia.
Ma lui era pronto.
***
La risposta del Generale arrivò un'ora dopo. Anche stavolta, tramite un intermediario. Un ulteriore smacco che non poteva sopportare, un'arroganza che solo un francese poteva avere.
Ferdinand guardò la missiva appena ricevuta.
Un dispaccio, scritto di pungo dal console francese Caruson, le cui parole, comunque, risultavano inequivocabili. Bonaparte non aveva accettato il suo rifiuto e minacciava di attaccare Malta per ottenere con la forza ciò che avrebbe dovuto essergli concesso dalle regole dell'ospitalità.
Il Gran Maestro strappò la lettera e la gettò al vento.
Era pronto, ma lo sarebbero stati anche i suoi cavalieri? In quel momento ebbe un attimo di esitazione e la sua determinazione vacillò. Davvero avrebbe messo in pericolo l'intera isola e tutti i suoi abitanti per una questione di principio?
Il vento scompigliò i suoi capelli riscuotendolo rapidamente dai dubbi. Ormai era tardi per tornare indietro. In ogni caso La Valletta era una città fortificata ed era stata costruita per resistere agli attacchi dei nemici e le costruzioni lungo la costa avrebbero assicurato un'ottima difesa contro gli sbarchi dei francesi.
Gli ordini erano già stati diramati, per cui che Napoleone provasse pure a sbarcare sulla sua isola!
«Dica al suo Generale» ghignò rivolto a Caruson «che la sua flotta non entrerà nel porto della città. Se si avvicinerà ancora, daremo battaglia.»
Erano ore di disperazione e Ferdinand von Hompesch non riusciva più a tollerare un simile scempio.
La disfatta era ormai un dato di fatto.
Secondo quanto gli era stato riferito, le truppe del Generale D'Hilliers avevano già occupato tutte le aree periferiche dell'intera isola, mentre il contingente di Claude-Henri Belgrand de Vaubois era praticamente giunto alle porte di La Valletta.
I suoi ordini erano stati disattesi e ovunque regnava la confusione. I maltesi stavano soccombendo senza tregua, lasciati allo sbando dalle truppe e dal loro comandante, incapaci di fronteggiare una potenza organizzata come quella francese. Le fortezze, nonostante la strenua resistenza, non erano più sufficienti a frenare l'avanzata dell'esercito di Napoleone.
Era finita ed era tutta colpa sua.
L'isola era irrimediabilmente perduta e per i Cavalieri dell'Ordine di Malta le ore erano contate, ma forse un barlume esisteva ancora. Una fiammella, ma più che sufficiente ad alimentare in lui la speranza di un nuovo inizio.
Si trattava di un uomo: Emmanuel de Rohan-Polduc.
Se tutto fosse andato secondo i piani, i documenti più importanti dell'Ordine, i libri sulla loro origine, le pergamene che ne narravano la storia legittimandone l'esistenza, sarebbero presto stati al sicuro.
Rincuorato da quei pensieri, si riscosse.
Doveva agire e c'era una sola cosa da fare. Non poteva concedere al suo compagno più tempo di così, per cui decise che era giunto il momento. Si mosse verso la cima della torre e una volta arrivato nel punto più alto della fortezza di Tigné, issò la bandiera bianca della resa, mettendo la parola fine a tutto quel massacro.
***
Lo scienziato Dolomien, che aveva servito nell'Ordine per molti anni, fu incaricato dal Gran Maestro di negoziare la capitolazione dell'isola.
Insieme a sette cavalieri salì a bordo del vascello francese Orient, ormeggiato a qualche centinaio di metri dal porto de La Valletta, deciso a siglare il patto che avrebbe messo fine, dopo quasi trecento anni, al dominio dei Cavalieri dell'Ordine sui beni e sui possedimenti dell'isola.
Ferdinand von Hompesch invece era rimasto a terra. Con aria sconfitta, stava osservando l'enorme ammiraglia della flotta francese che, nonostante la mole gigantesca e i suoi centodiciotto cannoni, ondulava mollemente sulle acque azzurre del mare.
Nel cuore un pesante fardello.
Ancora una volta la Francia aveva ottenuto la vittoria e con il presidio di Malta aveva ottenuto una posizione di netto vantaggio nel controllo del Mediterraneo. Ma ormai tutto questo era fuori della sua portata. Fece un profondo respiro e si preparò a partire. Fra poco avrebbe lasciato per sempre quelle terre e l'Ordine, e questo sarebbe stato il suo ultimo atto come Gran Maestro, un atto che nascondeva in sé un importante secondo fine, che nessuno avrebbe mai conosciuto.
A parte Rohan.
Quando lui fosse giunto a destinazione, l'Ordine di Malta sarebbe rinato sotto una nuova stella.
Con gli occhi pieni di speranza, gettò un ultimo sguardo alla sua isola, spaziando dall'infinita leggerezza del mare alla bellezza rude della terra ferma anche se in quel momento le meraviglie di Malta erano offuscate dalla terribile desolazione che lo circondava e dai militari francesi che scorrazzavano per le strade polverose.
Napoleone, ottenuto il suo scopo, era ormai in procinto di partire per l'Egitto ma, come previsto, aveva deciso di lasciare sull'isola un contingente di soldati al comando del generale Claude-Henri Belgrand de Vaubois, che, in quel momento, stava prendendo possesso delle fortezze e dei baluardi difensivi.
L'intera città e gran parte dell'isola erano a pezzi, ma lui era convinto che si sarebbero rialzate molto presto.
Era giunto il momento.
Ciò che doveva essere fatto, era stato fatto. Adesso tutto era in mano al destino, o, per meglio dire, a un singolo uomo e alla sua nave.
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