CAPITOLO 9
Stato del Vaticano
Roma - Italia
9
Il Cardinale Sebastiano Poletti rimase decisamente sorpreso nel vedere il nome di August Mercier lampeggiare sul display del cellulare.
Si trovava ancora nel bel mezzo di una riunione del Consiglio Vaticano e quello non era certo il luogo più adatto per parlare con uno come lui, ma d'altro canto erano almeno due anni che non si sentivano e quella improvvisa chiamata poteva essere foriera di notizie assai rilevanti.
Oppure solo di un grosso problema.
In ogni caso avrebbe fatto bene a rispondere stando bene attento a non far trapelare con chi avrebbe discusso. Se si fosse venuto a sapere che un Cardinale di Roma, appartenente alla Gran Loggia Vaticana, collaborava in segreto con uno dei membri della società dei Filadelfi per lui sarebbe stata la fine della carriera.
Ma in quel caso il rischio valeva la candela.
Con una leggera smorfia di disappunto, si scusò con i colleghi e uscì dalla stanza. Una volta solo, riprese il telefono e ricompose il numero.
Dopo diversi secondi sentì lo scatto del telefono.
«Sebastiano, che piacere!»
«August, vieni al punto. Spero solo che sia importante, dopo tutto questo tempo.»
«Lo è, fidati.»
«Allora avanti, parla. Ho dovuto lasciare una riunione del Consiglio e non ho tutto questo tempo.»
«Io credo invece che dovrai trovarlo, il tempo.»
«Che sta succedendo?»
«Penso di avere finalmente informazioni concrete sul libro di Philippe Ségur.»
Poletti deglutì.
Quel dannato libro lo avevano cercato per anni, ma senza risultato. Da un lato ciò rappresentava un aspetto alquanto positivo, dall'altro però, voleva dire che esisteva sempre la remota possibilità che qualcuno lo potesse ritrovare e usare per arrivare al tesoro di Napoleone e al documento di Papa Pio VI.
Cercò di riflettere, indeciso se essere felice o meno per quella improvvisa notizia. Certo, per Mercier e la sua combriccola di Filadelfi era tutto più semplice dato che il loro unico obiettivo era impadronirsi delle enormi ricchezze depredate da Mosca, ma per quanto riguardava il Vaticano la faccenda era un po' più complicata.
A ben pensarci quindi, sembrava più una pessima notizia. Se quel dannato documento fosse stato non solo ritrovato ma addirittura reso pubblico, si sarebbe scatenata una guerra atroce per il possesso dell'isola di Malta, guerra che avrebbe visto contrapposte la Russia e l'intera Europa, mentre il Vaticano si sarebbe trovato inevitabilmente in una posizione difficile, schiacciato in mezzo a due fuochi e costretto a giustificare una serie di scelte politiche non proprio in linea con i dogmi della Chiesa cattolica.
Era dunque meglio far sparire quel documento per sempre. E se per farlo fosse stato costretto a collaborare fianco a fianco con Mercier e i Filadelfi aiutandoli a ritrovare il bottino rubato da Napoleone, allora lo avrebbe fatto.
Collaboreremo con qualunque potere pur di ridare all'Ordine lo splendore di un tempo.
Così si era pronunciato papa Pio VI alla fine del 1700 quando aveva siglato il patto con lo Zar Paolo I e consegnato di fatto il possesso di Malta alla Russia.
Ma come gli era venuto in mente!
Strinse i pugni.
Per più di trecento anni i Cavalieri di Malta avevano governato l'isola facendone una roccaforte della chiesa cattolica e poi tutto era stato vanificato da quella semplice decisione dovuta peraltro all'ostinazione francese di voler conquistare ogni territorio utile al raggiungimento dei loro scopi espansionistici.
Certo allora i tempi erano molto diversi da quelli di oggi, ma lui sapeva benissimo che in Russia esistevano ancora dei gruppi di nobili cavalieri che avrebbero fatto di tutto pur di ritornare alla vecchia gloria. E per una serie di motivi politico-economici il Vaticano non poteva permetterlo.
Con la morte dello Zar Paolo I e con il furto dei documenti a opera di Napoleone, ogni cosa era piano piano ritornata alla normalità, ma adesso rischiava, di nuovo, di sconfinare nel caos.
Ancora oggi nell'organigramma della chiesa di Roma erano insediati in posizioni chiave molti maltesi: banchieri, esperti di finanza e politici di lunga esperienza. Nominate direttamente del Papa, queste persone detenevano il potere nella gestione delle finanze vaticane e per nessun motivo la Chiesa di Roma avrebbe permesso che la Russia avanzasse pretese su quella piccola isola del Mediterraneo mettendo fine a una serie di accordi che servivano alla causa della chiesa stessa.
Ciò che gli aveva appena comunicato Mercier a proposito del libro di Philippe Sègur rappresentava, di fatto, la sua più grande paura, proprio ciò che lui aveva sempre temuto di dover prima o poi udire.
«Sei sicuro di quello che mi hai appena detto?» gli domandò brusco riscuotendosi dai propri pensieri.
«Abbastanza. Credo che un mio studente, Joseph Sègur, sappia qualcosa, alcuni particolari che non mi ha ancora detto apertamente.»
«Stai parlando di quei Ségur? L'ultima famiglia discendente dal generale della grande armata?»
«Sì, proprio loro. Ho appena finito di intrattenere una conversazione con quel ragazzo, che peraltro conosco da diversi anni. Niente di nuovo dato che stiamo preparando l'argomento della sua tesi, ma stavolta, fra le righe, ho notato qualcosa di strano. Dalle domande che mi ha fatto mi è parso che sapesse qualcosa e che avesse paura a parlarne. Sebastiano, e se lo avesse davvero trovato?»
«Credi che sia un'ipotesi plausibile?»
«Direi di sì, conoscendo sia la passione che ha per la storia sia il fatto che la sua famiglia discende direttamente da quella di Philippe. In fondo ho sempre sospettato che nascondessero un segreto.»
«Se hai ragione, sai cosa significherebbe, vero?»
«Certo.»
«Allora dobbiamo accertarcene immediatamente, non abbiamo altra scelta.»
«Cosa consigli di fare?»
«Per iniziare fai perquisire il suo appartamento. Potrebbero esserci indizi di qualche genere, ma stai attento a non far ricadere i sospetti su di te.»
«Credo di poter organizzare la cosa a stretto giro.»
«Allora fallo. Se quel volume esiste dobbiamo averlo noi. A qualunque costo. August?»
«Sì?»
«Ricordati di tenermi informato di qualsiasi sviluppo e, cosa più importante, vedi di stare alle costole di quel ragazzo» quindi chiuse la comunicazione.
La tensione però non se ne era andata. Anzi, adesso, se possibile, si sentiva ancora più inquieto di prima, ma con la consapevolezza che forse, per la prima volta dopo molto tempo, potevano mettere la parola fine a quella dannata storia.
Senza perdere tempo, rientrò nella sala del Consiglio e comunicò ai colleghi che non poteva più proseguire nella riunione. Si scusò e lasciò di nuovo la stanza. Più tardi avrebbe anche avvertito Francois Villot, suo amico e collega all'interno della Loggia. Entrambi erano stati scelti dal Papa stesso per portare avanti il difficile compito di tenere sottotraccia ogni riferimento al documento di Pio VI e, nel caso peggiore, anche ad agire eliminando ogni prova al riguardo. Ed era proprio quello che aveva appena fatto dando l'ordine a Mercier di seguire il ragazzo.
Camminando a passo svelto si recò nel suo studio. Una volta all'interno, chiuse a chiave la porta e si avvicinò a un quadro appeso alla parete.
Lo spostò rivelando una cassaforte a muro. Digitò il codice segreto e l'aprì. All'interno c'era una busta. La prese con delicatezza e ne estrasse il vecchio e consunto documento conservato all'interno. Si trattava della lettera originale scritta da Georgij Apollonovič Gapon a Papa Pio VII nel 1820.
La guardò con attenzione.
Gapon era stato, per ordine dello Zar Paolo I, il custode dei documenti dell'Ordine di Malta quando questi ultimi erano stati spostati da San Pietroburgo nella cattedrale di Kazan a Mosca, oltre a essere stato il testimone oculare del loro furto a opera delle truppe francesi durante il grande incendio del 1812. Quel piccolo foglio rappresentava, a conti fatti, tutto ciò che il Vaticano non voleva che riaccadesse.
Era una prova inconfutabile.
Si mise gli occhiali e iniziò a rileggerlo.
Mosca 20 ottobre 1812
È con profondo rammarico che io Georgij Apollonovič Gapon, nel giorno 20 ottobre 1812 mi trovo costretto a scrivere questa lettera. Le truppe francesi si stanno finalmente ritirando dopo aver lasciato una città morente e semi distrutta. Durante l'ultimo mese i soldati hanno saccheggiato palazzi, residenze e perfino chiese, profanando i loro suoli senza alcun ritegno. Anche la cattedrale di Kazan non è stata risparmiata. So che avrei dovuto custodire gelosamente ciò che il nostro Gran Maestro mi fece recapitare per mezzo del Cavaliere Rohan quel giorno di marzo del 1801, ma le circostanze nefaste me lo hanno impedito.
A nulla è valsa la nostra resistenza. Hanno portato via icone sacre, candelabri d'oro, antichi volumi e tutti i documenti dell'ordine. Non so che fine faranno, ma stando a quello che mi è stato riferito ogni cosa si trova ammucchiata sui carri che l'esercito si trascina dietro nel tentativo di uscire dalla Russia.
Di più non so.
Spero che in qualche maniera vengano recuperati altrimenti i sacrifici dello Zar e dei nostri Cavalieri saranno stati vani. Senza il documento non avremo più ragione di esistere, non potremo vantare i diritti sulle nostre terre come ci sono state legittimamente donate dal Vostro predecessore Pio VI.
Continuerò a cercare informazioni e se le troverò non mancherò di farvele avere.
Georgij Apollonovič Gapon
Cattedrale di Kazan
Poletti si tolse gli occhiali. Il cuore batteva forte. La fronte era sudata.
Senza il documento non avremo più ragione di esistere e non potremo vantare i diritti sulle nostre terre così come ci sono state legittimamente donate dal Vostro predecessore Pio VI.
Rilesse quelle righe.
Eccolo lì il punto nevralgico. Nero su bianco. Poche, semplici parole, ma che spiegavano ogni cosa e che giustificavano in pieno l'operato della Loggia Vaticana.
Niente rimorsi. Adesso era tempo di agire. Lo scritto di Papa Pio VI non doveva essere ritrovato o, nel caso, essere eliminato per sempre.
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