CAPITOLO 49

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Il cantiere era nel caos più completo. Non appena gli operai si erano accorti degli spari provenienti dall'altra sponda del lago, avevano smesso di lavorare e, gettati gli strumenti alla rinfusa per terra, se l'erano data a gambe. Non sapevano bene quel che stava accadendo, ma nessuno di loro era intenzionato a mettere a repentaglio la propria vita più di quanto già non facesse con quel lavoro. Nessuna paga al mondo poteva valere un rischio del genere.

Per Sebastiano Poletti invece, le cose erano ben diverse. Tutto considerato, si sentiva abbastanza tranquillo. Non credeva che qualcuno ce l'avesse direttamente con lui, per cui, di qualunque cosa si trattasse, assisteva a tutto quel trambusto con aria di sufficienza.

Anzi, almeno per il momento, addirittura con curiosità e malcelato divertimento.

Tutt'altra cosa invece per quanto riguardava Mercier.

Era teso e preoccupato, ben sapendo con chi aveva a che fare e quale fosse la posta in gioco. Si trovava rinchiuso all'interno dell'ufficio, in attesa degli eventi, nella vana speranza non solo di salvarsi la pelle, ma anche di venire a sapere che ciò che era appena successo aveva una spiegazione più che valida e plausibile. Però il fatto che il telefono del suo uomo suonasse a vuoto, non gli dava molte speranze.

La sua mente lavorava a un ritmo incessante, valutando ogni possibilità e ponendosi una sequela d'interrogativi ai quali, ovviamente, non trovava risposte.

Non aveva la più pallida idea di chi fosse il responsabile di quella sparatoria, però era convinto di una cosa, che la situazione stava precipitando fin troppo velocemente.

«Ti vedo preoccupato» gli disse Sebastiano mettendosi a sedere e riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Perché tu no?»

«Dovrei? Vedi, nessuno sa che sono qui e non ho certo nemici come invece tu e quella sgualdrina che ti porti dietro. Quindi perché stare in ansia?»

«Sta' zitto» gli rispose lui voltandogli la schiena e facendo al contempo un gesto come a dirgli che non gli importava un accidenti. Senza aggiungere altro, si avvicinò alla piccola finestra posta sopra la scrivania e guardò fuori cercando con lo sguardo Natalia.

Poi la scorse, al centro del cantiere. Sembrava una maschera di furore e voltava la testa in ogni direzione. Avrebbe voluto starle vicino, ma in quel momento aveva prevalso in lui l'istinto di sopravvivenza, unito alla bramosia di possedere il tesoro tutto per sé.

***

Natalia non trovava pace. Con gli occhi rossi per l'ira si aggirava furiosa lungo il cantiere, osservando il perimetro del lago nella speranza di individuare il responsabile di tutto quel caos.

Cercava di fermare gli operai, ma i suoi ordini si perdevano nel soffio del vento.

Chi poteva essere stato?

In quel momento nella sua mente non trovava posto nessun nome, eccetto uno.

Dominique Didier.

Ma non era possibile. Stando alle sue fonti lui si sarebbe dovuto trovare, insieme a quel suo collega Victòr, in un carcere di San Pietroburgo, accusato di omicidio e in attesa di processo.

Ma allora? Se non era lui chi altro poteva essere? Chi altri sapeva? Che Mercier l'avesse tradita?

Presa dalla rabbia afferrò una grossa pietra e la scagliò con violenza versoi il motore della pompa.

Udì un rumore metallico.

Credendo di aver combinato un guaio, si avvicinò per dare un'occhiata e solo in quel momento si rese anche conto che la draga era ancora accesa. Con tutto quel caos qualcuno si era dimenticato di spegnerla.

I tre grossi tubi stavano emettevano un forte ronzio, pompando al loro interno sedimenti e fango dal fondo del lago a un ritmo di trecento metri cubi all'ora. Materiale che poi riversavano nella parte più paludosa della zona andando a creare un accumulo sempre più alto, simile a una collinetta.

Al diavolo, pensò Natalia scuotendo la testa e immaginando il fondale libero con tutto il suo prezioso contenuto finalmente a portata di mano vorrà dire che affronterò la cosa da sola.

***

Dominique, Victòr e Joseph erano fermi a poche decine di metri dalla draga. Nascosti dalla vegetazione e da un enorme cumulo di fango che andava aumentando di minuto in minuto.

«Allora?» domandò Vic tenendosi pronto.

«Di Natalia me ne occupo io, tu vedi di entrare in quella specie di struttura di metallo che sembra l'ufficio del cantiere. Mi pare di aver intravisto un paio di persone all'interno. Accertati che non ci creino problemi ulteriori.»

«Tutto qui?»

«Tutto qui»

«E io?» domandò Joseph con una certa punta di apprensione nella voce.

Stava tremando.

«Tu non devi fare niente se non lasciare questo posto. E alla svelta anche.»

«Come?»

«Confonditi con gli operai che stanno scappando. Nessuno farà caso a un ragazzo. Sono tutti troppo occupati a darsela a gambe.»

«E poi? Dove dovrei andare?»

«Torna alla macchina e aspettaci là. Nasconditi all'interno e non fare rumore. Noi cercheremo di tornare il prima possibile, ma se vedi la mala parata, metti in moto e fila via. Siamo d'accordo?»

Joseph annuì.

«Andrà bene, vedrai» gli disse Victòr mettendogli una mano sulla spalla «ne abbiamo passate di peggio ultimamente.»

«Già» sorrise lui poco convinto.

«Te la caverai, sei in gamba» gli disse Dominique con un sorriso.

Poi gli passò le chiavi dell'auto.

«Adesso vai.»

Joseph le prese e, senza aggiungere altro, si dileguò fra la vegetazione.

«Bene, adesso tocca a noi» sibilò Dominique rivolto a Victòr. «Sei pronto?»

«Prontissimo.»

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