CAPITOLO 48

48

Dimitriy Semyonov cominciava a sentire gli arti intorpiditi a causa della posizione e del freddo. Era appostato sul grosso ramo di un albero a circa un centinaio di metri dalla riva del lago fin dalla sera precedente, fin da quando era arrivato a Semlevo a notte fonda e si era gettato, al buio, in mezzo alla vegetazione in cerca del miglior punto di osservazione.

Sfruttando il suo binocolo a infrarossi per muoversi indisturbato, era riuscito, senza grossi problemi, a individuare dopo circa un paio d'ore il luogo perfetto.

Adesso però che il sole era sorto, e che l'attività frenetica al cantiere era di nuovo in corso, anche lui aveva iniziato a sentire l'adrenalina della caccia.

Sospirò stirandosi la schiena, le braccia e il collo.

Poi tirò fuori dallo zaino il suo cannocchiale e cominciò a osservare la zona intorno a lui.

Era convinto che, se qualcosa doveva succedere, allora sarebbe accaduta quasi certamente in quella zona del lago.

E, come sempre, aveva avuto ragione.

Dopo qualche minuto di perlustrazione noto un ragazzo muoversi furtivo fra i cespugli a poche centinaia di metri da dove si trovava lui. Lo seguì con attenzione fino a quando non si rese conto che si stava avvicinando, pericolosamente, a un altro uomo, nascosto tra i cespugli, e con una pistola puntata in avanti.

Di lui era rimasto colpito soprattutto dalla massa di capelli rossi che, in mezzo al verde di tutta quella vegetazione, spiccava come un faro nella notte.

Si fece attento. Sentiva che fra poco sarebbe accaduto qualcosa, solo che non poteva sapere se sarebbe stato positivo o meno per la sua missione.

Aguzzò quindi lo sguardo, puntandolo sul ragazzo. A un certo punto lo vide inciampare e rovinare a terra nello stesso momento in cui udì il rumore di uno sparo.

Per un incredibile colpo di fortuna però, sembrava che nessuno si fosse ferito. Si fece ancora più attento, mentre nella sua testa scorrevano un sacco di domande.

Chi erano quei due? Cosa ci facevano da quelle parti? E perché l'uomo dai capelli rossi aveva sparato a quel ragazzo?

Per chi lavoravano?

Curioso di saperne di più, mise via il cannocchiale e preparò il suo fucile di precisione.

A quel punto continuò a seguire la scena utilizzando il mirino posto sopra la canna. Non erano passati che pochi attimi, che udì distintamente qualcuno gridare il nome Victòr e il ragazzo rispondere con quello di Dominique.

In un secondo la situazione gli fu chiara, ma non ebbe il tempo di metabolizzarla che l'uomo dai capelli rossi rivolse la sua pistola contro l'agente francese e fece fuoco di nuovo.

La vita di Dominique Didier era fin troppo preziosa per lui per cui chiuse un occhio prendendo bene la mira, attese qualche istante per stabilizzare la presa sul fucile, poi con mano ferma premette il grilletto sparando un solo colpo diretto alla testa di colui che in quel momento rappresentava un ostacolo alla sua ricompensa.

Tramite il mirino seguì per intero la traiettoria del colpo, sorridendo con soddisfazione quando il proiettile centrò il bersaglio. Con un rumore secco vide l'uomo dai capelli rossi cadere in avanti e accasciarsi fra i cespugli.

***

Victòr aveva chiaramente udito il rumore di un colpo diverso da quello di una pistola, un sibilo più smorzato come se qualcuno avesse usato il silenziatore.

Poi un tonfo sordo e infine il silenzio.

«Dominique tutto bene?»

«Sì. Dove ti trovi?»

«Credo abbastanza vicino a dove sei tu» e così dicendo si rimise in piedi.

A quel punto lo vide. In effetti erano solo a qualche decina di metri di distanza.

Gli andò incontro.

«Ti avevo detto di non allontanarti troppo» gli disse con voce tesa non appena gli fu accanto «Cosa accidenti credevi di fare?»

«Ispezionare la zona, no? Mentre tu dovevi farti venire in mente un modo per entrare nel cantiere.»

«Cosa è successo?» tagliò corto Dom.

Lui alzò le spalle.

«Qualcuno deve aver centrato il nostro aggressore.»

«Già, ma chi?»

«Non lo so, ma per adesso va bene così. Dai torniamo indietro. Ho lasciato Joseph da solo e non mi sento tranquillo.»

Vic annuì.

Si avviarono a passo spedito e giunsero nella radura pochi minuti dopo riunendosi con Joseph.

«Ho sentito degli spari?» fece il ragazzo. «Cosa è successo?»

«E se fosse stato Semyonov?» disse a un tratto Dom come in risposta alla domanda di Sègur.

«Chi, l'uomo che ci ha quasi ucciso al Kempinsky Hotel?»

«Sì. Pensaci. Nikolaj ha detto che l'avrebbe ingaggiato per sistemare la faccenda della Romanova quindi niente di più semplice che stia eseguendo gli ordini.»

«Ovvero tenerci in vita perché recuperiamo i documenti. Geniale da parte dei quei russi...»

«Già, comunque che sia lui oppure un altro, non ha importanza. Adesso so come entrare nel cantiere.»

«Hai un piano allora?»

«Sì.»

«Alla buon'ora. Dimmi.»

«La risposta è il caos.

Dopo aver udito tutti questi spari sono sicuro che Natalia deve aver immaginato il peggio e perso gran parte della sua spavalderia. Si starà domandando chi è stato e come mai ancora non si è fatto vedere. Sarà in totale confusione.»

«Non saprà cosa aspettarsi e perderà il controllo.»

«Esattamente. Questo diversivo dopotutto è stato la cosa migliore che ci potesse capitare.»

***

Dimitri Semyonov pensò che quella mattinata era iniziata decisamente bene. Si sentiva pienamente soddisfatto. Il colpo che aveva appena sparato era stato perfetto e l'uomo dai capelli rossi adesso non rappresentava più alcun problema.

Inoltre il primo obiettivo della sua missione era già stato raggiunto, e senza nemmeno troppi sforzi.

Ora ne mancava solo un altro.

Natalia Romanova.

Rifletté.

Non sarebbe stato semplice, almeno a sensazione, ma nella sua mente aveva comunque già iniziato ad abbozzare un nuovo piano. In prima battuta aveva pensato di nascondersi da qualche parte nel cantiere e aspettare il momento opportuno per agire, ma alla luce dei nuovi avvenimenti aveva cambiato strategia.

Adesso sarebbe stato Dominique Didier a fare il lavoro al posto suo, mentre lui si sarebbe limitato a vegliare sulla buona riuscita dell'operazione.

Fece un bel respiro e scese dall'albero.

Si tolse il cannocchiale dal collo e lo ributtò nello zaino, poi si mise il fucile a tracolla, e, in silenzio, si mosse intorno per fare una breve ricognizione.

Nessuno.

Rincuorato, s'incamminò rapidamente verso la sponda del lago seguendone il perimetro, fino a circa un centinaio di metri dal cantiere. Una volta giunto lì avrebbe cercato un altro buon punto di osservazione come quello precedente e poi si sarebbe messo in attesa.

Guardò l'orologio. Le dieci di mattina.

Sorrise.

Se tutto fosse filato liscio, entro l'ora di pranzo, quella faccenda sarebbe finita una volta per tutte.

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