CAPITOLO 39
39
Dominique si svegliò di soprassalto. Aveva un gran mal di testa e faticava ad articolare le parole, ma non era questa la cosa peggiore.
Si trovava legato mani e piedi a una sedia, in mezzo a una stanza, in apparenza in un luogo sconosciuto.
Scosse la testa.
Era convinto che non si sarebbe più svegliato e invece... Cercò di riordinare le idee.
L'ultima cosa che ricordava era il brindisi, poi aveva sentito un gran dolore in tutto il corpo, gli era mancato il respiro come se non ci fosse più ossigeno nell'aria e infine ogni cosa era diventata nera.
Infine il vuoto.
La sua mente era ovattata, lenta e faticava a mettere insieme i tasselli.
Era chiaro che Natalia aveva in mente qualcosa, ma cosa?
Decise per un attimo di volgere lo sguardo intorno, tanto non avrebbe trovato le risposte che cercava.
Il primo che vide fu Victòr. Aveva la testa ciondoloni e il corpo si muoveva intorpidito come un burattino tirato per i fili.
Poi il suo sguardo si posò su Joseph. Il ragazzo aveva gli occhi aperti e, dallo sguardo attento, capì subito che, come lui, si era ripreso piuttosto bene e adesso stava cercando di razionalizzare quello che gli era appena capitato.
Ebbe un tuffo al cuore.
È vivo!
Avrebbe voluto parlargli, rassicurarlo ma aveva la gola secca e faticava a deglutire. La lingua era ancora gonfia e, nonostante ci avesse provato, non era ancora in grado di articolare le parole. Si ripromise comunque che, non appena fosse uscito di lì, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto.
Già, uscire di lì.
Si mise a pensare.
Come ci sarebbe riuscito?
Per prima cosa doveva liberarsi. Cercò allora di allentare la presa sulle gambe e sulle braccia, ma le corde erano talmente strette che dovette desistere dopo pochi secondi.
No, non era quello il modo.
Doveva trovare un'altra soluzione, ma prima voleva accertarsi della condizioni dei tre nobili russi.
Due di loro pareva si stessero riprendendo, mentre Grigorij Kropotkin no.
La testa dell'uomo dondolava mollemente piegata in avanti, come se fosse priva di vita, mentre le braccia erano distese e non accennavano a nessun movimento.
«Credo che sia morto» disse a un tratto una voce rauca e rotta dal pianto, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Dominique si voltò in quella direzione.
Loris Ivanovič Kurakin lo stava guardando con gli occhi lucidi. Le sue guance erano rigate da grosse lacrime.
Dominique tossì.
«Come...» riuscì a rispondere gracchiando.
Kurakin scosse la testa. Faceva una gran fatica a parlare eppure sentiva di dovere dare una spiegazione.
«Natalia» sussurrò sforzandosi e sentendo che la voce stava piano piano ritornando «è stata lei. Ha sempre voluto il tesoro per sé e sapeva che Grigorij alla fine avrebbe rappresentato solo un ostacolo.»
Tossì.
«Fino a quando le ha fatto comodo ha cercato di compiacerlo, ma era solo una commedia. E' solamente un'assassina e nient'altro. Avrei dovuto immaginarlo» grosse lacrime scendevano dalla sue guance mentre parlava.
Dominique si sentì stringere il cuore.
«Ma perché solo lui?»
«Perché era l'unico fra di noi, a parte me, che non voleva ritrovare solo l'oro» sospirò Loris sempre più abbattuto.
Dominique si fece attento e anche Joseph drizzò immediatamente le orecchie, attirato dalle ultime parole pronunciate da Kurakin.
«Cosa intende?» domandò Dom riprendendo il discorso lasciato a metà «con non voleva solo l'oro?»
«Proprio quello che ho detto. Vede, all'interno del bottino di Napoleone non c'erano solo lingotti, gioielli, monili, quadri o preziosi di ogni genere, ma anche qualcosa di molto più importante, qualcosa che la stessa chiesa di Roma non vorrebbe mai che fosse rivelato.»
«Cosa?»
«Documenti. Atti, per la precisione, che non solo sanciscono l'esistenza dei Cavalieri dell'Ordine di Malta, ma che legittimano il loro dominio sull'isola stessa, come dono fatto dal papa Pio VI alla fine del 1700.»
«Sta dicendo sul serio?»
Loris annuì.
«Il 27 ottobre 1798» proseguì Kurakin cercando di spiegarsi «il Consiglio dell'Ordine di Malta proclamò lo Zar Paolo I come 70° Gran Maestro. Fu una decisione importante e storica che non era mai accaduta. E sebbene Paolo non fosse cattolico, Pio VI, in una lettera speciale, benedisse addirittura la sua elezione usando queste precise parole: Collaboreremo con qualunque potere per ridare all'Ordine il suo splendore di un tempo.
Alla fine donò allo Zar uno dei palazzi di San Pietroburgo che da allora prese il nome di Palazzo dei Cavalieri di Malta. Al suo interno furono custoditi i documenti e la cassa dell'Ordine fino a quando Paolo stesso, nel 1801, non li fece trasportare a Mosca.»
«Perché?»
«Perché aveva paura. In quel periodo la situazione in Russia era abbastanza complicata e Paolo, temendo che qualcuno potesse rubare i documenti dell'Ordine dopo la sua morte, prese la difficile decisione di nasconderli altrove scegliendo come luogo la cattedrale di Kazan a Mosca, perché là vivevano alcuni membri dell'Ordine stesso.
Sperava di salvaguardarli per le generazioni future, ma purtroppo non fu così. Quando le truppe di Napoleone invasero Mosca, non risparmiarono dal saccheggio nemmeno le chiese, e così finirono con il prendere possesso di quei documenti insieme con l'oro.»
«C'è però ancora una cosa che non capisco» domandò Dominique mentre sentiva ritornare le forze «come mai Natalia non vorrebbe che venissero ritrovati? Che problema mai potrebbero rappresentare per lei?»
«Non lo so,» Kurakin scosse la testa. «Quello che posso dirle è che a lei sono sempre interessate solo le ricchezze. Nient'altro. Ma per Grigorij, e soprattutto per me, era diverso.
Noi due apparteniamo all'Ordine fin da quando abbiamo compiuto la maggiore età ed eravamo perfettamente consapevoli che questa rappresentava, forse, l'ultima e unica occasione per rientrare in possesso della nostra perduta eredità. L'abbiamo cercata per così tanto tempo...»
«Anche gli altri facevano parte dell'Ordine?»
Kurakin annuì.
«Sì, ma nessuno come me aveva veramente la vocazione di ripristinare l'antico splendore di un tempo. Da un certo punto di vista nemmeno Grigorij. Ciò che li attraeva erano le ricchezze e i privilegi che una tale carica poteva concedere. In tempi come questi sono cose che possono dare alla testa. Insomma, per dirla in parole povere, avevano perso del tutto lo spirito che da sempre è stato la guida dei Cavalieri» scosse la testa. «È un peccato, mi creda. Io invece sono sempre stato un nostalgico e ho sempre creduto fermamente nella tradizione. E adesso, a quanto pare, sono anche rimasto l'ultimo custode vivente del Priorato di Malta.»
Fece una pausa come se stesse rivivendo con quelle poche parole l'antico orgoglio dei suoi antenati.
Poi riprese con voce più ferma. «Il mio dovere non è cambiato, però. Se esiste anche solo una remota possibilità di ridare vita a ciò che ci è stato portato via nel lontano 1812, allora io devo fare in modo di trovarla. Devo cercare di ricostruire il nostro perduto potere, lo stesso che per più di trecento anni è stato nelle mani di valorosi uomini che poi hanno dato la loro stessa vita perché l'Ordine potesse continuare a esistere. Napoleone ci ha portato via ciò che avevano di più prezioso e adesso è arrivato finalmente il momento di reclamare quello che ci spetta di diritto.»
Vide che Dominique lo stava guardando con aria perplessa.
«Non mi aspetto che lei capisca, ma sono comunque felice di averglielo detto.»
Dominique annuì. «Farò ciò che posso per aiutarla.»
«Grazie.»
«Signori» intervenne in quel momento Victòr che aveva ripreso vigore. «Sono d'accordo con voi, ma vi ricordo che abbiamo un problema ben più grosso da affrontare prima di immergerci in favolette di altri tempi.»
«Hai ragione» gli rispose Dominique. «Cosa suggerisci di fare allora?» gli domandò sperando che, per una volta, avesse lui una soluzione.
«Io avrei un'idea» rispose invece al posto suo Nikolaj Vasil'evič Saltykov.
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