CAPITOLO 27
27
Un urlo.
Dom si girò verso il giardino intuendo da chi potesse provenire e fece per avvicinarsi alla vetrata quando questa esplose in mille pezzi.
D'istinto si gettò sul pavimento coprendosi la testa con le mani mentre la sagoma dell'uomo si dileguava come un'ombra. Alcune schegge lo colpirono alla schiena, alle gambe e alle braccia.
«State giù!» urlò con rabbia sperando di farsi sentire in mezzo al quel caos.
Natalia però lo udì un attimo troppo tardi e fu colpita di striscio alla gamba da un proiettile. Cadde a terra stringendo i denti per il dolore. Non disse una parola, ma afferrò il corpo di Adrien e lo trascinò al riparo dietro un grande divano.
Joseph invece si gettò sopra la madre con la ferrea intenzione di farle scudo con il proprio corpo.
Qualche secondo dopo tutto finì.
Nel salotto calò un pesante silenzio.
«State tutti bene?» disse Dominique cercando di rialzarsi.
«Poteva andare peggio» rispose Natalia tastandosi la ferita.
«È sempre stato qui!» riprese Dom «quel bastardo è sempre stato qui!» Si rimise in piedi togliendosi al contempo una piccola scheggia dalla coscia e una dal braccio. Un rivolo di sangue gli imbrattò la giacca strappata.
«Non lo abbiamo visto perché era nascosto dietro quell'intercapedine» continuò poi indicando lo spazio fra il muro e la finestra «e adesso se ne è andato.»
Strinse i pugni poi riprese la pistola che aveva gettato per terra e si voltò verso il ragazzo. «Stai bene?»
Lui si alzò annuendo.
«Sei ferito?»
«No, non credo» si tastò il corpo decisamente intontito per tutto quello che era appena successo.
«Tua madre?» continuò Dom.
«Sembra okay».
«Bene. Trovale un posto comodo su quella poltrona e poi aiuta tuo padre. E che nessuno lasci questa stanza, almeno fino a quando non saremo sicuri che non ci sia qualcun altro nei paraggi» quindi si voltò verso Natalia.
«Lei continui a tenere d'occhio l'uomo e mi avverta quando si sveglia. Credo che a questo punto sia necessario qualche chiarimento.»
Senza aspettare una sua risposta si mosse verso il parco. Passò sopra le schegge di vetro schiacciandole sotto il peso delle sue scarpe, quindi superato ciò che restava delle grande porta finestra, uscì all'aperto.
Victòr era in ginocchio, con la mano destra appoggiata alla mascella e lo sguardo fisso davanti a sé. La pistola giaceva poco distante. Era silenzioso, assorto in chissà quali foschi pensieri.
Dominique gli si avvicinò.
«Niente di rotto spero.»
Victòr scosse la testa. «E' okay» sibilò biascicando le parole «a parte un gran dolore alla mandibola.»
«E va bene» sbottò all'improvviso Dominique dando finalmente libero sfogo a tutta la sua rabbia. «Mi dici che diamine ci facevi qui? Ti avevo detto di coprire la zona, non ti fare irruzione in casa! Ma cosa diavolo ti è passato per la mente?»
Lui non rispose.
«Ti rendi conto del rischio che hai corso?»
Victòr continuava a stare in silenzio.
«Dannazione ti vuoi girare o no?»
Si alzò.
«D'accordo» sbottò lui guardandolo dritto negli occhi «cosa vuoi che ti dica eh? Che hai ragione? Che sono stato uno stupido? È questo che vuoi sentire?»
Stavolta fu Dominique a non rispondere.
Victòr pareva furioso e lui preferì non interromperlo.
«Non ho rispettato i tuoi ordini» continuò «e allora? Vuoi fare rapporto a Estelle?
Bene, accomodati pure» alzò le spalle come se non gli importasse, «ma sappi che ho solo cercato di darti una mano, nient'altro.»
Dominique annuì. In fondo quel ragazzo gli ricordava molto il se stesso di tanti anni fa. Caparbio, testardo, riluttante a rispettare le autorità e consapevole delle proprie capacità, a volte anche troppo. Ecco forse perché Estelle glielo aveva affiancato in quella missione, perché entrambi traessero beneficio dalle rispettive personalità, perché capissero i propri limiti e sfruttassero al meglio ciò che sapevano fare.
Un sorriso gli increspò le labbra.
«Maledizione Dominique» riprese Vic punto ancora nell'orgoglio «non sono uno sprovveduto. Ho superato tutti gli esami per essere assegnato sul campo, ho un curriculum di tutto rispetto e mi sono guadagnato questa posizione. Che ti piaccia o no. E, tanto per la cronaca, ho fatto esattamente quello che mi hai ripetuto un sacco di volte nelle ultime settimane. Ho seguito il mio istinto, proprio come fai tu.»
«Lo so» la voce di Dominique stavolta era più calma «e mi dispiace. Non è colpa tua se quell'uomo è fuggito. La mia rabbia è per non essere stato in grado di fermarlo, non per come hai agito tu» gli mise una mano sulla spalla. «Hai fatto benissimo a seguire l'istinto. Di solito è ciò che ci salva la vita, anche se il risvolto della medaglia non è mai piacevole e può lasciare dei dolorosi ricordi»
Victòr annuì.
«Dai rientriamo, qua fuori non possiamo fare più nulla. E poi hai bisogno di mettere un po' di ghiaccio sulla mascella, prima che tu non riesca nemmeno a parlare. Il che non sarebbe male, almeno per un po'» gli strizzò l'occhio cercando di sdrammatizzare.
«Ti piacerebbe» gli rispose lui con un leggero sorrisetto.
«Piuttosto» riprese Dom «sei riuscito a vedere quel tizio in faccia?»
«No, ho solo notato i suoi capelli rossi. E' successo tutto troppo velocemente E tu?»
«Niente. Mi ha letteralmente messo a tappeto prima che riuscissi a capire cosa stava succedendo. Ma lo ritroveremo. Ho come la netta sensazione che questo sia solo l'inizio.»
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