CAPITOLO 2
Île de la Cité
Parigi
Francia
2
Joseph-Alexandre de Sègur stentava a credere ai propri occhi.
In ginocchio sul pavimento scricchiolante della soffitta stava osservando, incredulo, un antico volume che aveva tutta l'aria di assomigliare a un diario di un'altra epoca.
Lo aveva trovato per caso, mentre cercava di rimettere a posto il contenuto di uno dei tanti scatoloni ammassati, come se non avessero nessuna importanza, all'interno del vecchio appartamento dei suoi genitori.
Erano diversi anni che non ci metteva più piede, da quando aveva finito il liceo. Non gli era mai piaciuta quella piccola casa situata all'ultimo piano di un imponente edificio in Rue de Boulevard du Palais, il grande viale alberato a pochi passi dalla cattedrale di Notre Dam.
Non che non amasse la zona residenziale dell'Île de la Cité, solo che in quella zona della città non c'era molto divertimento per un ragazzo in età puberale. Era solo un luogo di ritrovo per turisti che accorrevano in quella piccola isola al centro della Senna per ammirarne non solo i viali e i palazzi ma anche, e soprattutto, l'immensa Cattedrale e la Residenza Reale, oggi palazzo di Giustizia.
Adesso però che era in procinto di iniziare la stesura della tesi, aveva pensato che quell'appartamento facesse invece esattamente al caso suo. Semplice, silenzioso e per di più a dieci minuti a piedi dalla Sorbona.
Così si era trasferito, con il beneplacito dei suoi genitori.
Osservò ancora quel volume.
Suo padre era solito conservare qualunque cosa avesse un qualche legame con le vicende storiche della famiglia Sègur, ma mai avrebbe immaginato di imbattersi proprio in quel volume. Lo prese delicatamente fra le mani sfiorandone la copertina in pelle, quasi avesse timore persino ad aprirlo. Con quel gesto tolse tutta la polvere che vi si era accumulata sopra e si concentrò sul simbolo al centro del libro, un disegno che conosceva molto bene, l'emblema della Grande Armée.
Ma allora...? No, non può essere!
Conosceva fin troppo bene la storia della famiglia Sègur per non capire che doveva trattarsi del resoconto sulla campagna napoleonica in Russia scritto di pugno da Philippe-Paul de Ségur, Generale di brigata della Grande Armata nonché amico e confidente di Napoleone Bonaparte.
Con mani tremanti aprì il volume giusto per avere la conferma definitiva.
Si soffermò sul titolo.
Histoire de Napoléon et de la Grande Armée pendant l'année 1812
Philippe-Paul de Ségur –
Paris - Année 1824
Osservò con ammirazione la firma del suo antenato, ancora leggibile come quando era stata apposta, chiudendo per un attimo gli occhi sopraffatto dalle emozioni cercando d'immaginare cosa dovesse aver provato nel mettere nero su bianco le terribili battaglie vissute dall'esercito francese nelle lande desolate e fredde dalla Russia.
Philippe era stato al fianco di Napoleone per molti anni ed era riuscito a sopravvivere a quella tragica campagna di conquista sfociata in tragedia. Il libro che teneva fra le mani ne era la testimonianza più autentica e lui si sentiva fremere all'idea di leggerne il contenuto.
Dopotutto si trattava delle parole di un suo antenato, di un uomo che era stato talmente vicino all'Imperatore da conoscerne i segreti, i pensieri e le debolezze e che adesso, quasi in una sorta di confessione postuma, era pronto a rivelare a lui.
Riaprì gli occhi distratto da un dubbio.
Come mai i suoi genitori, e i suoi nonni prima di loro, avevano deciso di nascondere quel volume, piuttosto che renderlo pubblico? E perché non gli avevano mai detto nulla?
Non lo sapeva, ma sarebbe stato uno dei primi argomenti che avrebbe affrontato l'indomani mattina.
Ora l'unica cosa che riusciva a focalizzare era quella di avere finalmente a disposizione ciò che gli avrebbe permesso di scrivere una tesi di dottorato del tutto fuori dal comune, anche se questo implicava dover accennare qualcosa al suo professore al Dipartimento di Storia e Scienze umane.
Ma pure in quel caso ci avrebbe pensato più tardi.
Adesso voleva solo leggere.
Con estrema delicatezza aprì il volume sfogliandone le pagine fino a fermarsi all'inizio del capitolo primo.
«Ai Veterani della Grande Armata.
Compagni miei, mi impegno a ripercorrere la storia del grande esercito e del suo comandante durante l'anno 1812.
Ho scritto queste memorie per quelli di voi che hanno perso la vita tra i ghiacci del nord e che non possono più servire il paese se non con i ricordi delle loro disgrazie e della loro gloria. Bloccati nella vostra nobile causa, esistete ancora più nel passato che nel presente, ma quando i ricordi sono così grandi, è lecito vivere solo di ricordi. Quindi non avrò paura, ricordando la più disastrosa delle vostre gesta d'armi, di disturbare un riposo così caro. Chi di noi non sa che, dal profondo della propria oscurità, gli sguardi dell'uomo caduto si volgono involontariamente allo splendore della sua passata esistenza, anche quando questo luccichio brilla sulla scogliera dove è stata spezzata la sua fortuna, e quando brillano i detriti del più grande dei naufragi. Io stesso, lo ammetto, un sentimento irresistibile mi riporta costantemente a questo periodo disastroso delle nostre disgrazie pubbliche e private. Io non so quale triste piacere trovi la mia memoria nel contemplare e riprodurre le dolorose tracce che tanti orrori hanno lasciato su di essa.
Quindi anche l'anima è orgogliosa delle sue profonde e numerose cicatrici? Le piace mostrarle? È questa una ossessione di cui dovrebbe essere orgogliosa?
O meglio, dopo la sete di conoscenza, il suo primo bisogno sarebbe stato quello di condividere i suoi sentimenti?
Sentire e far provare, sono queste le motivazioni più potenti della nostra anima?»
Il cellulare prese a squillare.
Joseph, riportato bruscamente alla realtà, smise di leggere. Infastidito per quella interruzione prese controvoglia il telefono dal giubbotto.
Guardò il display.
Sua madre.
Chissà come mai aveva sempre la capacità di interromperlo nei momenti meno opportuni. Con una leggera smorfia di disappunto, cliccò sul tasto rispondi.
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