CAPITOLO 19

Versailles

Rue de l'Ermitage

19

Adrien Ségur fermò la macchina di fronte al cancello di ferro di Villa Ermitage, un'imponente casa di campagna ubicata nell'omonima via da cui prendeva il poco fantasioso nome.

Si trovavano nel comune di Versailles a circa tre chilometri dal palazzo di Luigi XIV, al sicuro, per il momento, nella loro dimora.

Era il tramonto. La calda luce del sole stava gettando i suoi ultimi deboli raggi sulla natura circostante creando dei bellissimi giochi di luce che si riflettevano sul tetto a mattoni rossi della villa, sui camini vecchio stile e sulle piccole finestre che adornavano le pareti bianche.

Una leggera brezza smuoveva le fronde dei grandi alberi situati nel cortile interno, mentre le ombre scure della sera avanzavano silenziose attraverso il maestoso parco che si estendeva dalla villa fino ai confini del palazzo reale.

In silenzio entrarono.

Parcheggiata la macchina nello sterrato, Margot scese e andò ad aprire la porta. Adrien e suo figlio la seguirono poco dopo. Lungo la strada si erano fermati a comprare qualcosa da mangiare, per cui, data l'ora, non fecero altro che apparecchiare limitandosi ad accendere il grande camino in pietra per riscaldare l'ambiente. Alla fine, si sedettero intorno al tavolo di legno massello al centro della cucina.

«Tu credi che saremo al sicuro qui?» domandò per l'ennesima volta Joseph a suo padre.

«Almeno per un po' dovremmo. Sono stato molto attento lungo tutto il tragitto e ho preso strade diverse dal solito. Non mi pare di aver notato nessuno che seguisse i nostri movimenti.»

«Adrien ha ragione» intervenne Margot «e poi la casa è intestata alla famiglia Legrand, i parenti di mia madre. Non sarà così semplice risalire fino a noi.»

Joseph annuì ancora poco convinto. Aveva visto la determinazione nel volto dell'uomo dai capelli rossi e dubitava che la faccenda fosse davvero finita lì.

«Come ti senti tesoro?»

«Sono ancora un po' scosso.»

«È comprensibile. Perché non ti riposi un po'?»

«No, prima voglio ascoltare cosa avete da dirmi.»

«Mi sembra giusto» aggiunse Adrien addentando una coscia di pollo. «Una promessa è una promessa. Ma prima che ne dite se finiamo la cena? Avremo tutta la serata per affrontare l'argomento e io sto morendo di fame.»

Joseph alzò le spalle.

Un'ora dopo si sedettero nel salotto, intorno al camino. L'aria era impregnata del profumo di legna bruciata.

«Allora, figliolo» iniziò Adrien poggiandosi alla poltrona «immagino che tu abbia con te il libro, giusto?» gli domandò anche se sapeva già la risposta.

Joseph annuì. Lo tirò fuori dallo zaino e lo porse a suo padre. Lui lo prese e lo tenne stretto fra le mani per un attimo guardandolo con intensità, avvolto in foschi pensieri. Quel volume per la sua famiglia aveva sempre rappresentato sia un onore che un onere. E adesso tutto questo stava inesorabilmente ricadendo anche su suo figlio.

Alzò lo sguardo su di lui.

«Da dove cominciamo, papà?»

«Non certo dalla storia di Philippe Ségur. Quella la conosci già molto bene. Ciò di cui invece non hai idea è il segreto che si cela dietro le pagine di questo libro.»

«Di che si tratta, allora?»

«Dimmi una cosa, prima. Quando lo hai trovato lo hai per caso sfogliato?»

«Per la verità, sì, qualche pagina, ma molto velocemente.»

«Hai notato qualcosa di strano?»

Joseph ci pensò un attimo. «Sì, in effetti ora che mi ci fai riflettere ho visto, a un certo punto, il disegno di una mappa. Era senza nomi però e senza riferimenti di sorta.»

«Esattamente. E hai idea di cosa possa essere?»

«No. Me lo sono chiesto, ma non ho avuto modo di approfondire la questione.»

«Allora te lo dico io. Quella che hai visto è la mappa di un tesoro, Joseph, ed è il motivo per cui tutti stanno cercando il libro.»

«Va' avanti.»

«Lascia che ti racconti una storia, poi capirai da solo. Dobbiamo tornare per un attimo indietro nel tempo, e più precisamente alla fine di ottobre del 1812, in Russia. Come tu ben sai, Napoleone aveva da poco abbandonato Mosca, semidistrutta dal terribile incendio che aveva devastato i due terzi della città. Ignorato dallo Zar e a corto di alternative, era stato costretto a una frettolosa ritirata complice pure l'imminente arrivo dell'inverno. La Russia, per lui, non aveva ormai più niente da offrire. A parte l'oro.»

«Stai parlando del saccheggio della città, giusto?»

«Esatto. Proprio nelle settimane precedenti il suo esercito, dimorando in una città totalmente svuotata della popolazione, delle truppe nemiche e persino di qualsiasi forza dell'ordine, ne aveva approfittato per razziare ogni cosa che avesse valore.»

«Conosco la vicenda» mormorò Joseph scuotendo la testa. «Fu un episodio terribile e triste al tempo stesso. Un immane saccheggio durante il quale vennero portati via oro, gioielli e preziosi di ogni genere, molti dei quali addirittura fusi nei forni delle chiese. Per non parlare delle reliquie sacre, dei libri e dei documenti che furono rubati dalle case, dalle cattedrali e dalle biblioteche. Sembra che anche la croce d'oro del campanile di Ivan il Grande facesse parte di quell'enorme bottino.

Ho letto alcuni passi del libro di Walter Scott sull'argomento.»

«Lo immaginavo. Allora saprai anche che tutto quell'oro, quasi ottanta tonnellate secondo gli storici, fu caricato su un numero considerevole di carri nel momento stesso in cui l'imperatore decise di lasciare Mosca.»

«Certo. E so anche che Napoleone, disgustato da tutte quelle ruberie senza remore, aveva dato l'ordine di non proseguire con quei saccheggi. ma nessuno dei suoi ufficiali riuscì a farsi rispettare. Il caos in cui versava la città ebbe il sopravvento persino sugli ordini dell'Imperatore.

A quel punto, non c'era altro da fare. Quando lasciarono la città Napoleone non ebbe ripensamenti. Non avrebbe mai lasciato tutti quei preziosi in balia della popolazione. Non era certo un filantropo» sorrise passandosi una mano fra i capelli.

Suo padre annuì. «Già. Ed eccoci quindi di nuovo alla ritirata dell'esercito» proseguì poi con voce sommessa. «L'inverno era ormai sopraggiunto, il freddo e il ghiaccio cominciavano ad avvolgere ogni cosa, fiaccando gli animi dell'esercito tanto quanto la fatica di avanzare in un territorio devastato e vuoto. A tutto questo si dovettero aggiungere i continui attacchi a sorpresa dei cosacchi che debilitarono ulteriormente le truppe napoleoniche.

Poi ci fu il colpo di grazia, l'attacco massacrante da parte del generale Kutuzov nei pressi di Malojaroslavec. La battaglia fu cruenta e sanguinosa e alla fine si contarono migliaia di morti da entrambe le parti. Fu una carneficina.»

Joseph annuì. Conosceva molto bene tutti quei fatti, eppure continuava ad ascoltare con estremo interesse.

«Napoleone» continuò Adrien rivolto a Joseph «era allo stremo. La sua Grande Armata era quasi del tutto decimata, i feriti si ammucchiavano sui carri, le provviste scarseggiavano e il freddo non dava tregua.

Lui stesso non vedeva soluzioni e temeva il peggio. Il confine con Bielorussia era ancora molto lontano e la loro avanzata decisamente troppo lenta. Se avessero continuato con quel ritmo non lo avrebbero mai raggiunto.

Il rischio che tutti morissero assiderati o sotto l'assalto dei nemici stava diventando una cruda realtà.

Fu proprio in quel momento, quindi, che realizzò ciò che avrebbe dovuto fare.»

«Sbarazzarsi del peso inutile» concluse Joseph «ovvero dei carri che contenevano l'oro.»

Adrien annuì. «Precisamente, figliolo, ed è proprio lì che entrò in gioco Philippe Ségur.»

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