CAPITOLO 14
Palazzo del Priorato
Gatchina
Oblast' di Leningrado
14
Se qualcuno gli avesse piantato un coltello diritto nel cuore, probabilmente gli avrebbe fatto meno male.
Il nome Alejandro Ortega riaprì in un istante la dolorosa ferita che lo tormentava da più di un anno, da quando aveva deliberatamente ucciso il padre di Luz, la sua ex ragazza, durante una missione in Italia.
Guardò Natalia Romanova. «Come faceva a conoscere Ortega?»
«Lavoro, circa sei anni fa. Tipo interessante...»
«Non quanto lei» riprese Dominique «e, comunque, non vedo il collegamento. Cosa c'entra la vicenda di Alejandro con il fatto che avete scelto me?»
«È semplice. Quando abbiamo deciso di affrontare la ricerca del tesoro ci siamo confrontati fra di noi molto a lungo. Alla fine siamo giunti alla conclusione che ciò di cui avevamo bisogno era una persona che non avesse niente a che fare con il governo russo e che fosse, ovviamente, disposto a collaborare. Qualcuno con le carte in regola e che sapesse, all'occorrenza, affrontare situazioni che sarebbero potute diventare, come dire, abbastanza pericolose.»
«Insomma volevate un capro espiatorio.»
«Esattamente.»
«Non ha ancora risposto alla mia domanda» la incalzò Dominique di nuovo. «Perché io?»
«Diciamo che ho seguito la vicenda dei quadri rubati abbastanza da vicino da entrare in contatto con tutti gli attori, compreso lei. È stato in quell'occasione che Ortega mi ha messo in guardia tessendo a suo modo le sue lodi.»
«Credevo di non piacergli nemmeno.»
«Glielo ho detto che era un tipo interessante. Comunque, adesso non ha importanza, ciò che conta è che l'abbiamo incastrata, anche se nella rete alla fine è rimasto impigliato anche il suo giovane collega.»
«Viva la sincerità» mormorò Victòr che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
Natalia si rivolse a Dominique ignorando il commento del ragazzo. «Ho risposto alla sua domanda, ora?»
«Almeno per il momento.»
«Bene, allora basta con le chiacchiere. Il tempo stringe e io ho bisogno di una risposta immediata e sincera. Ora che sapete come stanne le cose, siete con noi, oppure devo comunicare alle autorità russe dove trovarvi?» la sua voce tradiva una velata minaccia.
Dominique guardò Victòr.
O saltare, o morire.
Lui annuì.
«Siamo con voi» replicò Dominique.
«Ottimo. Era quello che speravo di sentire. Allora» aggiunse con un sorriso «se vogliamo iniziare con il piede giusto per prima cosa devo raccontarvi una storia.»
«Quella dell'oro perduto.»
«Sì, proprio quella.
Torniamo per un attimo al 1812. Napoleone si trova a Mosca, insediato al Cremlino in attesa di incontrare lo Zar per negoziare la resa, quando scoppia un devastante incendio che avvolge in breve tempo tutta la città.»
«Quale ne fu la causa?» domandò Victòr.
«A essere sinceri sono state formulate un'infinità di ipotesi sull'argomento, ma la verità è che fu solo un piano diabolico ordito in segreto dal conte Rostopchin, il Governatore militare della città, l'uomo che era stato incaricato di difendere Mosca dai francesi con ogni mezzo disponibile.»
«Dare fuoco alle case non mi pare una grande idea» commentò Dominique.
«Al contrario. Fare terra bruciata è sempre stata la nostra strategia vincente. E in quel caso fu anche l'unica soluzione in grado di fermare l'avanzata delle truppe napoleoniche. Vedete, noi russi siamo un popolo estremamente fiero. Abbiamo sempre preferito distruggere le nostre proprietà, per poi ricostruirle, piuttosto che consegnarle nelle mani del nemico.»
«Opinabile.»
«Forse, ma non pretendo che voi capiate. Quello che mi interessa è farvi solo un quadro della situazione. Torniamo a noi» disse riprendendo il filo del discorso. «Mosca era avvolta dalle fiamme e questo, se da una parte costrinse Napoleone ad abbandonare la città, dall'altra dette ai soldati francesi il pretesto per saccheggiare ogni cosa.
Nel caos che ne seguì, vennero profanate chiese, palazzi, residenze e abitazioni. Ovunque vennero portati via quadri, oggetti sacri, oro, gioielli, libri, tutto ciò che poteva avere un valore. C'è chi sostiene addirittura che venne rubata una croce d'oro del Campanile di Ivan il Grande, la torre più alta del complesso del Cremlino.»
«Un saccheggio in grande stile. Tipico dei Francesi.»
«Fu uno vero scempio. Secondo le ricostruzioni, e ciò che ci racconta anche lo storico Aleksandr Seregin, nella capitale russa vennero saccheggiate e prese di mira più di quindicimila residenze.»
Victòr emise un leggero fischio.
«Ma la cosa più disgustosa» continuò Natalia «è ciò che hanno fatto nelle chiese e nei monasteri. Ricordo benissimo alcuni passi del libro di Seregin, che, secondo me, sono del tutto esplicativi del dramma che si consumò in quei terribili mesi. Ascoltate» disse quindi recitando a memoria le parole dello storico.
«I francesi hanno portato via icone e rovinato gioielli. Hanno fuso l'oro direttamente sul posto, visto che all'epoca ogni chiesa era dotata di un forno. I metalli preziosi sono stati trasformati in lingotti, sui quali hanno impresso la lettera N. Tutto ciò è avvenuto nell'arco di un mese. Uno scempio che avrebbe inorridito lo stesso Napoleone. Sembra infatti che sia stato proprio lui a pubblicare un decreto con il quale ordinava la fine di questi saccheggi...»
«Come, sembra. Non lo fece?» domandò Victòr.
«In realtà sì. Dette ordine ai suoi generali di pattugliare le strade della città e di mettere in atto tutte le misure necessarie affinché si ponesse fine a quello scempio, ma i suoi soldati non lo ascoltarono. La città era completamente in preda al caos, non c'erano controlli, il fuoco avanzava, la popolazione era scappata, le truppe nemiche anche. Era un'occasione troppo ghiotta e questo portò la delinquenza a superare ogni limite.»
«Se è vero quello che mi sta dicendo, come fate a essere così sicuri che tutto questo oro sia rimasto in Russia? Non è più probabile che sia stato portato in Francia o da qualche altra parte?»
«Ottima domanda. E le rispondo con le tesi dell'esploratore Vladimir Poryvaev. Lui ha cercato per molti anni questo tesoro in ogni dove all'interno dei nostri territori, ma senza mai riuscirci. E è uno dei massimi esperti in materia e sostiene che l'oro si trovi ancora in Russia basandosi sul fatto che nessuno oggetto è mai stato venduto all'asta, né tantomeno è mai apparso in collezioni private. Ancora oggi non demorde e continua a scavare, più che convinto che si trovi qui, da qualche parte.»
«Un po' debolucce come prove.»
«Vero. Anche io la penso come lei, ma per fortuna non sono le sole. Ci sono per esempio i racconti dei superstiti della tragica ritirata di Napoleone che sostengono di aver visto colonne di carri con a bordo oggetti d'oro e di valore arrancare nella neve. Poi testimonianze russe che dicono la stessa cosa, oltre ovviamente al famoso resoconto scritto da Philippe-Paul de Ségur.»
«E chi sarebbe?»
«È stato un generale della grande armata, amico e confidente di Napoleone, oltre a essere ricordato come un importante storico francese. Secondo le testimonianze Sègur avrebbe scritto diverse opere, ma è soprattutto per una che ancora oggi è ricordato. Si tratta di un dettagliato resoconto della campagna francese in Russia, intitolato Storia di Napoleone e della Grande Armata nell'anno 1812. Un libro all'interno del quale sono state narrate tutte le vicende vissute da lui e dai suoi commilitoni durante l'avanzata dell'imperatore verso Mosca, e durante la ritirata avvenuta nel freddo e nel gelo dell'inverno. Secondo alcuni studiosi egli descrisse in quelle pagine anche l'avvenimento che ci riguarda da vicino.»
Dominique si fece attento. Natalia sorrise.
«Sembra» proseguì lei «che Napoleone, rallentato dalla colonna di carri che si trascinava dietro e sfinito dalle continue incursioni dei cosacchi che decimavano il suo esercito, abbia preso la difficile decisione di sbarazzarsi del carico di oro e preziosi. Si parla addirittura di quasi ottanta tonnellate d'oro.»
«Ottanta? E dove avrebbe potuto nascondere tutto quel bottino in una zona coperta quasi del tutto dalla neve?» fece Victòr.
«Non lo sappiamo.»
«E nel libro non c'è scritto?» domandò Dominique.
«Non lo so. Per la verità nessuno lo sa» Natalia alzò le spalle. «Quel volume non è mai stato ritrovato. Sono stati fatti un sacco di tentativi, e non solo da noi, ma senza mai arrivare a nulla.»
«Quindi» intervenne Dominique «sta dicendo che non ci sono prove concrete di nessun tipo che indichino se il tesoro si trova ancora in Russia? E che il libro di questo Ségur è solo una chimera?»
«Più o meno, sì.»
«E allora come pensa che potremmo ritrovarlo noi?»
«Per due motivi. Per prima cosa perché credo di sapere chi oggi potrebbe condurci al libro di Ségur e secondo, perché qualche mese fa siamo finalmente entrati in possesso di un oggetto che sono sicura troverete alquanto esplicativo.»
«E sarebbe?»
«Un quadro» fece lei con un sorriso enigmatico «un dipinto del tutto particolare.»
«Possiamo vederlo?»
«Certamente» gli rispose Natalia «venite con me. L'ho sistemato nell'altra stanza giusto in previsione del vostro arrivo.»
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