CAPITOLO 1

Kempinski Hotel

1

Quando Dominique Didier realizzò di essere finito in trappola, ormai era troppo tardi.

«Sta giù!» urlò al ragazzo buttandosi a sua volta disteso sul pavimento. Un paio di proiettili sibilarono sopra le loro teste, frantumando il vetro della finestra e conficcandosi nel muro. «Perché diavolo stanno cercando di ucciderci?» sbraitò Victòr rivolto a Dominique come se lui fosse in grado di fornirgli una qualunque risposta.

«Secondo te posso saperlo?»

Ancora spari.

«Va' verso il divano, riparati là dietro.»

«E tu?»

«Io cerco di capire come uscire da qui» gli rispose a denti stretti.

«Qualche idea?»

«Ti sembra che ne abbia una?»

Victòr Le Roux alzò le spalle.

Altri spari.

«Fossi in te mi sbrigherei. Qua si mette male.»

«Ma non mi dire!» gli rispose Dom valutando quali possibilità di fuga avessero a disposizione. Da una prima occhiata, molto poche.

La stanza era abbastanza grande, ma le uniche uscite sembravano essere la finestra e la porta. In quanto alla prima, non era nemmeno da prendere in considerazione. Si trovavano all'ultimo piano dell'Hotel Kempinski, un enorme edificio alto più di venti metri che si affacciava sulla Mojka, uno dei tanti canali interni della Neva, senza una terrazza, senza una scala esterna, senza niente che potesse fornire loro un appiglio di qualche genere.

Uscire da lì sarebbe stato un autentico suicidio.

Rimaneva solo la porta d'ingresso.

Ma come arrivarci?

Continuò a guardare intorno, ma non vide niente che potesse fargli venire in mente qualcosa di brillante. Poi i suoi occhi si fermarono sul cadavere a pochi metri da lui. Si trattava del funzionario russo che avevano avuto l'ordine di seguire, quello accusato di aver rubato un documento secretato del governo.

È un incarico di routine, gli aveva detto da Estelle, eppure, come al solito, tutto si era incasinato.

Per prima cosa quando erano entrati in quella stanza lo avevano trovato morto, e già questo rappresentava di per sé un problema.

Poi c'era la faccenda del documento.

Lui non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo contenuto, né perché fosse così importante. Non gli era stato detto niente al riguardo, solo di recuperalo e basta.

Solo che adesso era sparito.

Tornò a concentrarsi sul problema attuale: non farsi ammazzare.

«Proviamo di là» disse a Victòr indicando la porta d'ingresso. Il ragazzo lo guardò con un'espressione interrogativa come a dire Ma sei impazzito?

«Non abbiamo altra scelta.»

«Okay. Ma vai avanti tu.»

Dominique strisciò sulla moquette del pavimento avanzando lentamente verso il fondo della camera.

«E adesso? Come ne veniamo fuori?»

«Ci sto pensando, va bene? Ma non è che mi aiuti un gran che in questo modo.»

«Forse dovremmo creare un diversivo.»

«Eh già!»

«Volevi il mio aiuto, no?»

Dominique represse una smorfia. Quel ragazzo sapeva essere davvero irritante. Si domandò ancora una volta perché mai Estelle gli avesse chiesto di fargli da balia.

«Allora ascoltami. Con ogni probabilità è da qualche appartamento situato negli edifici di fronte all'Hotel che ci stanno sparando ragion per cui dobbiamo oscurare la visuale.»

«Vuoi che tiri le tende, giusto?»

«Vedo che capisci al volo.»

Victòr annuì.

«Adesso, però!»

Lui gli fece un cenno come a dire che aveva capito, quindi si girò e, sempre stando basso, si mosse verso la finestra. Appena arrivato, mosse il braccio verso l'alto afferrando il filo che comandava l'apertura delle tende e lo tirò.

La stanza piombò nella penombra.

«Fatto!»

In quel momento una raffica di spari invase la camera fracassando un paio di quadri e colpendo il divano.

Victòr si acquattò sul pavimento. Alcune bottiglie di liquore appoggiate sul tavolino di legno del mobile bar esplosero in mille pezzi riversando il liquido ambrato per terra e scagliando vetri ovunque.

Poi il rumore cessò.

Era ora! Sapendo di avere a disposizione pochissimo tempo, Dominique si alzò di scatto e si gettò ad aprire la porta d'ingresso, ributtandosi subito dopo a terra.

«Forza, muoviti» urlò a Victòr. «Adesso!»

Qualche secondo dopo gli spari ripresero. I due strisciarono sulla moquette mentre una sequela di proiettili crivellava i muri della stanza con un rumore assordante.

Sbucarono nel corridoio. Ansimanti, ma vivi, si rimisero in piedi giusto in tempo per vedere alcuni poliziotti che facevano irruzione uscendo dall'ascensore, con le pistole puntate in avanti.

«Da questa parte, svelto!» sibilò Dom cominciando a correre verso le scale a pochi metri da lì. Victòr fece altrettanto.

«Стоп, полиция! – Fermi, Polizia!»

«Via via» urlò il ragazzo superandolo con una spallata e gettandosi giù per le scale.

Uno sparo colpì la parete proprio sull'angolo. Dominique venne mancato per un soffio. Senza pensarci due volte si appoggiò al corrimano, alzò le ginocchia e si lasciò scivolare.

Una volta atterrato in fondo alla prima rampa, girò l'angolo e si fiondò verso i piani inferiori.

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