DIO

L'ora era giunta. L'ultimo granello della clessidra aveva compiuto il suo viaggio, come le leggi del mondo gli avevano comandato. Così, allo stesso modo, ora anche Dio doveva svolgere l'ultimo compito, come le regole del suo stesso gioco gli impartivano.
Radunò con sé i suoi fratelli, progenie ed emanazione del suo pensiero, e vide come brillavano di una luce splendente accanto a lui. Li accolse, guardandoli negli occhi e osservandone la perfezione.
Tese dunque una mano sul mondo e lo vide lì, fragile tra le sue dita.
In un attimo scorse ogni cosa da ogni punto.
Ascoltò ogni grido, ogni lamento, ogni risata, ogni goccia di pioggia sferzata dal vento e ognuna di quelle che toccavano il terreno, il mare, il volto di un uomo, ascoltò ogni litigio, ascoltò sussurri d'amore, ascoltò il rumore di un'auto e l'ultimo battito di un uomo felice, ascoltò i versi di uno stormo e quelli che riecheggiavano nella mente di un giovane poeta, ascoltò una sinfonia meravigliosa, ascoltò un ragazzo premere incerto i tasti di un pianoforte, ascoltò il pianto implorante di un bambino, ascoltò ogni preghiera. Vide poi ogni alba e ogni tramonto, ogni foglia e ogni insetto, ogni predatore e ogni preda, vide ogni lettera di ogni pagina, vide ogni libro non scritto, vide ogni rito in ogni sinagoga, chiesa, moschea, tempio, vide ogni onda moltiplicarsi lungo la costa, ogni granello di sabbia di ogni spiaggia, vide i sopravvissuti di una battaglia scrivere lettere alle famiglie, vide l'ombra del sole allungarsi sotto una felce, vide l'impeto delle cascate, di mareggiate ed eserciti, vide un tumore abbracciare le ossa, vide le nuvole coprire il riflesso del sole su uno specchio d'acqua, vide infinite porte, vide un abbraccio, vide un embrione e ogni atroce cadavere nascosto nel buio della sua bara, vide città eterne e immensi deserti d'acqua, di sabbia e di silenzi. Vide miliardi di occhi fissarlo e comporre uno specchio infinito, vide tutti gli specchi del mondo e in nessuno il suo riflesso. Sentì la libertà, la schiavitù, sentì l'amore e l'invidia e ogni concetto astratto, lesse infinite volte il suo stesso nome. Sfiorò la spalla di ogni uomo e donna, ne percepì il profumo, la sofferenza e l'istinto alla vita che egli stesso gli aveva donato.
Poi strinse il pugno e in un istante furono il silenzio e l'oscurità.
Dio fu percorso da un brivido e per la prima volta provò qualcosa.

Abbassò la mano tremante e tacque, poi si voltò. Gli altri suoi fratelli lo osservavano in silenzio. La gloria dell'inizio del mondo e lo splendore della sua conclusione, riflessi negli occhi di Dio, li spinsero ad inchinarsi a lui con espressione composta. Infine lo seguirono attraverso un grande arco che scomparve alle loro spalle.
Ora erano usciti dalla realtà e di essa non poteva rimanere nulla.
Camminarono a lungo nel noumeno impossibile da descrivere, in una calma tersa, in fila indiana, in silenzio. I loro passi non rimbombavano, le loro ombre non toccavano terra.
La fretta non li sfiorava, né alcuna altra emozione pareva persuaderli ad accennare un passo più corto dell'altro.
Dio pensò a loro e pensò con loro, vide oltre i loro occhi e percepì la loro essenza. Dunque, una volta giunto al termine del cammino, di fronte ad una porta bianca, si voltò.
Li guardò uno ad uno e li ringraziò con lo sguardo. Infine gli sorrise, perché aveva visto in essi una commozione di cui probabilmente essi stessi non erano coscienti. Con fatica parvero ricambiare l'espressione, tutti tranne uno, il cui volto si illuminò con naturalezza.
Il gruppo, sotto lo sguardo di Dio, si riunì in un cerchio e chinò il capo.
Uno di questi, colui che aveva sorriso con il cuore, si avvicinò e gli porse un oggetto avvolto in un panno candido. I due si scambiarono uno sguardo lungo un istante e un'eternità, poi la figura si allontanò, unendosi agli altri.
Senza voltarsi nuovamente a guardare Dio essi procedettero a ritroso lungo il cammino e scomparvero alla vista dopo poco, avvolti in un bagliore indescrivibile.
Allora Dio abbassò lo sguardo sul manufatto che stringeva tra le mani e vide tra le sue dita un pugnale. Il metallo era freddo e lui lo sentì. Per la seconda volta Dio provò qualcosa.

Si ripetè che ogni evento trascorso era cosa buona e lo erano tutte le cose che sarebbero avvenute ancora, poiché era stato lui a deciderle.
Aprì con cura la porta e ogni istante fu fatto a sua immagine e somiglianza, in quanto nessun altro riferimento oltre al suo pensiero avrebbe potuto scandire il tempo.
Mentre varcava la soglia allora pensò e lo fece con tutto se stesso. Dalla sua mente ricolma nacquero una serie di voci che s'intrecciavano in un'armonia. Questa trascendeva l'udibile in profondità e in altezza nello spazio che lo circondava. Quest'ultimo ora era un giardino, cosparso di piante in fiore, alberi da frutto e una brezza leggera. Dio camminò in questo Eden, sfiorando con le dita le foglie e i petali, osservandone la spregiudicata bellezza, prima di sedersi ad ascoltare soddisfatto la sua stessa musica.
Pensò ad ogni nome che gli uomini gli avevano dato nel corso dei millenni. Era stato Zeus, era stato Giove, era stato Yahweh, era stato la Trinità, era stato Allah, era stato Brahmā, era stato Izanagi, era stato Odino, era stato Tabaldak, era stato Tloquenahuaque, era stato Hunab Ku, era stato Assur e migliaia d'altri. Ognuno di essi emetteva una nota diversa che andava a perdersi nel vento e in un mare colorato di suoni. Socchiuse gli occhi e ricordò di aver dimenticato il suo vero nome innumerevoli eoni prima, quando ancora non c'era nessuno che potesse pronunciarlo.
Rimase assopito nei suoi pensieri per un tempo che solo lui poté giudicare, mentre la melodia si faceva via via più leggera e lontana. Dio si perse nel ricordo del suo universo e lo confuse con un sogno.
Infine rimase un'unica nota a scorrere tra il verde del giardino, sufficientemente alta da ridestare Dio dalla sua tomba di memorie e di spettri. Era l'immagine della morte.
Ripensò a quanto gli uomini di tutto il mondo e di tutti i tempi si fossero impegnati per trovare una risposta, almeno consolatoria, al dilemma della loro dipartita.
Per millenni Dio li aveva osservati: dopo aver passato l'intera esistenza a fingere che la morte non esistesse, si apprestavano a raggiungerla con timore e dubbio. Lui, al contrario, era sempre stato convinto che ci fosse un'ora nel tramonto della vita umana in cui la morte stia per dire qualcosa; non lo dice mai davvero, o forse lo ripete all'infinito ma senza essere compresa.
Dio era sempre rimasto estraneo a quel tormento e aveva guardato l'ineluttabile mietitrice negli occhi, sicuro che fosse solo una delle sue creazioni. Ora però, per la prima volta, non riusciva a vedere oltre di essa, non poteva percepirne la voce.
Quella nota dunque rimase sospesa, senza poter essere messa finalmente in ordine con ogni altra idea.
Si spense solo quando Dio, abbassando lo sguardo, rivide tra le sue mani il pugnale.
Allora comprese che la sua creazione più grande andava al di là del suo stesso potere. Quel giardino non sarebbe stato il suo eterno paradiso, l'epilogo infatti era un confine invalicabile persino per lui. Come per ogni altro la morte l'aveva atteso silenziosa sin dal principio, ora lo fissava dall'uscio della porta bianca nelle vesti del fratello che gli aveva sorriso.
Dio non ebbe paura e non esitò a ricambiare lo sguardo perché ora sapeva che l'unico scopo nella sua eternità era stato quello di non essere solo. Ora che tutto era finito non poteva restare.

Si trafisse il petto senza che il dolore potesse spaventarlo, benché ne provò.
E per quanto ne avessero detto gli uomini, negli ultimi istanti fu Dio a soffrire per la fine, prendendosi la responsabilità di ogni sua creazione, con le quali aveva colmato il suo timore della solitudine.
Fu allora che ricordò il suo vero nome e lo pronunciò sommessamente, come per nasconderlo, con commozione.
Così Dio si accorse di aver rinnegato tre volte la sua compostezza, la sua indifferenza, il suo destino di eternità e comprese quanto le sue stesse regole l'avessero plasmato fino a ingannarlo.
Ora era un uomo e agonizzava senza fiato sul pavimento, mentre attorno a lui ogni pianta appassiva e ogni pietra si sgretolava divenendo cenere leggera alla vista del suo sangue caldo.

Quando spirò, con lui scomparve anche il tempo.

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