2: Il Sogno di Lucas

     Raccolse il frutto. Lo rigirò tra le mani, osservandolo. Era strano. La buccia era blu. A prima vista sembrava rugosa, ma, toccandola, la percepiva liscia. Iniziò a sbucciarlo. Del liquido color acquamarina gli colò sulle mani. Dovette stare attento a non macchiarsi. La polpa era morbida, con dei piccoli semini verdi all'interno. Lucas diede un morso. Il sapore era agrodolce, la consistenza pastosa. I semi però erano fastidiosi, come quelli delle angurie. Li sputò a terra. Subito dopo si pulì la bocca con la manica della maglietta.

     Alzò lo sguardo verso l'alto: gli altri frutti erano fuori della sua portata. Cercò qualcosa che gli consentisse di arrivarci. Raccolse alcuni rami, abbastanza lunghi, da terra e provò a sfruttarli per scuotere le fronde dell'albero.

     Una strana mano raccolse un frutto per lui.

     Era grande, con sole due dita, abbastanza lunghe da poter comunque assicurare una presa sicura su qualsiasi oggetto. Lucas si voltò e sorrise alla "persona" che lo stava aiutando. Anche se non era certo di poterla definire "un uomo".

     Era un essere alto almeno tre metri. Rispetto allo standard umano, il suo corpo era sproporzionato. Le quattro braccia erano lunghe e affusolate. Rimanendo dritta, la creatura poteva toccarsi gli alluci dei piedi con la punta delle dita. Per poco le mani non strusciavano sul terreno. Le gambe non erano da meno: Lucas arrivava sì e no ai fianchi dell'essere. Doveva per forza restare col naso all'insù, per guardarlo negli occhi.

     Non che il volto fosse meno bizzarro: le guance erano scavate e la bocca era ridotta a un minuscolo foro. Le orecchie erano particolari: si trattava di due grandi buchi ai lati della testa, coperti da una sottile membrana, che percepiva le minime vibrazioni. Lucas si chiese come funzionassero.

     Stranamente, la sua vista non lo spaventava, anzi. In qualche modo sapeva di non avere nulla da temere. Niente di ciò che lo circondava era reale. Nel profondo, era conscio che si trattasse solo di un sogno.

     La creatura gli porse il frutto: «Tieni, piccolo umano» sul lungo collo s'intravedeva il movimento delle corde vocali.

     Lucas continuò a sorridergli: «Grazie, Evhonas.»

     Non era chiaro perché sapesse già il suo nome. Aveva la sensazione di conoscerlo da sempre. Infatti non gli era indifferente come l'anonima Drianna. Con la poverina aveva scambiato solo qualche frase di circostanza. Con quell'essere, invece, era completamente a suo agio. Era certo di potergli dire qualsiasi cosa gli passasse per la mente.

     Evhonas raccolse un altro frutto per se stesso e, strappata una parte della buccia, iniziò a gustarne la polpa con la lunga lingua. Ricordava vagamente la proboscide di una farfalla.

     Lucas osservò il luogo che lo circondava. Si trovavano al limitare di un bosco. Pochi metri più avanti, c'era uno strapiombo. Oltre la sua linea tagliente, s'intravedevano ettari sconfinati ricoperti di alberi. Gli ricordavano vagamente le panoramiche aeree della foresta pluviale amazzonica: chilometri sterminati di cupole verdi baciate dalla luce del Sole. L'unica differenza era che lì, di stelle, ce n'erano addirittura tre. Il ragazzo si chiese come fosse possibile che il pianeta di un sistema ternario potesse ospitare la vita. Purtroppo, non aveva le necessarie nozioni di astronomia per poter rispondere alla domanda.

     «Allora, piccolo umano... come mai sei tornato qui?» Evhonas si avvicinò al precipizio e si sedette (mossa alquanto buffa, data la sua fisionomia) sul bordo, con le lunghe gambe sospese nel vuoto.

     Lucas ridacchiò e si avvicinò. Si accomodò alla sua sinistra, poi morse il frutto. La polpa era talmente morbida che avrebbe potuto ingoiarla senza neanche masticarla.

     «Sto scappando» rispose con leggerezza.

     L'essere lo fissò con i suoi grandi occhi vitrei: «Scappando? E da chi?»

     «Questa è proprio una bella domanda, sai? Però sarebbe più corretto chiedermi da cosa» il ragazzo spaziò con lo sguardo, ammirando il panorama. «Per quanto tempo posso restare, stavolta?»

     «Tutto il tempo che desideri» rispose prontamente l'essere.

     Lucas avrebbe voluto che fosse vero.

     «In tal caso, mi piacerebbe vedere dove vivi» disse sorridendo.

     Evhonas emise dei bizzarri sibili, che Lucas interpretò come una risata. Si era sempre domandato come ridessero gli alieni. Beh, ora lo sapeva. L'amico lo guidò attraverso la foresta, indicandogli la strada più sicura. Le piante erano talmente tante che Lucas faticava a camminare. Ogni cinque passi c'era un ramo che gli si schiaffava in faccia o una radice che gli faceva lo sgambetto.

     La foresta era molto bella. I colori degli alberi non assomigliavano minimamente alla realtà: anche se dall'alto le chiome sembravano cupole verdi, da terra si percepiva un intenso miscuglio di rosso e viola. I rami erano talmente fitti che solo una minima quantità di luce penetrava fino al sottobosco. Le piante, per la maggior parte sciafile, si erano ben adattate alla scarsa illuminazione. Gli animali avevano adottato stratagemmi piuttosto vistosi, per essere notati nella semioscurità. Lucas era sicuro di aver scorto alcuni uccelli spruzzare della polvere fluorescente su degli alberi. Forse era il loro modo per riconoscere il nido, chissà!

     Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, che d'un tratto Evhonas gli disse di fermarsi. Attorno a loro non si vedevano altro che alberi. Il ragazzo guardò l'amico con espressione interrogativa. Allora l'alieno gli indicò in basso.

     Lucas sgranò gli occhi. Per poco non fu sul punto di restare a bocca aperta. Sotto i suoi piedi s'intravedevano dei movimenti. La terra era compatta, marrone come sempre, eppure era anche diafana. La lieve trasparenza permetteva di vedere delle persone, indigeni identici a Evhonas, che a loro volta li osservavano con curiosità. La loro attenzione era tutta per Lucas.

     «Perché mi guardando così?» chiese il ragazzo, con l'impressione di essere diventato improvvisamente l'attrazione di uno zoo.

     L'essere ridacchiò: «Non capita spesso d'incontrare due alieni nella stessa giornata.»

     «Alieno?» Lucas non aveva mai considerato la situazione da quel punto di vista. «Aspetta... due? Significa che c'è un altro umano?»

     Evhonas assunse un'aria perplessa: «C'era... è andata via un paio d'ore fa» inclinò la testa a sinistra.

     «Davvero?» il ragazzo era sempre più stupito. «E chi era?»

     «Non ci ha detto il suo nome» la creatura girò la testa dall'altro lato. «Ora che ci penso, non riesco a ricordare bene quanto tempo è rimasta e di cosa ha parlato. Probabilmente nulla d'importante, altrimenti non me ne sarei dimenticato!»

     Lasciarono cadere lì la questione. Evhonas mostrò al ragazzo come accedere alle gallerie sotterranee. Lucas dimenticò in fretta la curiosità di sapere chi fosse l'altro umano. Ciò che lo circondava era sufficiente a distrarlo dal resto. Il popolo del suo amico era incredibile. Avevano strutturato delle immense città sotterranee, mantenendo allo stesso tempo la superficie del pianeta sana e rigogliosa. Mentre all'esterno esisteva una biodiversità invidiabile, persino dalla Terra, nel sottosuolo la gente viveva come in una metropoli. Lucas non aveva idea di come ci fossero riusciti, ma sospettava che un tempo quegli esseri non fossero tanto diversi dagli umani.

     «Come siete riusciti a fare tutto questo?» aveva chiesto, strabiliato.

     Evhonas aveva riso: «Non esiste un "come". Quando ci siamo resi conto che volevamo farlo, l'abbiamo fatto.»

     Lucas aveva trascorso il tempo a esplorare ogni angolo della città sotterranea. L'amico lo lasciò libero di andare dove voleva. Disse semplicemente che non c'erano pericoli, lì sotto, e che, se avesse avuto bisogno di lui, gli sarebbe bastato chiedere a qualcuno dove si trovasse. A quanto pareva, le persone del posto possedevano una speciale capacità: erano in grado di percepire la presenza degli altri esseri viventi. Non era telepatia né empatia: se avessero dovuto usare un termine umano, loro l'avrebbero definito un sesto senso.

     Lucas si perse. Improvvisamente si rese conto di non sapere dove stava andando. Aveva sbirciato in ogni anfratto della città, riempiendosi di quella strana sensazione di pace che impregnava la terra. Non c'era una sola struttura che fosse in metallo, plastica o cemento. I palazzi erano scavati direttamente nella pietra, le case modellate con il fango. Non c'era grigio né tristezza. Le persone erano allegre e si dedicavano a ciò che amavano. Lì, se avesse parlato di lavoro, lo avrebbero guardato come se fosse un alieno. Lì, alieno lo era davvero.

     Abbagliato dalle novità, non si rese conto di essersi addentrato nella periferia, dove la roccia doveva ancora essere plasmata e la terra scavata. Si guardò attorno e capì di essere solo. Non c'era più nessuno a cui chiedere indicazioni.

     Stava pensando di tornare indietro, di ripercorrere la strada a ritroso (anche se sinceramente non ricordava nemmeno quale percorso avesse seguito), quando vide una luce. Era un piccolo lumicino fluttuante. Ronzava davanti al suo volto. Il ragazzo sorrise e tentò di afferrarlo. La luce schivò la sua mano e fluttuò via rapidamente. Il ragazzo la inseguì, con la curiosità di sapere cosa fosse e dove stesse andando.

     D'un tratto la piccola lucciola imboccò una galleria. L'entrata era buia, nera. Sembrava che fosse stato delineato un netto confine tra la città e l'oscurità del tunnel. Lucas esitò. Non sapeva dove conducesse, né se fosse sicuro. Ricordò le parole di Evhonas: lo aveva lasciato libero di gironzolare perché non c'erano pericoli. Così entrò nel cunicolo, soffocando il timore.

     Raggiunse il lumicino e continuò a inseguirlo. Era veloce. Non riusciva a stargli dietro. Gli chiese più volte di aspettarlo, come se potesse sentirlo. Ormai non aveva più la cognizione di quanto tempo fosse trascorso. Correva a perdifiato nel tentativo di raggiungere la luce. Percepiva un forte peso addosso. Era inquieto. Attorno a lui tutto era avvolto nell'oscurità, infinitamente nera. La sua unica speranza era raggiungere il lume. Però non ci riusciva. Era troppo lento. Se non l'avesse preso...

     Improvvisamente la luce si spense. Lucas si lasciò sfuggire uno strillo disperato. Aveva paura. Non riusciva a vedere più nulla. Si girò in ogni direzione, ma ovunque tentasse di andare sbatteva contro una parete invisibile. Iniziò a chiedere aiuto. Dapprima, fu un sussurro. Poi, si trasformò in un urlo.

     Così com'era scomparsa, la luce si riaccese.  A Lucas sembrò un miracolo. Forse stava piangendo. Sorrise, di una felicità incommensurabile, e corse verso il lume. Stavolta lo raggiunse. Riprese fiato e lo osservò. Rimase stupito, per attimi che parvero eterni.

     La luce proveniva da un oggetto. Era custodito tra le mani di una persona.

     Una persona che conosceva.

     «Drianna...»


     Fu allora che Lucas si svegliò.



|| Il Nascondiglio dell'Autrice! ||

Alé! Si continua col secondo capitolo! :D

Un piccolo (coff coff non proprio.... xD) balzo dalla realtà al mondo dei sogni!

Mi sono divertita un sacco a descrivere  l'universo di Evhonas!

Ho l'impressione di amare più i sogni di Lucas che la sua realtà! xD

Voi che ne pensate? Vi è piaciuto questo capitolo?

:D Chissà come mai ha sognato la piccola Drianna!

No, non è perché è innamorato di lei u.u posso assicurarvelo!

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