1: La Realtà di Lucas
Aveva capito da tempo come girava il mondo.
Quando suo padre parlava dei suoi studi, ripeteva che gli sarebbero serviti nella vita. Avrebbe dovuto ottenere buoni voti, se sperava di trovare un lavoro decente.
Era un uomo mingherlino, suo padre, con delle profonde occhiaie e un fisico asciutto ed emaciato. Trascorreva ore intere chiuso nello studio. Davanti al computer. Diceva che era estremamente importante. Lì dentro c'era il lavoro di tutta una vita. Spesso gli appoggiava una mano sulla spalla e gli raccontava di quanto avesse faticato per diventare un programmatore affermato. Lucas aveva solo una vaga idea di cosa significasse: non chiedeva mai informazioni riguardo ai grafici e ai complessi simboli sullo schermo. Si trattava di codifiche, roba complicata, e lui non era mai stato una cima nelle materie tecnico-scientifiche.
Suo padre diceva di amare il proprio lavoro. Lui non ci credeva. Lo vedeva sempre stanco, stressato, spesso arrabbiato e irrequieto. Se pensava che un giorno sarebbe potuto diventare così, provava una morsa alla bocca dello stomaco. Non voleva trasformarsi in un uomo smunto e pallido. Non si immaginava seduto a una scrivania. La vita era troppo breve per affogare nel lavoro come suo padre. Suo padre, che non aveva più tempo per sé stesso, che era senza passioni, che non riusciva neanche a definirsi come persona.
No. Lucas voleva qualcosa di più. Diventare qualcuno, spiccare tra la massa, come gli esploratori, i teorici, come coloro che contribuivano ad arricchire la cultura e la conoscenza umane.
Sarebbe diventato un artista (prima o poi) e sarebbe stato riconosciuto in tutto il mondo.
Quando era più piccolo mostrava i suoi disegni a suo padre, domandandogli che ne pensasse. Riceveva in risposta con un laconico "carino". Così, alla fine, aveva smesso di chiederglielo. Forse non erano abbastanza interessanti. Non portavano a casa i soldi per comprare il cibo e pagare le bollette.
Lucas era un ragazzo relativamente normale. Andava al liceo regolarmente, con i mezzi. Poiché suo padre non aveva il tempo di accompagnarlo, lui si svegliava tutti i giorni alle sei.
Saliva su uno scuolabus alle sei e trenta precise. Il mezzo impiegava quarantacinque minuti per compiere il percorso fino alla scuola.
Era uno dei momenti della giornata che preferiva.
Si sedeva nel posto dietro al guidatore. Poggiava lo zaino sull'altro sedile. Indossava gli auricolari e rimaneva a fissare il mondo, oltre il finestrino, scorrere davanti ai suoi occhi.
La sua mente vagava tra mille pensieri, alcuni assurdi, altri geniali, molti profondi ma inesprimibili. Quando poi lo scuolabus arrivava al capolinea, gli sembrava che il tempo fosse trascorso troppo in fretta. Una volta sceso, dimenticava quei pensieri meravigliosi, tornando di nuovo alla sua realtà. Lasciava che le ore proseguissero, non davvero partecipe della propria vita. Attendeva pazientemente la fine delle lezioni, della sezione pomeridiana e degli allenamenti di calcetto. Tornava a casa con lo stesso scuolabus, trascorrendo altri quarantacinque minuti di fantasia.
Svolgeva i compiti per il giorno dopo, puliva la cucina e preparava la cena. Suo padre usciva dallo studio solo per mettere qualcosa sotto i denti e per scambiare alcune frasi di circostanza con suo figlio. Da quando era morta la moglie, era diventato ancora più attaccato al lavoro, dimenticandosi del resto, persino di cosa significasse avere una famiglia. Lucas aveva superato il lutto con indifferenza. Aveva pianto solo quando aveva ricevuto la notizia: poi, non aveva provato più nulla.
Dopo la cena, suo padre si rintanava di nuovo nello studio. Lucas trascorreva il resto della serata a disegnare. Spesso rappresentava quei pensieri fugaci nati sullo scuolabus. Ogni tanto scannerizzava i lavori e li pubblicava su diversi siti web, sorridendo ogni volta che riceveva un commento. Un commento che non si limitasse alla parola "carino".
I pochi attimi prima di dormire erano un altro dei suoi momenti preferiti.
Chiudeva gli occhi e si lasciava andare al flusso dei pensieri, gli stessi che lo cullavano la mattina. Le immagini e le parole si susseguivano nella sua mente, tanto in fretta che contarli era impossibile. Così si addormentava pensando a creature, mondi, esistenze irreali, ma estremamente affascinanti. La mattina dopo, riusciva a ricordare solo pochi brandelli delle sue fantasie, e si pentiva di non aver appuntato le più interessanti su carta, con qualche schizzo o una descrizione.
Lucas andava in standby per l'intera giornata, tranne che in quei particolari momenti.
La mattina del suo diciassettesimo compleanno non sarebbe dovuta essere diversa. Il ragazzo si svegliò alle sei e in mezz'ora preparò la colazione, si lavò e si vestì. Lasciò una tazza di caffè e un toast sul tavolo, per suo padre. Uscì di casa con due minuti d'anticipo e rimase ad aspettare lo scuolabus sotto il piccolo segnale stradale, che recava la scritta nera "Fermata su richiesta" su uno sfondo giallo. Il mezzo arrivò puntuale. Lucas vi salì e si accaparrò il solito posto dietro al guidatore. Quella sotto casa sua era la prima fermata dello scuolabus, perciò era tutto completamente libero. Lucas si accomodò sul sedile vicino al finestrino e poggiò lo zaino sull'altro a fianco. Aprì la tasca del giubbotto e ne estrasse il lettore mp3, già munito di auricolari. Dovette districare il filo delle cuffiette, prima di poterle indossare. Selezionò la traccia musicale denominata "Godspeed – Audiomachine" e premette il pulsante "play".
Sospirò lentamente e appoggiò la testa contro il finestrino.
Lo scuolabus iniziò a muoversi. L'mp3 riproduceva fedelmente la composizione scelta. Per i primi minuti il ragazzo mantenne il volume a livelli accettabili. Alla terza fermata del mezzo, però, lo aumentò al massimo. Da una parte sapeva che avrebbe rischiato di danneggiarsi l'udito. Dall'altra non gli importava: la musica stimolava i suoi pensieri e gli permetteva di perdersi nel suo piccolo rifugio dalla realtà.
Alla quarta sosta, si era ormai dimenticato del mondo esterno: l'autobus si era lentamente riempito, ma lui non se ne era neanche accorto. Continuava a osservare fuori dal finestrino, senza guardare davvero. O meglio, vedeva, ma non ciò che gli altri percepivano oltre il vetro trasparente.
Il flusso dei suoi pensieri s'interruppe all'improvviso. Fu sostituito da una sgradevole sensazione. Aveva l'impressione di essere osservato. Distolse lo sguardo dal finestrino e scrutò con circospezione i passeggeri. Nessuno stava prestando attenzione a lui. Stava per tornare a fantasticare, quando qualcuno gli si avvicinò. Una ragazza della sua età era in piedi davanti al sedile occupato dallo zaino. Gli stava sorridendo. Le sue labbra si mossero, ma Lucas non riuscì a sentirla. Così si tolse controvoglia un auricolare.
«Scusami, è libero questo posto?» ripeté la ragazza.
Lucas la squadrò per intero. La sua figura non gli diceva niente. Era una giovane qualsiasi. Eppure aveva la sensazione di averla già vista. La sua presenza gli era familiare. Rimase a scrutarla per alcuni minuti. Lei parve a disagio. Alla fine Lucas accantonò quella sensazione e si strinse nelle spalle. Senza dire una parola, afferrò la cartella e la spostò a terra, tra le gambe.
«Grazie» disse la ragazza, sedendosi.
«Figurati» rispose lui, con una nota d'indifferenza nella voce.
Si rimise l'auricolare e tornò a fissare fuori dal finestrino. La sua coetanea sorrise timidamente e si strinse in grembo il borsone che usava come zaino. Non era diversa da altre giovani della sua età, anzi, il suo aspetto era abbastanza anonimo. Portava i capelli corti, tagliati a caschetto (acconciatura che in verità non le donava) e un grosso paio di occhiali a lenti tonde sul naso pieno di lentiggini. Si guardava attorno, dimostrando di non saper aspettare pazientemente la fine della corsa. Ogni tanto sbirciava nel borsone, come se contenesse qualcosa d'estremamente importante. Aveva anche assestato delle accidentali gomitate a Lucas. Naturalmente, si era subito scusata, ma non le erano state risparmiate delle occhiatacce truci. Se c'era una cosa in grado di infastidire il ragazzo, probabilmente era proprio l'essere interrotto mentre era solo con i propri pensieri.
La ragazza sbirciò di nuovo nel borsone. Fissò Lucas e poi ancora la sacca.
«Che ascolti?» chiese d'un tratto.
Lui non la sentì. Con il volume della musica al livello massimo, non percepiva assolutamente nulla del mondo esterno. Neanche il fastidioso ronzio del motore dello scuolabus. La sua mente era altrove, lontana dai sedili scomodi della navetta, dalla pioggia battente che deformava la vista oltre il vetro. La ragazza si morse il labbro inferiore. Era indecisa. Provò ad attirare la sua attenzione con una lieve pacca sulla spalla.
Lucas sussultò. Si voltò a guardarla e si tolse di nuovo gli auricolari.
«Posso sentire anche io?» lei gli sorrise timidamente. «Sembri molto preso. È meraviglioso il mondo lì fuori, non sei d'accordo?» indicò il finestrino con un cenno della testa.
«Non proprio» rispose laconicamente lui, porgendole una cuffietta.
Non era mai stato un grande comunicatore. D'altronde, non aveva avuto un genitore che gli insegnasse quanto fossero importanti i rapporti sociali.
La ragazza prese l'auricolare: «Davvero? Lo fissavi con tale intensità che credevo...»
«Ero sovrappensiero.»
«Ah...» lei accennò a un nuovo sorriso; nel frattempo, sbirciò nuovamente nel borsone. «Come ti chiami?»
«Lucas» il ragazzo avrebbe di gran lunga preferito evitare di fare amicizia durante i suoi preziosi quarantacinque minuti di solitudine. «Tu, invece?»
La giovane esitò, con una piccola smorfia. Appoggiò cautamente la mano destra sul borsone. Lo accarezzò piano, di nuovo indecisa. Infine rispose: «Mi chiamo... Drianna.»
«Non avevo mai sentito un nome del genere» considerò Lucas, completamente disinteressato.
«È straniero.»
«Ah.»
Calò un silenzio imbarazzato. Lucas tornò a osservare fuori dal finestrino. Ormai mancavano solo due fermate all'arrivo. Quando lo scuolabus sostò di nuovo, Drianna si alzò dal sedile e gli restituì la cuffietta. Lui rimase stupito. Credeva che frequentasse la sua scuola, che sarebbe scesa solo al capolinea. La ragazza lo salutò con un cenno della mano e un altro sorriso timido. Per cortesia, ricambiò con un gesto identico.
Il resto della giornata lo trascorse nella sua modalità standby. La sera pubblicò un suo nuovo disegno sul web. Andò a dormire presto, rispetto al solito orario. Si accoccolò sul letto, sotto le coperte, e chiuse gli occhi. Attese pazientemente che la fantasia lo cullasse e lo accompagnasse nel sonno.
Fuori dalla finestra della sua camera, si poté scorgere una figura.
Un uomo si sedette sulla panchina della fermata dell'autobus.
|| Il Nascondiglio dell'Autrice! ||
Eccoci al primo capitolo di questa storia! ^^
Grazie a tutti quelli che hanno letto e si sono interessati!
Cosa ne pensate? V'ispira? Vi invoglia a saperne di più?
Chi sarà mai la giovane ragazza incontrata nell'autobus?
E che cosa nasconderà nel bosone? :D
Dite la vostra!
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