III

Uno scossone e un rumore metallico.

La madre di Sara risalì in macchina. La ragazza guardò l'orologio digitale: era quasi mezzanotte. Fuori era tutto buio, ne non fosse stato per le luci della macchina accese ormai da un bel po'.

«Dove sei stata?» chiese.

«Fuori» rispose la donna «ho finito di riparare la gomma».

«Ma come...».

Circa un'ora prima la creatura aveva tentato di salire sul tettuccio, graffiando e tirando pugni contro il metallo nel tentativo di creare un foro. Sfogando la sua furia, aveva finito per rotolare giù lungo il bordo della strada, proprio in mezzo ad un cespuglio di rovi. 

Aveva provato a venirne fuori a strattoni, causandosi solo maggior dolore, quindi si era arreso all'eventualità di doversi liberare con piccoli movimenti. A quel punto la madre di Sara aveva colto l'occasione per sgattaiolare fuori e fare fortuna di quell'intervallo di tempo.

«Tutta questione di abilità e di...ahio!.».

Aveva avvertito una fitta.

Sara notò spaventata che il polso della madre sanguinava.

«Beh, sicuramente è intelligente» spiegò allora la signora Malfenti. Raccontò che, una volta finito il lavoro di sostituzione del pneumatico, aveva notato un oggetto venir fuori dalle tasche, ormai lacerate, della creatura. Si era avvicinata, rassicurata dai suoi guaiti, ed era riuscita a tendere un braccio in mezzo alle spire fino all'obiettivo. Le era bastato tastarlo per sapere ch'era fatto di pelle, ed in quel momento l'essere si era scosso e l'aveva addentata.

Mentre reggeva il polso sanguinante, cacciò da sotto la maglietta quello che sembrava un vecchio fazzoletto logoro. Sara stava per chiudere gli occhi, quando si accorse che era un portafoglio. Molto logorato, e sporco di terra e fango oltremodo, ma era chiaramente quello.

«Credo che appartenga a qualcuno che ha divorato...» disse la donna, ma Sara non la pensava allo stesso modo. Perché mai una cosa che voleva solo uccidere e mangiare avrebbe dovuto disturbarsi a prendere il portafogli a qualcuno? E metterselo in tasca per di più.

La madre scivolò sul sedile davanti, decisa ad avviare il motore per andarsene. Lasciò cadere il portafoglio, che fu raccolto dalla figlia. Lo aprì.

«Oh mio Dio!» esclamò. Il lembo di pelle le si strappò fra le mani per la sorpresa.

Gloria si avvicinò per leggere e sgranò gli occhi. La madre si era girata di scatto.

«Cosa c'è?» chiese allarmata.

«Il portafoglio...» sibilò Sara allontanandolo da lei il più possibile « appartiene ad Alessandro Malfenti...».

«A-A-Alessandro?» chiese sua madre balbettando. Da angustiato e spaventato il suo sguardo divenne rigido come la pietra. In quel momento non si vide in lei alcuna traccia di vita.

Sconvolta, spostò a malapena lo sguardo verso l'essere che provava a divincolarsi dagli arbusti come un cane che si insegue la coda. Quello era suo marito? Il marito che era stato dichiarato scomparso dopo una caduta nel vuoto quattro anni prima? Le parve impossibile crederlo.

«Non può essere lui» dichiarò con un fil di voce «si, forse lo ha solo...».

"Ucciso" le venne in mente. Non era una bella cosa neanche pensare che quella creatura avesse ucciso Alessandro Malfenti. E poi, come aveva dedotto la figlia, perché ne avrebbe preso il portafogli?

In quel momento i fari dell'auto si spensero, lasciando immerse nell'oscurità le tre malcapitate. Gloria in particolare si mise a frignare: le batterie dell'auto erano terminate. E non si poteva più neanche essere sicuri che quella belva lì fuori stesse ferma al suo posto: aveva smesso di grugnire.

Sara, dal canto suo, era rimasta sbigottita. Il dramma della sua infanzia che era a malapena riuscita a superare si era ripresentato così, di punto in bianco. Anche lei aveva intuito le due possibilità, e nessuna le piaceva in modo particolare.

Quel ringhio!

Davanti al finestrino comparve quel volto odioso ringhiando. Tutte e tre le donne urlarono a squarciagola, e la creatura aumentò il suo latrato. Le due ragazze si abbracciarono e si fiondarono dalla parte opposta dell'auto, mentre la madre di Sara batté alcuni colpetti sul vetro davanti a quella faccia, che ora creava vapore sul vetro col suo respiro. Lo fece avvicinando al vetro la nocca del dito indice per cercare di allontanare "quella cosa", ma non sortì alcun effetto. Lo aizzava invece che acquietarlo.

Sara, sul sedile opposto, guardò negli occhi la creatura. Si distingueva il colorito castano che c'era anche nei suoi, e questo la fece raggelare. Erano veramente gli occhi di suo padre.

«Papà...» sibilò, ma nessun'altro la sentì. Gloria e sua madre erano più concentrate a osservare gli spostamenti della bestia, ora che i loro occhi si erano abituati all'oscurità circostante.

Poi la creatura si gettò nella selva ai limiti del sentiero, scomparendo alla vista. Si udirono nel buio solo alcuni sibili, grugniti e suoni che sembravano artigli nell'atto di graffiare.

"Non starà per caso graffiando la vettura?" pensò Sara, ma poi rifletté che non gl'importava nulla dell'auto. E poi il graffiare era abbastanza lontano. Era difficile persino stabilire se effettivamente la creatura stesse rigando qualcosa.

Ad un tratto però il rumore sparì, sostituito solo dallo stridere dei grilli. Calò il silenzio anche nell'auto.

«Dov'è finito?» chiese Gloria, avvicinando la faccia al finestrino tanto da premerla contro il vetro. La madre di Sara fece lo stesso dall'altro lato, ma nel buio non si distinguevano altro che gli arbusti ai lati del sentiero. Ogni tanto i cespugli si scuotevano qua e là: la creatura si spostava rapidamente, preparando una nuova tattica.

«Non si vede...» cominciò la ragazza, ma le furono spezzate le parole in gola. Sara e sua madre si voltarono a guardarla e...rimasero scioccate. La ragazza si era ritratta indietro e piangeva, perdendo sangue dalla faccia. Le mancava il naso.

Appena Gloria provò a respirare si accorse che qualcosa non andava, e cominciò a urlare in preda all'orrore. Non si lasciò nemmeno abbracciare dalla sua amica, dimenandosi fuori controllo.

Solo i grugniti e quel ruggito sovrastavano le urla della ragazza mutilata. La creatura faceva sporgere la sua testa all'interno della vettura, attraverso un enorme buco nel vetro. Dalle sue fauci, mentre veniva masticato, c'era il pezzo di faccia che mancava alla ragazza.

Urlarono tutte e tre all'unisono. La creatura ringhiò più forte. Poi decise di ritrarsi, soddisfatta. Bam!

Emise un rantolo di dolore. Non riusciva più a far uscire il cranio dal vetro. Inoltre si era procurata un grosso taglio alla gola.

Provò a farlo uscire dando vari strattoni e colpi, ma l'apertura era troppo stretta. In più il suo collo cominciò a riempirsi di ferite più o meno profonde.

Le donne a poco a poco si calmarono, eccetto Gloria che continuava a singhiozzare, cercando di tamponare con la mano l'afflusso di sangue. Senza successo però.

Dopo qualche minuto passato a dare botte in tutte le direzioni la bestia si fermò, accortasi che si stava quasi decapitando da sola. Infuriata, sputò l'ultimo boccone.

Sara urlò come se fosse impazzita. Le erano appena arrivati in faccia i resti masticati del naso della sua migliore amica, insieme a una sostanza viscosa che sembrava essere saliva calda. Tutto il viso le fu macchiato di sangue. Cercò inutilmente di ripulirselo dandosi degli schiaffi, con gli arti fuori controllo per la paura. Poi emise un ultimo grido, ed entrambe le ragazze perdessero i sensi. Gloria aveva continuato a sanguinare, e il suo colorito era diventato pallido. La madre di Sara prese dei fazzoletti cercando di tamponare il flusso di sangue, senza ottenere grandi risultati. La ragazza le stava morendo fra le braccia.

In quel momento la creatura rimase immobile con gli occhi vitrei fissi su Sara. La guardava fermo e attento come un cane che riconosce la voce del padrone.

La madre lo vide e capì che doveva agire. Subito, senza perdere tempo. Si guardò intorno per cercare una cosa, qualunque cosa che potesse servirle ...

Il suo telefono cellulare!

Lo aveva lasciato nel portamonete dietro al freno a mano prima di scendere dall'auto alcune ore prima. Era scarico, ma già prima le ragazze avevano constatato che non c'era campo in quella zona. Tuttavia non le serviva per telefonare.

Lo girò e lo puntò con la piccola antenna rivolta verso il cranio della creatura.

«Cosa guardi di mia figlia?» urlò, colpendolo. Ci aveva messo tutta la forza che aveva in corpo e anche di più. Era ancora convinta che la bestia avesse ucciso suo marito.

«Muori...muori...muori» gridava ogni volta che abbassava l'oggetto di metallo sul cranio della creatura che guaiva dal dolore. La testa cominciò a sanguinargli, specie dove gli si riaprirono le ferite causate dai vetri di poche ore prima.

Un colpo più forte gli fu inferto in piena fronte, e quello chinò il capo, svenuto. La donna, tuttavia, continuò a colpire, ignara che stava colpendo proprio suo marito.

«Vuoi deciderti a crepare?» urlò, senza accorgersi che la bestia era svenuta, senza accorgersi che non la stava ascoltando, senza accorgersi che qualcuno nel folto del bosco chiedeva aiuto.

La bestia alzò la testa e aprì gli occhi. Ora sembrava un uomo molto più di prima, ma non era aggressivo come prima. Aveva paura. Divenne terrore quando vide che la donna stava per vibrare un colpo contro di lui.

«Carla...» sibilò.

Se lo udì, la donna se ne accorse un attimo troppo tardi. Ormai aveva già affondato.

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