2. Adam & Eve

"Eve, ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?"

"Come potrei mai dimenticarlo? Tu avevi i tacchi a spillo e una vita graffiata dentro."

"E ora invece? Che cosa ho dentro Eve?"

"Me."



Adam

Sono occhi abbagliati dai fari delle macchine, un corpo abbandonato ai sedili reclinabili.

Affitto il mio cuore a ore, sempre che ne sia rimasto qualche lembo.

Faccio parte di quelli che hanno sempre un sapore diverso in bocca e polpastrelli che stringono e scottano.

Faccio parte di quelli che spengono le sigarette sulla pelle e che immergono il loro sangue nelle droghe pesanti.

I nostri passeggeri se ne vanno con l'alba, senza ti amo assordanti, ma il loro sudore sa di marcio.

Sbattuto tra le pieghe delle lenzuola, fisso un viso che non è il tuo.

Tu Samuel sorridevi sempre. Avevi un sole accecante in bocca.

Ora hai il buio nelle orbite, perché da due anni sei diventato una stella fredda.

C'è un altro corpo estraneo al mio fianco, un altro sterno su cui appoggiare un orecchio, altre unghie nella schiena.

Vorrei godere di questo dolore inflitto, ma il mio cuore è una carcassa dal rimmel ormai sciolto.

"Ti lascio i soldi sul tavolo Adam."

Questa è la mia vita.

Il resto non lo ricordo.


Eve

Ho un vestito da sposa addosso e sto scappando. Avevano nuove pillole da incastrarmi in gola.

Fuori il sole grida con un piccolo sorriso. "Esisti?", mi chiede.

La mia tortura è quella dei sotterranei cuori in guerra, quelli che vomitano e che vorrebbero sempre di più. Quanti ce ne sono al mondo? Cuori libidinosi e anoressici, arruolati in schiere di liquide stelle, appese dal verso sbagliato.

Le macchine sfrecciano sull'autostrada. Ma io non sono qui! Sto correndo con i cervi nel mattino tenue. Mi vedi? Alzo l'estremità della gonna per camminare nella neve più profonda.

È difficile iniziare da capo. Più che la profondità della ferita, sono l'accumularsi dei tagli la grande tortura da sopportare, è il mantenere il cuore sempre e comunque limpido.

Cammino a piedi nudi ma non sento freddo. Mi sento bene oggi. Mi sento di merda. Sempre la grande sottana bianca indosso, come una regina con le calze strappate.

Il trucco secco, a seno scoperto, con una cicca calpestata tra le labbra.

Questa, credo di essere proprio io.


Adam

"Ohi, mi senti?", lo dico accucciandomi.

Il corpo è nel fango su un lato della strada. Un battito debole sul collo. Tiro la sposa per un braccio, rudemente. "Non diventare un cazzo di cadavere! Ne ho già abbastanza della polizia!"

I capelli biondi mi inondano. Sono sporchi di sangue. La ragazza ha un taglio in fronte piuttosto profondo, le labbra semichiuse, le palpebre nere che tremano appena. La prendo in braccio. È leggerissima. Un mucchio di ossa che vibra di freddo.

Sul margine della strada si distinguono due strane figure: un ragazzo androgino in calze a rete e tacchi alti porta una sposa priva di sensi sul ciglio del nulla.



La ragazza sembra un giocattolo dimenticato nel mio letto. Solo che non ci sono fili a stringerle i polsi. Le braccia sottili sono segnate da pallide cicatrici e lunghi tagli ancora aperti. Le ginocchia sbucciate, le labbra gonfie.

Nel pesante trucco nero si spalancano meccanici due occhi di un azzurro violento. Lo sguardo fermo, vuoto, per qualche secondo resta immobile sul portacenere.

"Beh! La Bella Addormentata si è svegliata!", dico, espirandole il fumo in faccia, ma lei non sbatte gli occhi.

"Chi sei?", chiedo inumidendomi le labbra.

L'Angelo Anoressico volta lento la testa, inclinandola da un lato. Sorride appena, mentre un brivido mi accarezza la schiena. Riaccendo la cicca spenta stiracchiandomi, per scacciare il disagio della sua presenza. I suoi occhi cenere percorrono le mie calze a rete e i tacchi alti di vernice nera.

"Bella, non ho tutto il giorno. Devo lavorare", la mia voce è piatta, inespressiva.

La ragazza si mette a sedere. Ha le spalle ossute, un piccolo seno sotto i veli bianchi. Si rannicchia abbracciando le ginocchia, mentre io espiro il fumo, strizzando prima un occhio e poi l'altro.

"Allora?", dico con una nota di rabbia. Non riesco a sopportarlo il silenzio.

Gli occhi azzurri smettono di vagare per la stanza e s'incollano ai miei.

"Mi conosci", dice gelida, togliendosi un ciuffo biondo dalla bocca.

Scoppio a ridere passandomi la lingua sui denti: "Amore! Mi sono fatto tanta gente! È il mio lavoro! Ma non posso proprio ricordami di tutti!"

"È strano, perché io sono qui solo perché lo vuoi tu", la sua voce sembra registrata su un nastro a parte. 

Spengo la sigaretta nel posacenere senza guardarla. Decido semplicemente che è sotto l'effetto di qualche droga: "Senti cara, non ho tempo per questo gioco ok? I clienti mi aspettano. Se vuoi da mangiare cerca negli armadietti, la roba in frigo è scaduta da mesi."

Prendo la giacca di pelle e mi sbatto dietro la porta. I tacchi risuonano secchi sull'asfalto bagnato. La mia gentilezza con questa ragazza mi inquieta.


Eve

Ci sono due grandi armadi nel bagno. Uno è vuoto, nell'altro c'è qualche maglietta sporca. Sul fondo del secondo trovo delle calze a rete bucate. Le infilo, legandole al reggicalze con una spilla di sicurezza. Vedo un riflesso nello specchio. È un viso e so che dovrebbe essere il mio, ma non ne sono convinta. Il trucco sciolto cola fino alle labbra secche.

Un giorno è accaduto. Ho smesso di mangiare perché mi sentivo un funambolo trivellato di impulsi. Ho iniziato a tagliarmi perché mi sentivo sola. Perché il mondo mi vorticava in gola e gli occhi assorbivano troppa luce. All'inizio tremavo. All'inizio sembrava così sbagliato e al limite. Sudavo. Sussurravo. Ma quando ha iniziato a nevicare fuori dalla finestra del bagno, il mondo pareva improvvisamente rallentare e tutto sembrava perdonato in quel candore.

Le nocche sbucciate tremano quando mi strappo il vestito da sposa e lo butto a terra. Entro nella doccia e lascio la tenda di plastica aperta. L'acqua è bollente, inonda di piccoli schizzi le piastrelle.

A volte ho l'impressione che niente mi sfiori veramente. Mi sento irreale, attraversata da strade che si snodano nella nebbia della mia testa.

A volte il demone mi lecca le lacrime dal viso e mi sprona solo a continuare. "Ancora un graffio d'amore sul tuo corpo!", dice. "Ancora un taglio, uno solo!", sussurra.

Altre volte invece sono io a vincere. Gli stringo una benda di chiodi attorno agli occhi e lo ascolto gridare mentre mi inginocchio e gli abbraccio la schiena.

"Guarda", gli dico, "sono diventata fragile e forte come un fiore."

I capelli s'incollano al corpo. Chiudo gli occhi nel getto scrosciante.

Ciao. Sono un nudo fantasma con le calze auto-reggenti in una doccia arrugginita.


Adam

Ricordo Flash 1

"Prendi i tuoi soldi e da domani notte non disturbarti a tornare!"

"Cosa?"

"Non servi più! Ho altri da far salire sul palco!"

"Fanculo cazzo! È quattro anni che ti riempio il locale!"

"Principino, vai a venderti il culo! Domani non ti voglio tra i coglioni! Chiaro?"

"Chi cazzo è che fai salire al mio posto?"

"Quella ti sostituisce! Guardala bene finocchio! È una figa che tira più soldi di te!", grida con foga l'uomo e si pulisce uno schizzo di saliva dalle labbra.

Seguo la direzione del suo sguardo in silenzio.

L'Angelo Anoressico esplode nei miei occhi. Si muove sinuosamente nella musica che incendia i timpani. Le scarpe quasi trampoli affilati, che sostengono l'esile corpo allungato. Un peso mi stringe lo stomaco. Le auto-reggenti slabbrate, i polsi fragili leccati di bianche cicatrici.

La violenza ride vibrandole attorno.

"It's a beautiful world with ugly people", continua a ripetere solo questa frase con voce rauca. Le retine azzurre bruciano nel trucco nero.

Non sembra più il giocattolo rotto che ho raccolto sul ciglio della strada. Ora è un angelo che apre la bocca e sanguina. Resto immobile mentre sputa benedizione e si abbassa, quasi strozzando il microfono. Sbatte le ginocchia a terra.


Ricordo Flash 2

"Ciao" Alzo lo sguardo e trovo l'Angelo Anoressico con una sigaretta spenta in bocca. Ha i capelli bagnati, il trucco sfatto e indossa una strana pelliccia sintetica. Si gratta l'angolo della bocca e per un attimo tremo.

Mi sembra di trovarmi davanti ad uno specchio di carne.

"Così era questo il tuo piano geniale? Farti raccattare dalla strada e poi fottermi il lavoro?", dico addossato al muro.

I tacchi a spillo mi raggiungono. L'Angelo spalanca i suoi enormi occhi davanti a me. Il loro colore è così intenso da essere disturbante.

"Io non fotto proprio niente", dice mentre i nostri profili si avvicinano, "e devi smetterla di rifiutarmi Adam."

La sua bocca si unisce sgraziata alla mia. Schiacciato contro il muro, sento il mio labbro inferiore morso dai suoi denti. Il sapore metallico del sangue invade le nostre lingue. Pietrificato la ascolto: "Sono qui solo perché lo vuoi tu!"

Ancora quella frase.

La rabbia mi si arrampica in gola. La spingo lontano con violenza: "Ma-chi-cazzo-sei! Cosa cazzo vuoi da me!? Cosa!"

"Dobbiamo andare a casa. Vieni?", lo dice con semplicità, come se non avessi proferito parola. Ha le labbra ancora sporche di sangue.

Poi si scosta i capelli biondi dal petto, buttandoli dietro alle spalle. Sono esageratamente lunghi.

"Sei proprio una pazza del cazzo! Cristo! Vattene! Lasciami stare!", lo grido scuotendo la testa e quasi sorridendo, perché non capisco chi è e che cazzo vuole.

Lei mi sorride appena, facendo spallucce. Sono allibito dalla sua impassibilità.

"Fai come ti pare", dice e inizia a camminare all'indietro, ma restando voltata verso di me.


Ricordo Flash 3

L'ho seguita barcollando. C'era l'odore della pioggia, il cielo che schiariva pian piano. Abbiamo camminato a lungo, ma io mi fissavo solo i piedi. A volte alzavo lo sguardo per vedere la sua esile figura andare avanti. Siamo arrivati a casa mia.

Ora ti ho rannicchiata sul mio petto. Sei come un origami di ossa.

"Il nostro dolore è crescere che si arrende alla meraviglia", lo hai detto come se sanguinassi una preghiera dai polsi.

Non capisco una sola parola di quello che dici.

La bocca impastata mi lascia sussurrare appena: "Chi sei?" Ti accarezzo il capo dolcemente.

"Eve. Mi chiamo Eve."


Ricordo Flash 4

Mi sveglio. Il letto è disfatto. Le lenzuola fredde. Non c'è nessun corpo da palliativo al mio fianco. Una fitta alla testa mi oscura la vista per qualche secondo. Ancora questo mal di testa. Mi mangia la vita.

Quando mi siedo vedo che ci sono dei tacchi sul pavimento, calze a rete, un vestito da sposa sporco di terra. Strizzo gli occhi con un'altra fitta violenta.

La ragazza. Eve.

Attendo un rumore, ma neanche un'ombra si muove. Magari è semplicemente scappata. In fondo era abbastanza fatta da poter uscire a piedi nudi per strada.

Barcollo alzandomi in piedi. Bevo dal rubinetto e butto la testa per qualche secondo sotto il getto. Infilo gli anfibi e la giacca di pelle. Niente denaro sul tavolo. Deduco di non aver lavorato stanotte.

Mi accorgo però che il portafogli non c'è più.

Stronza puttana.


Ricordo Flash 5

"Mi ha detto che si chiamava Eve!"

"Mi spiace amico, non conosco nessuna Eve!"

"Ha cantato qui ieri sera. Alta, bionda, tacchi vertiginosi?"

"Amico se avesse cantato una così me la sarei ricordata di sicuro!"

"Non capisco"

"Tesoro l'unico che ieri ho visto sul palco sei tu!"

"Cosa?"

"Ho detto che l'unico che ha cantato ieri sera sei stato tu!"

Mi stringo nella giacca e mi sbatto dietro la porta del club, immergendomi nel sole accecante. La lingua tra i denti. Ripercorro tutte le strade del giorno precedente. Chiedo ai buttafuori, ad altra gente del locale, ma nessuno ha mai visto Eve.

Mi mordo un braccio.

Il segno dei miei denti impressi nella carne: tutta la mia storia riassunta in un lembo di pelle.


Ho scoperto che nessuno ha visto Eve, perché Eve non esiste.

Disturbo dissociativo d'identità lo chiamano.

Il dottore sembrava un meccanico alle prese con un'auto.

Ha detto solo: "Si sviluppano due o più personalità diverse, ognuna ha ricordi specifici, comportamenti, pensieri ed emozioni differenti. Ciascuna personalità alternandosi occupa il posto centrale e domina il funzionamento della persona. Le personalità secondarie vengono anche chiamate ospiti... ma non penso di aver mai incontrato prima d'ora qualcuno in grado di vederli! Comunque delle allucinazioni... sì, possono essere presenti."

Quando lo ha detto io mi sentivo una scimmia ammaestrata e ti vedevo ancora.

Sorridevi beffarda appoggiata al termosifone e guardavi lo psichiatra come se fosse scemo.

Non ci credevo. Ma che cazzo voleva saperne lui?

Ma poi tutte quelle bruciature nella memoria.

I vuoti che duravano ore.

Mi trovavo in posti che non conoscevo, con addosso vestiti che non mi appartenevano.

Ho trovato cose scritte da te sulla mia vita che non potevi sapere.

Ora ti vedo poco perché ti sento dentro.

Riesco a chiamarti e a farti uscire se voglio.

Ti espandi nel mio corpo, stendi la tua anima nelle mie dita e alla fine emergi dagli occhi.

Ti ricordi Eve la prima volta che ci siamo incontrati?

Solo ora ho capito perché avevamo la stessa ossessione per i tacchi alti di vernice nera.

Siamo sempre state puttane d'alto bordo noi due.

Regine marce ma con dignità.

***

Nota. Questa one-shot fa parte del concorso di Michela Baldasso e Gemma Milevi 2016. Le illustrazioni di Taylor Momsen sono di Lucas David.

On air: Follow me down dei The Pretty Reckless

https://youtu.be/GKLc25K7Yxw



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