10. Il tuo cuore, un castello infestato


Prima c'è il nero.

Poi c'è un lampo. È secco, accecante e violento.

È qualcosa che ti apre, da fianco a fianco.

Forse per un attimo pensi anche di non farcela, di morire. Forse la vedi nitida, quella linea che ti separa dalla fine del mondo, un confine oltre il quale il mondo smette semplicemente di esistere.

È difficile descrivere alcuni dolori, trasmettere a chi ti sta intorno a che punto la devastazione è arrivata a mangiarti le ossa. Da fuori, non si vede. Non si vede neanche che barcollavi su un filo sottilissimo, in un brusio confuso. Forse sorridevi anche qualche volta, fuori.

Prima c'è il nero, poi c'è un lampo. È secco, accecante e violento. È qualcosa che ti apre, da fianco a fianco.

E poi arriva la paura, come una scossa, un profondo grido, uno scorpione che ti addenta. È lei che ti spinge ad alzarti in piedi. Non la parola dolce di un amico, o un discorso sensato che ti ripeti in testa in modo ossessivo. È la paura dalla quale fuggiamo di continuo, ma che per noi smuoverebbe interi continenti: ti spinge in luoghi inesplorati, mescola pezzi del tuo volto. E così che diventiamo affreschi di una chiesa mai visitata, fumo liquido che scorre su immagini del passato.

E dopo il nero e la paura, arriva una lunga corsa nel deserto. Inizi a correre così tanto nel nuovo da perdere per sempre chi eri. "Metti una distanza così grande tra te e quella fonte di vuoto, che neanche le stelle riusciranno a starti dietro". Il vento ti toglie un pezzo di pelle dopo l'altro, il pensiero si acquieta, ti trasformi in un animale di respiri, istinti e concretezza. La vita diventa semplice, un sole che sonnecchia tra le nuvole. 

Il ricordo della vertigine è così lontano. 

La fine del mondo è così lontana.

Quando smetti di essere un animale arriva il raccoglimento: nasci albero, paziente e vigile, che sussurra solo quando è notte, ma piano, perché si nutre di storie che succhia dalla terra con le sue possenti radici. Sono storie che sanno di sangue lavato via lentamente. E tu ricomponi queste storie, trovi significati, connessioni, ma tutto resta sotterraneo, non detto, sul limitare di una penombra di polvere.

E dopo il nero, la paura, la corsa, l'animalità e la pazienza degli alberi, ti togli di dosso tutta la pelle che indossi. Fai un lungo squarcio nella tua persona ed esci semplicemente da essa.

Sei diamante.

Sei potente.

Ma non hai una potenza che viene dal desiderio di assoggettare il mondo; hai una potenza che è anima che brucia, una potenza che è stata in gestazione con pazienza nella cenere e per così tanto tempo, che non sapevi neanche potesse esistere.

Sei fuoco che illumina, scalda ma non consuma.

Sei la rivincita di un cuore messo a tacere per troppo tempo.

Non hai più paura delle tue ombre e dei luoghi in cui sei stato. In un certo senso provi anche tenerezza e rispetto per la tua innocenza, la tua passionalità, per la tua stupidità.

Il dolore è un ciclo continuo, come la vita stessa: la accompagna, come un respiro. Il dolore muove le montagne per noi, ci trasforma continuamente, ci rende arrabbiati ed estranei e poi riconoscenti fino alle lacrime. Ci sono dolori che non sapremo mai come affrontare e altri in cui verremo guidati da mani invisibili. Forse solo un altare di rose può onorare questo signore.

Poi, una mattina come le altre, ti alzi e accade: i pezzi si muovono lenti, si ricompongono in una meravigliosa sinfonia di ombre che indossano luci ardenti, percorrendo una navata di pietra. Un filo conduttore rimane, ma siamo diventati altro. Eppure, se ascolti, il ricordo della vertigine rimane, come un richiamo continuo che dice: "Cadi di nuovo, vieni tra le mie braccia".

C'è un addio che bisogna dire a voce alta e non è alla nostra oscurità, quella ci seguirà ovunque, danzando. È un addio a noi stessi, a quello che siamo stati, un distacco necessario per nutrire il futuro che si va formando in noi. Non smetteremo mai di avere paura, il futuro si vestirà sempre di bianco, ma impareremo a vedere la bellezza in questa fragilità che indossiamo e che vediamo riflessa nelle persone e nel mondo intorno a noi.

Io sono il tuo Dolore. E quando ti parlo voglio essere ascoltato.

Non abbandonarmi a lato di una strada. Ho freddo. Ho paura del buio. Ho paura che qualcuno mi faccia del male.

Ti prego, aiutami.

Non voglio essere lasciato solo. Non voglio diventare violento, grosso o velenoso per essere visto.

Hai paura di me?

Io ne ho di te.

Ho paura del tuo silenzio, del tuo fingere, dell'indifferenza che fai indossare ai tuoi occhi, come veli da sposa sporchi di terra.

Voglio essere preso per mano.

Ti giuro, sarò coraggioso. Ti giuro che un giorno avremo il potere di essere felici, di correre contro alle ombre senza armi. Ti giuro tutto, ma tu amami. Perché se non lo fai mi spezzo. Se non mi stringi annego, scompaio, inizio a mangiare il tuo corpo, divento cattivo, lo giuro. Mangio ricordi, emozioni, sogni, colori.

È un amore pericoloso il nostro. Un amore dove tu cerchi l'equilibrio e io sono vento che ulula nel tuo cuore, un castello infestato.

Possiamo andare d'accordo, solo, ascoltami. Ho cose importanti da dirti, cose che non vuoi sentire. Amami. Fai che i miei coltelli diventino fiori, lune e stelle.

Ti donerò l'universo.

Ti donerò te stesso.

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