Capitolo 7_La cerimonia dell'High Tea

È arrivato infine il giorno della cerimonia dell'High Tea, il primo vero appuntamento con la mia amata Victoria, nonché la prima volta che ci presenteremo insieme in pubblico.

Devo ammettere che sono fremente alla sola idea e, ora che attendo che giunga il momento in cui passare a prendere la mia fidanzata, non riesco a stare calmo.

Cammino a grandi passi avanti e indietro nella mia camera da letto, gettando occhiate nervose al quadrante dell'orologio, nel quale le lancette sembrano muoversi con infinita lentezza.

Di tanto in tanto mi volto verso lo specchio e sistemo il papillon che, nel mio incedere frenetico, continua imperterrito a piegarsi dilato.

Non cosa mi attenda alla cerimonia; a dirla tutta, non so neppure che tipo sia il conte di Norfolk, l'organizzatore dell'evento.

Gira voce che sia un tipo eccentrico, ma si sa che le voci non sempre hanno un grado di attendibilità elevato. Spero di non incontrarlo. Non saprei proprio come comportarmi con una persona di così alto lignaggio, probabilmente finirei per biascicare qualche parola imbarazzata mentre lui si prodiga nell'utilizzo di termini forbiti di cui io non conosco neppure il significato.

Mi sentirei sprofondare se ciò accadesse, soprattutto data la,vicinanza di Victoria.

Sarebbe proprio una magra figura per il nostro primo appuntamento...

Ma bando alle ciance, con i se non si è mai costruito nulla. Sono le sedici e trenta ed è giunto il momento di uscire e dirigermi verso casa di Victoria.

Quando, entrando dal cortile, arrivo sull'uscio, me la ritrovo davanti come fosse una dea, la Venere vestita di Botticelli o di qualsiasi artista pittorico che abbia in vita sfiorato con le dita la massima della bellezza e della grazia.

Con indosso un abito celeste con fronzoli bianchi, che riflettono la luce su quei suoi due occhi profondi, da bambina, ella mi attende e mi accoglie con un sorriso caldissimo.

< Ciao. > esordisco imbarazzato di fronte a cotanta beltà.

Lei non risponde, ma si avvicina lentamente e mi ruba un bacio con l'innocenza pura che è l'essenza di Victoria.

< Siamo pronti? > le chiedo con gentilezza.

< Siamo pronti. >

Le afferro la mano e ci dirigiamo verso il parco, dondolando gongolanti per le vie di Carvahall.

Il parco in cui stava per tenersi la cerimonia dell'High Tea si trova nell'estrema periferia del paese, laddove le vaste distese di campi coltivati trionfano sui caseggiati ammassati in un grigio informe.

Il parco è un luogo senza recinzioni, che si distende dalla strada principale fino al fiume Carva, che prosegue poi in direzione del paese, passando al centro di esso e dal quale questi prende il suo nome.

Quando vi giungiamo vediamo che l'erba è stata tagliata all'inglese, senza che un solo ciuffo sia sfuggito alla crudele e affilata lama del tosaerba, in un piccolo sacrificio per il diletto dell'essere umano.

Ai rami più bassi dei grossi alberi che crescono nel parco sono stati appesi gruppetti di palloncini colorati, e festoni sono stati allestiti tra una pianta e l'altra, all'altezza di un paio di metri.

Quando arriviamo all'ingresso, una donna con un sorriso grande e sincero stampato sul volto si avvicina a noi, chiedendoci i biglietti per la festa.

Le porgo i nostri, sorridendo di rimando.

Ci ringrazia, dopo aver bucato i foglietti di carta, e subito si dirige verso un'altra coppia di partecipanti.

Un quartetto d'archi diffonde nell'aria una musica lieta, mentre in giro per il parco si vedono banchetti in cui venditori ambulanti dall'espressione simpatica e gioviale vendono zucchero filato e popcorn di ogni tipo, come ogni fiera che si rispetti.

L'atmosfera è assolutamente deliziosa e non può che trascinare anche noi in un umore di tipo felice e sereno.

Victoria si stringe a me e mi scocca un bacio appassionato, sprizzante gioia per quell'invito e per averla resa partecipe a quella particolare festa.

Continuiamo il nostro giro per il parco, giungendo al luogo in cui è allestito il banchetto che accompagnerà il sorseggio del tè.

Perché la cerimonia dell'High Tea non consiste solo nel consumare le foglie più pure e delicate della Camelia sinensis, da cui si deriva la deliziosa bevanda, ma si potrebbe paragonare ad una vera e propria cena, con cibi dai sapori atti a creare contrasti nel partecipante, dove il dolce e il salato si mischiano tra loro in nuove mete del gusto.

Sul tavolo, lungo e sottile, imbandito con una tovaglia di pizzo, ci sono piatti e scodelle piene di qualsiasi prelibatezza, che mai è stata vista a Carvahall.

Ci sono ciambelle fritte infilate in un lungo bastone da spiedo, soufflé al mandarino, al pistacchio e al cioccolato deposti in ciotole di terracotta, diverse flan pâtissier, la caratteristica torta francese, semifreddi al cocco e alla menta, rotoli dolci e cheesecake dei tipi più disparati, waffles alla panna e morettini, un tipo di cioccolatino ripieno alla crema, oltre che vasi di marmellata alla pesca e alla ciliegia con cui cospargere i toast imburrati e i classici biscotti da intingere nel tè.

Passando ai piatti salati, ci sono ciotole colme di carote tiepide al burro, cestini di pomodori ripieni, zucchine marinate e altre verdure sottolio in vasi di vetro, un enorme prosciutto in crosta, infilzato da un affilatissimo coltello, con il quale vengono tagliate sottili fette del prelibato piatto; e poi ancora toast farciti, sformatini di asparagi e bignè al gorgonzola ricoperti di cioccolato amaro, zuppiere colme di caldo verde e formaggi dei tipi più disparati, fatti arrivare appositamente dalla Francia.

E, nel mezzo, teiere fumanti piene dell'unica bevanda consentita alla festa: il tè.

Ve ne sono di vari tipi, ma sopra di tutti trionfano il Darjeeling, proveniente dall'omonima regione indiana, il Sencha, dal fresco sapore di giardino, e il pregiato Pai Mu Tan, composto dai germogli e dalle foglie nuove, rigorosamente raccolte in brevi periodi dell'anno e solamente con un clima favorevole.

È un trionfo di aromi e squisitezze, ai quali le papille gustative non posso far altro che aumentare la salivazione, preparando il palato ad accogliere il caldo tè e le gustose cibarie.

Dopo aver assaggiato alcuni dolcetti e aver sorseggiato la prima di una lunga serie di tazze di tè, un uomo si avvicina a noi da dietro.

< Buona sera. > esclama con un tono di voce fermo e altisonante.

< Salve. > rispondo io, spostandomi di lato. Pensavo che si fosse annunciato perché gli facessi spazio davanti alla tavolata, ma mi accorgo che altre devono essere le sue mire, quando continua con insistenza a osservarmi e a bersagliarmi con quel sorriso luminoso.

< Chiedo scusa? >

< Oh, buon Dio. Dove ho lasciato le buone maniere?! Il mio nome è Adam Everett, sono il conte di Norfolk! > mi risponde con voce squillante, fiero del suo status sociale e della sua persona, porgendomi la mano.

< Oh, signor Everett. Mi scusi, non l'avevo riconosciuta. Il mio nome è... >

< Edward. > conclude lui al mio posto. < Lo so, sono noto per conoscere tutti i miei ospiti prima ancora che essi si presentino. E la signorina deve essere... >

Dopo aver stretto la mano si rivolge alla mia dama, prodigandosi in un regale baciamano.

< ...Victoria, la vostra fiancé. Incantato. >

Victoria arrossisce, non essendo abituata a tante galanterie provenienti da sconosciuti.

< Edward, mi farebbe molto piacere discorrere con voi. Mi sembrate una persona...interessante! Victoria, perché nel frattempo non vi versate un'altra tazza di tè? Prima di uscire da questo parco, se non l'avete già fatto, dovreste proprio visitare il Labirinto. Per l'occasione sono state piantate alcune cultivar esotiche che trovo davvero sorprendenti. Vi piacerebbero sicuramente. >

Lei si volta verso di me con lo sguardo confuso, poi mi bacia sulla guancia e si allontana. In fondo non possiamo contrariare il padrone della festa...

< Venite, versiamoci una tazza di tè. >

Riempiamo le nostre tazze di dorato Pai Mu Tan e ci dirigiamo vers oun tavolino basso attorniato da alcune sedie di ferro, verniciate di bianco.

Ci sediamo e il conte inizia subito a rimirare il cielo azzurro, osservando gli uccelli candidi che volteggiano nel firmamento riempiendo l'aria di cinguettii che vanno a sovrapporsi ai violini.

< Posso chiedervi di cosa vorreste parlare con me? > gli chiedo dopo alcuni minuti di silenzio.

< Edward, come vi trovate con la vostra dama? Vedo che siete una coppia sbocciata da poco. Come si sta svolgendo la vostra relazione in questi primi tempi? >

< Be', io penso che non ci sia molto da dire. Siamo innamorati persi l'uno dell'altra e non riusciamo ad immaginarci la nostra vita senza la nostra metà. >

< Straordinario. Però...Edward, questo è ciò che pensate voi. Cosa vi rende così sicuro che sia lo stesso pensiero che attraversa la mente di Victoria? >

Le parole del conte si insinuano nella mia mente, provocandomi un moto di fastidio.

< Conosco Victoria da quando era solamente una bambina acerba e ci siamo frequentati da allora. Ho sempre osservato un certo attaccamento, un certo affetto, provenire da lei. Non è una di quelle ragazzette che si prestano al primo che incontrano. >

< Oh, mi avete frainteso. Non intendevo proprio dire questo. Volevo solo...Edward, la vita di coppia è un qualcosa di indefinito. Non ci sono mai sicurezze assolute, per quanto voi possiate crederci e sbatterci il capo. Mi capite? >

< Non penso di... >

< Le mie parole potrebbero essere quelle di un uomo che ha ricevuto fin troppe delusioni nella sfera amorosa, ma quello che visto dicendo è che...voi mi piacete. >

Sento le gote accalorarsi e imporporarsi.

< Signore, io non... >

< Voi continuate a fraintendere le mie parole! > squilla con un mezzo sorriso. < Non intendevo assolutamente che mi piacete in quel senso. Vi sto solo dicendo di prestare attenzione nella vostra relazione con Victoria. Le femmine...sanno essere subdole, false, quasi quanto noi maschi. Eh eh. State all'erta, perché nel momento in cui non lo sarete, la vostra dolce metà inizierà a dimostrarsi non così dolce, finché arriverà a spezzarvi il cuore presentandovi un terzo...incomodo. Incomodo per voi, naturalmente; non per lei. >

< Signor Everett, non capisco proprio perché mi state dicendo queste parole. >

L'uomo si perde per un attimo ad osservare il tronco rugoso di un albero che cresce poco più in là, i cui rami si protendono fin sopra alle nostre teste.

< Non vorrei che il vostro amore si esaurisse. Non vorrei che doveste affrontare ciò che ne consegue. Come vi ho già detto...ci tengo a voi. >

Le sue ultime parole sono assorte, come se la sua mente fosse rivolta a un altro tempo, a un'altra storia.

Poi, sento un urlo provenire dal Labirinto.

E in esso, riconosco la voce di Victoria.

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