Capitolo 5_Una rosa arancione e un biglietto di carta
Apro gli occhi, avvertendo il battito accelerato del mio cuore.
La felicità che quel bacio mi ha infuso è assolutamente deliziosa, e mi cibo di essa come un delfino si ciba dell'ossigeno che è presente nell'aria.
E la causa di ciò è da attribuire ad una sola persona. Edward.
Un nome così regale, così prezioso al mio cuore.
Penso di trovarmi nella prima mattinata, ma mi devo ricredere quando, voltandomi verso il comodino, mi accorgo che sono già le 11:00.
Non mi sono proprio accorta di aver dormito per così tanto tempo, anche se forse il benessere che provo è da attribuire anche a ciò.
No, non penso. Sicuramente questo è da attribuire a nient'altro e nessun altro che Edward.
E a quel bacio, con il quale abbiamo suggellato il nostro amore.
Un amore celato, represso per così tanti anni.
Ogni volta che penso a lui, mi sovviene il ricordo di una lontana estate.
Ero ancora una bambina, a quei tempi, con l'apparecchio ai denti e le ginocchia piene di lividi per i giochi alquanto mascolini a cui solevo giocare.
Un giorno io e la mia famiglia venimmo invitati a pranzo dai nostri vicini, che aveva già visto di sfuggita ma, per disinteresse, non avevo mai preso in considerazione.
Così come non avevo preso mai in considerazione il loro figlio. Non ricordo neppure di averlo mai visto prima di quel pranzo...
Comunque, mia mamma si avvicinò a me, quel mattino. Mancava un'oretta al pranzo ed io ero appena rientrata dal cortile, dove avevo passato diverse ore a correre in circolo in bicicletta e fare dei percorsi per le biglie con la sabbia che si trovava ammassata in un angolo, residuo di un lavoro edilizio che era stato fatto tempo prima.
Il colore dei jeans che indossavo, che presentavano uno strappo vistoso a livello del ginocchio, fatto cadendo dalla bici, era più bruno che blu, laddove la sabbia umida si era incrostata al tessuto.
Anche sulle mie mani si trovava appiccicata molta sabbia, che si era anche intrufolata sotto le unghie.
Dicevo, la mamma di avvicinò a me e, dopo avermi dato una guardata da capo a piedi, mi sorrise bonariamente e mi disse di andare subito a farmi il bagno, che il pranzo con i vicini si sarebbe tenuto di lì a poco e non voleva proprio portare una bambina sporca e puzzolente.
Quindi mi aiutò a spogliarmi e, mentre mi trovavo immersa nell'acqua profumata, tra le mille bolle di sapone che si erano formate, mi strofinò energicamente la schiena e le gambe.
Conclusi il lavaggio per conto mio, avendo premura che anche il più piccolo granello di sabbia si staccasse dalla mia pelle candida.
Poi andai in camera; sul mio letto era disteso un bel vestitino tinto di due colori sgargianti: il bianco e il giallo.
Lo indossai sopra la biancheria, sentendo che la gonna iniziava astringermi un po' sui fianchi. Ricordo che dissi anche qualcosa a riguardo alla mamma, che iniziava ad essermi piccolo o una frase simile.
Mentre mio papà si cambiava la mamma mi fece sedere sulla sedia che si trovava in camera sua, davanti allo specchio, e mi fece due treccine chiedendomi di tenere d'occhio il progresso per dirle se l'acconciatura andava bene.
A quel punto scendemmo le scale e uscimmo di casa per, una volta attraversata la strada, entrare nell'abitazione dei vicini.
Questi ci accolsero con grandi sorrisi e parole gentili, facendoci accomodare subito in sala da pranzo.
Alla sala da pranzo si arrivava percorrendo un corridoio semi buio, privo di finestre. Fu lì che incontrai per la prima volta Edward.
Era vestito con un bell'abito scuro e teneva i capelli corti in una frangia che gli cadeva sulla parte sinistra del viso.
I suoi profondi occhi incontrarono subito i miei, che si spalancarono alla vista di quella creatura particolare che viveva a pochi metri da me.
Poi li distolse rapidamente, per salutare con garbo ed educazione i miei genitori.
Prima di sederci, mi si avvicinò, chiedendomi se la ferite che avevo sulle ginocchia mi facevano male.
Stetti un momento in silenzio, imbarazzata. Non avevo il coraggio di rispondergli a parole, così feci un gesto di diniego scrollando la testa.
Gli dissi che me le ero procurate cadendo dalla bicicletta, con la quale giocavo spesso nel cortile di casa mia. Gli dissi che, se lo voleva, poteva venire a giocare con me di tanto in tanto.
Così iniziò il nostro rapporto d'amicizia, che è sfociato in quel bellissimo bacio.
Ma io già dall'inizio, nella mia testolina immatura e ingenua, sapevo che quello sarebbe stato l'uomo della mia vita.
Vengo ridestata dai miei ricordi dal suono trillante del campanello.
Salto fuori dal letto e mi dirigo velocemente verso la finestra: è lui! È Edward!
Corro verso la porta della camera, ma poi mi rendo conto con imbarazzo di essere ancora in pigiama. Torno indietro ed apro le ante dell'armadio, gettando occhiate nervose sui miei vestiti.
Vorrei trovare i migliori pantaloni e la migliore maglietta, così da presentarmi al meglio di me ai suoi occhi profondi e vivaci. Ma il suono del campanello mi ricorda che non ho tempo da perdere; sta aspettando me!
Afferro il primo paio di jeans e la prima maglietta che mi capitano sotto mano e le indosso più veloce che posso.
Dando una rapida occhiata allo specchio, mentre pettino velocemente i capelli e mi lavo il viso, mi accorgo che i jeans hanno uno strappo sul ginocchio, proprio come quelli che avevo indosso giusto un attimo prima di conoscere Edward.
Sorrido, mentre scendo rapida le scale, rischiando di caracollare giù senza ritegno.
Apro la porta, svelando lui, che mi accoglie con un sorriso pieno e pacato.
Ricambio il sorriso e lo saluto, invitandolo a entrare.
< Non posso fermarmi, mia cara. Sono venuto qui per offrirti il mio invito alla cerimonia del tè che si terrà tra due giorni al parco di Carvahall. > esordisce.
Io rimango lì, impalata, quasi come se non avessi capito le parole.In realtà la mia è una reazione di piacevole sorpresa, ma lui la interpreta in un altro modo.
< Lo so, lo so che il preavviso e poco, ma spero di cuore che tu non abbia preso altri impegni e, se già lo hai fatto, non preoccuparti. Ci sarà presto qualche altra occasione per uscire assieme. >
< No! > rispondo con un tono di voce fin troppo alto. < No. Sono libera, non ho niente in programma, assolutamente. >
Accoglie le parole con un grande sorriso, che mi calma e rinfranca.
< Allora, quand'è così, passerò io a prenderti nel primo pomeriggio. L'invito dice che bisogna sfoggiare un abbigliamento elegante e formale, ma so per certo che tu non mancherai di sorprendere. Oh, un'altra cosa...oltre all'invito, sono venuto per portarti questa. >
A quel punto trae una bellissima rosa color arancione da dietro la schiena e me la porge chinando il capo. Tra i petali c'è un biglietto in cui riesco a scorgere solo la parola 'Invito'.
< Per te, che se la mia unica e più bella rosa. >.
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