La scelta
C'era un treno. Non un treno normale, un treno per nulla simile a quelli a cui siamo abituati oggi.
Un treno a vapore, nero e lucido, che sfrecciava tranquillo nel buio della notte.
Nessuno l'aveva mai visto, in realtà. O almeno era quello che sostenevano i quotidiani: false apparizioni, miti e storielle.
Circolavano molte leggende, su di lui, ma la più bella, la più affascinante, a mio parere, è quella che vi andrò a raccontare. Forse proprio perché in così tanti credevano fosse soltanto una storia, una di quelle che i nonni raccontavano ai nipoti davanti al camino, che riscaldava le stanze con un fuoco allegro e scoppiettante.
Si diceva che il mezzo non avesse alcun macchinista che lo guidasse. Si diceva che egli stesso decidesse dove andare, si diceva che fosse vivo, che fosse capace di pensare e ragionare. Ma non era l'unica follia che la gente andava farneticando su questo treno. Alcuni sostenevano che non ammettesse alcun passeggero, ma i pochi fortunati, quelli che riuscivano a salire, venivano trasportati in un luogo diverso da quelli a cui siamo abituati, al di là della barriera che divide il mondo dei vivi da quello dei morti.
Il treno si trovava infatti a fronteggiare un crepaccio cupo e spaventoso, che tagliava di netto una foresta di verdi pini. Esso era attraversabile soltanto per mezzo di un ponte di legno scuro, perennemente avvolto nella nebbia, ed il treno, dopo averlo percorso, arrivava alla sua destinazione. I passeggeri venivano sbalzati fuori dagli sportelli neri e stridenti, catapultati in un luogo magico, allegro e colorato, contrariamente alle aspettative che ognuno di noi possiede rispetto a quello che viene chiamato aldilà.
Farfalle variopinte volteggiavano nell'aria, minuscole casette dal tetto rosso e di forma triangolare, animali di tutte le specie, pioggia argentea e rinfrescante, felicità e la gioia, quella degli abitanti dell'inusuale paese, un paese che sembrava molto piccolo, ma che in realtà ospitava milioni e milioni di persone, di tutti i colori, forme, etnie, epoche, età e pensieri.
Il treno permetteva ai suoi passeggeri di salutare i propri cari, ma poi sentiva il bisogno di lasciare la terra dei morti: il suo dovere suggeriva di ripartire. Lasciava loro una dura scelta: rimanere in quel mondo colorato e felice, con le persone da tempo rimpiante, privi di preoccupazioni e malinconie, senza però mai più tornare da chi, a casa, li attendeva impaziente, oppure percorrere la strada all'indietro, lasciandosi alle spalle coloro che nella vita terrena erano tanto mancati.
Molti decidevano di tornare dalle proprie famiglie e amici ancora in vita, rinunciando alla felicità eterna, e riabbracciando una vita piena di momenti gioiosi ma con altrettante difficoltà. Non mancarono quelli che, però, sceglievano di restare, dimenticando tutte le sofferenze e i dolori, vivendo con i loro cari un tempo perduti in quel mondo ovattato e magico.
Si diceva che al giorno d'oggi il treno percorra una strada normale, seguendo un itinerario e dei binari come quelli di tutti gli altri, cammuffandosi da moderno mezzo ad alta velocità, per poi rivelare la sua vera natura solo attraversando quel misterioso ponte, avvolto nella nebbia più profonda e grigia.
Perché racconto tutto questo?
L'ho visto, quel treno.
12 Novembre 1952, ancora ricordo il giorno e l'anno in questione. Allora ero una ragazza giovane, in procinto di diventare donna, ma ero molto minuta e non dimostravo al meglio i miei diciannove anni.
Ero molto innamorata. A quell'età capita, e spesso. Ma io non avevo occhi che per lui.
Si chiamava Alberto.
Era un ragazzo per bene, cresciuto in una famiglia benestante, che era in buoni rapporti con i miei genitori sin dalla mia nascita. Eravamo amici d'infanzia, e spesso ci ritrovavamo insieme a ridere e scherzare.
Lui era un giovane gentile e appassionato, ma a volte, nel bel mezzo di una conversazione, si distraeva, si perdeva nei pensieri, in quel labirinto che era la sua mente, ed appariva nei suoi occhi una strana, ma coinvolgente, luce.
Parlava, parlava.
Passava ore a parlare di quel maledetto treno, di quanto avesse il bisogno di scoprire dove si trovasse. I suoi discorsi apparivano alla gente come quelli di un giovane matto, ed io ero la sola ad ascoltarlo con interesse.
I suoi genitori non approvavano la sua passione scellerata per il mistero, per i mondi fantastici e tutto ciò a cui non tutti credono, tutto ciò davanti a cui molti storcono il naso. Per me invece, le sue parole erano come un flauto incantatore, affascinanti ed intriganti, ed un giorno mi lasciai convincere: avremmo trovato quel treno insieme.
Percorremmo una lunga strada, a partire dal luogo in cui diceva di averlo visto, fino a quel crepaccio, fino a quel maledetto ponte di legno scuro.
Camminammo sui binari che lo attraversavano, lui davanti e io dietro, nel freddo e l'umidità della nebbia. Due ragazzi soli, circondati unicamente da una sperduta foresta di pini, immersa in una fitta foschia, che seguivano quella che era la strada di un binario morto, all'apparenza non più utilizzato da molto tempo. E neanche l'ombra di un treno.
Non era una prospettiva così ottimistica, come invece ci aspettavamo.
Poi, dopo giorni di fatica e cammino, eccolo: nero come la notte, addormentato alle porte di quello che sembrava un semplice paesino di periferia.
Un cartello di legno, sbeccato e rovinato, su cui crescevano dei rampicanti, recitava una scritta per metà incomprensibile: "Benvenuti a ສະຫວັນ", ma lentamente le ultime lettere aggrovigliate ed eteree si trasformarono, di fronte ai nostri occhi, in quelle più conosciute del nostro alfabeto, formando le sillabe: "sa van"*. Poi mutarono ulteriormente, diventando scritte in perfetto italiano. Alla fine di questo complicato processo, il cartello recitava: "Benvenuti in paradiso".
Ci addentrammo con cautela nei confini della cittadina appena scoperta, e tutte le leggende diventarono all'improvviso realtà.
Farfalle variopinte nell'aria, minuscole casette dal tetto rosso e di forma triangolare, animali di tutte le specie, ma soprattutto loro, quelli che nella vita terrena ci erano tanto mancati.
Poi arrivò quello che tutti voi aspettavate: il momento della scelta.
Io avevo una famiglia da cui ritornare, delle amiche ad aspettarmi, degli studi da continuare.
Alberto sembrava così preso dal suo mondo fantastico, ed esitava a tornare dai suoi genitori, che avevano tanto dubitato di lui.
Perciò, così accadde: io a casa, e lui lì. Per sempre.
Ancora oggi spero esista un treno magico, un mezzo che mi porti dalla mia famiglia, da Alberto, dai miei vecchi amici, da tutti coloro che ormai, all'età di ottantatrè anni compiuti, ho perso. E penso che oggi, finalmente, salirò su questo treno.
Chiudendo gli occhi, riposando sulla morbida poltrona rossa del mio salotto, degli sportelli neri e stridenti, ormai un po' vecchiotti, si apriranno per me, portandomi nel luogo colorato e felice a cui adesso appartengo, quel luogo che presto diventerà la mia nuova casa.
THE END
* "ສະຫວັນ" (scrittura) e "sa van" (pronuncia) sono la traduzione in Lao, una lingua praticamente sconosciuta e poco parlata, che a me piace moltissimo, di "paradiso".
Ho pensato che se l'aldilà avesse realmente un alfabeto, sarebbe questo, ricco di riccioli, grovigli e un po' misterioso.
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