CAPITOLO X
Quella notte piansi tutte le mie lacrime. Soffocavo i singhiozzi nel cuscino, stringendomelo sul viso con forza. L'umiliazione di essere rimasta in quello sgabuzzino a marcire continuava a perseguitarmi. E poi pensavo a mio padre, a quanto sarebbe stato distrutto vedendosi portare via tutto. Sulla Galatea c'era quasi tutto il patrimonio degli Adler. Quando la mia famiglia era partita per il Nuovo Mondo, due anni prima, non aveva preso neanche un quarto del denaro, per assicurarsi di non venir derubati. Solitamente le notizie volavano veloci, persino oltreoceano. Si sapeva sempre quando una ricca famiglia veniva a stabilirsi nelle colonie. E le voci potevano raggiungere anche i posti più malfamati. Di sicuro anche i criminali erano stati a conoscenza dell'arrivo degli Adler a Charlestown. I miei genitori, con la paura di poter essere attaccati prima dell'arrivo, avevano deciso che sarei stata io a portare la maggior parte del denaro in America. La mia partenza, infatti, sarebbe stata meno risaputa della loro. Oh, quanto si erano sbagliati! Rimasi a rimuginare gran parte della notte. Alle cinque e mezza del mattino comparve il sole all'orizzonte e i suoi raggi si andarono a posare sulle pareti della mia cabina. Il mare era piatto e la Galatea procedeva moderatamente. Sembrava tutto così calmo, tutto così normale, come se non fosse accaduto nulla, come se tra un momento all'altro il signor Phillips avrebbe bussato alla mia porta per portarmi la colazione e augurarmi un caloroso buongiorno.
Ma, ahimè, là fuori non c'era più il mio equipaggio. E non sapevo nemmeno se il signor Phillips fosse ancora vivo.
Rimasi tutto il giorno in cabina. Non osavo uscire di mia spontanea volontà. Era molto meglio restarsene lì per evitare di affrontare quei fuorilegge. Al contrario dei miei alloggi precedenti, la cabina del Primo Ufficiale era assai spartana. C'erano un tavolo, un comodino, un baule per i vestiti, due sedie e un letto. Ero distesa su quest'ultimo, intenta a fissare il soffitto e ad ascoltare il rumore dell'acqua sotto di me.
Al calar della notte, quella stanza stava incominciando a diventare sempre più angusta; mi sembrava di essere nuovamente rinchiusa nello sgabuzzino. Avevo come la sensazione che le pareti si stessero ristringendo sempre di più, soffocandomi.
Schiusi piano la porta all'ora di cena, quando tutti i marinai erano impegnati a consumare il loro pasto, e sbriciai verso l'esterno. Fuori non c'era anima viva ed esultai dentro di me. Feci qualche passo incerto, guardandomi attorno per assicurarmi che non vi fosse nessuno. Rassicurata, mi sentii libera di passeggiare sul ponte, assaporando l'aria frizzante della sera. Mi nascosi dietro al grande albero maestro e restai lì, ad osservare il tramonto che infuocava il cielo.
«Vi state godendo lo spettacolo?»
Trasalii e mi voltai verso il suono della voce. Un marinaio, alto e dal corpo massiccio, mi stava rivolgendo un sorriso. Era Dinnington.
«Sì», tagliai corto. «Ma forse è meglio se ritorno nella mia cabina, ora...»
«Perché andarvene proprio sul più bello?»
«Sono stanca e ho bisogno di riposare», risposi, cercando una scusa.
«Siete rimasta in cabina per tutto il giorno, non credo affatto che siate spossata. Restate, suvvia, non ho cattive intenzioni. Che ne dite di chiacchierare un po'?»
Esitai. «Non sono dell'umore adatto.»
«È vero ciò che dice il Capitano? Siete ricca? Scommetto che siete stata educata come una nobile. I miei modi potranno risultarvi sgarbati, ma abbiate pietà, io sono solo il figlio di un povero macellaio.»
Ero insicura se dargli confidenza oppure no, eppure il suo atteggiamento calmo mi ispirò fiducia. «Ehm... State andando bene.»
L'uomo si illuminò, sinceramente compiaciuto. «Sul serio? Be', grazie. Il Capitano mi ha sempre detto che posso considerarmi un vero e proprio gentiluomo. Non immaginavo che fosse vero.»
Il silenzio tra di noi si fece più opprimente con il passare dei minuti e a un certo punto non resistei più.
«Come mai al comando di questi uomini c'è una donna?» domandai. Era una domanda che mi assillava la mente da ore.
Dinnington sollevò un sopracciglio, come abituato a quello scetticismo. «Tra pirati vige la legge del più forte.»
Pensai che scherzasse, perciò in un primo momento feci una smorfia dubbiosa. Lui però rimase impassibile dinanzi a quella reazione. Se lo era aspettato.
«Volete dirmi che quella donna è in grado di battere tutti gli uomini su questa nave? Ma è surreale! Persino voi che siete alto e grosso riuscireste a sopraffarla!»
«Purtroppo, non è così. È stata lei a insegnarmi a combattere. Non sono mai riuscito a vincere», dichiarò. «Inoltre, in combattimento la stazza non importa granché. Sono la scaltrezza e la velocità a determinare la vittoria.»
«E tutti questi uomini sono disposti ad obbedire ad una donna?»
«Il Capitano non è il genere di donna a cui siete abituata voi, signorina Adler. È vero, alcuni uomini hanno qualche problema all'inizio ad accettare di prendere ordini da una donna, ma non appena vedono di quale pasta è fatta si sottomettono a lei senza pensarci due volte.»
Restammo in silenzio per un po', dopodiché continuai: «Sembrate avere grande stima di lei, o sbaglio?»
«Oh, sì. È come una figlia per me.»
Venimmo interrotti dallo schiamazzo di alcuni marinai appena usciti da sottocoperta. Per fortuna non ci notarono e mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
«Non dovete temere», mi rassicurò Dinnington. «Il Capitano ha chiaramente fatto intendere che se vi toccano o infastidiscono in qualche modo ne vedranno delle belle.»
«Ha davvero l'intenzione di rilasciarmi quando riceverà il denaro di mio padre?» chiesi, sbrigativa.
Egli rimase a fissarmi, quasi addolorato da quella mia paura.
«Il Capitano mantiene sempre la sua parola.»
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