VI
Persone di fiducia
La Camera Rossa era sommersa dal brusio, ma Julian non si era mescolato alle chiacchiere.
Sostava in piedi dietro un gruppo di poltrone scarlatte e seguiva con la coda dell'occhio i guizzi della luce che dalle finestre si abbatteva sulle pareti decorate d'oro massiccio.
Poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva messo piede a Westminster - tutte sotto richiesta di suo padre. Non era ancora maggiorenne, ma gli era concesso assistere, e ad Albert premeva si abituasse all'ambiente, ai volti, al posto che già gli era stato riservato al suo fianco, tra i conservatori.
Pur dimostrandosi distaccato, conosceva il cuore di suo figlio - e come non avrebbe potuto, se nel suo petto scalpitavano gli stessi ideali di giustizia di Alice? Sapeva che dirgli della riunione in merito alla prostituzione l'avrebbe condotto a varcare ancora il glorioso portone dell'abbazia.
Julian era però poco propenso a dargli la soddisfazione di sedere accanto a lui. Stava ignorando di proposito gli sguardi di ammonimento del conte già da diversi minuti, girovagando senza meta in attesa, come tutti, che la Camera fosse al completo e il lord cancelliere desse inizio alla discussione.
Dalla porta aperta si riversò l'ennesimo piccolo fiotto di uomini in giacca e cravattino di seta, e Julian individuò con letizia i gemelli ai polsi di Charles Egerton, di un argento lucidissimo.
Il padre di Uriah serpeggiò per la stanza stringendo mani a destra e manca, facendo sfoggio del sorriso genuino che Julian rivedeva nel proprio migliore amico. La somiglianza con Charles era, talvolta, impressionante: sul suo volto solcato di rughe d'espressione si poteva ravvisare un'antica bellezza serafica.
Julian si era spesso domandato come sarebbe stato invecchiare al fianco di Uriah. Leggere le tracce del tempo sulla sua pelle bianca e scovare ricordi di irrefrenabili risate nelle pieghe attorno alla sua bocca. Ma si trattava di una gioia riservata alla sua futura moglie, ormai - svegliarsi contro il suo petto e osservare, nella quiete dell'alba, come la luce accendesse ancora d'oro i suoi capelli ingrigiti.
Charles si accostò anche ad Albert, scambiando una pacifica stretta, nonostante Julian potesse riconoscere senza alcuna difficoltà il piglio delle sopracciglia di suo padre farsi più fitto.
Sollevò una mano e il conte Egerton fu rapido a ricambiare quel cenno di saluto con un sorriso compiaciuto.
-Anche tu qui?- Domandò, avvicinandosi.
Julian non apprezzava le chiacchiere di circostanza ma, notando quanto Albert accennasse ancora ad incupirsi per la sola presenza di Charles ad un passo da lui, rispose candidamente:-Solo per oggi.-
-Tuo padre deve essere al settimo cielo.-
L'incapacità di analizzare le situazioni era un'altra caratteristica che Uriah aveva ereditato da Charles.-Non mi spingerei a tanto.-
-Sciocchezze.- L'uomo posò una mano sulla sua spalla e lo condusse alla sistemazione dei membri non schierati, di fronte all'imbottita poltrona del lord cancelliere.-Vieni, siedi con me.-
Julian si assicurò di sostenere l'occhiata truce di suo padre mentre si accomodava accanto a Charles. Il conte di Albemarle riprese immediatamente:-Per i padri è difficile ammettere l'orgoglio nei confronti di un figlio. L'affetto, persino. Ma non ho dubbi che Albert riponga in te immensa stima.- Gli sorrise nuovamente, eppure quel che disse generò solo raccapriccio sul fondo dello stomaco di Julian.-Non si può essere indifferenti al suo amore per Matilda e per la memoria della contessa. Perché tu dovresti fare eccezione?-
Julian dovette resistere all'impulso di uscire dalla stanza. Affondò i denti nella carne morbida della guancia e incontrò ancora lo sguardo insoddisfatto di Albert. Le sue dita nodose erano rovi pungenti attorno al pomo del bastone di Alice.
-Uriah deve darti molte gioie, perché tu possa parlare in questo modo.-
Non poteva essere altrimenti. Uriah si era rivelato un prodigio dalla più tenera età, brandendo il violino come alcuni nobiluomini brandivano il fioretto - con maestria e consapevolezza, pronto ad assestare stoccate all'anima attraverso il potere affilato della sua musica. Le fanciulle fingevano svenimenti pur di attirare la sua attenzione, gli uomini rispettavano il suo talento, le madri sgranavano rosari nella speranza sposasse le loro figlie. Uriah era amato, ovunque andasse. Quel che Julian provava per lui non era poi nulla di speciale.
-Dà la sua buona dose di preoccupazioni, al pari di ogni figlio.- Charles distolse lo sguardo per lasciarlo vagare sugli altri gentiluomini: ad uno ad uno prendevano posto nei propri schieramenti, e ben presto la figura di Albert venne coperta dalla folla. Il lord cancelliere stava passando in rassegna i punti all'ordine del giorno.-Temevo non si sarebbe sposato. La sua passione per il violino lo rende cieco verso i doveri. In tal proposito, Julian, credo di doverti ringraziare.-
Il giovane sbatté le palpebre, scrutandolo di sbieco.-Perché mai?-
-Hai corteggiato a lungo la viscontessa. Concedere a Uriah di prenderla in moglie, a dispetto dei tuoi interessi, è stato davvero un comportamento da amico.-
Julian poteva quasi sentire l'amaro e sgradevole odore della riconoscenza trasudare da tutti i pori di Charles. Avrebbe voluto ribattere che i suoi interessi erano ben altri. Che avrebbe ceduto a Uriah non una, ma cento altre Pamela, se solo il suo cuore non fosse dovuto andare in frantumi nel frattempo.
E quando Charles aggiunse:-Sono felice tu faccia parte della sua vita.-, Julian fu sul punto di rispondere che, di tanto in tanto, quando la sofferenza minacciava di divorarlo vivo, la sua coscienza diveniva tanto malevola e spinata da spingerlo a desiderare di non aver mai incontrato Uriah.
Ma ammetterlo ad alta voce avrebbe causato più dolore a lui che a Charles.
Albert lo precedette al ritorno. Pareva gli avessero comunicato che villa Wodehouse aveva preso fuoco, tanto velocemente uscì dall'abbazia, trascinandosi sul bastone della moglie.
Julian si trattenne con Charles nella speranza di veder sbucare Uriah - non era raro passasse a porgere un saluto al padre, tra una commissione mattutina e l'altra. Ma quel giorno era impegnato con Pamela, e a Julian rimase incastrato tra i denti il sorriso che non aveva potuto rivolgergli, come un doloroso morso per bestie.
Charles gli offrì un passaggio in carrozza; viaggiarono assieme fino a Mayfair, poi l'uomo scese dalla vettura salutandolo con un sorriso caloroso e augurandogli un buon ritorno a casa. Julian dovette trattenersi dall'approfittare della sua gentilezza e autoinvitarsi a pranzo.
Attraversando Cannon Street con gli occhi incollati al finestrino, vide un'immobile crocchia di giovani donne vestite modestamente, che proteggevano dal sole il volto scontento con ombrellini di pizzo fiorato.
Chiese al cocchiere di fermarsi e proseguì a piedi dopo la svolta: incrociò un'altra ragazza, rossa in volto, che stringeva spasmodicamente un pezzo di carta.
La osservò allontanarsi lungo la schiera di ville vittoriane con le colonnine bianche sui portici che costeggiavano Bush Lane, e non poté trattenere un ampio sospiro non appena l'ebbe superata.
Prima che potesse suonare al campanello, la porta d'ingresso si spalancò e ne uscì una dignitosa vegliarda con i capelli argentati raccolti ordinatamente sulla nuca. Chinò il capo trovandoselo di fronte, e Julian tolse il cappello.
-Ho da supporre che siate il fratello della contessina.- Disse, burbera.
-É così.-
L'anziana signora gli porse una mano inguantata da baciare.-Sono la signorina Thornton.- Julian la sfiorò brevemente.-Direttrice della scuola per istitutrici Breakwater. Vostro padre ha richiesto di non essere disturbato, ma sono ben felice di riferire a voi che vostra sorella è la piccola donna più incontentabile che abbia mai avuto l'onere di servire.-
Julian non ebbe la prontezza di fingersi sorpreso. I suoi occhi si spostarono d'impulso sul manipolo di ragazze che affollava il fondo della strada - se mai c'erano stati dubbi, adesso era certo fossero candidate che Matilda aveva scacciato.
-Le mie ragazze sono le migliori in tutta l'Inghilterra.- Proseguì l'anziana, piccata, e Julian tornò a guardarla. Prese atto con condiscendenza del suo tentativo di gonfiare le vele del proprio vascello.-Abbiamo rinunciato ad un incarico ben più prestigioso per essere qui oggi...-
-Allora la saggezza non assiste i vostri anni, signorina Thornton.- Julian estrasse dalla tasca un taccuino, ignorando la mandibola contratta della direttrice.-Ditemi di chi si tratta. Il minimo che possa fare per ringraziarvi dell'incomodo è parlare in vostro favore.-
Lei ammutolì, un'espressione sconcertata sul volto rugoso, gli occhi spalancati come bottoncini neri.
Julian rimase in attesa con la matita posata sul foglio. Aggrottò le sopracciglia.-Nessun nome?- Insistette.-É un peccato, signorina.-
Un afflusso di calore tinse di rosso il volto di cera della donna. Stritolò la borsetta di satin verde bottiglia e si avviò per le scale borbottando delle scuse e un saluto.
Il giovane non la osservò ricongiungersi alle sue allieve: sul taccuino ancora aperto, era impresso nella grafia esuberante di Fanny l'indirizzo di Monsieur Moreau. Si chiese se non sarebbe stato necessario, alla fine, cedere a quel bizzarro tentativo.
Chiuse la porta d'ingresso sul cielo limpido del mezzogiorno e si voltò verso Matilda, che l'aveva raggiunto a passi lenti dopo il colloquio che doveva essersi tenuto nel salotto.
-Allora?- Le chiese, candido.-Qual è il verdetto?-
La ragazzina arricciò il naso lentigginoso.-Non credo siano adatte.-
-Nessuna di loro?- Al silenzio assenso della sorella, Julian sollevò le braccia.-Tilda, ne avremo convocate tredici da ieri. Inizio a credere che tu le stia mandando via di proposito!-
La voce di Matilda si fece più acuta. -Perché dovrei fare una cosa del genere?-
-Che avevano di inadatto?- Ribatté bruscamente il fratello, indicando la porta attraverso cui la direttrice si era appena dileguata con il suo stuolo di allieve.
-Beh,- Matilda s'imbronciò, e strinse le braccia al petto.-erano a dir poco supponenti!-
-Non voglia il Signore, che un'insegnante sia consapevole delle proprie competenze!-
-Cos'è questo trambusto?- I passi di Albert riecheggiarono dal fondo del corridoio.
Comparve poco dopo, appoggiandosi al suo bastone intagliato, e si fermò di fianco alle scale che conducevano al primo piano.
-Matilda ne ha scartate delle altre, per il più futile dei motivi.- Rispose Julian, lanciando un'occhiata di rimprovero alla fanciulla.
-Erano estremamente antipatiche!-
Julian fece per replicare, ma Albert scosse il bastone nella sua direzione, dicendo:-È giusto che Matilda scelga con cura le persone con cui dovrà avere a che fare per i prossimi anni. Perché forzarla a condividere del tempo con chi trova spiacevole?-
-Forse perché tutti dobbiamo avere a che fare con persone spiacevoli, presto o tardi?- Julian pensò a Pamela, al fatto che l'avrebbe trovata sempre lì, come un chiodo affisso alla parete, ogni volta che avesse desiderato incontrare Uriah.-Matilda sta cercando un'educatrice, non una dama di compagnia.-
-In un ambiente sereno si apprende più in fretta.- Albert accarezzò con una mano i baffi ingrigiti.-Matilda non ha bisogno di accontentarsi.-
La giovane rivolse al fratello uno sguardo trionfante, le labbra incurvate in un sorrisetto ostinato.-Non ho intenzione di farlo.- Assicurò.
Julian ricambiò con durezza.-Dovrai. Nessuna istitutrice vorrà più candidarsi, appena si sarà sparsa voce dei tuoi capricci.-
-In tal caso, cercheremo fuori da Londra.- Fu la flemmatica risposta di Albert.-Le ho fatto una promessa, e sarà mantenuta.-
Con un saltello, Matilda si tuffò tra le braccia del padre, ringalluzzita dalle sue difese. Albert posò un bacio tra i suoi capelli ramati, e Julian distolse lo sguardo, sentendosi pervadere dalla fiacchezza.
Quando la contessa era ancora in vita, c'erano state tenerezze anche per lui. Albert lo prendeva sulle spalle nelle domeniche d'estate e lo portava a Hyde Park, a giocare alle regate con barchette di carta negli stagni. Se sfidava con successo altri bambini, gli diceva che era il suo giovanotto, che lo rendeva orgoglioso, e gli comprava un sorbetto alla menta.
Ma quel sapore era lontano, tanto quanto il calore nella voce di suo padre. Gliene rimaneva solo il riflesso in quello che impiegava per rivolgersi a Matilda.
Dall'esterno provenne il clangore del batacchio in ottone.
Albert tornò a rintanarsi nel proprio studio, Matilda si spostò ancora in salotto e, visto che Christine non si apprestava ad aprire la porta, provvide Julian ad accogliere la quattordicesima candidata.
Attese di vederla sistemarsi di fronte a Matilda, sul divanetto accanto al camino, prima di allontanarsi per scoprire dove fosse finita la domestica.
La trovò barcollante sull'entrata di servizio: in ciascuna mano teneva un secchio d'acciaio pieno d'acqua fino all'orlo.
Doveva essersi trattenuta alla pompa in cortile.
-Dove li porti?- Chiese, e Christine ebbe un sussulto che sparse spruzzi d'acqua sul pavimento.
-Di sopra, signore.- Rispose, indicando le scale con un cenno del mento appuntito.-Per lavare i vetri.-
Julian le si avvicinò e afferrò i manici dei secchi, per sottrarli alle sue mani tremolanti. La cameriera fece un passo indietro.-Oh, no, signore...-
-Non è un problema.- Insistette lui, abbassando lo sguardo sui suoi occhi scuri, un po' timorosi. Christine titubò ancora per un istante prima di lasciare la presa sui secchi, e Julian sentì improvvisamente irrigidirsi i tendini nelle braccia.
Erano fin troppo pesanti per una ragazza così minuta!
Si avviò su per le scale, e Christine lo seguì, sollevando le gonne sulle punte degli stivaletti di cuoio per non inciampare.
-Grazie.- Mormorò, mantenendosi alle sue spalle.
Julian scosse il capo.-Ti ho ripetuto molte volte di non sbrigare certe faccende da sola.-
Christine non fiatò. Con la coda dell'occhio, il giovane vide il suo piccolo volto avvampare di mortificazione. Credeva la stesse redarguendo?
-Non voglio che tu ti faccia male.- Aggiunse.
-É il mio lavoro, signore.-
-Un lavoro che non potrai più svolgere, se cadrai dalle scale rompendoti l'osso del collo.- Borbottò lui.
La giovane non ribatté più, forse scossa dall'immagine che quelle parole avevano evocato.
In verità, non gli importava che Christine fosse celere nell'adempiere alle sue mansioni; se avesse potuto, le avrebbe concesso una vita intera di riposo, ma l'unico modo per convincerla a lasciarsi aiutare era premere sul senso di responsabilità che avvertiva nei confronti di Albert e di quella villa.
In passato, con il pretesto di infoltire il personale domestico, Julian aveva chiesto a suo padre di assumere Alexei. Era il supporto economico più consistente che avrebbe potuto offrirgli. Ma il conte si era rifiutato strenuamente: con l'età era divenuto diffidente degli estranei, non aveva neppure voluto incontrarlo. Diceva che i russi erano ubriaconi privi di maniere e che non voleva ritrovarsi a contare ogni giorno i pezzi dell'argenteria per accertarsi non mancasse nulla.
La cuoca, Sabine, aveva sessant'anni ed era stata al servizio della famiglia di Albert per due generazioni. Quando si era sposato, l'aveva portata con sé. L'unico uomo tra i domestici era il cocchiere, che svolgeva anche i ruoli di stalliere e fattorino.
Christine era l'ultima arrivata dopo la morte per consunzione della vecchia governante. La contessa Alice l'aveva presa sotto la propria ala, appena tredicenne, un mese prima di spegnersi. Orfana e senza dote, Christine l'aveva amata dal primo istante e le era rimasta accanto fino all'ultimo, pregando inginocchiata di fronte al suo letto. Era il solo motivo per cui Albert non l'aveva cacciata.
Julian aveva sperato potesse entrare in confidenza con Matilda, data la vicinanza d'età, ma Christine si era rivelata taciturna come un paralume. Non la si sentiva circolare per casa e, se la sua presenza era richiesta in qualche stanza, stava muta e invisibile contro il muro, sempre attenta a non disturbare.
Julian posò i secchi sul pavimento del corridoio del primo piano e si voltò a guardare le finestre. I tasselli di vetro incastrati nelle intelaiature di mogano erano appannati della condensa che si formava nelle notti più fresche, in contrasto con l'umidità che saliva dal fiume.
Christine aveva già iniziato ad immergere delle pezze nell'acqua, le maniche della divisa sollevate a scoprire gli avambracci magri. Ne stava strizzando una quando dal fondo della scala si udirono provenire le voci di Matilda e della nuova candidata.
Julian aggrottò le sopracciglia. La stava già congedando? Lo scambio non poteva essere durato più di dieci minuti. La porta d'ingresso cigolò sui cardini, confermando il suo sospetto.
Si rivolse alla domestica, spazientito:-Glenn è uscito a sbrigare delle commissioni?- Perlustrando la villa alla ricerca di Christine, non gli pareva di aver visto il cocchiere tuttofare da alcuna parte.
La giovane continuò a lucidare i vetri con energici movimenti circolari.-Sì, signore.-
-Appena torna, puoi dirgli di cercare il vecchio tutore degli Egerton a questo indirizzo?- Estrasse dal taschino del panciotto il taccuino e strappò il foglio che Fanny aveva scribacchiato al ballo di fidanzamento. Christine lo prese e lo infilò tra la pettorina del grembiule e la casacca nera che indossava al di sotto, annuendo.
-Grazie. Sono in biblioteca, se hai bisogno di portare su altri secchi.-
La cameriera abbassò ancora gli occhi.-Va bene.-
Julian si ritrasse con un sorriso poco convinto.
Monsieur Moreau si presentò nel pomeriggio. Le vibrazioni del batacchio si propagarono con la piena solennità delle campane di St Paul nella villa vuota e silenziosa: il conte e Matilda erano usciti per una passeggiata subito dopo pranzo e il cocchiere aveva accompagnato Sabine e Christine al mercato.
Julian si affrettò per le scale, strofinando gli occhi intorpiditi per le ore trascorse a leggere. La luce fioca, un po' aranciata dell'esterno li ferì quasi mentre spalancava la porta.
-Buon pomeriggio, signore.- Fece, rivolto all'ombra che si stagliava sulla soglia.-Accomodatevi.-
L'uomo ricambiò, mosse qualche passo nell'ingresso, gettandosi attorno occhiate incuriosite. Si fermò sotto al lampadario, e lì tolse il cappello per poter osservare meglio le preziose gemme che penzolavano dal soffitto.
Julian si lasciò sfuggire un ansito sorpreso. Non si trattava affatto di un vecchio decrepito.
Alla luce che pioveva dai cristalli, il suo volto aveva la morbidezza ed il colorito della gioventù, sebbene i lineamenti fossero spigolosi. I corti capelli e gli occhi erano di un ricco castano.
Esile, notevolmente alto, dimostrava forse più della sua reale età a causa della serietà che gli aleggiava nello sguardo - Julian iniziava a comprendere dove risiedesse il fascino che Fanny aveva decantato.
-Volete darmi la giacca? O il cappello?-
L'uomo distolse gli occhi dal lampadario, sbattendo le ciglia.-Non siete il padrone di casa?-
-Sì.- Julian allungò le dita verso il cappello che teneva poggiato contro il petto.-Ma quando tutti sono fuori, anche maggiordomo, e cuoco all'occorrenza. Gradite del té?-
-No, grazie. Faccio volentieri a meno di bevande fumanti, quando il clima è torrido.-
Julian si diresse verso l'attaccapanni.-Immagino che in Francia abbiate abitudini diverse. Mia sorella sarà di ritorno tra poco, possiamo spostarci in salotto ad aspettarla.-
Così fecero; Julian sedette sulla poltrona accanto al camino spento, e monsieur Moreau di fronte a lui sul divanetto, accavallando le lunghe gambe avvolte nei pantaloni di frescolana écru.
-Vi devo ringraziare per l'opportunità.- Disse.-É la prima proposta che ricevo, da quando ho terminato il mio incarico presso gli Egerton.-
-É stata Fanny a raccomandarvi.- Julian tamburellò le dita sul bracciolo, in un picco di nervosismo.-Confido nelle vostre capacità, ma sarò costretto a lasciarvi nelle mani di mia sorella.-
L'uomo sollevò le sopracciglia.-Ne parlate come se stessi per infilarmi nella gabbia dei leoni.-
-Matilda non è conosciuta per la sua clemenza.-
-Matilda.- Il nome danzò dolcemente sulla sua bocca, cullato dall'accento spiccatamente francese.-"Forte guerriera". Pare le si addica. Qual è il vostro nome?-
-Julian.- Rispose il giovane, quasi tentennando. Gli sembrava di star confidando qualcosa di terribilmente intimo; gli occhi scuri di monsieur Moreau erano inchiodati sul suo volto.
-Julian Wodehouse.- L'uomo tacque, immerso in qualche riflessione. Strofinò il mento sbarbato con le dita affusolate.-Mi è familiare.-
-Forse Fanny...-
-No, no. Devo averlo letto recentemente...- I suoi occhi guizzarono all'improvviso, come candele.-avete pubblicato una poesia sul The Bookman, lo scorso martedì?-
Julian avrebbe voluto poter sprofondare tra i cuscini della poltrona. Per quanto quei versi ridicoli l'avrebbero tormentato? Erano segugi che gli correvano alle calcagna per un pezzo di carne.
-Sì.- Mormorò, astenendosi dall'aggiungere un "purtroppo". Accorgendosi dell'inespressività sul volto dell'uomo, chiese:-Vi è piaciuta?-
-No.- Fu la risposta secca.
Il petto di Julian fu alleggerito da una particolare sensazione di sollievo. Senza che potesse impedirlo, gli angoli delle sue labbra iniziarono a fremere in una muta risata.
L'altro se ne accorse, e raddrizzò le spalle con un cipiglio interessato.-La mia opinione vi diverte?-
-La sincerità, signore.- La risata era sfumata in un'espressione gioiosa.-É la qualità che più apprezzo nelle persone.- Julian gli tese la mano, e il precettore l'accettò, stringendola saldamente.-Mi piacete. Spero piacerete anche a Matilda.-
Quasi evocata, la ragazzina fece avvertire la propria presenza nell'ingresso, aprendo la porta e chiacchierando ad alta voce con Albert degli anatroccoli che aveva visto a Hyde Park. Si sentì lo schiocco del parasole che veniva richiuso.
Julian la chiamò immediatamente, e Matilda sbucò in salotto trotterellando. Indossava un abito color meringa e le sue guance, già baciate dal calore estivo, divennero più rosse quando si fu accorta della presenza di monsieur Moreau.
L'uomo si alzò, raggiungendola con passo felpato. Si chinò a baciare la mano che Matilda stava timidamente porgendo, e Julian rimase in disparte ad osservare la scena, soddisfatto della sua impresa.
Lo scintillio negli occhi grandi di sua sorella non tradiva alcun dubbio: avrebbe scelto lui.
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