IX
Relazioni pericolose
Da quando lo conosceva, Julian non aveva mai avuto modo di festeggiare il compleanno di Alexei.
Trascorso il primo anno di frequentazione, il giovane aveva ritenuto strano non fosse mai arrivata una data da celebrare - a quell'osservazione, Alexei aveva risposto che il suo compleanno c'era già stato mesi prima. Per gli intrattenitori del Florence passava come un giorno fra tanti, l'acredine che nutrivano nei suoi confronti impediva loro di esser contenti per qualsiasi cosa lo riguardasse: erano invidiosi del successo che riscuoteva tra i clienti, avvantaggiato dalla sua angelica bellezza, e anzi forse godevano in silenzio dello scorrere degli anni e dell'avvizzimento che il tempo avrebbe portato sulla sua pelle di porcellana.
Ai frequentatori non era mai importato abbastanza da avanzare la domanda.
Ma Julian non poteva tollerare di perdere ancora un'occasione del genere: quel giorno Alexei avrebbe dovuto sorbire degli auguri, un regalo e una birra offerta al pub.
L'amante lo scrutava al di sotto delle ciglia candide con uno sguardo insieme gongolante e divertito mentre si avvicinava al tavolo con i boccali tra le mani, attento a non rovesciare la spuma che quasi traboccava dai bordi.
-Grazie, cameriere.- Soffiò.
Alexei dava le spalle alla vetrata del pub; la tenera luce del mattino gettava colate di platino sulle punte dei suoi capelli. Julian sedette sulla panca adiacente la sua, contro il muro di robusto legno grigio.-Sei di buonumore. Pensare che ho dovuto insistere, per portarti qui.-
-C'è sempre brutta gente.- Rispose l'altro, dopo un sorso di birra, passando il dorso della mano sulle labbra orlate di schiuma.
Nel pub vagabondavano molti dei clienti di Alexei, che il ragazzo non era desideroso di incontrare al di fuori degli orari lavorativi - approfittavano della sua pazienza, convinti di potersi concedere libertà solo perché era stato a letto con loro. A molti sfuggiva che Alexei tentasse solo di mettere il pane sotto i denti e non avrebbe mai - mai - ceduto alle loro attenzioni se non fosse stato per necessità. Ma la presenza di Julian pareva ammansirli; ancora nessuno si era permesso di farsi avanti per disturbare.
-Almeno qui le persone non fingono di essere migliori di quel che sono in realtà.- Borbottò il ragazzo, stendendo le gambe sotto al tavolo.
Alexei arricciò il naso.-Pamela ti ha dato altre rogne?-
Julian sollevò le dita sottili in un gesto vago. Da giorni non riusciva a togliersi dalla testa il suo capriccio sui testimoni di nozze, il verdetto oscuro di quella cartomante, il volto coperto di Théo che spariva nei meandri licenziosi di Soho. Al quadro faceva da sottofondo l'andante struggente di Uriah, come in un tragico melodramma greco.
-Non parleremo di Pamela oggi.- Asserì, trangugiando la birra fresca, dal retrogusto amaro.
-D'accordo.- Alexei si sporse verso di lui con gli occhi blu attenti e curiosi.-Cosa faremo oggi?-
-Festeggeremo.- Julian picchiò volutamente il boccale sul tavolo, con un gesto deciso.-E scarteremo i regali.-
Le sopracciglia dell'amante si sollevarono di felicità incredula.-Mi hai fatto un regalo?-
-Certo, che ti ho fatto un regalo! Che compleanno sarebbe, altrimenti?- Sentendo già il cuore scalpitare di gioia per la reazione di Alexei, il cui sguardo ora scintillava, Julian infilò una mano sotto la giacca e produsse un bel pacchetto infiocchettato, delle dimensioni di un mattone.
-Ah, santo cielo.- La voce dell'altro era tremula di emozione. Passò in rassegna la carta crespa del regalo, senza toccarla, e muovendo il capo a destra e sinistra per inseguire le onde di luce che percorrevano il nastro di raso lilla.-Non avresti dovuto spendere del denaro per me, soprattutto in questo momento... è fragile? Posso scuoterlo?-
Julian gli si accostò, i gomiti puntellati sul tavolo per poter osservare ogni mutamento d'espressione.-L'ho comprato mesi fa... e sì, puoi scuoterlo, ma non ne ricaverai nulla.-
-Mesi fa?- Gli fece eco Alexei, che pareva troppo euforico, ormai, per dire qualsiasi cosa non fosse ripetere le parole del compagno. Afferrò il pacchetto a due mani e lo agitò. Non provenne alcun rumore dall'interno. Insoddisfatto, prese finalmente a scartarlo tirando gli estremi del fiocco e strappando la carta con la delicatezza e la precisione che riservava a certe carezze notturne.-Un libro!- Uggiolò, liberandolo più rapidamente dalla prigione di nastrini. L'incarto fu appallottolato e dimenticato intanto che il titolo faceva la sua comparsa, di un bel dorato brunito sulla copertina in pelle rossa.
-Ci è voluto un po', perché arrivasse.- Proseguì Julian, anche se sapeva che la sua risposta era ormai superflua: Alexei si era appoggiato alla vetrata con gli occhi serrati e il libro stretto al petto - lo imprimeva con forza contro di sé, quasi avesse voluto farlo entrare tra le coste, le mani percorse da fasci nervosi.
-Mi pare di sentire l'odore di casa.- Mormorò, e Julian sorrise di vivo cuore - quando aveva ordinato per lui l'edizione russa di Guerra e pace, aveva nutrito dentro di sé la speranza di sortire quell'effetto. Di donare ad Alexei un pezzo del ghiaccio che circondava la sua amata Mosca.
-É solo il primo volume.- Gli disse.-Conto di rimanere nei paraggi ancora per molti compleanni.-
Con un riso soffocato e il libro ancora stretto tra le dita, Alexei cinse le sue spalle con un braccio e gli baciò la tempia, poi la guancia, sprofondando il volto nel suo collo - Julian percepì una goccia scivolare lenta sul declivio della clavicola, e portò istintivamente la mano allo zigomo dell'amante, asciugando le lacrime calde che vi trovò.
-Grazie, Julian.- Alexei alzò il viso, allora, per posare un'ultima volta le labbra ridenti sulla sua fronte.-Pare che tu e mia madre vi siate messi d'accordo per commuovermi.-
Julian non smise di accarezzarlo, travolto da una nuova ondata di contentezza.-Ti ha scritto?-
-Non solo. Guarda.- Dalla tasca dei pantaloni, il ragazzo estrasse un pesante medaglione ovale, dalla catenella d'oro. Senza posarlo sul tavolo, per tenerlo lontano da occhiate indiscrete, lo aprì, e Julian chinò il capo per sbirciare all'interno.
-Mio padre.- Disse Alexei, indicando la foto incastonata nella capsula sinistra. Ritraeva un uomo dal piglio severo, in abiti militari, con la visiera rigida del copricapo calcata sugli occhi che, almeno dal grigiore della foto, parevano esser stati chiari.-Non lasciarti ingannare, era buono come il pane. Ma i fotografi lo mettevano a disagio. Questo è uno dei pochi ritratti che abbiamo di lui, di prima che partisse per la guerra contro i Turchi. Tornò indenne.-
Julian sapeva, dai racconti di Alexei, che Solomon Ilich Kuznetsov aveva perso la vita pochi anni dopo cadendo da un'impalcatura mentre installava le ringhiere di un palazzo fatiscente. Una disgrazia, come ne accadevano spesso a chi rischiava la pelle quotidianamente per due spiccioli. Né a Julian, né agli aristocratici che frequentava sarebbe mai accaduto nulla del genere. Su di loro potevano accanirsi solo le malattie, se anche la Morte non disdegnava le loro maschere di velenosa cera.
-E poi ci sono mamma e le mie sorelle.- Nella seconda foto, una donna dal viso rugoso ma dallo sguardo sottile sedeva attorniata da tre ragazzine, bionde, altere, vestite modestamente.-Vania, la maggiore, ha quindici anni.- Si distingueva per un fiocco scuro intrecciato ai suoi boccoli, appena sopra l'orecchio.-Le gemelle, Olga e Danika, dodici compiuti il mese scorso. Avrei voluto essere lì, mamma prepara sempre una torta alle mele deliziosa... ah, amico mio, non hai idea del regalo che mi hai fatto.- Sollevò gli occhi di zaffiro su di lui, pregni di riconoscenza, letizia, affetto.-Penserò a loro, leggendo quel libro. Ai suoni di una lingua che non ascolto da tempo. E a te, ovviamente.-
Una punta di gelo s'insinuò nel cuore di Julian, nonostante il calore delle sue parole e del suo sguardo. Fece scivolare una mano su quelle di Alexei, attorno al medaglione.
-Come ci riesci?- Sussurrò, osservando le foto, i decori sulla giacca di Solomon, le striature bianche tra i capelli scuri di Vera, provocate dal dolore più che dalla vecchiaia.-Come ti è possibile svegliarti ogni giorno, con questa speranza costante, con questo coraggio... nonostante quel che ti è accaduto?-
Il torace di Alexei si gonfiò di un respiro sorpreso, ma il giovane fu rapido a riprendersi, e rivolse a Julian un'espressione benevola, chiudendo il medaglione.-Potrei dirti che non ho altra scelta. Tuttavia, non sarebbe la verità. Se fossi un altro uomo, a quest'ora avrei dimenticato la mia famiglia e le responsabilità che comporta. Forse avrei potuto gettarmi sotto un treno, proprio lì, a King's Cross.-
Julian sollevò di colpo il viso, riversandogli addosso il fiume argenteo dei suoi occhi preoccupati.-Ma tu non sei quel tipo d'uomo.-
-No. Perché ho conosciuto anche la gioia, oltre la sofferenza, e ogni mio dispiacere è stato ripagato da un atto d'amore.- Alexei sorrise, di un sorriso ispirato dai ricordi, morbido e nostalgico.-Papà aveva piantato un melo, nel nostro giardino. Il mattino successivo alla sua morte, fiorì per la prima volta. Così è iniziata la tradizione della torta alle mele per i nostri compleanni. É un modo per sentirlo vicino, nei giorni di festa. Ed è stato un modo, tempo fa, per affrontare la sua scomparsa. Il primo segno di speranza.-
Julian tentò di rammentare di un avvenimento che gli avesse restituito fiducia nel domani, dalla morte di Alice, ma la sua mente rimase oscura, disabitata.
-Anche il mio arrivo qui a Londra, ci pareva pieno di promesse.- Aggiunse Alexei, indagando con lo sguardo il suo silenzio.-Gioimmo tanto dell'opportunità... ancora ne gioiscono, mia madre e le mie sorelle, inconsapevoli. Ma per anni il loro entusiasmo mi è stato sufficiente; ero certo che il destino avrebbe premiato il mio sacrificio. E ho incontrato te. Ora come ora, Julian, sei la mia più grande fonte di speranza.-
La morsa che serrò il cuore di Julian aveva le dita palmate delle cose celesti, vigorose nella loro passione, ardenti di un bollore vitale e gaudente. Sulla sua pelle affiorò un tremito che salì alle labbra e agli occhi, in un sorriso pieno e un pianto trattenuto.
Non si sarebbe mai arrogato la convinzione - il dubbio, persino - di avere un tale valore per qualcuno. Ma udire simili parole da parte di Alexei, per lui, per lui solo...
-Non ti deluderò.- Fu in grado di rispondere, dopo un lungo e sconcertato silenzio, ravviando una ciocca dei suoi capelli nivei.
Alexei scosse il capo, nascondendo la guancia nel suo palmo.-Non devi privarti della tua umanità. Deludimi, se dovesse essere necessario, è questo quel che fanno le persone. Per te, la mia fiducia ha riserve infinite.-
"Non ho fiducia da offrirti, Julian. Non più."
Julian umettò le labbra, che sentiva secche di profondi respiri.-A volte penso,- Mormorò ancora, la voce sottile come un filo di ragnatela nel brusio alterato del pub.-che se ti avessi conosciuto prima, la mia vita sarebbe stata diversa.-
Alexei gli sorrise compassionevolmente.-Tu ti preoccupi sempre troppo del passato. La vita ha in serbo molto per te, vedrai. Ne sono sicuro.-
Julian non ribatté.
Fissò nei suoi occhi di cristallo blu e decise di compiere un atto di fiducia.
La villa della famiglia Wodehouse era di particolare grandezza. Spiccava, tra i chiari colonnati delle case a schiera, per la sua struttura in mattoni grigi e tetti a pinnacolo innalzati su bovindi esagonali.
Julian aveva sviluppato un rapporto di amorevole insopportazione nei confronti di quella secolare abitazione: era lontana da tutte le sue attività, in particolar modo da Uriah, i cui predecessori si erano trasferiti nel quartiere di Mayfair, seguendo l'esodo di famiglie perbene iniziato nel 1700. Era stato inutile tentare di convincere Albert a fare altrettanto - per lui avrebbe rappresentato uno spreco di denaro e l'appropinquarsi di una vita affollata di visite che, alla veneranda età di cinquant'anni e dopo un lutto che l'aveva indurito, non aveva intenzione di affrontare.
Tuttavia, esattamente come il conte, Julian venerava di quella villa la presenza di Alice: ogni oggetto aveva percepito il suo tocco, ogni asse dei lucidi pavimenti aveva accolto il passo delicato dei suoi piccoli piedi avvolti in stivaletti dai bottoni di madreperla. Li indossava Matilda, ora, ma la sua indole risoluta generava ben altra cadenza.
Al ritorno dal pub, Julian si lasciò scivolare sull'ampia gradinata del portico, di un marmo gelido nonostante il tepore del mezzogiorno. La lunga camminata l'aveva sfiancato - avrebbe raggiunto Fanny sfruttando la carrozza, nel pomeriggio, poiché non sarebbe stato necessario nascondere a suo padre quel tipo di incontro, contrariamente ai suoi appuntamenti con Alexei.
Una smorfia si diffuse sul suo volto scoperto, scottato dal sole: l'amante era sempre in grado di tingere di bianco e argento i contorni della sua esistenza, con la dolcezza sincera e incoraggiante, ma gli era sufficiente metter piede fuori dal suo abbraccio per ripiombare nello sconforto.
Fiducia, risuonava nelle sue orecchie. Doveva pur averne, in qualcosa o qualcuno - forse in se stesso? E per aver concluso cosa? Era un reietto. Il conte lo disprezzava, mezza Londra lo disprezzava per la freddezza con cui trattava le signorine che puntualmente spediva a singhiozzare nelle gonne della balia, con il cuore infranto. Poco a poco, le persone che amava sfuggivano alla sua presa, sguarnendo la corolla dell'ormai morente dente di leone che aveva nel petto: Alice, Albert, Uriah...
Un'ombra si allungò improvvisamente sul selciato ai suoi piedi, e Julian sollevò il viso, strizzando gli occhi per distinguere la figura che eclissava le frange bionde del sole: un uomo, vestito di blu, con una borsa a tracolla e una sfilza di pacchi impilati sul retro della bicicletta. Tolse il cappello con un gesto rapido, infilandolo sotto al braccio.-Devo consegnare delle lettere a questo indirizzo.-
Julian si alzò, tendendo una mano.-Potete darle a me.-
Il postino esitò un istante, passando in rassegna i suoi abiti, poi - evidentemente stabilendo che il gilet di seta doveva ricollegarlo a quell'imponente e lussuosa villa -, gli cacciò in mano una pila di lettere tenute insieme da un laccio di corda. Si dileguò con un cenno, portando via la sua bicicletta cigolante lungo il ciglio della larga strada.
Julian stabilì di entrare in casa per posare le lettere sulla consolle dell'ingresso; salendo lentamente i gradini diede solo una rapida scorsa ai mittenti, assicurandosi che Fanny non avesse disdetto gli impegni del pomeriggio.
Un nome, tra quelli dei soliti corrispondenti di suo padre, gli risultò sconosciuto - lo pronunciò, a denti stretti, e gli parve avesse una sonorità mollemente straniera, ma le particolarità della lettera non terminavano lì: era priva di indirizzo e non citava un destinatario.
Si arrestò nel bel mezzo dell'ingresso, sotto al lampadario di cristallo, e la aprì con un cipiglio perplesso. La grafia gli parve immediatamente arrabattata, simile a quella di un bambino che tenti di imitare la scrittura del genitore. Ma a Julian sarebbe risultata illeggibile fosse anche stata delle più cristalline: le parole appartenevano ad una lingua che non conosceva.
Francese, gli venne spontaneo dedurre, considerato il querulo nome del mittente, ma non poteva esserne certo - Théo, al contrario, sì.
Era chiuso nella biblioteca al piano di sopra, come ogni primo pomeriggio, ad attendere che Matilda tornasse dalle lezioni di pianoforte. Quasi non avesse avuto nulla di meglio da fare che aspettare il termine degli impegni di quella ragazzina viziata.
Julian lo raggiunse, battendo un paio di colpi sulla poderosa porta di legno prima di entrare.
Il precettore era in piedi accanto alla finestra, la schiena appoggiata al laterale della libreria da parete. Assorto in una lettura, alla luce accecante che proveniva dal cortile posteriore, non sollevò gli occhi neppure per accoglierlo.
La sua natura selvatica passava ormai inosservata a Julian: monsieur Moreau insidiava la villa, e la biblioteca in particolare, da due settimane. Trovare la sua stanza preferita occupata era stato destabilizzante, all'inizio - Julian non era abituato ad avere compagnia durante le sue ore di lettura e neppure avrebbe mai creduto di apprezzarla. La presenza di Théo era stata recepita come quella di un gatto randagio sulla sua poltrona. Tuttavia, non aveva avuto la volontà di scacciarlo: l'uomo si era rivelato capace di un silenzio religioso, interrotto solo dalle pagine che di tanto in tanto girava. Julian aveva iniziato a trovare la situazione addirittura piacevole. Se sollevava gli occhi per sbirciare il suo volto brunito dalle campagne francesi, provava un particolare senso di familiarità e condivisione. Si stava affezionando al pelo castano di quel gatto.
-Cosa leggete?- Domandò, chiudendosi la porta alle spalle.
-Le relazioni pericolose. Una rilettura, in realtà.-
Monsieur Moreau doveva averlo preso dal ripiano più alto della libreria, in cui il conte aveva disposto i libri proibiti a Matilda.
Si trattava di un romanzo che anche Julian aveva riaperto più di una volta, nella speranza che i particolari lascivi sortissero un qualche effetto sulla sua carne puerile. Speranza vana.
-Sarà la prima volta che ne visionate una traduzione.-
Théo alzò gli occhi su di lui, allora, di un vibrante miele alla luce che entrava dalle finestre.-La prima, infatti.- Infilò il dito indice nel libro e lo richiuse.-Avete bisogno di qualcosa o siete solo in vena di parlare?-
Julian gli si mise di fronte, nell'arco del davanzale, e posò la lettera misteriosa sulla superficie di pietra.-Vorrei la traduceste per me.-
L'uomo non fiatò. I suoi occhi si strinsero mentre decifrava faticosamente il nome riportato sulla busta, ma non lo pronunciò ad alta voce.
Abbandonato il libro, ormai privo di segno, prese la lettera tra le mani e la rigirò scrupolosamente.
-Questa non è vostra.-
Julian si accigliò.-Come, prego?-
-Non potete sapere se è vostra, signore. Potrebbe non esserlo affatto, qui mancano l'indirizzo di provenienza e persino il destinatario...-
-L'avevo già constatato da me.-
Théo scosse lievemente il capo e rimise la lettera sul davanzale, ancora imbustata.-Non intendo leggerla.-
Il cipiglio del giovane divenne più scuro.-Perché?-
-E se contenesse informazioni riservate?- Una punta di apprensione scalfì l'accento quasi impercettibile del precettore.-Questioni di vostro padre?-
-Allora è bene che io le conosca!- Ribatté Julian, le braccia incrociate al petto, contemporaneamente stizzito e incuriosito da quella ritrosia.
Théo posò su di lui gli occhi di una lucentezza irremovibile.-No, non posso immischiarmi così nelle faccende della vostra famiglia.-
-Vi sto dando il permesso.-
-Un permesso non è un ordine.-
Julian stette a fissarlo per un istante, sbigottito dal termine inaspettato di una discussione che aveva avuto intenzione di spuntare. Realizzando che l'uomo aveva ragione e che non era davvero nella posizione di ordinargli un bel niente, si lasciò sfuggire una piccola risata nervosa.
-Fareste meglio a rimetterla dove l'avete trovata.- Soggiunse Théo, in un bisbiglio.
-La brucerò.- Julian accostò i reni al davanzale della finestra, le braccia ancora strette al petto in un atteggiamento di difesa. Il precettore era una compagnia deliziosa quando taceva, ma le sue risposte tanto quanto i suoi occhi castani, così grandi e percettivi, erano in grado di metterlo a disagio.-Sono certo abbiano sbagliato indirizzo.-
Théo sfiorò la copertina de Le relazioni pericolose con le belle dita affusolate, poi riaprì il libro. Mentre cercava la pagina cui si era fermato, sfogliando senza alcuna fretta, rispose:-Deve essere così.-
Poco dopo si udì il cigolio della porta d'ingresso che si spalancava sui cardini d'ottone.
A Penelope Egerton non piaceva che la figlia frequentasse uomini esterni alla famiglia senza la presenza aggiuntiva di un'accompagnatrice o di suo fratello, e in sua mancanza era necessario che tali restrizioni fossero imposte a Fanny dalla vocetta acre della governante - una delle ragioni per cui Julian l'aveva sempre poco sopportata, e per cui provava un godimento sottile nel disubbidirle, incalzato dalla sfacciataggine di Fanny.
Si erano chiusi a chiave nel salotto, e ogni tre minuti echeggiavano fuori dalla porta i passi della governante combinati a pesanti sospiri. Julian aveva iniziato a tenere il conto seguendo le lancette dell'orologio da taschino. Fanny, seduta di fronte a lui al tavolino rotondo, addentava i bignè che aveva trafugato dalla cucina.
-Ah, eccola che ritorna.- Il giovane si appoggiò allo schienale con un sorriso sornione, sollevando la sedia sulle gambe posteriori e dondolandosi al ritmo incalzante di quell'andirivieni.
-Non so cosa creda di poter evitare, appostandosi davanti alla porta chiusa.- Fanny teneva gli occhi puntati sull'alzatina: reggendola per l'estremità la faceva ruotare come un espositore di gioielli, cercando di individuare il bignè che contenesse più crema.
Julian, che l'aveva adocchiato, glielo porse.-Un giorno dovresti provare a gettare un urlo, per scoprire se la sfonderebbe.-
Fanny ridacchiò a bocca chiusa, con le guance gonfie di bignè.-Non tentarmi.-
L'amico riportò le gambe della sedia sul pavimento di mogano, lasciandosi sfuggire un sospiro.-Come procedono i preparativi per il matrimonio?-
Fanny gliene avrebbe parlato spontaneamente da lì a poco, entusiasta qual era per l'incarico organizzativo che le era stato assegnato - tanto valeva togliere subito il dente.
Lei fece oscillare la testa bionda, le labbra arricciate.-Non se ne viene a capo.-
-Di cosa?-
-Di tutto! L'abito, i colori, le decorazioni, la faccenda dei testimoni...-
-Uriah non è riuscito a convincerla?-
-Non le ha parlato affatto.- Fanny posò una morbida guancia sul palmo della mano, riflettendo come un grazioso specchio la scontentezza negli occhi di Julian.
Uriah era via da una settimana, accolto nella magione del famoso violinista che l'aveva notato al concerto, per vivere quella che lui definiva una "esperienza creativa".
Julian era stato orgoglioso della notizia ma, per il fervore mostrato dall'amico riguardo la questione, durante la discussione avvenuta in camera sua, si era aspettato che fosse intervenuto sul ghiribizzo di Pamela prima di partire.
-E non posso farlo io.- Aggiunse Fanny, con un broncio seccato.-Vorrei poterlo fare, e lo farei, se fosse conveniente alla mia posizione...-
Julian la interruppe sollevando una mano.-Lo so.-
-Contavo di invitare monsieur Moreau, ad uno dei prossimi incontri.- Disse allora la ragazza, presa da un rinnovato entusiasmo.
-Théo? Per quale motivo?-
-Beh, è francese. Ed è un uomo di mondo, conosce le mode ed i costumi. Non hai notato il modo in cui si veste? É molto distinto.-
Di fronte agli occhi di Julian balenò ancora l'immagine del precettore che si dileguava in un vicolo di Soho, austero come stesse entrando in chiesa.
-Fin troppo.- Ribatté, con un sorriso sagace.-Vuoi sapere l'ultima? É arrivata una lettera, per mezzogiorno e mezza. Una lettera strana, con su solo il nome del mittente, e all'interno piena di scarabocchi in francese... ho chiesto a Théo di tradurla, e lui si è rifiutato!-
-Ha fatto la cosa giusta!- Gli occhi scuri di Fanny si erano allargati di divertimento.-Ti ho detto che è perbene.-
Il giovane si finse offeso.-Lui ti piace più di me.-
Fanny sorrise di rassegnazione e si sporse un po' sul tavolino, tra i vassoi di pasticcini e i tovagliolini ricamati.-Non sei riuscito a scoprire cosa ci fosse scritto?-
Lui scosse il capo.-No. Ma non l'ho gettata, l'ho solo messa via, in caso si verificassero episodi simili...-
-Forse uno degli ammiratori di Christine è riuscito ad infilare quel biglietto nella vostra posta.- Fanny reggeva il roseo volto a due mani, adesso, e nel suo sguardo aleggiava un'espressione sognante. Julian era certo stesse già fantasticando su una qualche tresca.
-Christine non ha ammiratori.- Replicò, tagliuzzando la sua romantica nuvola.-L'unico uomo con cui abbia contatti è il pescivendolo all'angolo del London Bridge.-
Un vecchietto barbuto con il grembiule sdrucito sempre chiazzato di sangue viscerale. Julian non avrebbe augurato le sue attenzioni neppure a Pamela.
L'amica diede un'alzata di spalle.-Allora una donna.-
Julian fu colto di sorpresa a quelle parole - uno sbalordimento sincero, da far crollare il soffitto. Si manifestò con un guizzo nervoso all'angolo della sua bocca e nella mano che aveva poggiato sulla tovaglia.
-Ma cosa dici?-
Fanny sollevò le sopracciglia d'oro.-Ti scandalizza? Non hai difeso a spada tratta un libro a spiccato sfondo omosessuale, neppure un mese fa? O condoni solo gli atteggiamenti degli uomini?-
Le labbra di Julian ebbero un altro fremito.-Ovviamente, no. Sarei un ipocrita, e sai che mi taglierei le vene prima di diventarlo.- La risposta gli sfuggì con la solita schermatura d'esagerazione teatrale che serviva a travestire i suoi momenti di confusione e impaccio. Anche se dentro di sé - nel cuore - sentiva crescere una gioia tentennante. Fanny non gli avrebbe voltato le spalle, se avesse saputo della sua diversità?
Non aveva intenzione di approfondire il discorso e correre il rischio di vedersi negare quella consolazione - voleva crogiolarvisi, si fosse anche trattato di una illusione.
-Ti ho mai detto che anche Christine è irlandese?- Aggiunse, senza darle tempo di rispondere a nessuna delle sue affermazioni.-Come il tuo innamorato.-
Fanny cadde immediatamente nel suo diversivo.-Nate non è...-
-Stai arrossendo.-
La ragazza sbuffò, aprendo il ventaglio di seta pesca che ciondolava al suo polso.-Certamente vorrei lo fosse.- Borbottò, dopo un istante di frustrato silenzio.-Ma lui è talmente riservato, talvolta... mi rende difficile aggrapparmi a qualcosa per una chiacchiera.-
-Temi possa non essere interessato?-
-Non ne ho idea, Jools. É la prima volta che mi trovo in una situazione simile. Tu sei un uomo.- E rivolse il ventaglio verso di lui, a mo' di un fucile. Poi sparò il colpo:-Come vi comportate, voi, quando vi interessa una fanciulla?-
Julian accolse quel proiettile nel petto con lo stoicismo dell'abitudine.-Ciascuno ha i suoi modi.- Fece e, poiché sul volto di Fanny continuava ad aleggiare una cupa insoddisfazione, si impegnò per darle una risposta più articolata. Dopotutto, non era comunque amore, quello che provava per Uriah? Che avrebbe fatto, se gli fosse stato possibile conquistarlo?-Credo che un sentimento d'affetto porterebbe un uomo a cercare qualsiasi pretesto pur di rimanere un minuto in più al fianco della donna che ama. Anche a costo di parere uno sciocco.- Si strofinò la nuca, che sentiva già calda di imbarazzanti ricordi.-E ad instaurare un contatto, il più delle volte visivo. Se fosse concesso, tuttavia, il nostro giovane le prenderebbe la mano, o la inviterebbe a camminare a braccetto...- Ora stava vaneggiando. Si riscosse, prendendo un bignè e addentandolo, per tapparsi la bocca.
Fanny parve motivata dai suoi consigli; sul suo volto campeggiava di nuovo un'espressione serena, le guance come ciliegie mature.-Adesso che mi ci fai pensare, credo che Nate mi abbia sfiorato di proposito la mano, qualche giorno fa, mentre mi consegnava il formaggio! Potrebbe essersi trattato di un gesto involontario, dopotutto in che altro modo avrebbe potuto darmelo?- Si accasciò sulla sedia con un largo sospiro, dandosi un altro colpo di ventaglio.-Presterò più attenzione, da ora in poi, e cercherò il suo sguardo, per capire se lo ricambierebbe.-
Julian stava per dirle, come sempre, di essere cauta e non farsi ingannare dai sentimenti, ma la giovane lo spiazzò con un commento a bruciapelo:-Te ne intendi, per vantarti tanto della tua condizione di scapolo! Di', non sarai innamorato?-
La spolverata di zucchero sul bigné gli solleticò la gola. Tossì.
-Io?- Ansimò, con ancora il pugno chiuso davanti alla bocca.-No, mia cara. Ho il cuore tanto duro che non potresti conficcarci Excalibur.-
Fanny stese una mano sul tavolo e la posò inaspettatamente sulla sua, con un buffetto gentile.-Non c'è nulla di male nel non volere qualcuno al proprio fianco. L'importante è portare amore dove conta, e sono convinta tu lo faccia, Jools. Sei un buon amico.-
Il mondo del giovane riprese a colorarsi, per quei brevi istanti, di fiducia, speranza ed un pizzico di contentezza.
Baciò sorridendo le nocche di quella mano misericordiosa.
Julian non avrebbe mai immaginato, tornando alla villa, di vedere realizzate davanti ai suoi occhi le attenzioni maschili che aveva prospettato a Fanny.
Il viaggio in carrozza era stato tranquillo: si era quasi assopito, cullato dalle oscillazioni della vettura sull'asfalto liscio e dal conforto di quella che, tutto sommato, poteva definirsi una buona giornata. Julian l'aveva tenuta a piene mani, come Alexei aveva premuto contro il cuore Guerra e pace - non gliene capitavano tanti, di sollievi di quel tipo. Di spiragli di luce in cui era un po' contento di se stesso, un po' animato dalla clemenza della vita.
Sceso dalla carrozza, si era preso qualche istante per sgranchirsi le gambe davanti alla scalinata del portico. Il cielo sopra di lui era rosso, porpora di vino versato, quasi si potesse bere. Il sole lanciava dardi arancioni che ancora ferivano gli occhi, a guardarlo direttamente.
Sarebbe stato un bel tramonto da osservare in cortile - con quel proposito il giovane si era introdotto in casa, salutando giovialmente Christine che passava lo spolverino sulle cornici dei quadri, trovandola d'un tratto deliziosa, perché gli riportava alla mente Fanny e la conversazione da poco conclusa.
Aveva fatto un'unica deviazione in cucina, per agguantare un cestino di fragole - il suo desiderio di dolcezza era insaziabile, quel pomeriggio - ed era uscito dalla porta di servizio nell'ampio cortile posteriore.
D'estate, era quanto di più magnifico si potesse trovare tra il cemento e le pietre di Londra; e forse Julian era condizionato in quel pensiero dalla cura che Alice aveva sempre riservato alle sue piante.
Spalliere di edera percorrevano i bassi muriccioli perimetrali, e il fogliame pioveva in robuste liane anche sul portale di ferro battuto posto sul fondo, che dava su una strada deserta, da cui non proveniva che qualche refolo di vento, rapido ad insinuarsi frusciando tra le foglie.
Piccoli alberi da frutto erano disseminati qua e là, dai rami troppo teneri per poter reggere più del peso di un bambino - e Julian si era inerpicato su tutti durante la felice infanzia, quando ancora credeva ci fossero per lui vette da scalare e orizzonti davanti ai quali perdere il fiato. Alice attendeva, di sotto, con le gonne sollevate come un grembo, che facesse piovere la frutta matura da mangiare assieme.
E poi, oltre una fontanella gorgogliante, al centro del cortile, sorgeva un capriccio di marmo bianco, dalla cupola bombata. Proprio lì sotto Julian aveva avuto intenzione di fermarsi, sgranocchiando le fragole, ma il canestro gli era quasi sfuggito dalle mani.
Le panche circolari del capriccio erano già occupate; Matilda e Théo si erano seduti a poca distanza l'uno dall'altra, separati da alcuni libri e quaderni aperti sul marmo.
E non ci sarebbe stato nulla di male - un istitutore e la sua allieva che svolgevano una lezione all'aperto, rinfrancati dalla frescura della sera - se Matilda non avesse avuto appoggiata sulle labbra una piuma d'oca, nella gestualità civettuola e disinvolta di una giovane donna consapevole dell'avvenenza dei propri lineamenti.
Julian stette ad osservare la reazione di monsieur Moreau a quelle moine. Gli occhi scuri dell'uomo furono attraversati da un sentimento appassionato. Sollevò una mano e accarezzò lo zigomo di Matilda, sfiorando il profilo piumato della penna prima di ritrarsi con un sussulto allarmato, spostando lo sguardo su Julian.
Una goccia d'inchiostro cadde sul quaderno aperto.
-Buonasera. A tutti e due.-
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