Sopra e Sotto [Donth] [Parte III]
« Devil Town is colder in the summertime
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[Devil Town - Cavetown]
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La testa di Donth era un vortice di terrore, perplessità e odio verso ogni creatura vivente che avesse mai respirato nell'Alleanza.
La musica gli scalpitava nelle orecchie come bolle esplose di metallo fuso.
Solito lavoro, si ripeteva in loop mentre strisciava verso la tenda grande, schivando coppie di gloomeria danzanti e sazghara che saltellavano entusiasticamente sul posto con le ali spalancate, Solito lavoro. Consegni il Dispositivo, prendi i soldi e sparisci. Consegni il Dispositivo, prendi i soldi e... merda, Kal, in cosa mi hai ficcato?!
Raggiunse la tenda ed esitò davanti alle pieghe del tulle per una frazione di battito.
Non c'era una porta a cui bussare o un campanello da premere. Tuttavia, da oltre balze, spesse abbastanza perché gli ultrasuoni venissero quasi completamente assorbiti, Donth non udiva alcun suono esplicito – anche se era difficile da intuire, con la musica trottante in sottofondo.
Si premette gli artigli contro i palmi delle mani e scostò lentamente il primo strato della tenda.
– Permesso...? – la sua voce era talmente un mormorio che faticò a sentirla lui stesso. Attraversò cautamente la tenda successiva – Permesso? – domandò in tono più fermo. Man mano che si inoltrava, i suoni esterni si attutivano sempre di più. Doveva esserci qualche materiale insonorizzante nelle pareti.
– Tesoro, non ho ricevuto prenotazioni fino al prossimo turno. Devi passare dal bancone, prima di entrare.
La voce era femminile, ma bassa e avvolgente come melassa tiepida. Non era un merack perfetto, ma quell'accento ondeggiante lo raggiunse come una carezza, facendo vibrare pericolosamente ogni parte di lui.
Donth deglutì, la bocca piena di ruggine.
– Ghiaccio che non si scioglie – si impose di mantenere la voce abbastanza decisa da non perdere completamente la dignità. Scostò un'altra tenda. I suoi sensi, gradualmente, iniziarono a ricostruire la stanza oltre i veli – Mi manda Kaliou.
– Ah, magnifico – mormorò la voce, in un vago riconoscimento, mentre Donth attraversava l'ultimo strato – Credevo sarebbe venuta di persona.
– Aveva da fare – Donth restò imbambolato sulla soglia, le mani annodate tra loro, le orecchie rigidamente inclinate in avanti.
La stanza era circolare, occupata in gran parte da un letto senza coperte, tempestato di cuscini ammonticchiati. Mensole ricolme di boccette tanto aromatiche da far girare la testa e asciugamani spugnosi ricoprivano le pareti, mentre dal soffitto piovevano catene, attorcigliante mollemente attorno a strutture lisce a forma di cuori allungati.
Ma i sensi di Donth erano calamitati dalla donna terrestre a gambe incrociate sul lenzuolo.
Non aveva visto abbastanza terrestri svestiti da poterne provare reale attrazione, ma le curve della donna sembravano morbide e corpose come burro dolce, e si vergognò di se stesso nel sentire le budella iniziare a schiumare. Era avvolta solo da un velo sottile, che gli ultrasuoni di Donth attraversavano con facilità scandalosa.
I capelli le ricadevano su una spalla come una cascata di seta e c'era un'eleganza brutale e indefinita, nei suoi tratti, come una maschera intagliata nella roccia dura da mani sempre diverse.
La cosa che lasciò Donth interdetto – più del resto, si intende – fu che non indossava alcun visore, a coprire i grandissimi occhi taglienti dalle ciglia frullanti.
Lampade, realizzò il ragazzo, facendo scattare istantaneamente le orecchie verso i cuori sopra la sua testa, c'è luce, qui.
Il Corvo si stava facendo passare con cura uno stick rigido sulle labbra piene, tenendo con l'altra mano una specie di conchiglia aperta che Donth suppose dovesse essere uno specchio.
Era un ambiente tremendamente umano, per i suoi gusti. I suoi sensi non percepivano la luce, né il brillio delle labbra o il riflesso in un piccolo cerchio di vetro. Dal suo punto di vista, la donna stava fissando un pezzo di plastica strofinandosi la bocca con un altro pezzo di plastica, senza alcun effetto.
Eppure lo faceva con una tale naturalezza e grazia incorporea che Donth si ritrovò con la bocca semichiusa, totalmente ipnotizzato.
– Speravo di incontrare Kaliou, ho attraversato la Piazza stamattina solo per lei – mormorò la donna, le ciglia socchiuse inclinate verso lo specchio – Sei una sorpresa inaspettata, tesoro.
– Aveva da fare – ripeté Donth, senza muovere un muscolo.
Solo allora la donna alzò la testa verso di lui. I suoi occhi erano la cosa più stupendamente liscia che Donth avesse mai percepito. Se fossero stati un cristallo, nessuno sarebbe stato in grado di stimare un valore abbastanza alto.
– Le somigli, mh? – commentò lei, inclinando in volto un lieve sorriso e richiudendo la conchiglia con uno scatto che lo fece trasalire – Come ti chiami, tesoro? – era dolce come zucchero. Ma allora perché il suo viso, solo un istante prima, gli era sembrato tanto feroce? Con quanta velocità quella donna era capace di cambiare maschera?
Il ragazzo esitò.
– Donth – rispose infine – Sono suo fratello.
– Meraviglia! Non sapevo avesse un fratello – si fece da parte, buttando le gambe oltre il bordo del letto, mentre i capelli le piovevano fluidi lungo la schiena nuda. Picchiettò con dolcezza l'angolo di materasso accanto a sé – Accomodati, Donth. Ho tempo fino alla prossima span, non avere paura.
Ma Donth era terrorizzato.
Pietà?, domandò severamente a se stesso, ricordando le proprie nobili riflessioni sugli schiavi, Questa non è pietà, deficiente, ti fai pietà da solo.
– Grazie, no, va bene in piedi – rispose, rauco.
– Non mordo, di solito – sorrise lei, e una delle sue ciglia si chiuse e riaprì una volta – E te lo confesso, tesoro, non è male distrarsi dal lavoro con qualcuno che è troppo timido per saltarmi addosso, mh?
– Perché conosci mia sorella? – la domanda gli evase di bocca prima che potesse formularla con ritegno.
Il Corvo batté entrambe le palpebre una volta.
– Non te l'ha detto? – sembrava sinceramente sorpresa – Collabora da tempo con il mio capo. Questioni di lavoro, credimi, decisamente noiose, ci capisco poco. Ma è per una buona causa, ho sentito. Beneficenza, o rivoluzioni proletarie, o salvataggio di poveri orfani della Superficie. Faccende del genere!
Donth aveva la sgradevole sensazione che quella donna lo stesse prendendo per il culo da quando era entrato.
Lui non era un cliente annebbiato dall'alcol, capace di vedere in lei soltanto un corpo soffice in cui smarrirsi, avvolto nei i fumi degli incensi. E lui sapeva che c'era qualcosa di pericoloso, nella curva del suo sorriso e nel taglio deciso di quegli occhi. Non aveva orecchie da poter decrittare, certo, ma i movimenti di quel volto intagliato erano dannatamente simili ai micro tremiti delle ali di uno sazghara.
Schiava, forse, ma una schiava dannatamente brava a recitare.
– Ho il Dispositivo da consegnare – disse Donth, rigido.
– Meraviglioso, caro, sei decisamente più diretto di altri.
– Il suo capo è Ynder Prospasht? – chiese il ragazzo, di slancio. Una parte di lui voleva sapere come lei avrebbe reagito, a domande che lui non era autorizzato a fare. Suicidio? Forse. Ma l'idea di aver scoperto che sua sorella aveva regolarmente a che fare con una delle puttane più famose del pianeta e non provare almeno a spingere il dito nella ferita per capire quanto fosse profonda, lo stava portando a mettere da parte le priorità insignificanti, tipo la vita.
Il Corvo ridacchiò, alzando dolcemente una spalla e guardandolo sorridente da dietro quella curva morbida.
– Unico e solo, caro.
– E mia sorella lavora con lui – Donth fece una smorfia. Non aveva alcun senso.
– Beh, non la metterei su questo piano, mh? – lo corresse la donna, stiracchiandosi all'indietro per scrutarlo quasi a testa in giù, la schiena inarcuata e i capelli un fiume uniforme rovesciato sul lenzuolo – Diciamo che lavora per lui. Lo facciamo tutti, non credi?
– Non io – replicò piatto Donth, e per qualche ragione il Corvo scoppiò a ridere. La sua risata era un fruscio di seta, che però a Donth questa volta mise solo il nervoso.
– Mi piaci, tesoro, vorrei avere la tua innocenza.
– E fanno azioni di volontariato – continuò imperterrito Donth, riepilogando le informazioni scadenti appena ottenute.
– Che io sappia – annuì elegantemente la donna – Ma cosa potrei mai saperne!
– Nei bordelli ci sono le chiacchiere più interessanti – replicò Donth, le mani un nodo sudato di nocche – E lei sembra abbastanza importante da averne ascoltate diverse, quindi secondo me parecchio.
– Così piccolo, non ti facevo tanto lusingatore! – il Corvo gli regalò un sorriso di denti piatti e perfetti, lustri come diamanti.
– Dico quello che so dedurre – bofonchiò Donth – E deduco lei abbia conosciuto troppe persone importanti per non saperne niente.
La donna rise di nuovo, raddrizzando la schiena e raccogliendo una gamba al petto, sotto al mento.
– Faccio solo il mio lavoro, cucciolo, non meno di altri. E nel mio lavoro di solito non sono incluse le chiacchiere d'affari, non so se mi spiego – aveva ancora il tono leggero come tulle, ma Donth colse una punta di impazienza – Non è per parlare di politica che Lenitov o Prosphast bussano alla mia porta.
– Lenitov è una leggenda – gracchiò Donth – Non esiste, è una storia per spaventare i bambini. L'ha detto anche Kal – non sapeva nemmeno lui perché fosse ancora lì, a discutere di creature mitologiche nel retro di un locale dell'Inframondo con una prostituta nuda.
Questa volta il Corvo rise per davvero. Donth non sapeva spiegarlo, ma era certo che quello fosse il primo vero sorriso divertito che le piegava le labbra da quando lui aveva varcato la tenda dell'entrata.
– Credimi – si ricompose la donna – Mi piacerebbe tantissimo fosse vero.
Donth si irrigidì ulteriormente.
Il Dispositivo al polso vibrò. Mancavano circa cinquecento battiti prima che un gloomeria arrabbiato si precipitasse lì dentro per sbatterlo fuori a calci.
Arricciò il muso, estraendo goffamente il Dispositivo di Kal dalla borsa.
– Qui c'è quello che mia sorella ha promesso – disse, tendendolo verso di lei, che lo squadrò con un sopracciglio levato – Mi dia i soldi e me vado.
– Vai via così presto? Ci stavamo divertendo, mh? – ma lo sguardo tagliente che gli lanciò diceva il contrario. Scese dal letto con la grazia di un passo di danza e, da un cassetto sotto la rete, estrasse un sacchetto che le risuonò tra le dita, pieno di dadi. Il modo in cui glieli lanciò, di grazioso non aveva nulla.
Donth afferrò la busta al volo, mentre il Dispositivo rotolava innocuo sulle lenzuola.
– Grazie di... qualsiasi cosa sia stato – brontolò il ragazzo, le dita umide che strizzavano i dadi in un trottare inquieto – Cioè praticamente nulla.
– Donth.
Lui levò le orecchie di netto, trafitto da un brivido violento. La voce del Corvo adesso era un bisbiglio inflessibile, come il sibilo della lama di un coltello. La ragazza era immobile, il mento in fuori, a fissarlo dall'angolo come una statua di cristallo. Il volto della schiava svampita si era disintegrato, per risvegliare la ferocia della pietra.
– Dì a tua sorella di fare attenzione alle storie. Avrei voluto avvertirla di persona – disse, e la sua voce, bassa e dolorosa come un morso, gli vibrò nelle membra con la forza di una maledizione – Stia attenta, soprattutto alle storie che sanno uccidere. Tra sette cicli, il Demone smetterà di essere clemente.
Donth aprì la bocca per rispondere, ma il viso della donna, con la velocità di un soffio di vento, si sciolse in una curva di panna, mentre lei si tuffava ridendo sul letto accanto a sé.
– Arrivederci, caro, è stato un piacere! – si sdraiò a pancia il giù, le guance tra le mani – Dì a tua sorella di passare a salutare.
Donth non replicò, non annuì, non reagì, il fiato strappato di gola.
Infilò brutalmente il sacchetto dei dadi in borsa e si precipitò come un fulmine oltre la tenda, tuffandosi, con i polmoni in fiamme, nel caos di musica e puzza di alcol che gli aggredì i sensi.
Sembrava di aver appena attraversato la porta per un'altra dimensione, come se Nome avesse spalancato un Globo tra lui e quella donna soltanto per spaventarlo.
Gli faceva male la testa anche peggio di prima.
Dì a tua sorella di fare attenzione alle storie... Sette cicli...
Kal, che cazzo hai fatto?
– Ehi, ragazzo! – Donth non aveva nemmeno la forza di spingere via Thriz, quando questi, ondeggiandogli addosso con aria abbondantemente poco sobria, lo raggiunse con un calice nelle zampe – Ti vedo affiatato! – esplose in una risata stridula – Il Corvo fa miracoli, non è vero?
– Non lo so – Donth avanzò verso il bancone, con il silkari che gli saltellava dietro.
– Te l'avevo detto che ne sarebbe uscito! – urlò Thriz quando Ava li indentificò da oltre una muraglia di drink da consegnare.
– Congratulazioni, straniero della Superficie – rise la ragazza – Adesso preferisci un bicchiere d'acqua o una coca zero?
– Vodka – rispose Donth, la testa tra le mani e le orecchie ripiegate – Per favore.
L'umana fischiò di approvazione, afferrando prontamente una bottiglia dagli scaffali alle sue spalle e facendosela rigirare tra le mani come una bacchetta da giocoliere.
– Agli ordini, amore!
Donth bevve tutto il bicchiere in tre sorsi decisi.
Salutò senza entusiasmo, la testa ormai un campo di combattimento.
Thriz si fece promettere che si sarebbero rivisti, anche se Donth avrebbe fatto di tutto per evitarlo. Ava gli augurò un nuovo buona fortuna, mentre afferrava uno shake dall'aria senza nemmeno guardarlo. Layde, sulla soglia, lo fulminò con un'occhiataccia.
Quando Donth raggiunse l'uscita del Dedalo Ovest, si fermò a ridosso di una fontana, strappandosi bruscamente la collana dal collo.
E vomitò.
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Cover credits: EloGamer51
NdA:
Kiwi e Donth saranno inevitabilmente legati. Avevo scritto una shot, tempo fa, ormai non più ""canon"" per diverse ragioni, ma in cui Donth provava a ucciderlo. Il motivo lo scoprirete?? Boh?? Dipende se avrò la forza di fare il reboot di quella os, oppure pubblicherò la vecchia versione ahah
Il personaggio di Donth si è evoluto tantissimo. Inizialmente era l'ennesimo e noioso personaggio timido e impacciato che subisce la situazione e non trova il suo posto nel mondo (tipo Howard? Tipo la versione beta di Kiwi? Tipo ME???), poi ho capito che il self insert in questa storia aveva raggiunto l'estremo e ho limitato la mia emotività pura ad Howard.
Così Donth ha avuto modo di evolversi. Frustrato, testardo, scorbutico, arrabbiato con il sistema ma non tanto da ribellarsi (che è una differenza sostanziale tra lui e Flame), abitudinario fino a fossilizzarsi in se stesso... Donth è indurito dal mondo, vive a testa bassa, si ritiene in debito con sua sorella fino alla morte per averli trascinati fuori dal fango, e in parte la odia, ma è dipendente da lei e da tutto quello che rappresenta, tanto che non capirà quanto è disposto a perdere per l'equilibrio doloroso costruito con lei, fino a quando non sarà troppo tardi.
Voglio bene a Donth. Spero di avervi trasmesso una scintilla di lui, è il mio piccolo Jawa asociale e ha un posto speciale, tra i personaggi di questa storia. Ninfra si è costruita attorno a lui. Per lui <3
Grazie infinite dal profondo del cuore a chiunque sia qui <3
Voti e commenti di qualsiasi genere sono accolti con amore <3
Coss
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