Sopra e Sotto [Donth] [Parte II]
« Devil Town is colder in the summertime
I'll lose my mind at least another thousand times
Hold my hand tight, we'll make it another night »
[Devil Town - Cavetown]
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Dalla immensa grotta principale di Hijik, che Donth aveva varcato all'uscita dall'ascensore, si snodavano i tunnel laterali. Il centro era dedicato alla politica – sempre che di politica si potesse parlare, nella corruzione strisciante che infettava Ninfra come un morbo inguaribile.
La grande colonna centrale, attorno cui erano attorcigliate le stanze globulari, simili alla catena di perle attorno al collo stretto di un gigante, era la dimora delle più importanti personalità politiche della città: i governatori interni, gli ambasciatori dell'Alleanza e i rappresentanti di altri governi ninfresi. Le altre colonne del centro appartenevano ai bancari, agli economisti, ai direttori di industrie o a chiunque avesse sganciato i favori giusti per accaparrarsi un posto in prima fila ad ammirare le contorte macchinazioni governative.
Poi c'erano i Dedali dove alloggiavano le persone comuni, quello dei commercianti e degli artigiani, quello più grande delle fabbriche, la galleria verticale che scendeva sulle rive del Lago Addormentato e l'incavo di accesso alle bidonvie lanciate sopra la voragine scavata dallo stesso, che legava Hijik alla città successiva.
Il Dedalo di tunnel dedicato allo svago, al piacere e alle nefandezze più cupe, invece, correva lungo il contorno Ovest del Lago Addormentato. Era uno dei più recenti, a livello storico, ma Donth non riusciva a ricordare di essere mai stato in un posto più affollato di brutta gente e più perfetto per farsi salire un mal di testa tale da spaccare il cranio in due.
Ninfra aveva sviluppato maledettamente in fretta la cultura del chiasso e della baldoria nella sua forma più estrema, da quando l'Alleanza si era imposta in modo così radicale sull'equilibrio del pianeta.
Erano passate circa centocinquanta rotazioni stellari, dall'istante in cui il primo Globo era stato spalancato dalla Piazza nella capitale di Rawak, Kirtik; il tempo che sugli altri Mondi non serviva nemmeno per costruire decentemente un nuovo satellite artificiale, ma largamente sufficiente perché i pub della Terra diventassero su Ninfra un modello da seguire in tutte le città più importanti della nazione, e perché il popolo del pianeta ritorcesse la caotica allegria terrestre nella peggiore forma di degrado conosciuta nell'intera Alleanza.
Ormai esistevano pochi individui, su tutto il pianeta, abbastanza decrepiti da ricordare come fosse la vita prima che anche il poco di onore rimasto nell'equilibrio politico di Ninfra venisse annientato dall'arrivo sul mercato di nuove sostanze terrestri e vastresi, decisamente comode alla fioritura dei traffici illegali più interessanti e alla distruzione completa di ogni genere di onestà intellettuale.
Donth sentiva l'influenza della Terra ogni volta che attraversava il Dedalo Ovest. Anche la musica era una strana mescolanza degli schiocchi e tintinnii tipicamente ninfresi uniti in malo modo alle armoniose melodie terrestri, le quali Donth sapeva essere suonate con strumenti importati – legalmente o meno – attraverso la Piazza.
La musica usciva dai locali e riecheggiava brutale sulle pareti dei tunnel, distorta e sinistra come i cori stonati di centinaia di spiriti privati di ragione.
Le vie erano intasate di gente che ballava, dimenandosi e cantando come impazzita. Donth affondò i denti nel labbro inferiore, si tirò il cappuccio di placche trillanti sulla testa e, a orecchie basse, si infilò nella calca.
Superò furtivamente le case del piacere; i pub con le fontane riservati ai gloomeria; sentì le urla di esultanza che uscivano da quelli degli sazghara, abbarbicati in un incavo del soffitto, tra corde e piattaforme costruite tra le stalattiti; e passò davanti ai locali dall'entrata tonda di muschio ruvido dei silkari. C'erano anche diversi terrestri, a danzare oltre le porte dei pub più raffinati, con le loro piccole teste bardate dai visori simili a quelli che usavano anche le Sentinelle.
Donth dovette rifiutare con più fermezza possibile circa sei proposte di entrata gratis in un bordello, tre bicchieri panciuti di vodka terrestre allungata con lakrimia ninfrese (con presumibilmente anche qualcosa di peggio) e sibilare addosso ad almeno due potenziali ladri che stavano impegnandosi per infilargli le dita nella borsa.
Quando arrivò nel tunnel dei locali di Prospasht, il sangue gli tamburellava nelle tempie come se Nasil l'avesse ripetutamente colpito in fronte con il suo martello per un intero ciclo.
Serrando la mascella, si ripromise di esigere da Kaliou tutta la sua scorta di ghiaccio e drizzò le orecchie, alla ricerca dell'entrata del Prigioniero.
Ogni città centrale di Rawak aveva un tunnel dedicato alle proprietà goliardiche di Ynder Prospasht. A livello formale, quel tizio era un imprenditore sull'intero territorio di Ninfra che collaborava in stretti rapporti con il governo di Rawak e di Glidiiry, ma era praticamente risaputo su scala planetaria che un'influenza tanto rilevante come quella di Prospasht non poteva essere dovuta soltanto alla innocente simpatia delle nazioni del Nord nei suoi confronti.
Il suo nome balzava di bocca in bocca con la rapidità di un virus, ma il fatto che fosse indirettamente padrone di mezza Ninfra seguiva la sua fama come un'ombra silenziosa.
Donth non voleva nemmeno pensare a quanto potere potesse risiedere nelle mani di una sola persona, quando erano tutti troppo spaventati per riprenderselo.
– Ehi, ragazzo, ti vedo smarrito, cerchi lavoro? – un silkari gli era strisciato alle spalle tanto furtivamente, coperto dai suoni riecheggianti che imbottivano tutto il Dedalo Ovest, che Donth sobbalzò di soprassalto al suono troppo vicino di quella voce cantilenante.
– No, sono di passaggio – si ricompose, stringendosi la borsa addosso e accelerando bruscamente il passo.
– Da dove vieni? – gracchiò l'altro, inseguendolo – Al Rifugio del Desiderio cercano carne fresca, se volessi un lavoretto a tempo perso. Quattro clienti e porti a casa quattordici dadi, pensaci!
Col cazzo che mi infilo in un bordello di Prospasht, pensò il ragazzo con frustrazione, ma si limitò a gettare allo sconosciuto un guizzo di diniego delle ali.
– Da fuori città, sto qui per poco.
– Meglio ancora, no? I clienti sono attratti da chi rimane per un tempo limitato e poi sparisce misteriosamente. Credimi, ragazzo, c'è gente là fuori che adora l'idea di sbattersi uno spirito libero che non reincontrerà mai più. C'è un fascino da viandante in te che ti porterebbe fortuna!
Con i denti stretti dal nervosismo, Donth si chiese quanti ragazzini orfani dalla Superficie erano stati adescati con quelle stesse parole.
Il ragazzo schivò un gruppo di giovani sazghara ubriachi, respingendo duramente la carezza d'ala con cui una di loro gli strofinò la guancia.
Il piccolo silkari, però, era ancora dietro di lui, mentre Donth superava rigidamente il Rifugio del Vento, dedicato alla musica dal vivo di bassa qualità e agli incontri occasionali.
– Vedo che sei un tipo difficile! – continuò imperterrito lo sconosciuto, affannandosi sulle quattro zampe dinoccolate per rincorrerlo tra i banchi di persone ciondolanti – Cosa starai mai cercando, per rifiutare le mie offerte redditizie?
– Il Rifugio del Prigioniero – sputò Donth, la testa in fiamme, sperando che dargli una risposta netta l'avrebbe disfatto di quell'individuo appiccicoso – Sono qui per un incontro privato. Nulla che le possa interessare, grazie tante – aggiunse piatto.
– Ma che casualità! – trillò lo sconosciuto, mentre anche le ultime tracce di buonumore di Donth si affossavano – Lavoro lì da dieci cicli, sarebbe un onore offrire del rum fresco ad un bel ragazzo come te.
Donth rabbrividì dall'orrore. Come minimo in quel drink ci avrebbe fatto scivolare qualcosa di decisamente più forte del rum e pericolosamente meno legale.
– Grazie, no, davvero – insistette in tono fermo, identificando, con un fremito d'orecchi, l'entrata del Prigioniero due ingressi più avanti. L'aver trovato la propria metà non gli mise neanche un pizzico di gioia – Ho da fare – scrollò le ali e accelerò ulteriormente, sgusciando svelto in mezzo ad un gruppo di altri sazghara chiassosi, per seminare il nauseante adescatore.
Davanti alla porta di pietra del locale, arricchita con rilievi di catene di pietra avvolte attorno a cascate di cuori spezzati, un buttafuori gloomeria agghindato da campanelli tra le antenne e fitte catene attorno ai polsi, alzò una mano per fermarlo sulla soglia. Doveva venire dal Sud, dedusse Donth, notando con un tremito il collare ripiegato che gli colava dalle spalle come un corto mantello di membrane e aculei. Una volta aperto, le etnie di gloomeria del Sud sapevano crearsi attorno al volto un arco simile ad una corona di spine, che friniva come un sonaglio. Donth l'aveva visto solo una volta, durante una rissa sulla Superficie, ma era terrificante.
– Dispositivo e pass, prego – ordinò il buttafuori in voce graffiata.
Donth estrasse freneticamente la tessera di Kaliou dalla tasca interna della borsa e gli tese il polso. La guardia fece scorrere annoiata il proprio Dispositivo manuale sopra alla tessera e poi sopra al Dispositivo del ragazzo. Questi lo sentì ascoltare la compatta serie di vibrazioni in fibrill ripercuotersi lungo il palmo, mentre i suoi dati personali venivano tradotti.
Colse con precisione il battito stesso in cui il buttafuori seppe che veniva dal Sopragelo. I suoi muscoli si irrigidirono, la sua bocca senza labbra si allungò in una fessura fine, a dividergli il volto come il taglio fermo di un coltello.
– Perché sei qui? – il tono si era fatto ostile. Donth si sentì spiacevolmente scansionare dai suoi ultrasuoni fino alla punta delle orecchie. Per la prima volta da quando aveva lasciato il Maglio, fu felice di aver indossato quel bruttissimo vestito alla moda.
– Perché il ghiaccio non si scioglie mai – rispose Donth, dopo aver deglutito a vuoto. Era il solito codice che Kaliou usava con i suoi contatti anonimi dell'Inframondo, nelle missioni che Donth aveva sempre ritenuto misteriosamente inutili: lui non aveva mai scoperto quali informazioni si celassero nella memoria dei Dispositivi criptati che lei ammucchiava nella sua piccola cassaforte, in officina, o in quelli che lei distribuiva in giro per l'Inframondo. Anche se una parte di lui ci avrebbe tenuto a saperlo, l'idea di rimanere invischiato nei tortuosi affari burocratici di sua sorella e subire la sua ira in caso l'avesse scoperto era un ottimo deterrente che lo tratteneva dall'indagare.
La guardia si corrucciò. I piccolissimi occhi da gloomeria si strinsero in schegge.
– Il lasciapassare è regolare. Puoi andare – bofonchiò infine.
– Layde!
Donth si trattenne dallo sbattersi brutalmente una mano in faccia, al sentire di nuovo quella voce. Credeva di essere riuscito a guadagnare almeno trenta battiti prima che il silkari di prima lo trovasse, ma quando lo identificò sbracciarsi nella folla per raggiungerlo, i suoi denti stridettero di esasperazione.
– Layde, questo ragazzo è un cliente preziosissimo, dagli un pass Cristallo! – cinguettò lo sconosciuto, colloso come la resina, comparendo dietro a Donth e salutando il buttafuori con un tremore soddisfatto delle antenne.
Layde aggrottò ulteriormente la fronte, e i suoi occhietti lisci come biglie svanirono sotto il cipiglio.
– Thriz, questo ragazzo è... – ma non terminò la frase che Donth sentì una zampa appuntita del silkari avvolgergli stucchevolmente le spalle e stringerlo a sé, piegandogli le ali sgarbatamente. Venne investito dall'odore dolciastro del muschio, mischiato a una decina di alcolici diversi che gli rivoltarono lo stomaco. Dovette chiamare a sé ogni briciolo di forza di volontà per non morderlo e verosimilmente fottersi ogni possibilità di tornare da Kaliou con i dadi promessi in borsa.
– Questo ragazzo ha un grande talento, Lay, io lo sento!
Il collare del buttafuori tremò, in un basso crepitio, e Donth si immobilizzò nell'abbraccio spassionato di Thriz.
– Non me ne frega un cazzo del suo talento – sibilò Layde, in un tintinnio sinistro delle catene che gli stringevano gli avambracci – Se questa feccia non è fuori in meno di una span può ritenersi morto.
– Una span basta e avanza! – cantilenò Thriz, mentre Donth si sentiva gelare il sangue di sgomento e improvvisa voglia di uccidere qualcuno – Dagli un pass Cristallo, fammi contento! Che male può fare, per un giro? – continuò il silkari, completamente indifferente al modo in cui le orecchie di Donth stavano scattando furiosamente sulla sua testa come allarmi rotanti.
Layde scoprì le zanne, ma infine si fece da parte, allungando a Thriz un gettone a rombo sfilato dalla tasca.
– Una span – ricordò in un ringhio, mentre Thriz, saltellando, trasportava un Donth traumatizzato oltre la soglia del Prigioniero.
– Sei il migliore! – gli urlò dietro il silkari, per sovrastare la musica che era esplosa come una bomba deflagrata nei timpani fragili di Donth.
Il ragazzo si divincolò dalla presa di Thriz e allungò le braccia tese verso di lui, prima che potesse abbracciarlo di nuovo.
– Grazie – si impose di pronunciare con ribrezzo, scandendo bene quella parola nel caos di suoni e odori che invadevano lo spiazzo – Ma non ho bisogno di niente.
Thriz scoppiò in una risata singhiozzante, che si perse nelle calca. Donth si concesse un rapido giro d'orecchi per scansionare l'ambiente, nonostante fosse difficile farsene un'idea precisa con tutto quel trambusto.
Il Prigioniero era decisamente ispirato ad un locale terrestre, almeno nell'architettura, con un lungo bancone lucido ad anello in mezzo alla sala principale e una serie di porte chiuse con frange di tulle, dietro cui rifugiarsi per le fasi più intime. I tavoli a forma di cuore, attorno alla pista da ballo, erano completamente invasi da ubriachi dormienti agghindati di scaglie e bottiglie rovesciate.
– Tu hai bisogno di talmente tante cose, ragazzo, che sarei sorpreso se scoprissi che hai una ciotola per bere tutta tua – replicò cinguettando Thriz, riportando i sensi di Donth a concentrarsi su di lui.
Il ragazzo strinse le labbra. Nel Sopragelo era già tanto riuscire a trovare acqua potabile che non provocasse una ventina di malattie diverse, ma questo lo tenne per sé.
Thriz non aspettò la risposta e gli allungò il gettone a forma di rombo, in bilico sul palmo stretto della zampa legnosa.
– Mostra questo al bancone e potrai andare ovunque, qui dentro. Anche negli antri che fino ad un istante fa erano solo nei tuoi sogni più vietati – una delle sue antenne fremette in un cenno d'intesa – Sei fortunato, ragazzo! Oggi c'è anche il Corvo a offrirsi per chi ha il pass Cristallo, non è spesso in città – emise un mugugno sognante – Quanto sei fortunato, davvero.
– Il Corvo? – disse Donth, afferrando d'istinto il gettone e promettendosi di gettarlo giù per lo scarico di qualche fontana.
– Non dirmi che non sai chi è! – Thriz levò tutte e quattro le antenne, scandalizzato – Sto parlando dell'angelo terrestre, ragazzo! La meraviglia proibita di Prospasht, il gioiello più raffinato della sua collezione, bella e calda come un sogno di paradiso – sembrava sul punto di sciogliersi sul pavimento appiccicoso proprio davanti a Donth, mentre al ragazzo si contorceva sempre di più lo stomaco, sul punto di vomitare.
Non aveva idea di chi fosse il Corvo di cui parlava Thriz, ma se era una delle schiave di Prospasht, non aveva la minima intenzione di averci a che fare. Chi vendeva la propria vita alla creatura più potente sulla piazza gli faceva troppa pietà, per poter sopportare di incontrarla senza sentirsi male.
Quante volte anche lui e Kal, da piccoli, avevano rischiato di finire intrappolati nel Dedalo Ovest, regalando la libertà sul proprio corpo in cambio di due dadi?
"Gli schiavi dell'Inframondo ottengono la cittadinanza", gli aveva spiegato lei, malinconica. Era stato prima del Maglio. Prima che lei diventasse un capo, più che una sorella. Prima di tutto, "Se iniziassimo a lavorare lì, non saremmo più soltanto abitanti dei rifiuti".
Ma nonostante i sogni di libertà fasulla, Kal non aveva mai firmato nessun contratto, e Donth, a dispetto dell'acido, della spazzatura, della fame che gli storpiava le viscere, ringraziava ogni ciclo per non essere finito tra le mura asfissianti di un bordello. A perdere se stesso.
– La puoi incontrare oltre la tenda grande, proprio là – Thriz puntò una zampa verso un velo di tulle fitto, dall'altra parte del salone – Divertiti anche per me!
Ma col cazzo alla vodka, pensò Donth, orripilato.
– Mi hai fatto venire voglia di un drink, vado a vedere se nel retro è rimasta qualche bottiglia di lakrimia alla bacca di fiume, aspettami qui! – il silkari non aspettò la reazione del ragazzo e svanì tra i corpi dimenanti e i suoni confusi.
Donth non aspettò. Ringraziò in silenzio tutti gli spiriti delle rocce e scivolò fulmineo verso il bancone centrale.
Si appoggiò stremato a quella superficie liscia come ghiaccio e si sforzò per non premersi le mani sulle orecchie. La musica non era più alta che in altri locali del Dedalo, ma lui era abituato ai cigolii caldi dell'officina, al fischio del vento, al limite al brusio di un tunnel affollato o al battere attutito del martello di Nasil sul metallo incandescente. Qui i suoni gli si ripercuotevano nel corpo come se le ossa stessero per spezzarglisi a metà una a una.
Era complicato anche analizzare per bene l'ambiente. I suoi ultrasuoni tornavano indietro deformati, come ferro che si squaglia nella fornace. Le persone che gli ballavano attorno passavano dall'essere cinque a quindici nel giro di pochi battiti e lui non era sicuro di quale fosse la stima più affidabile. Ricordava quanto fosse grande il Prigioniero da quando ci era stato per altre commissioni, in span meno rumorose, ma altrimenti non avrebbe nemmeno saputo dire quante corde ci fossero tra lui e il tavolo più vicino.
– Ehi, bel vestito.
Donth alzò lievemente le orecchie.
Dietro al bancone, un'umana shakerava con energia un drink tra le dieci dita sottili delle due piccole mani. Donth non poteva sentire i suoi occhi grandi e lucidi come perle marine, dietro al visore, ma dalla forma briosa del suo sorriso gli sembrò di percepire il suo sguardo addosso.
Aveva i capelli legati, un completo cucito di placche levigate e una collana di pietre come quella che indossava lui.
– Mi chiamo Ava. Cosa ti preparo? – parlava un merack in dizione perfetta. Alzava la voce, per soprastare la musica. Con eleganza, si fece roteare il drink tra le mani e lo versò fluida in un calice squadrato, che allungò verso un gloomeria sbronzo prima di tornare da Donth con una giravolta.
– Ghiaccio che non si scioglie mai – rispose Donth nella lingua mizefiana, anche se il suo merack era tristemente acerbo.
– Ah, sei Kaliou! – Ava si sporse verso di lui da oltre il bancone, il naso a un respiro dal suo muso imbronciato. Non sembrava ostile, ma Donth non ne era sicuro. L'umana non aveva antenne, ali o orecchie abbastanza grandi che Donth potesse leggere. Era maledettamente difficile decifrare le emozioni dei terrestri – Mi avevano parlato di qualcuno dalla Superficie – continuò la ragazza, allargando il sorriso sotto al visore.
– In realtà sono stato mandato da Kaliou – rispose Donth, ritraendosi appena. La ragazza odorava di aroma di frutta, come quello che i baristi usavano per addolcire i cocktail troppo forti – Ma sono qui per la stessa ragione.
– Perfetto, misterioso individuo della Superficie – gli gridò allegramente Ava – Il Corvo ti sta aspettando!
Donth non era certo il suo merack fosse abbastanza buono per aver capito bene.
– Cosa? – replicò, le orecchie tese all'inverosimile verso di lei, mentre a sua volta si sporgeva per ascoltarla, le mani sul bancone.
– Ho detto che il Corvo ti sta aspettando! – sorrise Ava – Vedo che ti sei procurato un pass Cristallo, grande! – indicò con un piccolo dito senza artigli il gettone tra le nocche di Donth – Ma stasera offre lei. Se torni vivo ti regalo il drink che ti piace! – aggiunse ridendo, mentre Donth ammutoliva di confusione.
– Io... – ma Donth non finì la frase che, con un guizzo isterico delle orecchie, si accorse che Thriz era in piedi dall'altra parte dal salone, due bottiglie tra le zampe, a scandagliare il locale per cercarlo. Scrollò duramente la testa e si sporse nuovamente verso Ava – Dove incontro il Corvo? – chiese istericamente.
– Abbiamo fretta, eh? – lo prese in giro lei, versando denso lakrimia in un nuovo bicchiere, che tintinnò di ghiaccio – La trovi oltre la tenda grande, ha appena finito con un cliente quindi dovrebbe riceverti subito.
Donth rabbrividì fino alla punta delle ali.
– Grazie – le gridò, sgusciando via lungo il perimetro del bancone.
– Buona fortuna! – gli sembrò di sentirla rispondere.
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Cover credits: EloGamer51
NdA:
I personaggi di Thriz e Ava si sono creati da soli mentre scrivevo, non erano previsti in nessun modo, ma avevo bisogno di altre voci, insieme a quella di Donth. Questa shot stava diventando troppo un monologo di worldbuilding, di quelli esasperanti che odio anch'io.
Per questo spero che, nonostante il flusso di informazioni, Ninfra vi stia piacendo qq è la mia piccola perla nera. Trovo paradossale esporre in modo così accurato il worlbuilding di Ninfra prima di quello di Mizef, ma questo pianeta a doppia faccia è nel cuoricino. Mizef è tutta politica, tecnologia, manipolazione delle masse, mente alveare della Trama... qui invece c'è paradossalmente spazio per scavare nell'umanità.
Grazie infinite a chi è qui, chiunque stia leggendo (presente o futuro) non ha la minima idea di quanto significhi per me, vi meritate un abbraccio mentre piango in modo isterico <3
Voti e commenti (con tutte le domande e le critiche che volete!) sono accolti con tutto l'amore possibile <3
Coss
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