Sopra e Sotto [Donth] [Parte I]
« Devil Town is colder in the summertime
I'll lose my mind at least another thousand times
Hold my hand tight, we'll make it another night »
[Devil Town - Cavetown]
TW su tutte le parti della shot per:
Discriminazioni verbali e fisiche, alcol, menzioni a droga, prostituzione, menzioni ad abusi, ambiente da bordello, linguaggio scurrile.
Sembra tanta roba ma Sei di Corvi è più pesante, quindi siamo più o meno lì.
Contesto: siamo su Ninfra. Tutto il resto è più o meno scritto. I nomi o luoghi non specificati dai commenti verranno spiegati qualche riga più giù o nelle parti successive qwq
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Donth provava ogni volta sentimenti contrastanti, quando Kaliou gli ordinava di scendere nell'Inframondo.
La sorella maggiore sembrava non accorgersi minimamente del guazzabuglio di emozioni che, nell'arco di una manciata di battiti, si susseguiva follemente sul corpo di Donth: uno sciame di fremiti sulle orecchie, tremiti incerti delle ali e i movimenti frenetici delle dita, strofinate nervosamente l'una contro l'altra fino quasi ad annodarle come una rete di cavi ribelli.
– Avevo detto che sarei andata io, ma oggi sono occupata, e anche Ratna e Xanni hanno i loro cazzi... Ti avevo dato libero l'ultimo mezzo ciclo, giusto? – Kaliou era arrampicata su uno scaffale pericolante nel retro del Maglio. Le sue ali sbatacchiavano seccamente nell'aria stantia per tenersi in equilibrio sul penultimo piolo della scala di corda. Stava selezionando i localizzatori dei rapyd mizefiani ancora funzionanti, per un cliente che aveva chiesto un nuovo pannello di comando di uno scravik restaurato da poco. I localizzatori troppo malridotti li lanciava annoiata nella cesta degli scarti dall'altra parte della stanza, provocando una piccola smorfia a Donth ogni volta che un pezzo di metallo si univa sferragliando al resto della pila.
Le orecchie di Kaliou non erano nemmeno voltate verso di lui. Era completamente concentrata sullo scaffale, mentre Donth rimaneva imbambolato dietro di lei con la spalla appoggiata allo stipite duro e il muso ritorto in un broncio irrequieto.
– È al Rifugio del Prigioniero – continuò Kaliou, indifferente, rigirandosi in mano un localizzatore mezzo scassato – Solito lavoro. Consegni il Dispositivo, prendi i soldi e sparisci – gettò malamente via il pezzo e riprese a frugare.
– Non serve un pass per entrare al Prigioniero? – chiese Donth in un grugnito. Dietro di sé, lo raggiunse il fischio famigliare della fornace di Nasil, al quale Ratna sbraitò qualcosa da oltre la maschera protettiva. Le orecchie di Donth si ritrassero svelte verso Kaliou per non ascoltare. Era già sufficientemente incavolato con il mondo per sorbirsi i litigi quotidiani dei colleghi in officina.
– Ce l'ho, è nella mia borsa – rispose spiccia la sorella – Metti il vestito buono, i buttafuori dei locali di Prospasht non ti lasceranno passare con quello straccio addosso.
– Perché proprio il Prigioniero? – insistette Donth, sempre più irritato – Cosa non andava nel Tunnel del Mercante?
– Quelli della Sentinella ci tracciano, sulle strade pubbliche – lo riprese lei – I locali privati sono più sicuri.
– Kal, non conosco un raduno di teste di cazzo dell'Inframondo peggiori del Prigioniero – replicò duramente Donth, stringendosi nella mantella con nervosismo – Avresti potuto dire ai tuoi contatti che sono delle teste di cazzo anche loro, se vogliono incontrarsi lì.
Le orecchie di Kaliou allora ebbero uno scatto. Donth percepì con un brivido le sue dita stringersi minacciosamente su un localizzatore e la sua testa voltarsi bruscamente verso di lui, per fulminarlo con un guizzo iroso delle punte delle orecchie.
– Non mi sembra di aver chiesto la tua opinione – la ragazza lasciò la presa dell'altra mano sulla corda e con un balzo atterrò sul pavimento di pietra, le ali semi spalancate che spazzavano severe i ciottoli metallici che lo ricoprivano – Funziona così, Donth – si avvicinò, sputando il suo nome come in insulto e sventolandogli addosso il localizzatore aguzzo come fosse un'arma, a un soffio dal volto – io vi dico cosa fare e voi lo fate, mi sono spiegata? – sibilò, sovrastandolo, mentre Donth si stropicciava a disagio il bordo sfilacciato del poncho – Non ho tempo per i tuoi giudizi morali sull'Inframondo, delle tue domande da bimbetto viziato o di fottuti cavilli emotivi che mi fanno perdere soldi, d'accordo? Non pago l'affitto a Mizef con le lamentele patetiche da cucciolo di lucertola. Ora muoviti – arraffò rozzamente la propria borsa da terra e gliela premette tra le braccia senza cerimonie – Ti aspettano tra due span, muovi il culo.
Donth strinse i denti, quando Kal, dandogli le spalle, gli sbatté di proposito un'ala in faccia per spingerlo via.
Odiava discutere con Kaliou.
Odiava essere trattato come uno dei suoi stupidi sottoposti e vederla gonfiarsi di arroganza non appena varcavano l'entrata del Maglio, ogni dannato ciclo di marea.
La sentiva allargare le spalle, la voce sprizzare veleno e la mano fremerle al fianco, pericolosamente facile agli schiaffi.
Tenere insieme quella baracca la logorava. Era devastante avere a che fare con clienti irragionevoli; contratti variabili; annegare nei costi di mantenimento del Maglio, in piedi per miracolo sotto la pioggia acida, che puntualmente giungeva a erodere e consumare il tetto ogni sesto di rotazione stellare, e perso tra le grinfie del vento che sbatacchiava le discariche come giocattoli di latta, ululando feroce tra le macerie... Sopravvivevano soffocando in una lista interminabile di disastri sovrapposti.
Kaliou aveva a che fare con i disastri da sempre. Lei stessa era diventata qualcosa di spaventosamente simile.
Si era ammantata di responsabilità, aveva indossato la rabbia come un'armatura e aveva imparato a farsi largo nel degrado del Sopragelo armata solo del morso dei propri denti. Aveva domato la spietatezza disumana del Sopra e Donth, osservandola rannicchiato da un angolo, l'aveva vista ghiacciarsi sempre di più, fin quando quella ragazzina abbandonata con lui in mezzo al fango aveva smesso di abbracciarlo nel freddo, tenendogli dolcemente la mano, e aveva invece cominciato a urlare, strattonandogli le braccia con brutalità nuova, per intimargli di lavorare ancora. Di battere quel martello sul metallo fuso. Di non fermarsi, anche se le vesciche esplose sulle dita gli inviscidivano la presa di sangue.
Fai quello che dico, Donth, e smettila di piangere.
"Non dovresti biasimarla tanto", gli aveva bofonchiato Ratna, una volta, abbassandogli in modo burbero una gigantesca mano sulla spalla, dopo che Donth aveva gettato con frustrazione il mantello bucherellato di pioggia su un tavolo. Il ragazzo si stava strofinando con forza la pelliccia degli avambracci bruciacchiata dall'acido. Kaliou l'aveva costretto ad attraversare mezzo settore Q per portare un dannato cambio di ruote dentate ad un cliente impaziente. Sette span passate a strisciare sotto le tettoie metalliche delle baracche abbandonate, riparandosi a stento, con i sensi invasi dall'odore acre della sua stessa carne che bruciava dolorosamente sotto alla stoffa troppo sottile.
Quella volta Donth aveva gettato a Ratna un fremito torvo di orecchie.
"Questi segni non andranno via per almeno mezza rotazione", aveva grugnito ostile verso la collega, "e a Kal non importa un cazzo! Vuole soltanto che il lavoro venga fatto. Chi cazzo si comporta così?".
"Tu la conosci meglio di chiunque di noi, dovresti sapere cosa ha passato".
"Sono suo fratello", aveva risposto freddamente Donth, ritraendosi dal suo tocco "E questo casualmente significa che tutto lo schifo che ha affrontato lei, me lo sono tirato addosso anch'io. Eppure non mi sembra che mi trattiate tutti come una specie di signorotto cazzone dell'Inframondo da idolatrare".
"Il rispetto non è idolatria", aveva risposto Ratna, la lingua affilata che scattava rigida tra i denti.
"Ma davvero?", Donth si era allontanato bruscamente, le mani ancora strette sulle ferite, "Proviamo a chiederlo a Kal, che ne dici? Vediamo quanto la rispetti, quando ti toglie i soldi per mangiare".
Donth sibilò un'imprecazione, sbattendo dolorosamente un'ala contro uno sgabello di metallo, mentre si arrabattava per infilarsi il collare elegante sopra le orecchie e con l'altra mano fissarsi in vita la cintura pesante di pendenti.
Era un vestito che Kal indossava quando doveva scendere al piano di sotto per i suoi affari, ottenuto in cambio di qualche favore a un sarto del centro di Hijik.
A Donth faceva schifo.
La moda dell'Inframondo non aveva senso. Tutte quelle pietre triangolari ghiacciate sulla pelle, che appesantivano i movimenti e sbatacchiavano tra loro ad ogni passo traballante, servivano soltanto per arricchire il vuoto con una batteria di rumori inutili.
Rumore. Rumore. Rumore.
L'Inframondo era un costrutto di vibrazioni complesse tra loro in competizione costante. L'importante era non stare in silenzio, manifestare la propria presenza con un di più crescente in modo esponenziale, che strabordava in inevitabile oscenità.
Durante i suoi turni di sotto, nei tunnel più affollati, Donth aveva sentito gente dell'Inframondo riempirsi di corde di campanelli e fitte tende di vetro tintinnanti, al punto da non riuscire più nemmeno a riconoscere a che razza appartenessero.
L'Inframondo svaniva nel suo stesso rumore. Si ricopriva di urla, di musica, di passi pesanti riecheggianti anche nelle cavità più remote, con l'unico, grottesco obbiettivo di manifestare la propria presenza e dimostrare che, sì, faccio più rumore di te. E davanti alla mia voce, la tua non vale niente.
Donth riuscì infine a incastrare la tracolla della propria borsa tra le borchie affilate e uscì sbuffando dallo sgabuzzino, a orecchie basse.
Si sentiva ridicolo. Percepì le orecchie e le antenne dei colleghi scattare istantaneamente verso di lui mentre attraversava rigidamente l'officina principale del Maglio, le ali strette vergognosamente attorno al corpo nel tentativo di coprire il fracasso dei sonagli.
– Torno prima del prossimo ciclo di marea – borbottò a Nasil, prima di scivolare sotto la tenda a frange all'entrata del Maglio ed essere investito dal vento graffiante del Sopragelo.
Si fermò sull'uscio, scandagliando la discarica.
Donth serrò la mascella e prese un profondo respiro. Puzzava di fumo. L'inceneritore del settore H doveva essersi attivato prima.
Un'altra missione inutile con uno dei contatti anonimi di Kaliou nel locale più snob di tutta la nazione di Rawak: decisamente il modo più disgustoso che potesse trovare per trascorrere il suo mezzo ciclo libero.
Il Dispositivo gli vibrò al polso. Era già passato un quarto di span. Era in ritardo.
Spalancò le ali con rassegnazione, catturò la corrente e spiccò il volo.
Volare nel Sopragelo era simile all'ingollare un'intera bottiglia di liquido sconosciuto con il naso completamente tappato. Le discariche della superficie erano mutabili per costituzione, più pericolose anche delle profondità dei mari inesplorati dell'Inframondo. Donth non ricordava un solo ciclo in cui qualcosa fosse rimasto identico a se stesso per più di una span.
Pinnacoli di macerie che si accartocciavano sotto la violenza del vento; i colossali smista rifiuti di Mizef che frugavano nella spazzatura e livellavano gli strati di lerciume; le bande degli altri settori che trascinavano nella polvere vecchi macchinari terrestri, scavando reticoli di sentieri nel disordine... Volare in quel caos significava perdere i punti di riferimento, rischiare di schiantarsi contro un drone sentinella mizefiano o finire abbrustoliti in una tempesta di acido. Pericoli del mestiere, avrebbe detto Kal, ma Donth, in cuor suo, aveva sempre preferito valicare le discariche a piedi. Certo, ci metteva il triplo del tempo, ma perlomeno, sbagliando leggermente la direzione, non rischiava di superare per sbaglio il confine del settore ed essere abbattuto da un cecchino particolarmente annoiato.
Le torri di sorveglianza del Mondo Madre, a guardia di ogni settore, erano le uniche costanti nel labirinto delle discariche. Lanciavano segnali acustici e regolari ad ogni battito, sincronizzate tra loro come giganteschi cronometri appesi nel cielo, e generavano una rete globulare di infrasuoni che avvolgeva l'intero Sopragelo. Quei segnali, insieme a quelli radio, erano indirizzati agli strumentari delle Sentinelle mizefiane e a tutte le loro attrezzature sparse sul pianeta, ma inevitabilmente gli abitanti della Superficie, come piccoli parassiti innocui, ne avevano fatto il metodo più affidabile per orientarsi nelle lande pericolanti dei rottami.
Donth evitò un piccolo drone di pattuglia e planò verso il richiamo famigliare della Torre del settore Q, diretto all'ascensore che era ai suoi piedi. Aveva nelle orecchie il fischio insistente del vento e il trotterellio fastidioso delle pietre al suo collo che sbatacchiavano tra loro. Attraversò il cimitero delle automobili terrestri e i resti arzigogolati di un binario di rapyd, conficcato nella discarica come un gigantesco serpente morente.
Le pulsazioni della Torre Q aumentarono d'intensità e Donth rallentò, identificando la struttura mizefiana come un gigantesco monolito uniforme stagliato contro il nulla.
Attorno alle Torri di sorveglianza, il territorio era ufficiosamente proprietà di Mizef, dove le Sentinelle uhmee marciavano imperiose nei loro completi svolazzanti, e quindi il cerchio di terreno attorno alle Torri era l'unico luogo in tutto il Sopragelo che Donth avesse mai visto completamente pulito dai rifiuti.
Si posò con cautela sullo spiazzo d'atterraggio degli sazghara, e gli artigli delle zampe ticchettarono sulla superficie di polimero plastico, inquietantemente liscia.
Due Sentinelle pattugliavano il perimetro, ai piedi della torre, e Donth si sentì addosso i loro giudicanti visori massicci. Si strinse le ali al corpo, le dita rigidamente aggrappate alla tracolla della borsa, e si avviò lungo la passerella, verso l'ascensore.
Era troppo presto per incontrare l'abituale folla di gente del Sopragelo del tardo ciclo, diretta al piano di sotto per spassarsela nei pub prima del coprifuoco che disattivava gli ascensori per sei span. Il mezzociclo era il momento perfetto, per scendere nell'Inframondo senza doversi sorbire il lezzo di altre decine di corpi compressi l'uno contro l'altro e sopportare colpi d'ali e antenne dritti in faccia per tutto il tragitto.
Prossima discesa in: 4 lumen.
La voce registrata, in un merack pulitissimo, riecheggiò nello spiazzo, e Donth accelerò il passo. Avendo inevitabilmente avuto a che fare con le irritanti e lustre tecnologie di Mizef per tutta la vita, la loro lingua e le loro unità di misura erano, suo malgrado, diventate sopportabili.
La piattaforma per scendere nell'Inframondo si basava su un complesso sistema di carrucole cigolanti e, a differenza di tutto il resto delle apparecchiature firmate da Mizef, totalmente inaffidabili. D'altronde, l'ascensore che usavano le persone come Donth era destinato soltanto agli abitanti del Sopragelo, e Mizef non aveva il minimo interesse a preservare l'integrità del piano di sopra, quando i soldi potevano essere spesi nel rendere più grandi le cupole abitative dei boss della capitale di Rawak. Al governo del Mondo Madre non poteva importare di meno, se un gruppo di abitanti dei rifiuti si spiaccicava sulla pietra dopo una caduta di mille corde.
Gli altri ascensori, quello più piccolo delle Sentinelle e quello magnificamente silenzioso e inutilizzato dei residenti dell'Inframondo, formavano con quello di Donth un triangolo equilatero preciso attorno alla Torre.
Donth fece strusciare il Dispositivo contro la colonnina all'ingresso e si accaparrò un angolo di panca plasticosa, le ali incastrate scomodamente tra il sedile e l'arrugginita ringhiera di protezione. Gli altri viaggiatori, un altro sazghara più vecchio di lui e un gloomeria come Ratna, erano rannicchiati dall'altro lato della piattaforma.
Ascensore in discesa. Tenere arti e ali all'interno del trasporto.
Il mezzo strepitò e cigolò in modo lugubre. Con uno scossone, iniziò la discesa.
Le pareti di pietra sembrarono innalzarsi attorno a lui come la bocca spalancata di un verme. Il vento si interruppe, l'odore acre di polvere e cenere si perse nell'umidità fitta, mentre il Sopragelo si riduceva ad un cerchio di vuoto sopra la testa, sempre più lontano.
Donth respirò a fondo, e il suono del suo fiato si sommò ai gorgoglii della piattaforma calante, rimbalzando contro le pareti fredde, in una lontana eco.
Il tempo si dilatò, mentre le viscere di Ninfra lo inghiottivano.
Quando Donth ebbe contato a mente cinquecento quaratacinque battiti, l'ascensore raggiunse lentamente il fondo del pozzo. La piattaforma fu attraversata da una scossa violenta, che costrinse Donth ad aggrapparsi alla ringhiera alle sue spalle per non cadere oltre il bordo della panca.
Discesa terminata. Abbandonare il mezzo. Ci auguriamo abbiate fatto buon viaggio.
– Andate affanculo – Donth sentì mormorare il vecchio sazghara, mentre il cancelletto della ringhiera si apriva in automatico sul tunnel che conduceva fuori dal pozzo dell'ascensore, all'entrata della città di Hijik.
Il ragazzo scrollò le ali dalla polvere e si avviò ingobbito dietro agli altri due passeggeri. Attraversò il breve tunnel. Uscì.
E le sue percezioni esplosero.
Donth provava ogni volta emozioni contrastanti, quando Kaliou gli ordinava di scendere nell'Inframondo.
Il proprio rancore verso la popolazione altolocata si scontrava bruscamente contro l'amore che gli riempiva il petto, nel sentire i sensi invasi dal sapore denso e vivo del sottosuolo.
Detestava con ogni fibra di sé l'aria di sufficienza che accomunava ogni abitante dell'Inframondo. Odiava il modo in cui le loro orecchie e antenne svettavano dispotiche nella direzione di persone come lui.
Puzzi come la spazzatura che rivendi, gli aveva strillato addosso un gloomeria, una volta, lanciandogli in testa dal nulla un pugno di sabbia e ciottoli appuntiti.
E forse era vero, aveva pensato Donth, tremante di rabbia, ma quella gente la spazzatura ce l'aveva in testa.
Ninfra era fatta così. Divisa da sempre, anche prima che l'Alleanza riversasse i suoi rifiuti sulla superficie. Era quasi come se un qualche dio crudele avesse tracciato una linea netta e infrangibile tra gli abitanti del pianeta, separandoli per sempre e decidendo, senza ragione o coerenza, chi era degno di un tetto di pietra sopra la testa e il calore dei laghi termali e chi invece era destinato a bruciare, la pelle screziata dall'acido e i polmoni raggrinziti dal fumo.
Sopra e Sotto. Sopragelo e Inframondo. Inconciliabili al punto che l'Inframondo aveva scelto di essere l'unica parte di pianeta che contava davvero. Sostenuto dall'Alleanza, il governo di sotto aveva deciso che qualsiasi creatura con cittadinanza sulla Superficie non era degna di avere rappresentati in Senato, e che non c'era voce per quelli come loro, destinati soltanto ad annegare nel lerciume.
"Siamo i loro schiavi", gli aveva detto una volta Kal, con una molle scrollata di spalle, "Quelli di sotto pagano noi per ricostruirgli le macchine ma soltanto perché costiamo meno, giusto quanto basta per sfamare una bestia macilenta e assicurarsi che continui a lavorare, ma non abbastanza da dargli la forza di ribellarsi".
"Non è giusto", aveva replicato Donth, alzando le orecchie dal computer terrestre che stava rimontando con cura, "Dovremmo chiedere tanto quanto i meccanici dell'Inframondo".
"E allora moriremmo di fame", aveva risposto Kaliou, passandogli un barattolo di chip, "Meglio una bestia viva che una morta, giusto?".
"Bestia rimane, però", aveva bisbigliato Donth.
Tuttavia, spogliato dell'odio, l'Inframondo era un paradiso di pietra tiepida. Antri naturali giganteschi come città, arricchiti da mani artificiali, si snodavano nel cuore dei due continenti e sotto il Nubiceano.
Laghi puri con cascate a lambire le grotte. Colonne di pietra intrecciate tra loro come nastri giocosi di sabbia umida. Funghi soffici abbarbicati tra le stalattiti. Cristalli immensi scolpiti come divinità sotterranee.
Un dedalo di culture, paesaggi, vastità naturali. Completamente diverso dall'uniformità deprimente della Superficie.
Tra l'architettura globulare della immensa nazione di Rawak; l'arcipelago a spirale delle Vorath, sul il Mare Velato, il più grande dell'Inframondo; le aree fungine e i laghi caldi dell'impero del Sud: Drush An; le pianure di cristallo della regione di Glidiiry, nel profondo Nord; e ancora le foreste di piante crepuscolari, negli Estremi Dimenticati... Ninfra era bella da perdere il respiro.
Donth aveva sentito storie, sulle meraviglie dell'Inframondo. E ogni volta che ci metteva piede, quelle storie lo travolgevano come verità infrangibili, che impregnavano di magia l'aria friccicante di una vita diversa. Se ne sentiva avvolto anche adesso, mentre perdeva leggermente l'equilibrio davanti alla maestosità di Hijik, alla complessità frizzante dei soffitti della caverne, agli echi che lo raggiungevano danzando nei cunicoli segreti o tuffandosi nella voragine del Lago Addormentato, su cui si affacciava la città.
Hijik non era la città più grande della nazione di Rawak, ma lui ci aveva camminato sopra per tutta la vita. Sentiva la sua imponenza attraversare sicura gli strati di plastica e rottami ed entrargli nelle ossa, come una benedizione risalita per lui dalle profondità della terra.
Sentire sulla pelle l'abbraccio fresco e concreto del sottosuolo, ricordarsi che c'era qualcosa – meraviglia –, sotto il deserto di orrore in cui si trascinava da sempre come un moribondo graffiato di pioggia, era l'unica ragione per cui svolgere le fottute commissioni di Kaliou diventava piacevole.
Donth si concesse un rapido sospiro, si serrò la borsa al petto, e avanzò, mentre la gigantesca strada di mattonelle in rilievo a forma di stella gli si srotolava davanti, conducendolo nel cuore dell'Inframondo.
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Cover credits: EloGamer51 (ha abbandonato il profilo di disegno da secoli, quindi non lo taggo lol)
(Ciao Elo che non ha wattpad e non leggerà mai qui, sto ancora aspettando un disegno di Donth più nuovo del 2022, grazie, luv u)
NdA:
Questa sono io che pensavo di scrivere una innocente shot da una sola parte e mi ritrovo di nuovo a doverla dividere in 3 yee (picchiatemi).
Il personaggio di Donth è uno dei più vecchi di tutti. È letteralmente nato insieme a Kiwi e Flame, nel pleistocene della mia infanzia. In realtà l'aveva ideato mio fratello nel modo più cringe e infantile possibile: un coso con un mantello, gli artigli, gli occhi rossi, le ali da pipistrello dark. Fine. Best design EVAH.
Ma così come Kiwi era Link di Zelda e Flame una street artist e dancer nata con il solo scopo di dare sfogo al mio amore per Banksy, anche Donth ha avuto il suo redemption arc. Basti dire che all'inizio si chiamava "Don't". Con l'apostrofo. Se ci penso mi voglio prendere a ceffoni. Quando il set della storia si è spostato su altri pianeti, abbiamo messo fine alle sofferenze dell'apostrofo e solo dopo abbiamo aggiunto un'H che rendesse il tutto più fancy (grazie al magico amico Elo per avermi dato lo sprint ad aggiungere una lettera muta, you're da best).
Grazie a chiunque sia qui <3
Voti e commenti sono accolti con amore <3
Coss
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