Specchio del reale

è il linguaggio:

dove c'è un codice

c'è interpretazione,

e dove c'è interpretazione

vi è ambiguità.

Ora sembra una cosa,

ora pare l'altra,

si realizzano le possibilità:

non si può assolutizzare

o congelare un significato.

Normalità significa

consuetudine, maggioranza:

non depriviamo le parole

del loro significato.

Ma alle sue code

giace l'anormalità

o l'eccezionalità?

Mentre il pensiero della massa,

la quale battezza sé stessa come

attenta alla discriminazione,

deraglia in una sola direzione

recidendo le alternative

del significato possibile,

di fatto discriminando

altre prospettive

e rendendo univoche

le interpretazioni,

in questa contraddizione

mi fermo a pensare

che siano proprio le sfumature

del contenuto semantico

a non vincolarci

a degli stereotipi discriminanti.

Ridotto ai minimi termini,

il linguaggio

non conosce vie di mezzo

tra il Sì e il No:

tertium non datur.

Ma se un ragionamento

è aperto e complesso,

potrà essere smentito

da un'argomentazione

similmente formale,

e non da un pensiero

chiuso e semplicistico.

Contraddizione apparente:

perché abbia significato

confermare o confutare una tesi

bisogna muoversi

sullo stesso piano di complessità.