L'uomo che sussurrava ai piccioni



Centinaia di fiori in primavera, la luna in autunno,
la brezza fresca d'estate, la neve in inverno.
Se non occupi la tua mente in inutili cose,
ogni stagione è per te una buona stagione.
Wu-men.

Il Po scorreva tranquillo. I raggi del sole illuminavano le sue insolitamente chiare acque. Le anatre e i cigni nuotavano felici. I pescatori sedevano quieti in attesa della loro preda.

Sembrava una giornata serena come molte altre, ma non lo era.

Il cuore e la testa di Michele erano in subbuglio.

Era passata una settimana da quel tardo pomeriggio in cui lui e i suoi amici avevano scoperto i trafficanti di organi e avevano ritrovato il braccialetto di Arianna.

Non si erano più rivisti da allora.

Che senso aveva continuare? L'amica di Lorenzo probabilmente era morta e i suoi organi presumibilmente si trovavano da qualche parte su un camion o in un altro corpo. Tutta la faccenda poi si era rivelata più rischiosa del previsto. Se scoperti, potevano rischiare la vita.

Allora perché stava sorridendo? Perché il suo cuore vacillava?

Tutta quella vicenda aveva fatto emergere il lato più oscuro del suo cuore, aspetto che egli non aveva mai potuto accettare.

Fu in quel momento, pur rimanendo impassibile a prima vista, che Michele conobbe veramente il significato della parola rabbia. Sentì che un grido gli stava per squarciare il petto.

Si chiese cosa fosse quella sensazione che provava. Sembrava che il sangue gli stesse ribollendo.

Quello che gli attraversava il cuore, in realtà, non era diniego, ma un profondo senso di nausea.

In quell'istante gli venne in mente una cosa e la verità gli si spalancò davanti agli occhi. Non sorrideva affatto, ma...

Si abbassò in tempo prima che un piccione gli volasse addosso.

«Accidenti!» disse scocciato.

«Eri nella sua traiettoria» sorrise un vecchietto circondato dai suddetti volatili.

In mano teneva un sacchetto con delle briciole di pane che, ogni tanto, gettava in terra rendendo felici i suoi amici pennuti.

«Sarà...» sospirò poco convinto Michele.

«Qualcosa ti turba?».

«Come?».

«Hai la faccia di una persona turbata».

«Non so di che cosa stia parlando».

«Io credo di si invece».

«Perché non torna a parlare con i suoi stupidi piccioni?» sputò acidamente.

«Oh, non sono stupidi. E poi sono di ottima compagnia. Mi ascoltano sempre e non dicono cose insensate come molti esseri umani».

Michele pensò che quel vecchietto non fosse molto sano di mente, ma poi pensò agli avvenimenti della settimana prima e si chiese che cosa potesse essere realmente ascritto alla follia: un uomo che parla con i piccioni o uomini che trafficano in organi?

Sospirò e si sedette sul muretto accanto all'anziano signore. «E che cosa gli racconta di bello?» domandò.

«La mia vita».

Michele sussultò. Perché quelle semplici parole gli facevano un così strano effetto?

«Voglio raccontarne un pezzetto anche a te, se ti fa piacere» continuò sorridendo il vecchietto.

Lui annuì.

«Quando facevo le elementari, dopo la scuola, venivo sempre qui in riva al Po insieme al mio migliore amico. All'epoca erano poche le persone che venivano qui. Perciò lo consideravamo un po' come il nostro posto segreto. Ci sedevamo e chiudevamo gli occhi. Era incredibile quante cose si potevano udire. Quante cose che normalmente nessuno di noi sentiva. Eppure era così semplice, bastava chiudere gli occhi».

Fece una piccola pausa, poi proseguì dicendo: «Alla fine della quarta elementare, il mio migliore amico si trasferì in un'altra città. Prima di partire mi promise però che sarebbe tornato a Torino e che saremmo andati di nuovo nel nostro posto segreto».

«Ci siete ritornati?» domandò curioso Michele.

Il vecchio signore sorrise. Ma non era un sorriso allegro come quello di prima. In questo si potevano scorgere amarezza e delusione. Forse tristezza più di tutto.

«Venti anni dopo è tornato in città. Mi aveva scritto una lettera per avvisarmi del suo arrivo e io sono andato ad aspettarlo alla stazione. È stato allora, quando l'ho rivisto, che ho capito. Però, anche se sapevo che non potevamo più tornare indietro, ho continuato a sperare che non fosse cambiato nulla. Volevo fingere che fossimo ancora i vecchi bambini di sempre».

Un piccione si posò sulla spalla dell'uomo come a volerlo confortare.

«In quegli anni, il tempo era continuato a scorrere, anche se io non me ne ero accorto. Ho finalmente aperto gli occhi quando siamo tornati nel nostro posto segreto. Abbiamo chiuso gli occhi come una volta, ma non era più lo stesso. Lui non era più il mio migliore amico. Non sapevo più nulla di lui. Quando l'ho finalmente realizzato e accettato, avrei voluto gridare. Ma non l'ho fatto. E sai perché? Perché sono un codardo».

Le sue iridi erano diventate leggermente lucide. Michele avrebbe voluto confortarlo, ma non sapeva cosa dire.

«Prima o poi so che ci riuscirò. Prima o poi riuscirò a camminare senza voltarmi».

Gettò alcune briciole di pane per terra e i piccioni si fiondarono lì immediatamente per mangiare.

Dopo un attimo di silenzio, Michele si fece coraggio e chiese: «Perché mi ha raccontato questa storia?».

Il vecchietto si girò verso di lui e gli posò una mano sulla spalla. «Perché, finché non se ne è certi, non bisogna mai perdere la speranza».

Quelle parole si abbatterono come un fulmine su di lui.

«Finché non l'ho rivisto con i miei occhi, ho continuato fermamente a credere che il mio migliore amico fosse ancora tale. Non smettere di credere».

Michele si alzò e sorrise. «Grazie, grazie davvero» disse.

Il vecchietto sorrise a sua volta e affermò: «Se passi di nuovo da queste parti, vienimi a trovare. Ti racconterò un'altra storia».

«Non mancherò, signor...?».

«Ricordami semplicemente come l'uomo che sussurra ai piccioni».

Michele rise. Lo salutò e si allontanò sereno. Ora ne era certo, sapeva perché aveva reagito in quel modo una settimana prima: non stava sorridendo, stava piangendo. Stava piangendo perché temeva che tutto potesse finire.

Ma non sarebbe dovuto finire niente perché c'era ancora speranza.

Un antico proverbio zen recitava: Un granello di polvere contiene tutto l'universo. Quando un fiore si apre, il mondo appare.

E il mondo, grazie alle parole di quell'uomo, gli era apparso.

Doveva continuare a correre, doveva continuare a credere.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e scrisse ai suoi amici.

In quella chat privata, in quel momento, campeggiavano le sue parole: 'Non è finita'.

Doveva cominciare ancora tutto.

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