Capitolo 9
L'insegnante ultimò l'argomento che stava affrontando, per poi salutare e riporre tutti gli appunti nella valigetta beige, mentre i quasi duecento alunni si accalcarono alla porta.
Marianne aspettò pazientemente che si liberasse uno spiraglio in cui potesse sgattaiolare per uscire e, poi, raggiunse Massimo che la stava aspettando appoggiato alla parete di fronte alla porta della classe.
Si fecero strada tra la massa di studenti nei corridoi, con l'intenzione di raggiungere l'uscita, chiacchierando.
Il ragazzo era visibilmente preoccupato e stava esprimendo tutta la sua ansia alla cugina.
«Gli esami di Gennaio mi sembrano molto più difficili rispetto a quelli dell'anno scorso» esclamò aggrottando la fronte.
«C'è parecchio materiale da studiare e sono sicuro che non ce la farò mai! Mi toccherà ripeterli a Febbraio, ma sono sicuro che non andranno lo stesso bene. Quindi dovrei riprovarci in estate insieme a quelli del secondo semestre.
Sarò talmente immerso dallo studio che potrei ammalarmi gravemente e morire. Ma se muoio non posso fare gli esami. Finirei fuori corso con il risultato che mi demoralizzerei tantissimo. Lascerei l'Università e finirei a fare il barbone perché nessuno mi vorrebbe assumere e...».
«Oddio, calmati Max!».
Marianne fermò quell'elenco pessimista alzando gli occhi al soffitto e sbuffando rumorosamente. «Hai detto la stessa cosa l'anno scorso e alla fine hai finito i due semestri con una splendida media. Perciò smettila! Lo sai anche tu che ti stai preoccupando per nulla».
«Questa volta è diverso!» protestò lui in dissenso.
«Siamo ai primi di Ottobre e manca moltissimo agli esami» obiettò la cugina sfinita dell'ansia inutile del ragazzo.
Sapeva che si agitava per un nonnulla e che la sua voglia di essere perfetto lo spingeva a dare il meglio di sé in tutto. Il problema era che tutto quel perfezionismo lo portava a non essere mai felice del risultato ottenuto, a meno che non fosse il massimo.
Era uno sfinimento, alcune volte, averlo accanto.
Il cugino fece finta di non sentire l'obiezione lecita di Marianne, e continuò a esprimere i suoi dubbi, tormentando la ragazza. Non avrebbe resistito ancora per molto, lo sapeva. Doveva subito trovare una scusa plausibile per poter fuggire. E, quasi come se fosse un miracolo, apparve la sua scusa perfetta: il ragazzo biondo che aveva conosciuto il lunedì prima e che, dopo quella volta, non aveva più rivisto.
In quel momento stava camminando nella direzione opposta alla loro, con la testa china sul telefono e le dita in movimento.
Appena gli fu abbastanza vicino da sentirla, lo salutò, facendo finalmente interrompere Massimo nella sua infinita digressione.
Davide alzò lo sguardo, posandolo su di lei. Era passata solo una settimana dal loro primo incontro, eppure qualcosa in lui era cambiato.
Non in senso fisico. Era sempre il ragazzo curato e ben vestito che aveva conosciuto, ma non vedeva più quello sguardo ironico che l'aveva caratterizzato per tutta la lezione. Sembrava vuoto. Apatico.
Lui la osservò per qualche secondo, ma senza dare segno di averla riconosciuta. Poi spostò gli occhi verso destra, socchiudendoli leggermente quando vide Massimo.
Infine, appena Marianne aprì la bocca per dire qualcos'altro, si allontanò rapidamente.
La ragazza lo seguì con lo sguardo, corrugando la fronte.
Perché non l'aveva salutata e aveva fatto finta di non conoscerla?
«Perché hai salutato quello?» le chiese Massimo alzando leggermente il mento verso il giovane, che già era sparito dietro all'angolo del corridoio.
«Perché lo conosco...» rispose lei, anche se con qualche cenno di turbamento.
«E sei sicura che anche lui ti conosca?» fece il cugino ridacchiando leggermente e ricominciando a camminare, seguito a ruota da Marianne.
Lei gli lanciò un'occhiata che fu più che significativa. «È lui il ragazzo di cui ti ho raccontato».
«Piuttosto, hai visto come ti ha guardato?» chiese successivamente.
«No, non ci ho fatto caso. Perché?»
«Sembrava... sorpreso di vederti» spiegò lei, osservando la reazione del cugino.
«Non lo conosco neanche» controbatté il ragazzo, ma con un tono di voce che non convinse Marianne.
«Magari lui sì» continuò lei.
Massimo rimase in silenzio, pensieroso, cercando di capire se la cugina avesse ragione. Quando gli aveva parlato di lui, aveva detto che si chiamava Davide, ma questo non lo aiutava granché. Era un nome così comune... Conosceva un po' di persone che si chiamavano così, ma nessuna corrispondeva fisicamente a quel ragazzo.
Nel mentre, arrivati in Piazza Duomo, i due si separarono, percorrendo strade diverse per tornare a casa.
Massimo, per tutto il tragitto, ripensò a quello che Marianne gli aveva detto. Possibile che avesse fatto catechesi con lui e ancora si ricordasse del suo viso nonostante il cambio radicale?
Oppure...
Gli venne un'improvvisa illuminazione, ma che non poteva verificare finché non fosse arrivato a casa.
Aumentò il passo, già abbastanza veloce prima, dando l'impressione che stesse correndo con un'andatura molto strana.
Quando vide la facciata del suo palazzo, rallentò un po', accorgendosi del fiatone che gli era venuto. Suonò il campanello, troppo pigro per cercare la chiave nello zaino e sperando che almeno sua madre fosse a casa.
Sentì un suono squillante e capì che gli avevano aperto il portone. Salì le scale due scalini alla volta e, una volta arrivato in cima, sua madre lo aspettava con la porta aperta.
«Com'è andata la giornata?» gli chiese facendolo entrare e chiudendo la porta dietro di loro.
«Bene» rispose togliendosi frettolosamente le scarpe e la giacca prima di varcare la soglia della cucina.
Lì, seduto vicino al forno a legna e con il viso affondato tra le pagine di un giornale, c'era suo padre.
Non alzò neanche la testa quando lo vide e, a malapena, lo salutò.
Massimo non ci fece caso, abituato ormai ai pochi segni di affetto che gli dava.
Era buffo il fatto che, nonostante suo padre e quello di Marianne fossero fratelli, non si assomigliavano per niente nel carattere. Stefano era un uomo decisamente più dolce e premuroso, mentre erano passati anni dall'ultima volta che suo padre l'aveva anche solo abbracciato.
Il nostro rapporto è freddo e distaccato, pensò tristemente il ragazzo, quando richiuse piano la porta della sua camera da letto.
Si precipitò alla scrivania, accendendo il computer. Una volta inserita la password, controllò le varie cartelle sul desktop alla ricerca di una che sperava non avesse cancellato.
Quando la trovò si trattenne dall'esultare e l'aprì. Subito, davanti ai suoi occhi, vennero visualizzate una trentina di foto. Erano quelle che avevano fatto alla sua classe il primo giorno di superiori.
Era l'unico anno, o meglio, gli unici giorni che aveva fatto in quel liceo scientifico. Si era spostato alla ragioneria qualche mese dopo l'inizio della scuola, capendo che doveva seguire la sua passione per l'economia.
Scorse le varie foto, imbarazzandosi non poco nel vedere il suo viso di sei anni prima, e poi, leggermente nascosto dietro vecchi compagni di classe, vide Davide.
Quasi come se avesse aperto uno scrigno, ricordò immediatamente chi fosse, e un mezzo sorriso gli spuntò sul volto.
Era possibile che, quello che alcuni amici gli avevano detto, fosse vero?
Compose subito il numero della cugina e, appena la chiamata partì, mise il viva voce, in modo da poter digitare sul motore di ricerca Google e allo stesso tempo parlare.
«Non crederai mai a quello che ti sto per dire» fece entusiasta lui, quando Marianne rispose.
«Non vorrei fartelo notare, ma non è passata neanche mezz'ora da quando ci siamo salutati...» borbottò la ragazza.
«E allora?»
«Mi stavo chiedendo cosa avessi scoperto di così eclatante da dovermi chiamare proprio quando sono a cena» spiegò lei. Massimo diede un veloce sguardo all'orologio del computer e, in effetti, aveva beccato proprio l'ora in cui i suoi parenti erano soliti mangiare.
«È per un buon motivo» affermò lui alzandosi dalla sedia e iniziando a fare avanti e indietro per la camera, con il cellulare in mano sempre in viva voce.
Sentì uno sbuffò dall'altra parte della cornetta, ma non ci badò più di tanto. Doveva subito riferirle la notizia che aveva scoperto, altrimenti sarebbe scoppiato.
«Avevi ragione tu riguardo Davide» cominciò. «Ci conosciamo, ma non è questa la notizia che ti lascerà a bocca aperta...». Il ragazzo si bloccò per qualche secondo, tanto per lasciare un pizzico di suspance, e poi continuò.
«Eravamo in classe insieme il primo anno di superiori, al Galilei, e il suo nome completo è Davide Carli». Massimo si fermò di nuovo, pensando che la cugina avesse ormai capito dove volesse andare a parare.
Lei, però, non riusciva a comprendere come il nome completo di quel ragazzo potesse trasformarsi nella fantastica nuova che le era stata promessa.
«Non ti viene in mente nessuno con quel cognome?» domandò il cugino con tono quasi deluso.
«No, in realtà» rispose Marianne. «E, anche se mi fosse familiare, è un cognome molto comune».
«Hai ragione, ed è per questo che ho fatto una veloce ricerca» continuò lui, appoggiando il telefono sulla scrivania e piegandosi verso il computer per controllare un'ultima volta se, quello che stava per dire, fosse vero.
«Allora Max? Devo tornare a tavola» lo incitò la cugina.
Lui si raddrizzò un poco, mentre un sorriso divertito si dipinse sul suo viso.
«Diciamo che il suo nome potrebbe diventare molto popolare tra qualche mese». Il ragazzo rimase sul vago, per poi dare il colpo finale.
«Davide Carli è il figlio di Pietro Carli, il rettore alla facoltà di economia» concluse, sentendosi come un'atleta che aveva finalmente tagliato il traguardo.
Aspettò una reazione da parte della cugina, ma che non arrivò.
«Marianne, hai capito cosa ho detto?».
«Devo andare» fu la risposta sbrigativa che gli arrivò, prima che la cugina bloccasse la chiamata.
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