Capitolo 38
Uscita dell'Università, un venticello di inizio primavera scompigliò i capelli rossicci di Marianne, coprendole gli occhi per qualche secondo prima che girasse l'angolo e si mettesse a controvento.
«Per quello che mi avevi chiesto l'altro giorno...» iniziò prendendo coraggio e attirando da subito l'attenzione di Davide. «Ci ho pensato e credo dovresti sottoporti all'intervento» mormorò con gli occhi a terra, incapace di guardare il viso del ragazzo.
Costui, in un primo momento, alzò le sopracciglia, schiudendo le labbra, sorpreso da quelle parole completamente contrapposte rispetto a ciò che gli aveva detto in precedenza. Gli bastarono, però, solo pochi secondi per comprendere il motivo di quella scelta; e ciò rispondeva anche alle mute domande che gli erano frullate nella mente per tutta la lezione.
«Perché questo improvviso cambio di opinione?» chiese, fermandosi in mezzo al marciapiede e costringendo Marianne a fare lo stesso. La osservò con finta perplessità, omettendo di proposito ciò che aveva capito, sperando che fosse lei stessa a rivelarglielo.
«Perché non accettare, invece?» domandò di rimando la ragazza, alzando di poco le spalle, facendo rabbuiare Davide.
«Lo sai perfettamente» borbottò lui, togliendo gli occhi dal suo viso.
«La paura di non poter tornare più a cantare come prima non è una buona scusante» continuò Marianne, facendo di nuovo scattare lo sguardo di lui su di sé.
Si accorse troppo tardi che quelle parole avrebbero potuto ferire il giovane e quando vide la fronte corrugarsi e la mascella tirarsi, capì di averlo turbato. Lei, meglio di chiunque altro, poteva capire le motivazioni dietro la sua scelta che a molti appariva insensata. Nel profondo sapeva che, se due anni prima fosse accaduto a lei una cosa del genere, avrebbe reagito nella sua stessa maniera.
La ragazza sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
«Scusa, io...».
Si morse il labbro non sapendo bene cosa dire, né come riuscire a convincerlo, come le aveva chiesto il rettore, ora che aveva bruciato la sua possibilità.
«Ascolta... è un po' complicato da spiegare, ma...» prese fiato, continuando a toccarsi la ciocca di capelli che le incorniciava il viso, in imbarazzo per quello che stava per dire. Ma ormai aveva deciso. Era inutile continuare a nasconderlo.
«È stato tuo padre a chiedermi di farti cambiare idea» rivelò tutto d'un colpo, trattenendo il respiro intimidita dalla razione di Davide.
Questa, però, non arrivò.
Lui puntò gli occhi sulle sue scarpe, trovando in quella frase tutte le risposte che gli servivano.
«Mi ha rivelato che da un po' di tempo ti rinchiudi in camera e non ne esci neanche per mangiare» continuò Marianne, approfittando del suo silenzio per spiegare le ragioni che l'avevano portata a quella scelta. «È preoccupato per te, Davide, e sinceramente sono d'accordo con lui.»
Finalmente il giovane alzò il capo, con un leggero sorriso sulle labbra.
«Non è come sembra, te lo giuro.»
«E allora com'è?» domandò la ragazza, accorgendosi solo tardi di aver alzato forse troppo il tono di voce.
«Sei dimagrito...» disse più flebile. Si vedeva dalla sua espressione che era preoccupata.
«Non puoi negarlo perché lo vedo...» continuò quando lui distolse lo sguardo da lei, scuotendo la testa. «Cosa sta succedendo?»
Nuovamente la guardò e, con sorpresa di Marianne, aveva ancora il sorriso stampato in viso.
«Non sta succedendo niente, veramente. So cosa mio padre, e ora anche tu, credete, ma non ho avuto una ricaduta, okay? Ultimamente sono solo un po' stanco a causa dei continui viaggi che devo fare a Bolzano» rispose.
«Ed è per questo che non mangi?» chiese, ancora, la ragazza, scettica della spiegazione ricevuta.
Davide abbassò di poco lo sguardo, arricciando le labbra in una smorfia simile a quelle che faceva quando tratteneva a stento una risata.
«No, quello... ecco...» si fermò per cercare le parole giuste con cui poteva spiegare il suo comportamento degli ultimi giorni. «Sono molto concentrato in un progetto e, molte volte, semplicemente mi dimentico di mangiare» disse, sapendo comunque che quelle frasi non sarebbero bastate per tranquillizzarla. Non voleva, però, rivelarle la verità. Non era ancora arrivato il momento.
«Davide...»
Come previsto, non gli credeva, ma non poteva dirle di più.
«Non ti devi preoccupare» la bloccò con le uniche quattro parole che, in quel momento, apparivano come la solita frase fatta, nonostante nascondessero più verità di quanto Marianne potesse immaginare.
Il giovane diede un veloce sguardo all'orologio che aveva al polso, sentendo gli occhi di lei bruciargli la pelle.
«Ora devo andare, altrimenti rischio di perdere il treno» annunciò, un po' sollevato dal fatto che potesse usare quella scusa per allontanarsi.
«Se ti va, ci possiamo vedere sabato prossimo. Magari vengo a casa tua e ci guardiamo un film, così passiamo del tempo insieme. Ti va bene?» le domandò avvicinandosi e dandole un bacio a fior di labbra, talmente veloce che la ragazza arrivò appena a ricambiare.
Lei annuì con un breve cenno del capo, ma il suo viso rimase contratto in una smorfia preoccupata. Neanche il sorriso che le regalò Davide riuscì a tranquillizzarla e, ancora prima che potesse chiedergli qualcos'altro, lui la salutò un'ultima volta e si allontanò velocemente verso la stazione.
Solo dopo che la figura di Davide aveva ormai girato l'angolo da un po' di tempo, Marianne si accorse di essere ancora in mezzo al marciapiede; un ostacolo che gli altri studenti sorpassavano con velocità, lanciando di tanto in tanto occhiate curiose.
Sospirando si costrinse ad avviarsi verso casa, mentre la testa aveva iniziato a dolerle a causa delle preoccupazioni che continuavano a tormentarla.
Voleva credergli; voleva fidarsi di lui. Era una delle prime cose che si erano promessi, ma si stava rivelando più difficile di quanto aveva creduto all'inizio.
Come poteva far finta di nulla e aspettare? Cosa doveva aspettare, poi? Di vederlo deperire davanti a lei giorno dopo giorno?
Non poteva veramente credere che avrebbe accettato una cosa del genere.
Erano una coppia e questo significava anche aiutarsi l'un l'altro nel momento del bisogno.
Non lo avrebbe lasciato distruggersi con le proprie mani.
***
Una volta tornato a casa si diresse immediatamente nella sua camera, togliendo lo zaino e la giacca lungo la via, abbandonando entrambi su una sedia del soggiorno.
Si sedette sul letto, prendendo la chitarra dall'armadio, un quaderno pentagrammato e una matita. Appoggiò lo strumento sulle gambe incrociate, ripercorrendo con il pensiero le note che gli erano venute in mente e che non voleva lasciarsi sfuggire.
Strimpellò un po' con la chitarra, in modo da accordarla, prima di trasferire ciò che c'era nella sua testa sul foglio. Solo dopo che era convinto delle nota la trascriveva sul pentagramma.
Una volta finito, riprese la parte che aveva scritto tempo prima, unendola a ciò che aveva appena composto, e la suonò tutta per capire se l'insieme poteva funzionare.
La melodia gli piaceva, ma doveva ancora capire se poteva associarsi bene al testo. Perciò si alzò dal letto, sgranchendosi le gambe e recuperando il block notes dallo zaino, ritornando infine in camera. Trovò la pagina che gli serviva, rileggendo le frasi non ancora del tutto complete.
Sentiva che qualcosa stonava, ma non riusciva a capire cosa. Era da giorni che ci lavorava; aveva cancellato e riscritto le strofe talmente tante volte che non riusciva neanche più a contarle.
Riprese lo strumento, pizzicando le corde in base a ciò che aveva elaborato e, nel frattempo, delineò nella propria mente la canzone seguendo quelle parole e segnando sul foglio, man mano che le note scorrevano, le sillabe.
Era talmente concentrato che non sentì la porta di casa aprirsi, e la voce del padre chiamarlo. Si accorse della sua presenza solo quando questo bussò alla sua camera, entrando poco dopo.
«Ciao» lo salutò, osservando con criticità il disordine sul letto del ragazzo. Non fece, però, nessun riferimento a ciò, ormai abituato alla confusione che regnava sempre sovrana in quella stanza.
Davide girò appena il capo, salutando a sua volta e rimettendosi subito al lavoro.
«Hai mangiato?» continuò il padre, mentre un'espressione preoccupata si dipinse sul suo viso.
«No, non ancora» rispose Davide frettolosamente, poco concentrato sulle parole di Pietro e più sulla canzone.
«L'altro giorno ho comprato le lasagne alla gastronomia del supermercato. Hai voglia se le scaldiamo?» chiese cauto, sperando che quel cibo che aveva sempre adorato potesse fargli venire l'aquilina.
«Non ho fame» negò ancora il giovane, cancellando l'ultima frase che aveva scritto. Sbuffò, lanciando la matita sul letto, frustrato dai suoi continui fallimenti.
«Non ho fame, papà» ripeté quando notò l'uomo ancora sulla porta, iniziando a innervosirsi. «Lasciami solo.»
Pietro lo osservò allarmato, muovendosi di qualche passo verso l'uscio della stanza.
Non capiva cosa stesse accadendo. Da un giorno all'altro aveva iniziato a chiudersi in camera, sempre con quel blocco degli appunti sulle gambe, decidendo se e quando uscirne. Ma non poteva continuare così all'infinito. Era suo padre, accidenti! Aveva diritto di sapere.
Si fermò poco prima di chiudere completamente la porta, deciso a concludere quella follia che il figlio si stava arrecando.
«Adesso basta!» inveì, dirigendosi fino ai piedi del letto e guardandolo con le mani sui fianchi. «Ora tu mi dici cosa ti sta succedendo e, poi, ti alzi e vieni a cenare con me.»
«Papà...»
«No, niente "papà"; niente sguardo al soffitto» lo bloccò prima che potesse aggiungere altro. Si sedette in fondo al materasso, stringendo gli occhi, apparendo ancora più autoritario. «Allora?»
Davide sospirò, incrociando le braccia al petto, cedendo sotto quello sguardo.
«Ti ricordi qualche mese fa? È venuta a farmi visita Rose, la ragazza che ho frequentato a Monaco...» incominciò a spiegare, rendendo ancora più confuso Pietro, che non capiva il collegamento tra il suo malessere e la giovane.
«È stato strano rivederla, ma anche d'aiuto» continuò. «Mi ha fatto comprendere che, anche se non riuscirò più a cantare come prima, posso comunque continuare a fare musica... componendo.»
Osservò l'uomo, indicando i fogli sparsi che aveva davanti, e la chitarra appoggiata al comodino. «Ed è quello che sto facendo da qualche settimana. Scrivere mi sta aiutando tanto, nonostante i momenti di sconforto ci sono sempre...
«Non ho avuto nessuna ricaduta, te lo posso giurare. Qualche mese fa, forse, sarebbe potuto accadere, ma ora... qualcosa è cambiato, papà» lo tranquillizzò.
Pietro osservò le scritte e le cancellature sul blocco aperto, riuscendo a leggere le prime righe. Fece un sorriso per, poi, rivolgersi al figlio.
«Qualcosa mi dice che non è solo questo a farti stare meglio, non è vero?» domandò, alzando lo sguardo su Davide e scorgendo un leggero rossore sulle sue guance.
«Quella ragazza... Feller, giusto?» proseguì vedendo gli occhi del giovane illuminarsi e il suo sorriso aprirsi.
«Marianne» annuì lui, mentre un'espressione che era impossibile decifrare attraversò per un attimo il viso del padre. «Con lei è tutto diverso. Mi basta un suo sguardo, un abbraccio, un bacio e, per quei pochi secondi, non esistono più problemi. È riuscita a rendere la mia vita migliore, anche se non credevo fosse possibile.»
Il rossore sulle sue gote, ora, era ancora più vivo. Era in imbarazzo ad aprire il suo cuore e a raccontare quelle cose a suo padre, ma, allo stesso tempo, si sentiva liberato da un peso che si portava dentro da mesi.
«Questa è per lei?» chiese, ancora, l'uomo, indicando il foglio che aveva davanti. Lo prese quando il ragazzo annuì, leggendo quelle strofe mentre il figlio continuava a spiegare.
«È da un po' che ci lavoro, ma non riesco a trovare le parole giuste per la seconda parte» indicò le miriadi di cancellature. «Ogni volta che scrivo una frase mi sembra perfetta, però, quando rileggo il tutto, l'insieme non funziona come vorrei. Ho pensato fosse un problema di ritmica, ma... comunque non mi convince» concluse, sdraiandosi sul cuscino e coprendosi gli occhi con la mano. La fece scorrere sulla fronte, fino a farla passare tra i capelli sospirando.
Il padre lo osservò stringendo le labbra come se stesse pensando intensamente a qualcosa. Notava anche lui qualcosa di strano in quelle parole, ma non come stonatura o rime imperfette; piuttosto come una mancanza. Sembrava, quasi, non venissero dal cuore, ma dalla mente, e di questo ne risentiva l'intera canzone.
«Beh, credo che per il momento hai lavorato abbastanza» dichiarò Pietro, qualche secondo dopo, battendo la mano sinistra sul ginocchio del figlio e appoggiando il blocco degli appunti sul letto. «Vieni a mangiare. A stomaco pieno le cose vengono meglio» suggerì alzandosi e esortando Davide a fare lo stesso.
Quest'ultimo tentennò ma, sentendo lo stomaco richiamare quel cibo che non sempre gli veniva concesso, alla fine annuì.
Rimise in ordine tutti i fogli sparsi attorno a lui. Infine, si alzò sgranchendosi le gambe e seguì il padre, dando un'ultima occhiata al blocco degli appunti prima di uscire dalla stanza.
Eccomi con la nuova parte, come vi avevo anticipato ieri.
Innanzitutto, come va? Spero bene ❤.
Per quanto riguarda il capitolo, alla fine sembra che la paura di Marianne e Pietro sia infondata: stando a quanto detto da Davide, il suo dimagrimento è dovuto solo da un eccessivo lavoro di composizione. Sarà vero?
Comunque sia, suo padre ha deciso di credergli, mentre le risposte estremamente vaghe date a Marianne, hanno avuto l'unico effetto di aumentare le sue preoccupazioni.
Voi che ne pensate? Credete che Davide stia nascondendo qualcosa?
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Prossimo capitolo domenica 8 marzo!
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