Capitolo 36
Scese le scale lentamente. Un gradino alla volta con molta calma; il cellulare alla mano, concentrata sul messaggio che aveva appena ricevuto da Davide: credo che dovrò sottopormi all'operazione. Non so cosa fare...
Un brivido le percorse l'intera colonna vertebrale e le fece drizzare i peli delle braccia. Non riusciva a staccare gli occhi da quelle parole, ripetendole nella mente per trovare qualcosa da scrivergli in risposta.
Non capiva perché fosse così restio ad accettare. Certo, era pur sempre un'operazione, ma gli avrebbe consentito di guarire, cosa di gran lunga migliore del continuare a soffrire nella speranza di un miracolo.
Un'improvvisa ondata di curiosità la pervase, costringendola a uscire dalla chat con il ragazzo per approdare su Google. Cercò qualcosa in più sull'intervento che lo riguardava. Lesse velocemente le spiegazioni che venivano date sull'edema di Reinke, con le cause e i sintomi, per, poi, soffermarsi con maggiore attenzione alle cure proposte. Era arrivata a leggere solo che l'operazione era l'alternativa efficace nel caso in cui la logopedia non funzionasse, evitando l'insorgere di ulteriori problemi, quali noduli più difficili da contrastare, quando una voce alle sue spalle la richiamò violentemente alla realtà, facendola sobbalzare.
«Il tuo amichetto non c'è oggi?»
Gli occhi verdi del cugino la osservarono con talmente tanta intensità che credette potesse addirittura leggere ciò che le stava passando per la mente.
Bloccò il cellulare, rimettendolo nella tasca posteriore dei jeans. Lo sguardo di Massimo seguì quel movimento. Inarcò le sopracciglia prima di alzare, di nuovo, il viso verso di lei, in attesa di una risposta.
«No... oggi non è venuto» balbettò Marianne, intimidita dalla veemenza che si notava nell'espressione del ragazzo.
Costui annuì lentamente, arricciando le labbra.
«Ti va di parlare un po'?» chiese in seguito, dopo quella che alla cugina parve una lunga riflessione.
Lei accettò, capendo che non aveva scelta differente.
Sapeva perfettamente il motivo di quella richiesta; vedeva lo zampino di sua madre, che aveva ingaggiato Massimo per fare ciò in cui lei non era riuscita.
Così, i due uscirono dall'edificio, con il ragazzo davanti, a indicare la via che avrebbero seguito.
Per qualche minuto non volò una mosca. Marianne aspettava che fosse il cugino a iniziare la conversazione. Lui conosceva il suo pensiero su quell'argomento e sapeva anche che non avrebbe cambiato idea così facilmente, perciò non aveva motivo per parlare.
Quando la sua pazienza venne meno, però, si bloccò di colpo, sbuffando.
«Allora?» domandò inquieta, facendo fermare anche Massimo. «Quanto ancora devo aspettare per sorbirmi la tua ramanzina?»
Il ragazzo si girò per guardarla, con un sorriso stampato sul viso che mostrava tutta la sua sagacia.
«Pensavo che ti avrebbe fatto piacere chiacchierare davanti a una bella tazza di cioccolata calda» rispose, mostrandole l'insegna della Loacker cafè dietro di sé.
Marianne corrugò la fronte, riluttante, anche se seguì il cugino a uno dei tavoli sulla piccola terrazza davanti all'entrata.
Di sicuro, aveva optato per un luogo pubblico e frequentato per scongiurare da subito sue possibili sceneggiate.
Presero posto e, una volta ottenute le ordinazioni, capendo che Massimo avrebbe parlato solo dopo un suo intervento, la ragazza espresse il pensiero che l'aveva perseguitata per tutta la camminata.
«Tu lo sapevi, vero? Dei miei genitori?»
Il giovane non rispose subito. Con molta calma, immerse con il cucchiaino il pezzo di banana decorativo nel cioccolato, lo riportò in superficie e se lo mise in bocca. Solo dopo averlo ingoiato annuì, ma fu incapace di ricambiare lo sguardo della cugina.
«Tutti sono a conoscenza del tuo "segreto"» disse, mimando con le dita le virgolette. «Anche i miei genitori.»
Alzò il viso su Marianne, facendosi scappare una risata quando vide la sue espressione sorpresa e contrariata.
«Non puoi veramente credere di aver illuso la tua famiglia e i medici per quasi un anno. Non hai la capacità di cancellare i ricordi delle persone e, di certo, non basta un taglio di capelli nuovo per mettere tutto a posto.»
«Ma... io...»
La ragazza prese aria, cercando di riordinare i pensieri che in quel momento vorticavano furiosamente nella sua testa, per formulare una frase di senso compiuto.
«Tu mi hai mentito per tutto questo tempo?» chiese, infine.
«Non ti ho mentito, accidenti! Ci è stato ordinato di assecondarti in questa... cosa», la indicò con la mano aperta e il palmo rivolto verso l'alto, «finché non fossi stata tu a decidere di smettere. Evidentemente, però, ci hai preso gusto. Neanche adesso che sai la verità riesci a toglierti quella maschera che ti sei cucita addosso.»
La giovane non riuscì a spiaccicare parola, concentrata a trattenere le lacrime che lottavano per uscire. Si sentiva ferita da quelle parole troppo aggressive, dettate solo dalla collera.
Perché non poteva pensarle veramente... Era stato con lei fin dall'inizio, l'aveva incoraggiata.
Sapeva che era il suo modo per affrontare il lutto e sapeva anche che senza quella "cosa", come l'aveva chiamata lui, sarebbe caduta in depressione.
Non ce l'avrebbe fatta a sopportare il dolore.
Ma così... sentiva sua sorella più vicina. Era l'unico modo per tenerla, in qualche maniera, in vita.
Massimo capì dal suo silenzio che aveva calcato troppo la mano con i rimproveri, però, nonostante vedesse la sua sofferenza, decise che non poteva mollare il discorso. Di sicuro, non sarebbe più riuscito a riprenderlo.
Pensandoci, Marianne l'avrebbe di sicuro odiato per il resto della sua esistenza, ma doveva correre il rischio.
«Cosa c'è tra te e Davide Carli?» domandò, mettendo i gomiti sul tavolo di plastica, incrociando le dita delle mani e appoggiandosi sopra il mento, assumendo un atteggiamento simile a quello di uno psicologo durante le sedute con un paziente particolarmente difficile.
Lo sguardo della ragazza si indurì sentendosi improvvisamente con le spalle al muro, in trappola.
«Me lo hai già chiesto e la risposta non è cambiata» mentì mettendosi sulla difensiva. Abbassò il viso per non far notare il rossore sulle sue guance, e si mise a mescolare con il cucchiaino la cioccolata che si stava pian piano raffreddando.
Un angolo della bocca del cugino si sollevò verso l'alto, notando quell'imbarazzo e sapendo che ciò che aveva appena detto era una bugia.
«Vi ho visti venerdì sera» ammise, ridiventando serio e socchiudendo gli occhi quando la frase compì l'effetto aspettato.
«Io credo che il vostro rapporto sia un po' più di "solo amici".»
La ragazza strinse la mascella osservandolo con occhi spalancati. Deglutì a fatica cercando di riprendersi. La sorpresa per quella frase l'aveva talmente tanto sconvolta che avrebbe voluto alzarsi e fuggire via, solo per non vedere più il sorriso soddisfatto stampato sul viso di Massimo.
Si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio, chiudendo le palpebre. Organizzò velocemente i pensieri: ogni tentativo di eluderlo era da escludere; ormai aveva le mani legate e l'unica cosa che poteva fare era mostrarsi arrendevole all'evidenza.
Puntò, ancora, lo sguardo sul giovane, ma le sue labbra non volevano separarsi e la voce le si fermò in gola. Non sapeva cosa dire.
E, poi, doveva proprio farlo? La sua vita privata non avrebbe dovuto interessare al cugino e, se voleva frequentare una persona, qualsiasi rapporto essi avrebbero avuto, non doveva certo farne capo a lui.
Continuarono a osservarsi l'un l'altra in modo truce, cercando di interpretare le emozioni che venivano fatte trapelare, anche involontariamente, finché Massimo, capendo che non sarebbe riuscito a tirare fuori nient'altro dalla bocca di Marianne, se non con continue pressioni, sospirò, finalmente rompendo il silenzio asfissiante che si era creato.
«Lo sa?» domandò. Non c'era bisogno di aggiungere altro. Quelle due semplici parole bastavano per far tremare la ragazza.
«No» esclamò, scrollando la testa per cercare di togliersi quella brutta sensazione che le era venuta. «Ovvio che no.»
Massimo strinse la tazza tra le mani, beandosi di quei ultimi momenti di calore.
«Dovresti rivelarglielo» proseguì, portandosi l'oggetto in ceramica alla bocca e sorseggiando la bevanda con calma e tranquillità, per nulla turbato dallo stato d'animo di Marianne, che stava per crollare sopraffatta da emozioni troppo forti per essere contenute in un corpo così magro e provato.
«Sei impazzito, per caso?» ribatté, stringendosi nelle spalle per placare i tremiti che la scuotevano con forza. «Se glielo dico, lui potrebbe...»
Si bloccò di colpo, incapace di formulare l'ultima parola, che la spaventava più della morte.
«Lasciarti?» completò il giovane al suo posto. «Sì, molto probabile», gli occhi spaventati della cugina scattarono su di lui, «ma più aspetti, più questa probabilità aumenta. E, inoltre, esiste il rischio che lo venga a sapere dal padre.»
Marianne smise di stringersi le braccia, lasciandole cadere lungo i fianchi. Doveva ammettere che i ragionamenti di Massimo avevano un fondamento più che solido; ma dove poteva trovare il coraggio per fare una cosa del genere? Non era semplicemente rivelare di aver perso la sua gemella o di non riuscire più a riprendere in mano un microfono. Questo significava costringere Davide a rimettere in gioco quei mesi in cui si erano conosciuti e che avevano trasformato l'amicizia in amore. Lo costringeva a rivedere la sua relazione con lei.
Se avesse deciso di non volerci più avere nulla a che fare, non sapeva veramente come avrebbe potuto continuare a vivere.
Aveva bisogno di lui.
Più di ogni altra cosa.
«Se non lo fai tu, lo faccio io» l'avvisò il cugino, bevendo le ultime gocce di cioccolata e pulendosi la bocca con un tovagliolino di carta.
Il cuore di Marianne si mise a battere furiosamente contro la cassa toracica, in un modo così violento che fece difficoltà a prendere aria.
«Perché mi stai facendo questo?» domandò al limite delle lacrime.
«Per il tuo bene» rispose.
Sembrava completamente indifferente di fronte al dolore della ragazza.
«E per quello di chi ti sta accanto» aggiunse.
Si alzò dalla sedia prendendo il taccuino di pelle.
«Offro io» le comunicò, entrando nel bar per pagare le due bevande, e Marianne capì che ciò era stato programmato per lasciarla ragionare sulla proposta.
Quando sentì dei passi dietro di sé e la figura del cugino entrò nel suo campo visivo, aveva preso la sua decisione.
Prese un respiro, riempiendo i polmoni di aria fredda e rinvigorendosi un po'.
«Lo farò io» disse, osservando Massimo agguantare lo zaino e metterselo in spalla. «Però... dammi un po' di tempo, okay? Voglio trovare il momento adatto» mormorò, capendo che era l'unica cosa che potesse fare. Dirglielo sarebbe stato difficile, ne era certa, ma lasciare che lo venisse a scoprire da qualcun altro era di gran lunga peggiore.
Il giovane annuì. Un senso di rammarico lo pervase quando vide l'emancipazione che quella conversazione spiacevole aveva creato su Marianne. Nonostante ciò, non aveva rimorso. Era stato necessario farlo se non voleva rischiare di perderla in futuro.
«Io il tempo te lo do, ma tu sei sicura di averne a sufficienza?»
Parlò per l'ultima volta e, poi, si allontanò, lasciando la cugina al tavolo da sola e preda di tormentati dubbi.
In questo capitolo, abbiamo visto un Massimo un po' diverso dal solito. È stato molto duro con Marianne, forse troppo?
La motivazione c'è, però...
Ancora una volta si parla del segreto che la ragazza custodisce; un segreto che potrebbe distruggere il rapporto che ha con Davide.
Avete qualche idea su cosa possa essere?
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Prossimo capitolo domenica 17 novembre 💕.
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