Capitolo 29
Fuori il sole batteva sul vetro della finestra, illuminando tutta la stanza e rendendola di una piacevole tiepidezza, nonostante i primi di febbraio. Davide, però, questo dolce tepore non lo sentiva e, a cadenza periodica, veniva scosso da brividi freddi.
Stava osservando l'uomo in camice bianco davanti a sé con trepidazione, torturandosi le maniche della maglia con nervosismo. Accanto, suo padre gli teneva una mano sul ginocchio, cercando di confortarlo più che poteva.
«Allora?» domandò Pietro, stanco di quell'attesa che sembrava non finisse mai. Si chiese quanto ci voleva a caricare gli esami e controllarli per poter dare un esito.
Il dottore, al suono della sua voce, sembrò risvegliarsi da una specie di trance. Unì le dita delle mani toccandosi con la punta le labbra, appoggiando successivamente i gomiti sulla scrivania e girandosi con il busto verso il suo giovane paziente. Sospirò, sistemandosi gli occhiali che continuavano a scivolargli sul naso.
«Allora, Gabriele?» ripeté il padre di Davide, innervosendosi a causa del suo atteggiamento. «La terapia sta funzionando?»
Ci fu un altro sospirò da parte del medico, come se rivelare l'esito degli esami costasse un'energia che lui non aveva. Forse si era affezionato troppo a quel ragazzo segnato così duramente dalla vita.
«Purtroppo no» ammise infine. «O almeno, non come ci aspettavamo.»
Davide chiuse gli occhi, smettendo di tirare e rigirare su un dito la maglia che indossava. Cosa si sarebbe dovuto aspettare? Dopotutto, se lo immaginava. Si maledì solo per averci sperato. Quell'edema alla corda vocale destra era stata la sua rovina e la logopedia, il percorso che aveva scelto per evitare l'intervento chirurgico, non era bastato per farlo guarire completamente.
«Quindi cosa possiamo fare?» domandò il padre dopo qualche secondo di riflessione.
«La soluzione che mi sembra più ovvia, ora come ora, è la chirurgia...» iniziò il foniatra.
«No» lo interruppe subito Davide, guardandolo con gli occhi sgranati. Sapeva che accettando e sottoponendosi all'intervento non avrebbe più avuto la stessa voce; ciò significava rinunciare definitivamente a ritornare a cantare come prima e, poteva sembrare stupido, lo sapeva, ma se ci fosse stato qualsiasi altro modo per riassorbire totalmente l'edema, l'avrebbe seguito, anche a costo di continuare la riabilitazione per mesi.
«L'unica cosa buona è che stiamo riuscendo a tenerlo sotto controllo, ma non possiamo continuare così all'infinito. Rischi che si trasformi in un nodulo e, allora, l'operazione sarà necessaria» proseguì il medico, rivolgendosi al ragazzo.
«Davide, sei sicuro di non voler eliminare il problema subito?» gli domandò suo padre, apprensivo per la salute del figlio.
«Sicuro.»
«Guarda che non farà male, non è vero, Gabriele?» continuò lui.
L'uomo a cui si era rivolto annuì. «Sarai in anestesia totale e non sentirai nulla. Inoltre, potrai ritornare a parlare normalmente dopo qualche giorno di riabilitazione, massimo una o due settimane» spiegò in seguito, ma il giovane continuava a scuotere la testa.
«Non voglio» disse semplicemente, sperando che l'argomento si chiudesse.
«Ma, Davide...» cercò di protestare il padre, interrotto però quasi subito.
«Ho detto di no» fece a denti stretti con lo sguardo basso, trattenendosi dal non urlare per non sforzare la voce, e stavolta Pietro non insistette.
«Okay, allora...» il foniatra scrisse qualcosa sul computer accanto a sé, per poi stampare il foglio e consegnarlo firmato al ragazzo. «Prendi questo per non più di una settimana. È del semplice cortisone, ma ti aiuterà ad alleviare il dolore.
«Come sempre, non forzare la voce e bevi molto per mantenere idratate le corde vocali. Finito con quelle» indicò il foglio, «continuiamo con i rimedi naturali e gli esercizi per la voce, aumentando le sedute a cinque volte a settimana» continuò togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il punto in cui il naso toccava la fronte.
Il giovane annuì.
Sapeva che così facendo avrebbe perso quasi tutte le lezioni all'università, rischiando veramente di ritrovarsi in difficoltà con gli esami, ma era disposto anche a fare esercizi tutti i giorni se questo gli avrebbe permesso di guarire risparmiandosi l'operazione.
Davide e Pietro salutarono e ringraziarono il medico, uscendo dall'ambulatorio del pronto soccorso, dirigendosi alla farmacia più vicina. Qualche minuto dopo si ritrovarono in macchina del padre, con la scatola delle pastiglie prescritte in un borsa che teneva il ragazzo. Per tutto il viaggio il silenzio aveva avvolto i due richiudendoli in bolle separate: l'uomo puntava lo sguardo sulla strada e solo di tanto in tanto osservava il figlio.
Quest'ultimo era appoggiato sul finestrino con la testa, le palpebre socchiuse, come se stesse pensando intensamente a qualcosa; e infatti i suoi occhi erano velati da ricordi dolorosi, che come una maledizione lo avrebbero accompagnato fino alla morte.
«Dovresti concentrarti di più, ragazzo».
L'insegnante di coro aveva sospeso le prove per qualche minuto, dopo l'ennesimo errore di Davide e ora lo stava riprendendo con un tono frustrato.
Aveva discusso a lungo con i colleghi per la decisione delle parti da solista. Di solito venivano scelte persone degli ultimi anni, poiché più qualificate, ma in quel caso era stata fatta un'eccezione; o meglio, lui gli aveva convinti del talento del ragazzo, nonostante la sua giovane età. Già quando aveva analizzato la richiesta d'iscrizione con annesso i suoi risultati nel conservatorio italiano, aveva capito che si trovava davanti un'eccellente cantante e musicista, e credeva fosse giusto mostrare la sua bravura e il suo impegno a chi avrebbe potuto inserirlo in quel mondo.
I concerti di fine semestre erano un'occasione che tutti gli studenti di quella scuola avrebbe voluto avere, ma che a pochi spettava.
Aveva dato la sua buona parola per Davide, assumendosi il rischio che avrebbe potuto portare il lancio di un ragazzo ancora un po' acerbo su quel palco, al cospetto di tutti quelle persone pronte per giudicarlo, convinto che avrebbe dato il cento per cento come sempre. Invece, qualcosa era cambiato: era disattento e continuava a sbagliare sia le note che gli attacchi. Inoltre, sembrava che stesse forzando la voce nei punti più alti.
«Forse, non sei ancora pronto per tutto questo» continuò con un tedesco di forte accento bolzanino, mettendo voce ai suoi pensieri. Si appoggiò al pianoforte a coda bianco, aspettando una risposta da parte del giovane, osservandolo con perplessità.
Questo, però, restava seduto sullo sgabello di fronte al professore, incapace di produrre alcun suono, torturandosi in continuazione la maglia. Voleva dire la verità, urlare che il problema non era il troppo nervosismo, che poteva continuare e calcare quel palco come uno dell'ultimo anno, ma le sue labbra restarono sigillate in un silenzio quasi imbarazzante.
L'insegnante sospirò dispiaciuto. Credeva veramente che lui avrebbe potuto fare una buona impressione, nonostante quelle prove non avevano dato i risultati sperati, ma se non aveva neanche la forza per combattere contro l'ansia, non poteva costringerlo. Avrebbe dovuto ammettere ai suoi colleghi il suo abbaglio e scegliere Uber, quel ragazzo del quinto anno che era stata la proposta iniziale del consiglio.
Si raddrizzò, abbassando il coperchio che proteggeva i tasti. Non avevano praticamente ancora iniziato le prove reali - secondo il progetto iniziale, Davide avrebbe dovuto fare un'esibizione totale, con voce e strumento - che dovevano già smettere.
«No, aspetti!» Il ragazzo finalmente emise un suono. «Ce la posso fare, mi lasci riprovare» supplicò, alzandosi in piedi e fronteggiando l'uomo con decisione.
Questo si trattenne dal sorridere vedendo la determinazione nel suo sguardo. Senza dire nulla, sollevò il coperchio e fece le prime note, in modo che potesse regolarsi con l'attacco.
Davide bevve un po' d'acqua. Una voce dentro di sé continuava a ripetergli di smettere di cantare, di lasciar riposare le corde vocali come gli era stato ordinato dal medico, ma non poteva rinunciare a quello. Non voleva.
Deglutì, sentendo la gola bruciare prepotentemente. Il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore che cercò di dissimulare con un schiarimento di voce. L'insegnante non vide nulla, oppure preferì non vedere nulla.
Stavolta, il ragazzo cercò di seguire le note meglio che poteva, ignorando beatamente il fastidio e quasi costringendo se stesso a raggiungere i volumi imposti dalla canzone. Alla fine del primo testo il risultato era più accettabile, ma Davide sentiva che la sua voce stava iniziando a cedere, e se ne accorse anche il professore.
«Basta così per oggi» annunciò smettendo di suonare e il giovane ringraziò mentalmente per quella decisione. Si toccò appena la gola sentendola più gonfia di quanto avrebbe dovuto essere.
L'uomo alzò lo sguardo su di lui, tagliente e per nulla felice di quell'ultima prova.
«Che cosa stai facendo?» domandò duro.
Davide si schiarì di nuovo la voce, sperando che non risultasse troppo strana.
«In che senso? Non andava bene?» chiese a sua volta.
«Assolutamente no!» esclamò il professore alzandosi in piedi e avvicinandosi al ragazzo.
«Io ce la sto mettendo tutta...» balbettò lui, intimidito da quell'atteggiamento. Erano rare le volte in cui il professor Radler si arrabbiava e non voleva deluderlo.
«Che cos'hai in quella testa?» continuò, alzando leggermente la voce. «Hai intenzione di diventare un cantante di successo o no?»
«S-sì, certo...». La fronte corrugata di Davide faceva intendere subito la sua confusione per quelle parole. Ma era andato veramente così male?
L'uomo scosse la testa sospirando. «E allora, che cavoli stai facendo?» ripeté. «Per tutta la canzone ho sentito che stavi forzando la voce in un modo assurdo. Se non vuoi evitare una lesione alle corde vocali devi smetterla! Non sei nella tua forma migliore e non stai rispettando il tuo strumento di lavoro».
Ora stava quasi urlando, facendo sobbalzare il ragazzo dalla sorpresa. Vedeva il suo sogno scivolargli via dalle mani come vapore.
«Vai a riposarti, le prove sono finite» disse, in seguito, il professore, abbassando la voce.
«Finite? Vuole dire che mi toglie la possibilità di partecipare al concerto?» domandò Davide non sapendo se essere sollevato o arrabbiato con se stesso per ciò.
«Non ancora» rispose Radler. «Prendi qualcosa per la gola e la settimana prossima vediamo se puoi esibirti o meno».
Quest'ultimo sistemò gli spartiti che aveva sparpagliato sul pianoforte, per poi inserirle in una cartellina verde. Davide gli passò accanto senza dire nulla, con la testa abbassata in segno di resa.
«Trova qualche attività per ridurre lo stress. Aiuta molto. So come ti senti, ci sono passato anch'io, ma possiamo lavorarci su» gli consigliò poco prima che uscisse dall'aula. Il ragazzo annuì e ringraziò, per poi chiudere dietro di sé la porta.
Nelle settimane successive si era riempito di cortisone e caramelle per la gola per poter cantare, ma, alla fine, la voce si era presa la sua rivincita per tutti quei maltrattamenti, costringendo ad ammettere al professore che quello non era semplice stress da esibizione. Aveva ricordi sfuocati di quei momenti; rammentava solo il dolore lancinante alla gola e i continui colpi di tosse a tal punto da dover essere ricoverato in ospedale. Lì aveva avuto la prima batosta: quello che era iniziato solo come una laringite, si era trasformato in qualcosa di molto peggiore.
Abbassò di poco il finestrino dell'auto. Improvvisamente sentiva l'aria mancargli.
Ancora si malediva per ciò che aveva fatto. Invece di seguire il buon senso aveva voluto tirare la corda fino alla rottura. Ma sapeva anche il perché di quel comportamento: se avesse rifiutato, molto probabilmente non sarebbe stato tanto fortunato da ottenere un'altra possibilità. Voleva solo resistere fino al concerto e, poi, avrebbe seguito le cure in modo rigido. Purtroppo non ce l'aveva fatta...
Gli venne quasi da sorridere per quello strano tempismo; se quella laringite gli fosse venuta qualche mese dopo, ora sarebbe ancora a Monaco. Non avrebbe, però, mai incontrato Marianne, e non sapeva dire quale delle due cose avrebbe scelto di rinunciare se avesse potuto. Una voce nella sua mente gli sussurrò che, tempo prima, avrebbe ceduto qualsiasi cosa pur di continuare a cantare, ma ora... non ne era più così sicuro. Sperava, almeno, che quell'interesse che man mano cresceva per la ragazza, potesse veramente fargli dimenticare la sua precedente vita.
Forse è meglio così, si ripeté e ripensando a lei il suo cuore prese a battere più forte, mentre le immagini dei giorni precedenti si trasformarono in un film proiettato solo per lui.
Con questo capitolo scopriamo un po' di più sul problema di Davide, e come è venuto a crearsi.
Spero vi piaccia 💕.
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Prossimo capitolo domenica 22/09 😘.
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