Capitolo 17

«Sta avendo un attacco di panico» si fece avanti Davide prendendo in mano la situazione.
«Respira Marianne, calmati» disse, poi, rivolto alla ragazza che stava boccheggiando in cerca di aria. Lei cercò di fare come le era stato detto, ma non migliorò. Non riusciva a tranquillizzarsi.

Massimo osservò Davide, confuso da quella sua improvvisa apparizione e, prima ancora che potesse aprire bocca, quest'ultimo parlò.

«Vai a prendere un bicchiere d'acqua» ordinò, mettendo il braccio di Marianne attorno alle sue spalle e circondandole il busto, sorreggendola.
Quando Davide vide che l'altro non si muoveva, lo incitò con un «sbrigati» e poi si incamminó verso la porta d'uscita, in modo da far prendere una boccata d'aria fresca alla ragazza.

Avrebbe voluto portarla fino al patio, in modo da farla sedere su una sedia, ma lei, appena fuori, si divincolò dalla sua presa, avvicinandosi al muro del teatro e lasciandosi scivolare a terra.
Appoggiò la testa alla struttura chiudendo gli occhi e prendendo respiri sempre più profondi.

Davide la guardò un po' sconcertato per il posto in cui si era seduta, non proprio uno dei più puliti della città, ma non cercò di spostarla, notando il suo colorito e la difficoltà che ancora aveva a respirare.
Si guardò attorno chiedendosi dove fosse finito quel ragazzo che l'accompagnava - quanto ci voleva a chiedere un bicchiere d'acqua al bar? - e poi si inginocchiò davanti a Marianne.

«Guardami» le ordinò.
Lei aprì gli occhi lentamente, puntandoli nei suoi e anche a lui, per un secondo, mancò l'aria.
Il suo cuore iniziò ad accellerare senza motivo, sciogliendosi di fronte a quello sguardo sofferente.
Per un attimo gli sembrò che il tempo si fosse fermato.

Vide un'ombra di confusione sul viso della ragazza e cercò di riprendersi velocemente. Raddrizzò la schiena, ingoiando la saliva più volte, e poi continuò.

«Fai come me: inspira con il naso ed espira con la bocca» le mostrò cercando di prendere un ritmo che lei potesse seguire.

La ragazza ubbidì e piano piano il suo respiro si fece più regolare.
Non staccava lo sguardo da quello di Davide, ormai un punto di riferimento per aiutarsi a calmarsi, e il ragazzo iniziò a farsi un po' più rosso, senza neanche rendersene conto.

Di nuovo lo prese quella sensazione di immobilità temporale e iniziò ad ammirare ogni singola particolarità dei suoi occhi. Non si era mai accorto di quanto belli fossero: di un azzurro che anche in quel momento gli sembrò brillasse; più chiaro al centro e più scuro al bordo. Delle piccole pagliette di un colore molto più simile al verde acqua partivano dalla pupilla. Erano unici e non solo per il colore particolare o per la forma, leggermente a mandorla. Gli sembrava che ci fosse un legame che li univa con quello semplice scambio di sguardi e avrebbe voluto che non finisse mai, nonostante sapesse che lo stava imbarazzando all'inverosimile.

«Ecco l'acqua» sentì pronunciare da dietro la sua schiena; sobbalzò leggermente e quello lo fece riscuotere subito.
Sì fece passare il bicchiere e aiutò Marianne a bere piccoli sorsi.

Con tutte quelle premure, la ragazza riuscì a tranquillizzarsi e riprese un colorito più naturale, nonostante si vedesse che fosse ancora scossa.

«Va meglio?» le chiese Davide apprensivo.
Quando lei annuì, lui si alzò, sentendo già che le gambe iniziavano a formicolare, e si appoggiò a uno dei tre paracarri posizionati davanti alla struttura del teatro.
Accanto a lui si mise l'altro ragazzo; lo sentì sospirare più tranquillo e lo puntò con lo sguardo. Più lo guardava e più era sicuro. Aveva avuto la stessa impressione la prima volta che lo aveva incrociato nel corridoio dell'università: l'aveva visto ancora, ma non riusciva proprio a ricordare dove.

«Ehi». Uno schiocco di dita, davanti agli occhi, lo fece sobbalzare dallo spavento.

«Hai capito quello che ti ho chiesto?» gli fece il ragazzo, ricevendo in risposta solo uno sguardo confuso.
Questo sospirò, come se ripetere la domanda gli costasse una fatica che non aveva. «Come facevi a sapere che stava avendo un attacco di panico?»

Davide guardò Marianne quasi involontariamente. Lo stava fissando ancora con il bicchiere alle labbra.

«Mi era già capitato di assistere a una cosa simile» spiegò lui, non staccando gli occhi dalla ragazza. Lei allontanò il bicchiere e, dal suo sguardo, capì che aveva inteso il vero significato di quelle parole.

Virò gli occhi sul cugino richiamando la sua attenzione. Non voleva che la conversazione prendesse una piega che avrebbe messo Davide in una posizione scomoda, oltre che dolorosa. Preferì svuotare l'irritazione che aveva in corpo, aumentata da quello che le era appena accaduto, su Massimo.

«Per caso, eri a conoscenza del tipo di spettacolo che mi hai costretto a vedere?» gli domandò rude.

Lui la osservò titubante, sentendo anche gli occhi di Davide su di sé.
Annuì quasi impercettibilmente, capendo subito che Marianne non ne sarebbe stata tanto felice.

«E i miei genitori? Anche loro lo sapevano?» chiese ancora, con la rabbia pronta a esplodere se la risposta fosse stata affermativa.

«No, loro non sapevano niente. Solo che ti avrei portato a teatro» mormorò Massimo con il viso rivolto verso terra.
«Ma anche se lo avessero saputo, sarebbero stati d'accordo. Vogliamo solo il tuo bene, Marianne» esclamò sperando di farla ragionare, «ed ero sicuro che questo fosse il modo migliore per farti reagire».

La ragazza socchiuse gli occhi, guardando furente il cugino.

«Non era pronta» si intromise Davide, nonostante sapesse che era una cosa tra loro due e tale doveva rimanere. Solo che conosceva perfettamente quelle sensazioni; le aveva vissute sulla sua pelle fin troppe volte.

«Tu stanne fuori» gli intimò Massimo.

Davide si raddrizzò, alzandosi dal paracarro su cui era seduto. Anche se sapeva che aveva ragione, non sopportava quelli che usavano un tono così ostile verso persone che non conoscevano. Ricambiò l'occhiata torva del ragazzo con forse più fastidio di quanto fosse necessario. Anche il comportamento gli faceva presupporre di conoscerlo, e già dal primo sguardo aveva provato una sorta di antipatia verso di lui.

«Non parlargli così» stavolta fu Marianne a intervenire.

Massimo la guardò quasi sconcertato. «Lo difendi e non lo conosci neanche; preferisci attaccare me invece, tuo cugino.»

Poi, forse ferito dal fatto che la ragazza non lo sostenesse come aveva creduto ma appoggiasse Davide, mormorò: «proprio una bella famiglia ho».

Lei non riuscì a comprendere del tutto il significato di quell'ultima frase; credette solo che stesse facendo la parte della vittima, perciò non ci dette eccessivo peso.

«Parli tanto di famiglia, ma non ti sembra strano che una persona che per me sia quasi uno sconosciuto sia stata l'unica che sia riuscita ad aiutarmi e a capire veramente come sto?»

Il ragazzo scosse la testa con un sorriso a metà, forse perché incapace di controbattere sapendo comunque, nel profondo, che lei aveva ragione, anche se avrebbe avuto difficoltà ad ammetterlo.

«Hai appena visto cosa mi è accaduto Max, quindi non credo che proprio tu sia nella situazione di dire cosa mi faccia bene o no!» aveva alzato la voce, sentendosi quasi presa in giro dal cugino che, nonostante sapesse meglio di chiunque altro cosa aveva passato e cosa stava passando in quei mesi, sembrava indifferente alla sua sofferenza.

Appoggiò il bicchiere accanto a sé, decisa ad alzarsi finalmente da terra visto che il respiro le era tornato pressoché normale e la testa non le girava più così vorticosamente. Il movimento forse troppo deciso, però, la destabilizzò; per un secondo vide tutto nero.

Davide scattò in avanti preoccupato che potesse cadere, così come Massimo; essendo il più vicino, fu questo ad aiutarla a sorreggersi.

Quando sprazzi di colori si fecero spazio tra l'oscurità, si divincolò quasi con fastidio dalla stretta del cugino, preferendo di gran lunga il sostegno del muro freddo. La testa le pulsava, ma il dolore fisico era sopportabile; quello dell'anima meno. Voleva andarsene da lì il prima possibile perciò, appena si rese conto che riusciva a camminare senza avere eccessivi giramenti, sorpassò i due ragazzi che la guardavano ancora confusi, decisa a raggiungere la stazione per tornare a Trento.

«Dove stai andando?» sbuffò Massimo, allungando il braccio per fermarla.

«Alla stazione. Voglio tornare a casa» rispose lei perentoria, senza nessuna intenzione di fermarsi.

«E come pensi di arrivarci?» continuò il cugino. «A malapena ti reggi in piedi. Rischieresti solo di farti prendere sotto da una macchina.»

«E che lo facciano allora!» fece lei di rimando. «Almeno così smetterei finalmente di stare male» mormorò in seguito, ma non abbastanza piano perché Massimo e Davide non la sentissero.

Quella frase scosse entrambi profondamente, a tal punto che nessuno dei due riuscì a pronunciare parola. Nel mentre Marianne aveva continuato a camminare con il suo passo infermo, tenendosi finché aveva potuto alla recinzione del patio. Il primo a muoversi fu Davide; lei, o meglio, la possibilità che tornasse a cantare, era diventato il suo unico scopo. Se le fosse accaduto qualcosa non avrebbe mai potuto perdonarselo, e l'idea che gli era venuta poteva essere un altro passo per far sì che lei si fidasse di lui.

«Aspetta Marianne» la richiamò quando la raggiunse. «Ti accompagno io a Trento» disse d'un fiato sperando che accettasse; quelle parole erano riuscite finalmente a fermarla. «Ho parcheggiato la macchina lì» continuò lui, in leggero imbarazzo, indicando il parcheggio vicino al teatro. «Di certo è più sicuro e meno stancante che andare a piedi fino alla stazione. Sarebbe meglio se tu non ti sforzassi troppo, nonostante ti senta meglio.»

La ragazza rimase per un po' in silenzio, soppesando quelle parole per capire se poteva essere una soluzione migliore. Alla fine si convinse che lo era. «Ok, va bene. Ovviamente se non ti pesa...»

«Nessuno peso, tranquilla. Dopotutto te l'ho chiesto io». Davide sorrise, felice che avesse accettato.

«Devo prima chiedere a mio padre» continuò indicando con il pollice, il teatro dietro di sé. «Ma ci metto solo una manciata di minuti; tu aspettami qui.»

Quando lei annuì, lui sfrecciò via rientrando nella struttura con il cuore che gli batteva a mille. Si sentiva così entusiasta, e non riusciva a capirne il motivo: stava solo per accompagnarla a casa. Però, si disse, se lei aveva accettato significava che lo considerava almeno un amico, perciò stava iniziando a fidarsi di lui. Nonostante sapesse che aveva ancora un rifiuto verso la musica – aveva visto con i suoi occhi cosa era accaduto solo per aver rivisto delle persone cantare su un palco come aveva fatto anche lei –, e perciò non sarebbe stato così immediato l'avvicinarsi ad essa, era sicuro che il passo più importante l'aveva già compiuto.

Povera Marianne. Una serata che doveva prospettarsi di puro svago si è, invece, trasformata in un incubo.
Per fortuna Davide si trovava anch'esso a teatro.

Secondo voi, Massimo ha fatto bene a costringere la cugina a guardare uno spettacolo che sapeva l'avrebbe scossa, per aiutarla a superare il rifiuto che ha per la musica? Voi fareste lo stesso con un amico o un parente a cui tenete molto?

Fatemelo sapere nei commenti 😘.

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Prossimo capitolo domenica 31/03 (tanto per concludere il mese in bellezza 😂).

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