Capitolo 13
Marianne rimase di ghiaccio a quelle parole. Era sconvolta. Mai, neanche nei suoi incubi più feroci e brutali, avrebbe potuto immaginare una cosa del genere. Prima della perdita, la musica era sempre stata per lei un aiuto e un sostegno; un'amica in cui poteva rifugiarsi in qualsiasi momento di difficoltà. Sapeva che era così anche per lui; lo vedeva nei suoi occhi, lo sentiva nel dolore delle parole che aveva pronunciato.
Era vero: la sua, dal punto di vista di Davide e delle altre persone, appariva come una scelta. Non sapevano quanto comunque avesse sofferto per quella decisione. Se avesse potuto sarebbe tornata indietro nel tempo per evitare l'incidente e tutto quello che ne era susseguito.
Soffriva Davide, soffriva anche lei. Non c'era bisogno di dirlo; il ragazzo ora lo aveva capito.
Lo osservò trovando tutto così ingiusto.
Perché accadevano queste cose? E perché proprio loro erano stati costretti a subirle?
Le venne in mente una frase che si ripeteva sempre da bambina: non bisogna mai smettere di inseguire i propri sogni, anche se questo significa andare contro tutto e tutti.
Per anni lo aveva usato come un mantra; era servito per infonderle il coraggio che molte volte sapeva di non avere. Ma ora le sembrava insignificante, quasi stupida considerando quello che le aveva rivelato Davide.
Si poteva lottare, provare a fare di tutto, ma delle volte nulla era abbastanza. Era il destino a fare la mossa finale, decretando lo scacco matto che metteva fine alla partita.
Un sospiro da parte di Davide la fece risvegliare dai suoi pensieri. Lo vide ricambiare lo sguardo, ma sembrava spento.
«Non dici niente?» mormorò lui.
«Cosa dovrei dire?» domandò alzando le sopracciglia confusa dalla richiesta. «Dovrei dirti che mi dispiace? Dovrei confortarti?» continuò senza neanche lasciare il tempo al ragazzo di rispondere. «Non sono brava a mentire. Non conosco la tua storia, non ti conosco abbastanza, ma da quello che mi hai detto non credo che il "andrà tutto bene" e "si sistemerà ogni cosa" siano le frasi che vorresti sentirti dire.»
Davide la guardò sorpreso e con gratitudine. Non si sarebbe mai aspettato una risposta come quella.
«Le ho sentite anch'io troppe volte in questi mesi e le ho sempre odiate» spiegò quando lui rimase in silenzio.
«Hai ragione... Grazie» affermò il giovane dopo qualche secondo di riflessione, senza staccarle gli occhi di dosso. Un piccolo sorriso solcò l'espressione imperturbabile della ragazza.
«Posso... Abbracciarti?» mormorò ancora sentendo il bisogno di un gesto d'affetto; era in imbarazzo per quella richiesta. Non voleva che pensasse male, ma sentiva un legame con lei. Forse perché entrambi stavano lottando contro una forza invisibile che era entrata improvvisamente nella loro vita, distruggendola.
Lei tentennò, più che altro per la sorpresa, ma le ci vollero pochi secondi per prendere una decisione. Si avvicinò, poggiandogli le braccia attorno al collo e il mento sulla spalla destra, mentre lui le cingeva la vita. Lo sentì stringere leggermente e ringraziarla una seconda volta, e così, nascosta ai suoi occhi, si lasciò andare a un vero sorriso.
***
Finite le lezioni di quella mattina, dopo essere tornato a casa per pranzo, aveva preso la macchina e si era diretto in montagna, alla piccola baita di famiglia. Non ci era entrato, avendo dimenticato di prendere le chiavi, ma si era seduto sull'erba lasciandosi riscaldare dal sole.
Mentre si beava di quella tranquillità, la sensazione che aveva provato quando aveva tenuto tra le braccia Marianne iniziò a farsi sentire di nuovo prepotente.
Le era sembrata così magra, così fragile che aveva avuto paura che, stringendo troppo forte, si sarebbe spezzata. Per qualche motivo che lui sul momento ignorò, il cuore gli mancò un battito.
Non ci dette troppo peso - aveva cose più importanti a cui pensare - e notando l'ora tarda che si era fatta, decise che era meglio tornare a casa. Sulla via del ritorno l'esito degli esami continuava a tormentarlo; era riuscito a tenere l'agitazione sotto controllo per tutto il giorno grazie alla mattinata passata a lezione con la ragazza, ma ora che era di nuovo da solo con la sua mente, tutte le preoccupazioni erano riaffiorate prepotentemente lasciandogli un nodo alla bocca dello stomaco.
Tornato a casa si rinchiuse nella sua stanza attendendo l'arrivo del padre.
Si lasciò cadere sul letto e si mise le mani sotto la testa, iniziando a osservare il soffitto di legno. Gli eventi che aveva cercato di eliminare, o che almeno aveva sperato di metabolizzare, erano un punto fisso nei suoi pensieri. Gli occhi lucidi, che trattenevano ancora a stento le lacrime, mostravano chiaramente il dolore che stava provando.
Si girò di lato, verso il comodino anch'esso di legno, e prese una foto. Rappresentava una combriccola di amici. In mezzo all'immagine c'era lui. Sorrideva facendo il segno di vittoria mentre abbracciava forte una ragazza, anche lei allegra e spensierata. Accanto a loro erano raffigurati altri due ragazzi. Lo scatto gli aveva immobilizzati con due facce buffe, quasi fatte apposta per rovinare la dolce rappresentazione della "coppia perfetta".
Quanti ricordi gli faceva scaturire quel piccolo pezzo di carta! Era stata scattata qualche giorno prima dell'inizio di quella tortura, a Monaco, dove aveva studiato per un po' di tempo. Non aveva più rivisto i suoi amici, Samuel e Richard, e neanche lei, Rose... Se n'era andato senza dire nulla, scomparendo da un giorno all'altro, quasi come fosse svanito nella notte, con il buio. Aveva cambiato numero e aveva creato un muro attorno a tutto quello che era accaduto in quella città.
Nonostante ciò, le emozioni che provava semplicemente guardando quella foto - il suo unico legame con il passato - erano ancora molto forti.
Strinse a sé l'immagine, poggiandola sul cuore, mentre dolorosi ricordi ritornarono ad affollargli la mente.
Lo scalpiccio delle scarpe sul cemento alimentarono i suoi pensieri. Formavano una sorta di musica che seguiva il suo stato d'animo in quel momento.
«Tutto bene, niente di strano» avrebbe voluto sentirsi dire. Invece c'era qualcosa che non andava nelle sue analisi. Qualcosa che gli avrebbe scombussolato tutti i piani per il futuro; tutti i suoi sogni...
Niente sarebbe rimasto più lo stesso, ne era certo.
Mise le mani in tasca, per proteggerle dal freddo e calciò con rabbia un sassolino che finì parecchi metri più avanti. Continuò a giocare con esso finché non vide il bar dove era certo che ci fossero Samuel e Rick... e quindi anche Rose.
Si fermò qualche metro prima e fece due o tre respiri per cacciare le sue preoccupazioni. Voleva apparire normale davanti a loro, davanti a lei. Non dovevano sapere niente. Non ancora.
Sospirò rumorosamente e aprì la porta del bar. Li vide e li raggiunse con fare troppo tranquillo.
«Allora, tutto bene?» gli chiese la ragazza quando si sedette accanto a lei. Lui annuì e le sorrise. Poi si avvicinò e le schioccò un bacio a stampo sulle labbra.
«E questo per cos'è?» domandò Rose felicemente sorpresa.
«Adesso non posso neanche baciare la mia ragazza?» chiese di rimando lui, facendola ridere. Quel piccolo momento di intimità tra loro era fin troppo sdolcinato agli occhi di Samuel, che non ci mise molto prima di iniziare a burlarsi di loro. Davide cercò di zittirlo con un'occhiata d'ammonimento, ma ottenne l'effetto contrario. Infatti l'amico scoppiò in una risata fragorosa per l'occhiataccia ricevuta e si riprese solo quando Richard cambiò argomento, passando a uno molto più importante.
«Mentre tu eri a fare la tua commissione super segreta, sono usciti i nomi di chi parteciperà al concerto di Natale di quest'anno. E indovina... Tu farai le parti da solista» annunciò elettrizzato rivolto a Davide dandogli un pugnetto sul braccio per enfatizzare la cosa.
Il ragazzo per un po' non rispose estremamente sorpreso. I concerti di Natale e di fine anno erano due eventi molto importanti per il loro istituto. Ci sarebbero stati molti critici musicali e sarebbe stata l'occasione perfetta per farsi notare. Di certo non immaginava neanche che, tra i tanti studenti del conservatorio, scegliessero proprio lui.
«Amore, cosa c'è? Non sei felice?» gli domandò Rose apprensiva quando Davide rimase in silenzio, fin troppo pensieroso.
«Certo che sono felice! È una notizia fantastica» rispose lui destandosi e sforzandosi di sorridere.
In realtà era veramente contento, ma il tempismo non era stato dei migliori. Il suo medico gli aveva raccomandato più volte di non sforzare la voce, almeno per il momento, ma rinunciare a quel concerto gli sembrava una decisione impossibile da prendere.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Rischiava, da una parte di perdere un'eccellente opportunità, dall'altra la sua voce. E non voleva scegliere tra nessuno dei due.
Il tonfo della porta lo fece risvegliare dai suoi ricordi, preannunciandogli che suo padre era finalmente tornato a casa. Ripose la foto sul comodino, pulendo la cornice dal sottile strato di polvere.
Si mise seduto sul bordo del letto, prendendo la testa tra le mani e asciugando le gote umide.
Aveva preso la scelta sbagliata. Aveva seguito il cuore invece della ragione commettendo un errore imperdonabile. Era stato un azzardo decidere di partecipare alle prove e ignorare gli indizi che il suo corpo gli mandava. A causa di quella scelta rischiava di non poter cantare mai più.
In poco tempo si ritrovò di nuovo con gli occhi umidi e il respiro affannoso senza riuscire a trattenersi.
Sentì bussare alla sua porta e cercò di riprendersi in fretta, almeno per rispondere al padre che l'avvisava di aver comprato due pizze prima di tornare a casa e di far in fretta, per evitare che si raffreddassero.
Si alzò dal letto uscendo dalla camera, ma non prima di aver dato un altro sguardo alla foto. Avrebbe pagato oro per tornare indietro e cantare un'ultima volta e si ripromise che avrebbe fatto di tutto pur di far cambiare idea anche a Marianne.
Non le avrebbe lasciato rovinare la sua vita. Non le avrebbe lasciato fare la scelta sbagliata. Non un'altra volta.
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