.7.

Lo incontrai per la prima volta quando avevo sedici anni, e lui quattordici.

Ricordo perfettamente tutto:
Eravamo in inverno, e per passare il tempo andavamo nell'oratorio del paese. Fu lì che Roberta lo portò nella mia vita.
Mi strinse la mano presentandosi "Alessandro" disse, "luca" risposi. capii molto tempo dopo l'importanza di quel tocco di due mani estranee.

Lui era basso, paffutello, e scuro di capelli . Non aveva nulla di speciale, nulla di incredibile, nulla che ti potesse rimanere impresso.
Aveva la voce stridula, fastidiosa e un tono da arrogante. Questa fu la mia prima impressione su di lui. "non lo voglio nel gruppo" ripetevo a tutti i miei amici appartenenti alla cerchia.
Non volevo che stesse con noi, non volevo che uscisse con noi, che parlasse con noi, che ridesse con noi.
Ero, lo ammetto, geloso.
Lui spiritoso, io acido. Lui pareva intelligente, io stupido. Lui andava con gli altri del gruppo nella stessa scuola, ed io no. Lui aveva altri amici, ed io no, loro avevano cose da raccontarsi sui prof. che avevano in comune. ED.IO.NO.

Mi sentii escluso dai miei stessi amici, escluso dai miei compagni di scuola, dalla mia famiglia. Fu un periodo terribile... mi passarono per la mente tanti brutti pensieri.

⁂ ⁂ ⁂

Parlavamo poco all'inizio, lui mi considerava uno sfigato (mi rivelerà in futuro) da cui stare alla larga.

Ma accadde poi che una notte di inizio estate nessuno dei due aveva sufficiente sonno per andare a casa, così rimanemmo io e lui. Fu deciso di andare a passeggiare nel suo quartiere, dato che abitavamo nello stesso paese. E parlammo per la prima volta per più di cinque minuti. Ci facevamo domande per conoscerci, domande per capirci, domande per sapere cosa ci piaceva e cosa no. Quella notte restammo a chiaccherare per molte ore, del più del meno.
Dopo quella notte ne seguirono altre uguali. Tutte avevano lo stesso schema: uscivamo in gruppo, restavamo in giro con gli amici fino alle 23:30 circa, e poi loro andavano a casa mentre noi andavamo nel quartiere di Alessandro.

Giorno dopo giorno ci conoscevamo sempre di più, le chiacchiere superficiali divennero sempre più profonde.
Lui mi raccontava le sue insicurezze con il padre e il peso di essere abbastanza come il padre desiderava che lui fosse, e lo stress che ne conseguiva. io li parlavo di quello che subivo a scuola, dei pesanti problemi con mio padre, le mie insicurezze, le mie paure, desideri, sogni. Ormai ogni sera ci spingevamo sempre più a notte fonda, per restare più tempo possibile a parlare. Era così bello potersi aprire con qualcuno, era così bello sentire qualcuno così vicino, poterlo abbracciare per cercare conforto, era così bello messaggiare con lui; ridere, scherzare.

In seguito alle lunghe conversazioni, arrivai alla conclusione che non era così antipatico. Che dietro all'arroganza c'era paura di essere inferiore agli altri. Che la sua voce stridula era in fase di cambiamento, e che non era per nulla fastidioso.

Iniziammo a chiamarci "fratello" dato che nessuno dei due ne aveva, uno considerava l'altro come tale (o almeno così credevo)

Andò avanti così per almeno tre mesi.

Poi, come tutto, la cosa si guastò.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top