Capitolo III: sabato 8 agosto 2015

Capitolo III: Sabato 8 agosto 2015

Raffaella scrutava ansiosamente le persone in uscita dal piccolo aeroporto elbano, situato in località La Pila; il cuore le batteva forte per l'emozione: anche se erano sposati da quasi sei anni e mezzo, tre settimane di separazione le avevano fatto sentire moltissimo la mancanza di suo marito Jerry.

Un mese prima, la madre di Jerry, Vanessa, aveva avuto un incidente a cavallo; temendo per la sua vita, Jerry e Raffaella erano accorsi al suo capezzale assieme agli altri figli della donna, ma fortunatamente il suo trauma cranico si era rivelato molto meno grave di quanto fosse sembrato in un primo momento e la vivace ultrasettantenne – ancora una bella donna, a cui Jerry assomigliava molto – era presto tornata a casa. Raffaella aveva esortato il marito a rimanere per qualche altra settimana e godersi la sua numerosa famiglia, che non vedeva da quasi tre anni, mentre lei era dovuta tornare a casa ad occuparsi degli affari della tenuta, che naturalmente non si fermavano mai e rendevano difficile allontanarsi tutti e due per molto tempo.

Jerry comunque non aveva resistito a lungo lontano dalla moglie; dopo una ventina di giorni Vanessa era ormai quasi perfettamente ristabilita e quindi, poiché comunque non sarebbe rimasta da sola giacché tutti gli altri suoi figli abitavano al massimo ad un'ora di macchina di distanza, l'aveva salutata e si era messo in viaggio per l'Italia. Oltre al naturale desiderio di ricongiungersi alla moglie, Jerry non voleva perdersi l'arrivo di Nives e del suo fidanzato Richard Armitage, che era uno dei suoi attori preferiti.

Il piccolo aereo proveniente da Pisa era atterrato puntualmente alle 11.15; era passato solamente un quarto d'ora, ma Raffaella già fremeva d'impazienza.

Finalmente, dopo altri cinque minuti, vide arrivare il marito, con un piccolo trolley al seguito ed in spalla uno zaino di tipo tecnico, neanche quello particolarmente voluminoso. Raffaella era sempre stupita di quanto leggero Jerry riuscisse a viaggiare – una volta le aveva detto ridendo che lui necessitava soltanto di un po' di cibo, per il resto i suoi bisogni erano quelli d'un cavernicolo. Il cuore di Raffaella fece un balzo per la gioia di rivedere il marito; alzò un braccio e lo sventolò in segno di saluto.

Jerry vide subito Raffaella; fu come se il resto del mondo scomparisse mentre si lasciava abbagliare dal suo stupendo sorriso di benvenuto. Si affrettò a dirigersi verso di lei e, non appena le fu davanti, mollò zaino e trolley ed aprì le braccia; lei vi si gettò di slancio, stringendosi a lui.

"Bentornato a casa", gli mormorò, gli occhi bruni splendenti di felicità. Jerry si chinò e la baciò sulle labbra, lungamente ma in modo casto perché non amava dare spettacolo in pubblico.

"Grazie, honey", le bisbigliò di rimando, usando il tipico vezzeggiativo statunitense. Ciascuno dei due parlava perfettamente la lingua dell'altro, e spesso capitava che iniziassero una frase in una per terminarla nell'altra, oppure che mescolassero parole dell'una e dell'altra in una piccola babele divertentissima.

"Hai fatto un buon viaggio?" s'informò Raffaella.

"Sì, ho dormito per tutto il tempo da LA fino a Londra, così mi riprenderò subito dal jet lag", le raccontò Jerry. "Viva la prima classe e i voli notturni", soggiunse, gli occhi azzurri che brillavano di umorismo.

"Meglio così", commentò la donna. "Dai, andiamo", lo esortò poi, prendendolo per mano.

"Mia madre ti manda il suo affetto", le disse Jerry mentre si avviavano. "E anche tutta la tribù Runner, fratelli, sorelle, cognati e nipoti. Alyssa ti manda un bacio, un abbraccio e un regalo."

Alyssa era la figlia che Jerry aveva avuto dalla prima moglie, una famosa modella canadese sposata in giovane età, da cui aveva divorziato burrascosamente dopo pochi anni. Fortunatamente però dopo un po' le cose tra loro si erano appianate, se non altro per amore della bambina, e anche se i rapporti erano rimasti molto freddi, perlomeno erano civili. Ora Alyssa aveva diciannove anni e, essendo un vero e proprio genio dell'informatica, frequentava proficuamente il CalTech, la cui retta Jerry era ben felice di pagare dati i risultati. Alyssa adorava Raffaella e l'isola d'Elba, e ogni anno in estate veniva a trascorrere col padre quattro settimane, solitamente tra giugno e luglio. Grazie a lei, avevano ottimizzato il supporto informatico della tenuta. Jerry era molto orgoglioso della figlia, e l'unico cruccio era che non fosse minimante portata per il tiro con l'arco, anche se vi si era cimentata per fargli piacere.

"Un regalo?" fece Raffaella, piacevolmente sorpresa. "Che carino da parte sua! Non vedo l'ora di scoprire che cos'è."

Erano infine arrivati alla macchina, un comodo SUV Ford Edge 4x4, nero con originali disegni a fulmine di colore viola fatti fare appositamente in carrozzeria, che Raffaella aveva parcheggiato all'ombra dell'unica palma che ornava il piccolo parcheggio aeroportuale.

"Te lo mostro subito", si offrì Jerry, ben conoscendo la scarsa capacità di pazientare della moglie. Depose lo zaino sul sedile posteriore, poi mise il trolley nel bagagliaio e lo aprì, frugandovi finché non trovò quello che cercava. Porse alla moglie il pacchetto contenente il regalo e la osservò divertito mentre ne strappava la carta colorata, incurante di nascondere la propria fanciullesca impazienza di scoprirne il contenuto. I suoi lineamenti delicati s'illuminarono di gioia non appena vide di cosa si trattava: un libro a fumetti che raccoglieva l'intera saga di Capitan Harlock, uno degli eroi dell'infanzia di Raffaella. L'accompagnava un biglietto che diceva semplicemente A Raflesia da Alyssa. La romana scoppiò a ridere: data l'assonanza dei nomi, la ragazza si divertiva qualche volta a chiamare la matrigna col nome della regina delle Mazoniane, irriducibile avversaria del mitico pirata spaziale creato da Leiji Matsumoto.

"Che regalo fantastico!" esclamò Raffaella, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. Non avendo potuto avere figli e sentendone la mancanza, era stata fortunata perché Alyssa era la surrogata perfetta, anche se purtroppo poteva vederla appena due volte l'anno, d'estate quando lei veniva all'Elba e a Natale quando lei e Jerry si recavano in California. "La chiamerò via Skype per ringraziarla, non appena a Napa sarà un'ora accettabile", proseguì la donna, rimettendo il libro nella valigia del marito.

"Le farà piacere", affermò Jerry. Salirono in macchina e Raffaella avviò il motore, accendendo subito il climatizzatore per abbassare la temperatura dell'abitacolo, rovente sebbene l'auto fosse stata parcheggiata all'ombra. Poi fece manovra, percorrendo lentamente la stradina che portava alla provinciale. In termini di percorrenza, l'aeroporto distava appena poco più di trenta chilometri dalla Tenuta d'Altariva, ma data la tortuosità del percorso, dovuta alla particolare morfologia dell'isola, avrebbero impiegato quasi un'ora per raggiungerla.

Durante il tragitto, Raffaella raccontò a Jerry com'era andata la serata enogastronomica della settimana prima – uno dei motivi per cui era dovuta tornare, lasciandolo da solo dalla madre – dove erano intervenute per la prima volta alcune autorità, tra cui il sindaco e l'assessore alla cultura e al turismo di Capoliveri, e la collega di quest'ultimo per il comune di Portoferraio.

"Niente male, direi", commentò Jerry, compiaciuto. "Che dici, ci allarghiamo e per l'evento di fine agosto invitiamo il presidente della provincia?"

"Ugh! Sai quanto amo i politici... Preferirei qualche famoso sommelier, magari una donna, come Fabiana Gargioli. Oppure uno chef molto simpatico, come Antonino Cannavacciuolo o Bruno Barbieri."

"Non Cracco?" sogghignò lo statunitense. Raffaella scoppiò a ridere.

"Lo farei solo per tirargli dietro qualche piatto come fa lui coi poveri concorrenti di Masterchef!" esclamò.

Jerry le fece eco nella risata: anche lui trovava Carlo Cracco insopportabilmente arrogante.

"Magari il suo comportamento è tutta una montatura", considerò comunque, pensieroso.

"Può darsi", ammise la moglie. "Ma il risultato rimane sempre che mi fa solo venir voglia di lanciargli un vassoio pieno di purè bollente, oppure annegarlo in una delle nostre botti..."

"E rovinare il vino? Anche no!" esclamò Jerry con finto orrore. Risero di nuovo e Raffaella ripensò a una cosa che Nives le aveva detto qualche anno prima, ossia che ridere insieme alla persona che si ama è una delle cose più belle al mondo. A quel tempo l'amica era single e l'aveva detto in un tono leggero che però non era riuscito a celare del tutto la sua tristezza per il proprio stato. Sapere che adesso stava insieme con colui che aveva sempre definito il suo amore di sogno rendeva Raffaella particolarmente contenta per lei.

Dopo il momento ilare, lei e Jerry rimasero in silenzio per qualche minuto mentre Raffaella affrontava un tratto di strada particolarmente tortuoso. Jerry ammirò fuori dal finestrino lo spettacolare panorama del mar Tirreno, il cui colore variava dall'acquamarina della sottostante spiaggia di Acquarilli allo zaffiro del mare profondo.

"Mi è mancato da morire, tutto questo", disse sottovoce; né lui né la moglie erano elbani per nascita, ma entrambi erano stati irrimediabilmente conquistati dall'isola e, come diceva sempre Nives ridendo, si erano ammalati di elbite, proprio come lei. "Sono felice di essere di nuovo a casa", concluse, girandosi a guardare il bel profilo dal nasino alla francese di Raffaella.

"E io che tu sia di nuovo a casa", disse lei a bassa voce. "Mi sei mancato moltissimo."

"E tu a me... Non hai preso impegni per oggi, vero?"

Il suo tono era molto tenero: era chiaro che non stava alludendo semplicemente al fatto che aveva intenzione di fare l'amore con lei non appena arrivati a casa, ma alla connessione più profonda, quella a livello delle loro anime e dei loro cuori.

Raffaella gli rivolse un sorriso colmo d'amore.

"Nessun impegno", lo rassicurò.

Durante tutto il tempo, la musica proveniente dall'impianto stereo aveva fatto da sottofondo alla loro conversazione. In quel mentre, attaccò una vecchia e famosissima canzone di Lionel Ritchie e Diana Ross, Endless Love.

"Questa è una delle canzoni d'amore più belle mai scritte", commentò Jerry. Dopo l'arco, il suo grande amore era il pianoforte, che suonava più che discretamente. Aveva anche una bella voce e spesso intratteneva gli ospiti con qualche brano, specialmente dai repertori di Frank Sinatra, Bryan Adams e Tina Turner, anche durante gli eventi enogastronomici.

Raffaella non fece in tempo a dichiararsi d'accordo, che Jerry alzò un poco il volume e si mise a cantare la parte di Lionel Ritchie. Lei non aveva una voce eccelsa e per questo evitava di cantare in pubblico assieme a lui, ma era intonata e in privato si divertivano a improvvisare dei duetti, così non esitò a interpretare Diana Ross al meglio delle proprie possibilità. Il brano era vera poesia d'amore messa in musica ed esprimeva perfettamente il profondo sentimento che univa la coppia italo-americana.

Quando il brano terminò, Jerry sfiorò il braccio della moglie.

"Fermati un attimo", disse, la voce leggermente tremolante per l'emozione. "Ho bisogno di baciarti..."

"Anch'io", mormorò Raffaella, ugualmente emozionata. Poco dopo scorse un piccolo slargo ed accostò, fermando la macchina; tirò il freno a mano e mise in folle, poi si girò verso il marito. Jerry si sporse verso di lei e la strinse tra le braccia.

"Ti amo, Raffi", mormorò. Raffaella gli cinse il collo con le braccia e lo fece accostare maggiormente. Le loro labbra s'incontrarono, schiudendosi subito le une contro le altre alla ricerca dell'intimo contatto delle lingue, eccitante quanto dolce. La tenerezza si mescolò ben presto al desiderio – tre settimane di separazione erano state pesanti per entrambi, perché da quando si erano incontrati non erano mai stati lontani per così tanto tempo – ed i loro baci divennero conseguentemente sempre più roventi. Infine Jerry sospirò e si staccò dalla deliziosa bocca della moglie.

"Me... meglio che ci muoviamo", borbottò, leggermente senza fiato. "Prima arriviamo, meglio è."

"Sono decisamente d'accordo", ridacchiò Raffaella. Ingranò la prima e ripartirono.

L'ultimo tratto di strada era tutto sterrato, appositamente mantenuto così per memoria storica giacché si trattava della stessa strada che conduceva alla vecchia miniera di ferro del Monte Calamita – dismessa negli Anni Ottanta del secolo precedente – di cui si poteva visitare una parte.

Era mezzogiorno e mezzo quando Raffaella imboccò il viale d'accesso della bella villa ottocentesca che era la loro casa. Sempre ben mantenuta dai proprietari precedenti, era rimasta disabitata soltanto pochi anni prima che Raffaella l'acquistasse assieme ai vigneti ed aveva avuto bisogno di poca ristrutturazione e soltanto di qualche restauro. Gli unici interventi di un certo rilievo erano stati l'installazione della piscina nel grande giardino e l'ampliamento del terrazzo affacciato sul mare. Il mobilio era stato quasi interamente rinnovato, ma Raffaella aveva mantenuto uno stile – quello toscano – adatto all'ambiente; perfino per la cucina, sebbene l'avesse riattrezzata con elettrodomestici ultramoderni.

Dopo aver parcheggiato sotto la tettoia, accanto alla Stelvio blu elettrico di Jerry, scesero e scaricarono i bagagli, poi entrarono in casa.

"Ho detto a Marcella di preparare per l'una", disse Raffaella, riferendosi alla loro cuoca. "Se vuoi, hai tutto il tempo di fare una doccia."

"Sì, dopo un viaggio così lungo ci vuole, comodità o non comodità da prima classe", accettò Jerry con gratitudine.

Salirono nella loro camera da letto, arredata con mobili in legno di noce e nei caldi colori del beige e del nocciola.

Lo sguardo di Jerry cadde su letto ed inevitabilmente mille ricordi delle delizie che vi sperimentava con Raffaella si presentarono alla sua mente. A dispetto del climatizzatore acceso che donava una piacevole frescura alla stanza, si sentì di colpo molto accaldato.

"È meglio che io vada subito a fare quella doccia", sospirò. "Poi scendiamo a pranzo... ma dopo, ho voglia di stare solo con te..."

"Possiamo anche mangiare più tardi", ridacchiò Raffaella. Gli occhi chiari dell'arciere brillarono pericolosamente.

"Attenta a non dirlo due volte!" esclamò.

Il sorriso della donna si fece spudorato.

"Possiamo anche mangiare più tardi", ripeté. "Basta avvisare Marcella... ma a questo punto darei il pomeriggio libero a lei e a Salvo", dichiarò, lo sguardo acceso di una luce monellesca, riferendosi anche al figlio della cuoca, che lavorava per loro come cameriere.

Jerry s'inumidì le labbra improvvisamente inaridite.

"D'accordo", disse piano.

"Bene, allora mentre tu fai la doccia, io scendo a dire a Marcella del cambio di programma. A tra poco", lo salutò con un sorriso birichino. Mentre la guardava uscire, ondeggiando lievemente sui fianchi fasciati da aderenti leggings capri viola, Jerry pensò che i jeans gli si fossero di colpo ristretti di una taglia. Spinse il trolley in un angolo, poggiandovi sopra lo zaino – ci avrebbe pensato più tardi a disfare i bagagli – e andò ad aprire il cassetto del settimino dove teneva la biancheria, poi con un sogghigno pensò che in realtà non gli serviva e lasciò perdere.

Si recò quindi nel bagno annesso alla camera. L'ambiente era ampio e luminoso; come per tutta la villa, l'arredo era stato progettato personalmente da Raffaella. Da un lato, incassata in una pedana ricoperta di piastrelle scure cui si accedeva tramite tre scalini, c'era la vasca con l'idromassaggio ovale, accanto alla quale c'era un caminetto incamerato nel muro che s'interfacciava con la stanza da letto, protetto da un vetro termico, spettacolare quando acceso nelle sere d'inverno. Dall'altro lato si trovava invece un ampio box doccia, dotato di getti verticali e di bagno di vapore. Rapidamente, Jerry si spogliò e s'infilò sotto il getto d'acqua del soffione nel soffitto del box.

Frattanto, Raffaella era scesa al piano di sotto e si era recata in cucina; qui trovò la cuoca, una donna robusta sulla cinquantina originaria di Sorrento, che stava per buttare la pasta.

"Aspetti, Marcella", la esortò. "Jerry e io abbiamo deciso di mangiare più tardi."

La donna ci rimase male, ma solo per un istante, ossia il tempo che le occorse per realizzare il motivo di quel ritardo.

"Capisco", ridacchiò, spegnendo il fornello. "Nessun problema, mi dirà lei quando volete mangiare."

"Non si preoccupi, si prenda pure il pomeriggio libero, lei e anche Salvo", si affrettò a dire Raffaella. Il sorriso di Marcella si fece ancor più largo.

"Oh ma certo, signora", disse, togliendosi il grembiule. "Al posto suo, anch'io avrei voglia di star da sola col mio maritino, altro che mangiare... e mi creda, ai miei tempi l'ho fatto, e pure spesso!" concluse ridendo. Anche Raffaella rise: conosceva Marcella e suo figlio Salvo, cuoca e cameriere qualificati alla scuola alberghiera di Ischia, fin da quando si era trasferita a vivere nella villa, dopo la fine della ristrutturazione, ossia otto anni prima. Ciò era accaduto perché Raffaella si era resa subito conto che non poteva badare a quella grande casa da sola, non quando doveva occuparsi anche della coltivazione dei vigneti, che nei primi anni aveva curato personalmente. A mano a mano che il successo dei vini prodotti cresceva, aveva iniziato a delegare sempre di più quella parte dell'attività per dedicarsi alle pubbliche relazioni, tra cui la sua preferita era l'organizzazione delle serate enogastronomiche.

"Allora io e Salvo torniamo stasera per preparare la cena", disse Marcella, avviandosi alla porta. "Va bene per la solita ora, alle otto?"

"Sì, perfetto; grazie, Marcella."

"E di che? Si goda il suo uomo e non pensi ad altro!" esclamò la donna, facendole un gran sorriso affettuoso. Dopo otto anni, poteva permettersi qualche confidenza con la sua datrice di lavoro; del resto, Raffaella Romani era una persona solare cui era facile affezionarsi.

Raffaella sorrise a sua volta.

"Lo farò, Marcella, lo farò", le assicurò con un risolino malizioso che fece allargare il sorriso della donna più anziana.

Dopo che Marcella se ne fu andata, Raffaella tornò di sopra; Jerry era ancora sotto la doccia, così tirò le tende per creare un po' di romantica penombra, poi scostò il copriletto. Supponendo che Jerry sarebbe stato già quasi del tutto nudo, si spogliò, rimanendo con soltanto un paio di culottes di pizzo bianco, romanticamente sexy, e lo attese sdraiata a pancia in giù rivolta verso la porta del bagno.

Qualche minuto dopo Jerry arrivò, con soltanto un asciugamano attorno ai fianchi. La scorse subito e si bloccò un istante, gradevolmente colto alla sprovvista; poi un lento sorriso malizioso gli sollevò gli angoli della bocca e con un gesto si liberò dell'asciugamano, che cadde a terra rivelandolo in tutta la sua mascolinità. Raffaella lo guardò con aperto apprezzamento: pur non essendo più un professionista, Jerry continuava a mantenersi in forma ed aveva quindi ancora un fisico atletico che si faceva ammirare.

"Altro che i bronzi di Riace", mormorò in italiano, mordendosi il labbro inferiore. Lui sollevò un sopracciglio, divertito e lusingato:

"Ti piaccio ancora così tanto, dopo tutti questi anni?"

"Oh sì", confermò Raffaella. "Sei stupendo."

Jerry sorrise e scosse la testa. "Mai quanto te, honey..."

Si sedette sul letto, a fianco della donna, e le scostò i capelli, poi le accarezzò gentilmente la schiena. Raffaella chiuse gli occhi, godendo del tocco della sua mano; così, non vide Jerry che si chinava e sussultò quando sentì le sue labbra sfiorarle la pelle delle spalle.

"Oh..." bisbigliò, scossa da un caldo brivido. Incoraggiato, Jerry mosse la mano verso il basso, facendo seguire le labbra lungo la spina dorsale. Quando raggiunse la curva delle natiche fasciate di pizzo, le accarezzò e subito dopo le mordicchiò. Raffaella sospirò e socchiuse gli occhi, per poi spalancarli: proprio davanti al suo volto svettava lo scettro virile di Jerry. Le mani cominciarono a pruderle per la voglia di toccarlo. Si girò sul fianco e lo circondò con le dita; Jerry sobbalzò e si lasciò sfuggire un gemito mentre lei lo accarezzava sapientemente.

"Non vale..." protestò debolmente.

"Vuoi che smetta?" lo provocò lei, continuando a toccarlo.

"Ah! No, no", ansimò l'arciere, chiudendo gli occhi. Spronata dalla sua reazione, Raffaella si sollevò ulteriormente e lo spinse supino, poi si chinò su di lui e sfiorò la sua virilità con la lingua.

"Oddio, Raffi", rantolò l'uomo. "Così mi fai impazzire..."

Lei proseguì imperterrita a infliggergli la sua deliziosa tortura e Jerry sentì l'eccitazione diventare sempre più forte, finché pensò di star per perdere il controllo.

"Bas... basta", la implorò. "Raffi, ti prego, ho bisogno di te..."

Alla sua supplica, la donna si fermò e si ritrasse; guardandolo negli occhi, si sdraiò sulla schiena e gli tese le braccia. Jerry si adagiò al suo fianco e la baciò con una passione che la lasciò senza fiato; poi le lasciò le labbra e le depose una catena di piccoli, umidi baci sul collo, sul petto, fino ai seni, dove indugiò ad omaggiare i duri boccioli che li coronavano, facendola gemere amorosamente, le mani affondate nei suoi capelli. Proseguì sul suo ventre fremente, cominciando ad abbassarle le culottes sui fianchi e baciando via via la pelle che veniva scoperta. Si fermò appena sopra la nuvola scura che ornava la sua femminilità, dove rimase finché non la liberò dell'indumento; poi insinuò una mano tra le sue ginocchia, che lei prontamente dischiuse, e risalì lungo la coscia fino a giungere a toccare il fiore femminile.

Sentendo le sue dita sfiorarla nel punto più sensibile, Raffaella gettò un'esclamazione:

"Jerry! Oh...!"

"Mia Raffaella..." mormorò l'uomo. Compiaciuto, avvertì sui polpastrelli l'estrema eccitazione della sua donna e desiderò sentirne il gusto, così abbassò la testa tra le sue gambe; Raffaella si sentì mozzare il respiro in gola e, quando sentì la sua lingua sfiorare le pieghe più segrete del suo corpo, emise un lamento simile ad un miagolio.

Deliziato dal suo sapore ed incitato dalla sua risposta, Jerry la gustò avidamente, in profondità, mentre lei si agitava in modo sempre più convulso, gettando la testa di qua e di là, i suoi gemiti che gradualmente aumentavano di volume.

Infine soddisfatto, Jerry staccò la bocca da lei e si sollevò, sovrastandola. Raffaella aprì gli occhi, che aveva chiuso sopraffatta dal piacere, e lo avvolse con braccia e gambe mentre lui le si adagiava sopra.

"Ti prego... ti desidero, adesso..." lo implorò.

"Subito, honey", bisbigliò lui; posò le labbra sulle sue e la sua lingua si fece strada nella bocca di lei in un bacio sensuale, mentre nel contempo spingeva la propria virilità lentamente dentro al suo corpo. Con un sospiro di piacere e di gioia, Raffaella lo accolse, felice della dolce doppia invasione.

Jerry cominciò a muoversi lentamente; sentì che lei sollevava il bacino per incontrare ogni sua spinta, accrescendo il piacere reciproco. Staccandosi dalle sue labbra, gemette. "Oh Raffi... sei meravigliosa... perfetta..."

Raffaella si sentì inebriata come ogni volta che il marito le rivolgeva parole appassionate e romantiche ad un tempo, e questo accadeva sempre, quando facevano l'amore. Gli rivolse un sorriso così tenero che lui si sentì chiudere la gola per l'emozione.

"Dio quanto ti amo..." le mormorò sulle labbra, prima di baciarla ancora.

"E io amo te altrettanto", mormorò Raffaella non appena poté tornare a parlare.

Preso da un'improvvisa urgenza di portarla all'estasi, di sentirla tremare e gridare di piacere, Jerry si sollevò sulle braccia; cambiando angolazione e profondità, cominciò a muoversi più rapidamente, aumentando l'ampiezza delle spinte. Spiò il volto di Raffaella e, quando vide le sue labbra formare una o per il piacere, mantenne ritmo e posizione. I lamenti d'amore di lei si moltiplicarono, divenendo sempre più forti; vedendola inarcare la schiena e chiudere gli occhi, Jerry sorrise di contentezza e d'emozione. Poi sentì le sue profondità ribollire e sussultare, scosse dall'orgasmo; si obbligò a resistere qualche istante e prolungare il piacere di lei prima di lasciarsi andare, ma udendola gridare il suo nome non ci riuscì ed il godimento lo travolse, strappandogli un'esclamazione.

Raffaella tremò tanto nella carne quanto nell'anima, aggrappandosi alle spalle di Jerry, la testa gettata all'indietro. Il grido d'amore le si spense in gola, sostituito dai gemiti mentre gli spasmi del climax continuavano a scuoterle le viscere; quando infine scemarono, riprese a respirare, rendendosi conto soltanto allora d'aver trattenuto il fiato.

Jerry tornò ad adagiarsi su di lei e le coprì il viso di teneri baci, come faceva sempre dopo l'amore. Raffaella gli catturò la testa tra le mani per guardarlo negli occhi; Jerry si sentì annegare in quelle dolci iridi brune colme d'adorazione. Sentendosi più innamorato che mai, piegò il collo e la baciò perdutamente, ricambiato con ugual trasporto.

OOO

Erano le due passate quando scesero in cucina, affamati. Per questo locale, Raffaella aveva cercato di rimanere il più fedele possibile all'originale, integrando lo stile country chic in versione toscana con elettrodomestici modernissimi ed altamente funzionali, nonché a basso consumo, in un'ottica amica dell'ambiente che era stata propria di tutta la ristrutturazione.

Salvo aveva apparecchiato in sala da pranzo, ma per praticità preferirono mangiare in cucina, così mentre Raffaella accendeva la fiamma sotto la pentola dell'acqua per la pasta, Jerry trasferì piatti, bicchieri e posate, poi prese dalla cantinetta-frigo una bottiglia di Elba rosato e la stappò, versandone un po' nei calici. Ne portò uno alla moglie, che stava controllando il sugo.

"Aperitivo", le disse, porgendole il bicchiere. Raffaella gli sorrise in ringraziamento e brindarono.

"Cos'ha preparato Marcella di buono?" s'informò poi Jerry.

"Fettuccine fatte in casa con sugo al pomodoro e olive."

"Mmm, uno dei miei piatti preferiti!" si rallegrò lo statunitense.

"Lo so, per questo ho chiesto a Marcella di prepararlo", sorrise Raffaella.

Jerry sogghignò:

"Ah, sai perfettamente che la via per il cuore d'un uomo è attraverso il suo stomaco... No aspetta, come si dice in italiano? Per conquistare un uomo bisogna prenderlo per la gola..."

"Esattamente, bravo", lo lodò Raffaella; Jerry era molto portato per le lingue ed aveva pure un buon accento, a differenza di molti anglofoni, soprattutto statunitensi.

Raffaella scolò la pasta e la condì, poi la mise nei piatti che Jerry portò in tavola. Dopo che si furono accomodati, Raffaella versò dell'altro vino e sollevò il proprio calice.

"Sono felice che tu sia a casa, amò", disse, l'ultima parola in romanesco. Si divertiva a intercalare qualche espressione dialettale, principalmente per ridere, ma anche per esprimere particolare enfasi, come adesso. Oppure per insultare pesantemente qualcuno che l'aveva irritata, il che non era facile perché era una persona normalmente molto calma. Tranne quando le facevano perdere le staffe, s'intende.

"E io sono felice d'essere a casa, amò", ribatté Jerry sulla sua falsariga, facendo tintinnare i calici.

Bevvero un sorso, poi attaccarono la pasta con appetito. Quando terminarono, Raffaella preparò il caffè con la macchina da espresso, che lo macinava al momento e lo faceva buono quanto quello del bar – se non di più, come sosteneva Nives. Detto da lei, che non era una grandissima amante del caffè, era molto significativo.

Finito il caffè, riposero le stoviglie sporche nella lavastoviglie.

"Che ne dici se andiamo a rilassarci a bordo piscina?" Jerry propose a Raffaella. "E più tardi possiamo fare un bagno rinfrescante..."

"Idea fantastica", approvò lei con entusiasmo.

Tornarono quindi in camera, dove si cambiarono rapidamente per poi scendere di nuovo.

La piscina – che Jerry, vedendola la prima volta, aveva definito spettacolare – era formata da una vasca di forma irregolare e da una seconda vasca rotonda comunicante in un angolo, fornita di idromassaggio. Da un lato c'era una serie di gradini che permetteva di scendere in acqua gradualmente e dall'altro un rialzo che formava una cascata in miniatura, la quale non solo era scenografica ma assicurava una costante ossigenazione dell'acqua che così la manteneva più pura. Grandi piastrelle antiscivolo grigio chiaro contornavano interamente la piscina, tranne dove c'era il rialzo della cascatella; alberi e cespugli incorniciavano lo spiazzo. In due punti opposti della piscina c'erano due grandi letti da sole, dotati di baldacchino con tende schermanti, ciascuno con tavolini sui quali posare bibite, libri o altro. Jerry lo definiva il loro grand hotel personale, ed aveva ragione.

Stesero i loro teli da bagno su uno dei letti e poi si sdraiarono, tirando le tende in modo da ripararsi dal sole che picchiava forte.

Chiacchierarono, parlando di quello che avevano fatto o che era loro accaduto nelle settimane in cui erano stati separati. Jerry raccontò diversi aneddoti riguardanti i fratelli e cognati che fecero ridere molto Raffaella.

Quando furono trascorse un paio d'ore dal pranzo, decisero di fare il bagno; erano accaldati, nonostante fossero rimasti semplicemente sdraiati all'ombra, ma del resto il termometro anche quel giorno aveva sfiorato i 40 gradi. S'immersero dunque con cautela, ma l'acqua pareva più fredda di quel che era in realtà solo a causa della differenza termica, e poco dopo, abituatisi alla temperatura, sguazzavano allegramente nella vasca. Nuotarono un po' avanti e indietro, poi, come calamite che non riescono a star lontane, si avvicinarono l'uno all'altra. Jerry prese Raffaella in braccio e la portò verso la cascata.

"Casa nostra è bellissima", le mormorò, cullandola. "Ma sarebbe bellissima anche se fosse una catapecchia... perché saremmo insieme."

"Hai ragione", concordò lei, allacciandogli le braccia attorno al collo. Jerry la lasciò scivolare di nuovo in piedi e la strinse in vita, premendola contro di sé; Raffaella lo ricambiò stringendosi tutta addosso a lui e deponendogli baci sul petto. Lui sospirò.

"Baby... ma lo sai l'effetto che mi fai?" le domandò piano. La donna sollevò il capo per guardarlo.

"Lo stesso che tu fai a me", rispose altrettanto piano. L'espressione dell'arciere divenne quasi famelica, mentre nei suoi occhi compariva quello che Raffaella non aveva trovato altro modo di definire se non sguardo strappa-mutande, perché le faceva sempre venir voglia di saltargli addosso.

Non dovette pregarlo: poco dopo i loro costumi da bagno fluttuavano nell'acqua mentre loro due, in piedi a fianco alla cascata, immersi fino alla vita, si amavano con quella meravigliosa mescolanza di passione sfrenata e immensa tenerezza che soltanto le persone veramente innamorate riescono a dimostrare l'una verso l'altra.

Più tardi tornarono a rilassarsi sul letto prendisole. Alle sette, mentre il sole declinava lentamente verso il tramonto, tornarono in camera, dove fecero una rapida doccia per lavare via creme solari e cloro della piscina, poi si vestirono per la cena e scesero dabbasso. In salotto trovarono sul tavolino del divano un vassoio con due grandi bicchieri a calice.

"Salvo e i suoi aperitivi", commentò Jerry. "Mi sono mancati!"

Il ventisettenne figlio di Marcella era un barman provetto e si sbizzarriva con i cocktail. Raffaella lo aveva più volte esortato a partecipare a qualche gara con drink di sua invenzione, ma Salvo era un perfezionista e finché non avesse creato qualcosa che lo soddisfacesse pienamente, non lo avrebbe fatto.

"Vado ad avvisare che siamo pronti per la cena", disse Raffaella. "Metti un po' di musica, intanto?"

Jerry lanciò un'occhiata al pianoforte bianco che campeggiava al centro dell'ampio salotto, separato dalla sala da pranzo da una parete mobile che solitamente veniva rimossa in occasione dei ricevimenti o degli eventi enogastronomici. Spesso suonava per gli ospiti, ma più spesso suonava per la moglie, dedicandole canzoni d'amore. Così, invece di accendere lo stereo, si sedette al pianoforte e sollevò la ribaltina che copriva la tastiera.

Frattanto, Raffaella si recò in cucina, dove trovò Marcella e Salvo impegnati nei preparativi della cena.

"Buonasera signora", la salutò il figlio della cuoca. "Ho visto che oggi avete pranzato in cucina, non andava bene la sala?" domandò in tono preoccupato.

"Andava benissimo", lo rassicurò la padrona di casa. "Ma essendo da soli, è stato semplicemente più pratico mangiare qui. Ad ogni modo, Jerry si è complimentato per la pasta e per il sugo", aggiunse a beneficio di Marcella.

"Ne sono contenta", annuì la donna, trafficando con il robot. "Stasera, dato il caldo, ho pensato a un piatto freddo: vitello tonnato con insalata di valerianella e pomodorini. A seguire una macedonia di melone."

"Ottimo", sorrise Raffaella, contenta del menù – ma del resto non aveva mai di che lamentarsi, con Marcella, che era davvero un'ottima cuoca e cucinava leggero e gustoso, proprio come piaceva a lei. "Salvo, vuoi servire l'aperitivo?"

"Arrivo subito."

"Poco alcolico, mi raccomando: con questo caldo l'alcol è micidiale..."

"Ha ragione... che ne dice di succo di mela verde con un tocco soltanto di vino bianco?"

"Aggiudicato!"

Quando tornò in salotto, Raffaella venne accolta da uno strimpellare melodico e sorrise: impossibile tenere Jerry lontano dal suo pianoforte, così come dall'arco. Poi il suo sorriso si fece emozionato quando Jerry mutò melodia e cominciò a cantare Heaven di Bryan Adams guardandola negli occhi. Le parole della canzone d'amore del più sentimentale dei rockettari, cantate dell'uomo che amava, le fecero venire un groppo di commozione in gola. We're in heaven, siamo in paradiso, diceva il ritornello; e per lei l'Elba, Altariva, suo marito erano veramente il paradiso.

Udendo la musica, Salvo attese ad entrare, non volendo interrompere quello che sapeva essere un momento speciale per i due coniugi. Di animo romantico, Salvo sperava di vivere anche lui, un giorno, una storia d'amore come quella di Raffaella Romani e Jerry Runner.

Quando la canzone terminò, attese ancora un minuto, poi fece la sua entrata in salotto con il vassoio su cui portava una piccola caraffa di vetro ed alcuni stuzzichini.

"Buonasera e bentornato, signor Runner", salutò in un inglese fortemente accentato, ma eccellente. "Ecco l'aperitivo."

"Grazie, Salvo", disse Raffaella, mentre il giovane deponeva il vassoio sul tavolino. "Cosa ci hai preparato, con l'aperitivo?"

"Visto il menù di stasera, ho pensato a dei vol-au-vent, due con salsa tonnata e due con insalata russa."

"Ottima scelta", approvò Raffaella. Salvo annuì compiaciuto, poi versò nei calici la bevanda verde chiaro, avendo cura di lasciarvi cadere un paio di cubetti di ghiaccio in modo che rimanesse ben fredda, ed infine si congedò.

Jerry e Raffaella brindarono, poi bevvero.

"Buono!" esclamò lo statunitense. "Salvo è veramente imbattibile con i cocktail, anche se semplici come questo."

Raffaella si dichiarò d'accordo, poi gustarono un paio di vol-au-vent a testa.

"Dovrò ricominciare presto a fare molta palestra per smaltire", sogghignò Jerry. Raffaella rise per quello che era uno scherzo ricorrente: in realtà le calorie erano quasi sempre minime, dato che Marcella cucinava in modo molto appetitoso ma anche molto dietetico. In caso contrario, sarebbero rapidamente diventati tutti e due delle botticelle.

Poco dopo, Salvo venne ad annunciare che la cena era pronta per esser servita. A quel punto, Raffaella e Jerry uscirono sul grande terrazzo affacciato sul mare, dov'era stata apparecchiata la tavola, e si sedettero. Il cameriere aveva creato un'atmosfera suggestiva, usando candele e lanterne invece della luce elettrica per illuminare il gazebo eretto a ridosso della casa, al riparo dai venti marini che potevano soffiare anche molto forte, in caso di maltempo.

Mangiarono il vitello tonnato e l'insalata, innaffiando il tutto con dell'Ansonica riserva doc, beninteso di produzione della Tenuta d'Altariva, un vino secco e di acidità contenuta che, oltre che con il tonno della salsa, si abbinava bene anche con la carne bianca del vitello.

"Ricordami a che ora arrivano Nives e Richard, domani?" domandò Jerry

"La sera tardi", rispose Raffaella. "Nives ha prenotato l'ultimo traghetto, quello delle 22.00, così non devono correre. Chiaro che se arrivano a Piombino prima, prenderanno una corsa precedente. Nives mi ha detto che domani saranno a pranzo con i suoi figliocci e relative famiglie."

"Mentre oggi Richard è stato presentato al padre di Nives, dico bene?" Raffaella assentì per confermare. "Immagino come potesse essere nervoso... mi ricordo quanto lo ero io quando mi hai presentato ai tuoi!"

Raffaella sorrise:

"Beh, lo ero anch'io quando mi hai portato a conoscere tua madre e la tribù dei tuoi fratelli e sorelle con relativi coniugi e prole... Comunque, Richard non ha motivo di nervosismo: Luigi è un uomo molto dolce, anche se difenderebbe Nives come un cerbero se qualcuno tentasse di farle del male; e Nives dice che Richard è un uomo adorabile. Sono sicurissima che si sono piaciuti molto a vicenda."

Jerry annuì.

"Sono davvero ansioso di conoscere Richard", disse poi. "Lo sai che ha avuto una piccola ma significativa parte nel film Capitan America, il primo Vendicatore?"

Jerry era sempre stato un grande fan degli Avenger; come prevedibile, il suo Vendicatore preferito era Clint Barton alias Occhio di Falco, l'infallibile arciere.

"Certo che lo so, l'abbiamo visto insieme almeno tre volte", gli ricordò Raffaella ridendo.

"Beh, abbiamo visto tutti e tre i film de Lo Hobbit cinque volte", ritorse Jerry, ridendo a sua volta. "Ma davvero Richard con l'arco è una schiappa?"

"L'ha detto lui stesso. Per questo proponevo a Nives che tu gli dessi qualche lezione."

"Beh, sicuramente sul set avevano dei maestri d'arme professionisti, non vedo cosa potrei fare di più io..."

"Magari si tratta solo del metodo d'insegnamento", ipotizzò Raffaella. Jerry ci pensò un momento.

"In effetti, potrebbe essere", assentì. "Vedremo... sempre che si dichiari interessato, s'intende."

Finito il vitello, Salvo portò via i piatti e si ripresentò poco dopo con la macedonia, servita ben fredda ma non gelata. Quand'ebbero terminato, bevvero un caffè, e poi Jerry volle andare in cucina a salutare Marcella e a ringraziarla per il pensiero delle fettuccine. La donna stava riponendo i piatti in lavastoviglie; s'interruppe non appena vide entrare il suo datore di lavoro e si asciugò le mani.

"Bentornato a casa, signor Jerry", disse, in italiano perché, a differenza del figlio, non parlava una parola d'inglese, pur avendolo a suo tempo studiato alla scuola alberghiera.

"Grazie, Marcella", disse Jerry nella lingua della donna, sorridendole con genuino affetto: anche se era di una quindicina d'anni più giovane di Vanessa, Marcella era un po' come una seconda madre, per lui. "E grazie anche per le fettuccine di oggi, erano eccellenti."

"Prego, signor Jerry, è sempre un piacere per me", dichiarò Marcella, compiaciuta.

Jerry la ringraziò nuovamente, poi tornò da Raffaella. Erano quasi le dieci e lo statunitense era un po' assonnato, a causa del jet lag che, per quanto avesse dormito a bordo dell'aereo, non aveva del tutto smaltito. Così si ritirarono per la notte; si scambiarono alcuni teneri baci e carezze amorevoli, poi si disposero a dormire. Jerry si addormentò quasi subito, ma Raffaella rimase sveglia ancora per un po' ad ascoltare il lieve respiro del suo uomo, sdraiato accanto a lei che la stringeva tra le braccia, sentendosi felice perché erano di nuovo insieme.

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